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Un cuore semplice
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E-book133 pagine1 ora

Un cuore semplice

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Info su questo ebook

Un cuore semplice è il primo racconto breve diGustave Flaubert e apparve nel libro Tre racconti, pubblicato nel 1877.

La storia di Un cuore semplice è semplicemente la storia di una vita impenetrabile, quella di una povera ragazza di campagna, devota ma mistica, animata da dedizione ma senza eccessi e tenera come pane fresco.

Ama uno dopo l'altro un uomo, i figli della sua padrona, un nipote, un vecchio di cui si prende cura, poi il suo pappagallo; quando il pappagallo muore, lo fa impagliare e, nel momento in cui si appresta a morire a sua volta, confonde il pappagallo con lo Spirito Santo.


"Questo non è affatto ironico come si può pensare, ma al contrario molto serio e molto triste. Voglio impietosire, far commuovere le anime sensibili, essendone una io stesso".

Gustave Flaubert

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita27 ago 2021
ISBN9781667411408
Un cuore semplice
Autore

Gustave Flaubert

Gustave Flaubert (1821–1880) was a French novelist who was best known for exploring realism in his work. Hailing from an upper-class family, Flaubert was exposed to literature at an early age. He received a formal education at Lycée Pierre-Corneille, before venturing to Paris to study law. A serious illness forced him to change his career path, reigniting his passion for writing. He completed his first novella, November, in 1842, launching a decade-spanning career. His most notable work, Madame Bovary was published in 1856 and is considered a literary masterpiece.

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    Un cuore semplice - Gustave Flaubert

    Un cuore semplice

    I

    Per un cinquantennio le ricche signore di Pont-l’Évêque invidiarono alla Signora Aubain la sua governante Félicité.

    Per cento franchi all’anno, cucinava e puliva la casa, cuciva, lavava, stirava, era in grado di mettere le briglie ad un cavallo, di ingrassare il pollame, di sbattere il burro e restò fedele alla sua padrona che non era di contro una persona gentile.

    Aveva sposato un ragazzo bello ma sfortunato, morto all’inizio del 1809 e che la lasciò con due figli molto piccoli e una quantità di debiti. A quel punto lei vendette i propri immobili fatta eccezione per la fattoria di Toucques e per quella di Geffosses le cui rendite ammontavano a non più di 500 franchi e abbandonò la propria dimora di Saint-Melaine per trasferirsi in una meno cara che era appartenuta ai suoi avi e che si trovava dietro Les Halles.

    La casa in questione, rivestita in ardesia, si trovava tra un passaggio e un vicolo che portava al fiume. Al suo interno il pavimento presentava dei dislivelli che rendevano facile inciampare. Uno stretto vestibolo separava la cucina dal soggiorno dove la Signora Aubain trascorreva l’intera giornata seduta su una poltrona di paglia accanto alla finestra.

    Contro lo zoccolo dipinto di bianco erano allineate otto sedie di mogano. Un vecchio pianoforte, collocato sotto un barometro, portava il peso di un ammasso di forma piramidale di scatole e cartoni. Ai lati del camino di marmo giallo in stile Luigi XV c’erano due pastorelli che appartenevano ad un arazzo. L’orologio collocato al centro rappresentava un tempio di Vesta e l’intero appartamento aveva un che di umido e ammuffito a causa del fatto che il pavimento si trovava sotto il livello del giardino. Al primo piano si trovava per prima la camera da letto della «Signora», molto grande, rivestita di una carta da parati dai fiori sbiaditi e alle cui pareti si era appeso il ritratto del «Signore» in costume da moscardino. Questa comunicava con una stanza più piccola dove si potevano trovare due cullette senza materassi. Poi si arrivava in salone che era sempre chiuso ed era pieno di mobili coperti da lenzuola.

    Un corridoio quindi conduceva ad una sala studio; libri e scartoffie riempivano gli scaffali di una libreria che circondava lungo i suoi tre lati una grossa scrivania di legno nero. Le due pareti scomparivano di contro dietro i disegni a penna, alcuni paesaggi ad acquarello e dietro le incisioni di Audran, ricordo di tempi migliori e di una ricchezza ormai venuta meno. 

    Un abbaino, al secondo piano, illuminava la stanza di Félicité che dava sulla prateria. Lei si alzava all’alba per non mancare alla messa e lavorava poi sino a sera senza interruzione; una volta che la cena era terminata, che le stoviglie erano state riordinate e la porta ben chiusa, infilava per bene il ceppo sotto la cenere e si addormentava davanti al focolare con il suo rosario in mano. Nessuno, quando si trattava di contrattare qualcosa, dimostrava maggiore caparbietà.

    Quanto alla pulizia, lo splendore delle sue pentole gettava nello sconforto le altre cameriere.

    Parsimoniosa, mangiava con lentezza e amava raccogliere col dito le briciole del pane, un pane di dodici libbre di peso, cotto per lei espressamente e che durava una ventina di giorni.

    Qualunque fosse la stagione, portava una stola fissata alle spalle con una spilla, una cuffietta che le nascondeva i capelli, calze grigie, una gonna rossa e, sopra la sua camicetta, un grembiule con la pettorina come le infermiere. 

    Il viso era magro e la voce acuta. A venticinque anni, si sarebbe detto che ne avesse quaranta. Superata la cinquantina, sarebbe stato difficile stabilire che età avesse e, sempre taciturna, la postura dritta, i gesti misurati, sembrava una bambola di legno che si muoveva come un automa.

    II

    La donna aveva avuto, come accadeva alle altre, la sua storia d’amore.

    Suo padre, un muratore, si era ucciso cadendo giù da un’impalcatura. Poi sua madre morì, le sue sorelle si dispersero, il fattore la prese con sé e la mise a lavorare molto piccola ad occuparsi del bestiame in campagna. Tremava di freddo sotto gli stracci di cui era vestita, con la pancia a terra era costretta a bere dalle pozzanghere, per qualunque sciocchezza veniva picchiata e infine fu mandata via per il furto di trenta soldi - furto che non aveva peraltro commesso lei.

    Fu presa in un’altra fattoria dove fu assoldata per curare il pollaio e dal momento che i padroni erano soddisfatti di lei, gli altri inservienti erano ne erano gelosi.

    Una sera nel corso del mese di agosto (aveva allora diciotto anni), furono loro a portarla ad un raduno a Colleville.  Di primo acchito rimase attonita e stupefatta dal frastuono prodotto dai suonatori, dalle luci sugli alberi, dalla varietà degli abiti, i pizzi, le croci d’ora, questa folla che saltellava tutta insieme.

    Si teneva, intimidita, in un angolo appartato quando un uomo dall’aspetto signorile che fumava la pipa, i gomiti appoggiati sui manici di una carriola, la invitò a ballare. Le offrì del sidro, del caffé, della focaccia, un foulard e immaginando che lei potesse prevederlo, si offrì di riaccompagnarla. Al margine di un campo d’avena, la gettò per terra in modo brutale. Lei ne ebbe paura e si mise a gridare. A quel punto l’uomo si diede alla fuga.

    Una sera, qualche tempo dopo l’accaduto, sulla strada di Beaumont, la donna volle superare un carretto colmo di paglia che procedeva lentamente e, passando radente le ruote di quello, le accadde di riconoscere, nell’uomo alla guida, Théodore. 

    In quanto a lui, le si avvicinò con fare tranquillo e le chiese di perdonarlo, dicendole che all’epoca era stata «colpa del bere».

    Lei non seppe cosa rispondere e provò solo voglia di fuggire.

    Subito l’uomo le raccontò dell’andamento dei raccolti e dei notabili della città e le disse che, dal momento che suo padre aveva abbandonato Colleville per la fattoria di Écots, ora lui e lei abitavano vicino.

    «Ah!» esclamò lei.

    Egli aggiunse che era desiderio di tutti che si accasasse. Del resto non aveva fretta, attendeva solo d’incontrare una donna che rispondesse al suo gusto e alle proprie necessità. La donna abbassò allora la testa e lui le chiese in quel frangente se lei avesse mai pensato di sposarsi. Lei replicò, accennando un sorriso, che non amava farsi illusioni.

    «Ma no, dico sul serio!» disse lui.

    E col braccio sinistro l’uomo le cinse la vita; la donna camminava sostenuta dall’abbraccio di lui; rallentarono il passo. Il vento taceva, le stelle brillavano, l’enorme carro da fieno oscillava davanti a loro; e i quattro cavalli che trascinavano i loro passi, sollevavano la polvere. Poi, senza che nessuno desse loro l’ordine di farlo, svoltarono a destra. L’uomo la strinse ancora una volta a sé. La figura della donna si dissolse nell’ombra.

    Théodore, la settimana seguente, riuscì ad ottenere d’incontrarla.

    S’incontrarono in fondo alla strada, dietro un muro, sotto un albero isolato. La donna non sembrava del tutto sprovveduta come lo erano molte ragazze poiché dal comportamento degli animali aveva appreso molto; ma la razionalità e la volontà di preservare la propria virtù la frenarono.

    Questa sua resistenza portava all’esasperazione l’amore di Théodore al punto che l’uomo per poter soddisfare il proprio desiderio (o forse anche perché un po’ ingenuo), la chiese in sposa. Lei stentava a crederci. Lui rispose facendo dei grandi giuramenti.

    Presto le confessò qualcosa di imbarazzante: i suoi genitori, l’anno precedente, avevano corrotto un uomo per dispensarlo dalla leva; ma da un giorno all’altro poteva essere nuovamente richiamato; l’idea di svolgere il servizio militare lo terrorizzava. Questa codardia fu per Félicité una dimostrazione di tenerezza e il suo sentimento nei confronti dell’uomo ne uscì rafforzato. La donna soleva uscire di soppiatto nel corso della notte e, una volta arrivata all’appuntamento, Théodore la tormentava con le sue inquietudini e con le sue richieste.

    Alla fine, egli annunciò che sarebbe andato di persona alla Prefettura per raccogliere le informazioni necessarie per addivenire al matrimonio e che l’avrebbe messa a parte di quanto appreso la domenica successiva tre le undici e mezzanotte.

    Giunto il momento, la donna raggiunse il fidanzato. 

    Al posto dell’uomo trovò uno degli amici di lui.

    L’amico le disse che lei non avrebbe più rivisto il fidanzato. Per evitare la leva obbligatoria, Théodore risultava sposato con una vecchia signora molto benestante, la signora Lehoussais, di Toucques.

    Per la donna fu un dolore inenarrabile. Si gettò in terra, gridò, invoco il buon Dio e pianse in completa solitudine dispersa nella campagna sino a che non si levò il sole. All’inizio del mese, ricevuti i compensi che le spettavano, mise tutti i suoi averi in un fazzoletto e si diresse verso Pont-l’Évêque.

    Dinnanzi ad una pensione si rivolse ad una ricca signora vestita come una vedova la quale era alla ricerca, nello specifico, di una cuoca. La ragazza non era esperta di cucina ma sembrava essere dotata di così tanta buona volontà che la Signora Aubain finì per dire:

    «Sia così, vi prendo!»

    Dopo neanche un quarto d’ora, Félicité si era sistemata presso la signora.

    All’inizio lei visse in una sorta di soggezione che le era causata dal tipo di casa e dal ricordo del Signore che era onnipresente. Paul et Virginie, di sette uno e l’altra di quattro anni appena, le sembravano fatti di una materia preziosa; lei li portava sulla schiena come fosse un cavallo; e la signora Aubain le impediva in ogni modo e ad ogni istante di baciarli, cosa che la mortificava. Tuttavia la donna era felice. La dolcezza dell’ambiente aveva dissolto

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