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Ritorno a Wolfe Manor: Harmony Collezione
Ritorno a Wolfe Manor: Harmony Collezione
Ritorno a Wolfe Manor: Harmony Collezione
E-book168 pagine1 ora

Ritorno a Wolfe Manor: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

I famigerati Wolfe 8/8
Una potente famiglia distrutta dalla sete di potere.
Otto fratelli dispersi ai quattro angoli del mondo.
Ma è giunto il momento per la dinastia dei Wolfe di risollevarsi.


Dopo anni di incuria e abbandono, il ritorno a casa di Jacob scuote Wolfe Manor dalle fondamenta. Solo, e con il morale a pezzi, Jacob non si lascia avvicinare da nessuno. O quasi...
La giovane Mollie Parker, figlia di un giardiniere, ha passato la sua vita in attesa di qualcosa di cui non era certa, almeno fino a quel momento. Lei sa che Jacob è molto meno pericoloso di quanto sembri, così come sa che, sebbene la sua anima non possa essere imbrigliata, il suo cuore invece sì.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2018
ISBN9788858984222
Ritorno a Wolfe Manor: Harmony Collezione
Autore

Kate Hewitt

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Ritorno a Wolfe Manor - Kate Hewitt

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Lone Wolfe

    Mills & Boon Bad Blood

    © 2011 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Velia De Magistris

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-422-2

    1

    «E adesso?» domandò il tassista quando fermò la vettura davanti alle massicce mura di pietra che delimitavano la proprietà di Wolfe Manor. «I cancelli sono chiusi.»

    «Davvero?» Mollie Parker aprì gli occhi. Vinta dalla stanchezza del viaggio – il volo da Roma era decollato con diverse ore di ritardo – si era assopita sul sedile posteriore, la testa appoggiata sui suoi bagagli. Raddrizzò la schiena e si sporse in avanti. «Strano, perché da anni ormai sono sempre aperti.»

    Scrollò le spalle, troppo stanca per analizzare le possibili cause del problema. Forse i ragazzi del villaggio avevano di nuovo fatto irruzione nella vecchia residenza per lanciare sassi contro i pochi vetri rimasti alle finestre e la polizia era stata costretta ad adottare delle misure per prevenire altri atti vandalici.

    «Non si preoccupi» disse al tassista, dopo averci riflettuto un attimo. Prese un paio di banconote dalla borsa e le porse all’autista. «Può lasciarmi qui. Proseguirò a piedi.»

    Sul viso dell’uomo si dipinse un’espressione scettica. La grande residenza e il lungo viale di accesso erano immersi nell’oscurità più totale. Tuttavia accettò il denaro e l’aiutò a scaricare le due valigie. «Ne è proprio sicura, signorina?» domandò.

    Mollie sorrise. «Sono sicura» confermò. Indicò un punto al di là della recinzione. «Il mio cottage è proprio lì. Potrei trovare la strada a occhi chiusi.» Aveva percorso il sentiero che collegava la casa padronale alla villetta del giardiniere centinaia di volte prima della partenza di Annabelle. Lei, la figlia del giardiniere, era stata la sua unica amica.

    Ma adesso Annabelle mancava da Wolfe Manor da tantissimo tempo, così come i suoi fratelli. Jacob, il maggiore, era stato il primo ad andare via, abbandonando la famiglia a soli diciotto anni. Aveva lasciato che l’antica dimora di campagna, una volta bellissima, andasse in rovina, senza curarsi di chi e di cosa si lasciava alle spalle.

    Mollie scosse la testa come per respingere quei pensieri. Le erano tornati in mente solo perché era esausta, ragionò. Eppure, quando il taxi sparì in fondo alla strada e lei si ritrovò sola sotto un cielo privo di stelle, si rese conto che non era solo la stanchezza a rievocare in lei vecchi ricordi e passati sentimenti.

    Dopo sei mesi trascorsi in Italia, sei mesi che aveva deciso di dedicare soltanto a se stessa e al proprio divertimento, tornare a casa era difficile. Tornare a casa significava immergersi di nuovo nella solitudine. Nessuno viveva a Wolfe Manor oltre a lei.

    Ma non sarebbe rimasta a lungo, si disse. Avrebbe imballato le ultime cose appartenute a suo padre e trovato un’abitazione in paese, o anche nella cittadina vicina. Una casa piccola e luminosa, dove non albergavano ricordi e rimpianti. In valigia aveva un computer portatile dove aveva archiviato tutte le sue idee per la progettazione del verde, idee piene di energia e di vita che aspettavano solo di trasformarsi in realtà. E lei avrebbe fatto in modo che accadesse molto presto.

    Sistemò il bavero dell’elegante giacca che aveva acquistato a Roma, un po’ a disagio nei jeans stretti che ancora non si era abituata a indossare. I vestiti e i progetti erano parte della sua nuova vita. Della nuova se stessa. Mollie Parker era pronta per guardare al futuro.

    Sorridendo per quella sua determinazione da poco scoperta, Mollie si avviò verso le mura che separavano Wolfe Manor dal resto del mondo. Conosceva ogni centimetro di quella recinzione e conosceva ogni acro della terra che circondava l’enorme villa, per quanto non le appartenesse. Era entrata nella casa solo poche volte – l’atmosfera lì era sempre stata cupa e triste e la stessa Annabelle aveva preferito il calore e la semplicità del suo cottage – ma il parco... Quello lo conosceva come il palmo della sua mano. Come il suo cuore.

    Camminò lungo la recinzione fino a trovare il passaggio segreto. Scivolò attraverso la fessura nel muro e si diresse verso il cottage.

    Il cottage era circondato da un ulteriore recinto piuttosto alto, dunque risultava completamente distaccato dalla residenza padronale. Il buio le impedì di verificare lo stato del piccolo giardino. Sicuramente doveva essere infestato da erbacce e piante selvatiche, ipotizzò. Era partita in inverno, quando il gelo aveva soffocato ogni cosa, ma, dal profumo che aleggiava nell’aria, capì che le rose piantate da suo padre erano tornate di nuovo alla vita.

    Un nodo le serrò la gola. Anche nell’oscurità, riusciva a vedere suo padre chino sugli amati cespugli, la paletta da giardiniere in mano, lo sguardo vuoto. Il mondo era cambiato, era andato avanti, ma Henry Parker era rimasto rinchiuso nei confini della sua mente fino alla fine, avvenuta sette mesi prima.

    Mollie scosse la testa per cancellare quei pensieri e affondò la mano nella borsa per prendere la chiave. Un nuovo inizio, rammentò a se stessa. Nuovi piani, una nuova vita.

    All’interno l’aria del cottage era pregna di umidità, il tipico odore di chiuso e di solitudine. Lei sospirò e allungò la mano verso l’interruttore.

    Non successe nulla.

    Mollie socchiuse gli occhi per adattarsi al buio. Probabilmente la lampadina si era fulminata, ipotizzò. Forse, quando era partita sei mesi prima, aveva lasciato inavvertitamente la luce accesa? No, capì subito dopo, perché nel cottage non c’era alcun segno di attività. L’orologio del forno era spento, il frigorifero non emetteva il solito ronzio. Tutto era immobile, silenzioso. Scuro.

    La fornitura di energia elettrica era stata sospesa.

    Sospirò. Aveva forse dimenticato di pagare la bolletta? Doveva essere così, per quanto, in previsione del viaggio, si era occupata di tutti i conti in anticipo. Probabilmente si era verificato un disguido, un intoppo burocratico che adesso la costringeva a brancolare nel buio, quando invece tutto quello che desiderava era bere una tazza di tè e mettersi a letto.

    Chiuse la porta, appoggiò le valigie per terra e aprì il cassetto della vecchia credenza in legno di pino per prendere una torcia. L’accese e provò un profondo sollievo quando il sottile fascio di luce tagliò la fitta oscurità.

    Ma il sollievo si trasformò presto in tristezza. Tutto era al suo posto, il tavolo nell’angolo, il malandato divano, i fornelli e la vecchia credenza. Gli stivali da lavoro di suo padre, incrostati di fango, erano ancora all’ingresso. Una scena così familiare, e calda, e giusta, perché quella era la sua casa e non poteva immaginare di stare in nessun altro posto, tuttavia...

    Tuttavia il silenzio era opprimente ed enfatizzava la sua sensazione di isolamento. Era sola, Mollie si rese conto, sola nella sconfinata proprietà dei Wolfe, la grande residenza diroccata e vuota a pochi passi da lei, sola nel cottage.

    Era sola al mondo, figlia unica di genitori entrambi passati a miglior vita.

    Sola.

    Jacob Wolfe non riusciva a dormire. Ormai era abituato all’insonnia e la preferiva ai sogni. I sogni sfuggivano al suo controllo. Arrivavano non invitati, si insinuavano nella sua coscienza assopita e l’avvelenavano con i ricordi. Almeno da sveglio conservava autorità sulla consapevolezza.

    Uscì dalla camera con l’intenzione di uscire anche di casa, desideroso di allontanarsi pur solo per pochi minuti da quell’ambiente che conservava così tanti sgradevoli ricordi e l’eco di troppi rimpianti. Alloggiare a Wolfe Manor durante i sei mesi necessari alla sua ristrutturazione era stata una delle prove più ardue cui si era sottoposto in tutta la sua vita.

    E adesso, mentre il sonno lo eludeva e il passato tornava a richiudersi su di lui, ebbe paura di fallire.

    Oltrepassò le camere dei suoi fratelli, si costrinse a scendere l’imponente scalinata di marmo che era uno dei maggiori pregi della residenza e a camminare oltre lo studio, la stanza dove – vent’anni prima – aveva preso la decisione di abbandonare la casa natale, la sua famiglia. Di abbandonare se stesso.

    Ovviamente poi aveva scoperto che non era possibile fuggire da ciò che costituiva la propria essenza e la propria natura. Al massimo era possibile esercitare un certo controllo su di sé.

    Fuori l’aria era fresca, la notte tranquilla. Respirò a fondo e infilò la mano nella tasca dei pantaloni per prendere la piccola torcia. Osservò la grande villa avvolta dalle ombre e ricordò. Ricordò, sebbene il suo unico desiderio fosse dimenticare. Qui mio fratello ha pianto fino a non avere più lacrime. Qui ho quasi preso a schiaffi mia sorella. Qui ho ucciso mio padre.

    «Smettila» Jacob disse ad alta voce. Era un monito che aveva rivolto a se stesso milioni di volte durante i vent’anni del suo esilio volontario. Da quando aveva lasciato Wolfe Manor, aveva imparato a dominare sia il suo corpo sia la sua mente. Con il corpo era stato semplice, una mera questione di forza fisica, un nonnulla rispetto all’impegno richiesto per controllare la mente. Ignorare i sussurri crudeli dei fantasmi e gli aspri rimproveri della sua coscienza era un compito difficile, che si era trasformato in una vera tortura da quando era tornato nel posto dove i vecchi demoni insorgevano per istigarlo a una nuova fuga.

    I sogni erano la parte peggiore, perché nel sonno era vulnerabile. Per anni aveva tenuto a bada il suo grande incubo, finché, a un certo punto, aveva smesso di tormentarlo. Quasi. Infatti, era ricomparso con furia vendicativa durante gli ultimi sei mesi trascorsi nella casa paterna. E la risata cattiva, l’immagine dei pugni chiusi avevano assunto di nuovo una forma quasi reale.

    Respirò a fondo e immobilizzò corpo e mente. Respinse pensieri e ricordi in un recesso del suo cuore. Accese la torcia e cominciò a camminare.

    Ormai conosceva bene i giardini che circondavano la casa, perché quelle passeggiate notturne erano diventate un’abitudine. Dubitava che sarebbe mai riuscito a percorrere il grande parco in tutta la sua estensione, ma i sentieri più vicini, per quanto adesso in pessimo stato, gli comunicavano una sensazione di pace. Lo calmavano.

    Continuò a camminare.

    L’aria fresca gli accarezzò la pelle accaldata, la mente ritrovò pace, almeno per il momento. Jacob smise di pensare. Avanzava con determinazione, quasi avesse una destinazione da raggiungere, mentre il suo era piuttosto un vagare senza meta.

    Aveva dato inizio alla ristrutturazione di Wolfe Manor con lo scopo di rivendere l’intera proprietà.

    Suo fratello Jack lo aveva accusato di voler soltanto fuggire di nuovo.

    Le parole aspre che gli aveva rivolto gli risuonarono nella testa. Non poteva biasimarlo per il suo risentimento. Jack era ancora in collera con lui per l’abbandono di vent’anni prima. Se lo era aspettato. Lo capiva. Aveva notato i sintomi del disappunto e della delusione in tutti i suoi fratelli in occasione dei loro sporadici incontri, anche se tutti alla fine lo avevano perdonato. Tutti, tranne Jack.

    Ecco una cosa che non aveva considerato: mentre si sforzava di accettare il dolore che aveva causato, non si era soffermato a riflettere su quanta pena lui stesso avrebbe provato nell’accettare le conseguenze delle proprie azioni.

    Non aveva considerato che i rimpianti e i sensi di colpa così a lungo repressi a Wolfe Manor sarebbero riemersi per consumarlo, per impedirgli di pensare ad altro, di provare altro. Aveva abbandonato i suoi fratelli e sua sorella e, per quanto sapesse di essere stato costretto a farlo, rammentare l’espressione confusa e ferita dei loro volti lo faceva ripiombare nel baratro della disperazione.

    Dove, per la precisione, si trovava anche in quel momento. Che fine aveva fatto il suo prezioso autocontrollo?

    In quel momento colse un bagliore con la coda dell’occhio. I sensi all’erta, si girò.

    Luce.

    Una luce brillava fra gli alberi, danzava nell’oscurità. Forse i ragazzi del paese avevano scavalcato di nuovo le recinzioni? Un fuoco, per quanto piccolo, poteva facilmente diventare incontrollabile.

    Riprese ad avanzare verso la staccionata che un tempo separava gli ordinati giardini del parco dalla boscaglia. La determinazione comandava i suoi passi. Adesso aveva una meta.

    Si ritrovò in un

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