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Donne di mare
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E-book355 pagine5 ore

Donne di mare

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Info su questo ebook

Un piccolo paesino della Calabria è il punto di partenza da cui traggono origine le vicende della famiglia Macrì. Storie che hanno al centro in modo particolare protagoniste femminili: donne accomunate dalla comune passione per il mare e, spesso, da uno stesso tragico destino. Quello di Concetta e Sara, madre e figlia che la vita ha voluto fare incontrare solo per pochi mesi, è di condividere e sperimentare le stesse esperienze, sofferenze e delusioni: donano il loro amore a uomini che in un primo momento sembrano ricambiare sinceramente i loro sentimenti, ma che si rivelano alla fine in tutta la loro violenza e crudeltà. È un destino ineluttabile o esiste sempre una possibilità di rinascere?

Virginia Gaudioso nasce a Catanzaro il 31 gennaio 1961, studia presso il Liceo Scientifico Siciliani dove si diploma nel 1979. Si iscrive all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, dove si laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne nel 1984. Partecipa e vince un concorso a cattedra ed entra di ruolo il primo settembre 1987. Attualmente insegna Lingua e Letteratura Inglese presso l’IIS Guarasci-Calabretta di Soverato. Nel passato ha collaborato e ha svolto attività di cineforum nella Biblioteca delle Donne di Soverato e ha pubblicato alcuni articoli sul giornale indipendente “Il Calabrone”. È coniugata e madre di due figli, vive a Soverato (CZ) dal 1988.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2022
ISBN9788830656086
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    Anteprima del libro

    Donne di mare - Virginia Gaudioso

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prologo

    La giovane donna era stesa per terra, raggomitolata su se stessa come se cercasse protezione da qualcosa. Il corpo era tutto ricoperto di lividi ed escoriazioni. La camera era sottosopra come se ci fosse stato un terremoto di alta densità.

    Indumenti e vestiti ridotti a brandelli erano sparsi per terra. Cocci di posacenere, di piatti, di bicchieri erano gettati alla rinfusa qua e là nella camera da letto avvolta nella penombra.

    Sara si alzò con fatica trascinandosi sulle gambe e si avviò zoppicando verso una specchiera che sovrastava la stanza. Si fermò e si guardò allo specchio: ciò che vide non le piacque affatto; il suo viso era devastato, gonfio e deformato, con un occhio nero e semichiuso.

    Si fece orrore e cominciò a piangere silenziosamente, temendo che i suoi lamenti fossero uditi dal suo carnefice. Il suo aguzzino dormiva beato, senza scrupoli, senza alcun problema. L’uomo che era stata costretta a sposare con il ricatto, che le usava violenza gratuita di giorno e di notte, e che aveva spento la sua voglia di vivere.

    Ma guardandosi bene in quel grande specchio, ebbe pena e paura di se stessa. Il dolore e l’angoscia si trasformarono in voglia di vivere, di reagire, di essere libera e lontana da quell’animale che le aveva sottratto gli anni migliori della sua vita, l’ingenuità e l’idealismo della sua adolescenza.

    Un pensiero le balenò nella mente: doveva fuggire prima che fosse troppo tardi, prima che il tempo avesse annientato la sua caparbietà, la sua voglia di riscatto e di libertà, il suo mai placato desiderio di essere amata e rispettata, compresa e considerata come una persona e non come un oggetto.

    Una volta deciso il suo progetto di fuga verso una nuova vita, si ritrovò a pensare al suo passato…

    Com’era felice e spensierata la sua vita prima che Marco vi subentrasse con violenza e con prepotenza. Chissà come sarebbe stata diversa la sua vita, se non l’avesse mai conosciuto!

    E le venne spontaneo pensare anche alla sua madre naturale con la quale aveva condiviso lo stesso tragico destino…

    PRIMA PARTE

    (CONCETTA)

    I Capitolo

    La mia famiglia d’origine viveva in un piccolo paese della Calabria, che si affacciava sul mar Ionio e alle cui spalle si delineavano delle splendide catene montuose. Quel paesaggio selvaggio riusciva in un colpo d’occhio a racchiudere tutte le bellezze della natura: dal mare alla montagna, dalla collina alla campagna, sembrava di essere in paradiso in quel minuscolo lembo di terra, il Creatore aveva compiuto un miracolo davvero straordinario.

    Mia madre Concetta era la quarta sorella di una famiglia di contadini: mio nonno Alfredo Macrì aveva un pezzo di terra da cui traeva gli alimenti indispensabili per la sua famiglia e poi l’orto, un pollaio, delle mucche e dei maiali. Mia nonna Maria contribuiva in modo decisivo all’andamento economico della casa, oltre alle normali mansioni di madre e casalinga a tempo pieno non trascurava il lavoro nei campi, perciò non aveva mai un attimo di pausa, era una lavoratrice infaticabile e instancabile. Conosceva il riposo solo quando doveva partorire, non c’era mai un giorno di festa per lei, né Natale, né Pasqua, tutti uguali e sempre gli stessi. Si alzava alle 5 di mattina, accudiva alla casa e le figlie e dopo si recava nei campi dove lavorava duramente fino a mezzogiorno, poi c’era una brevissima pausa per il pranzo che consisteva quasi sempre in un pezzo di pane con formaggio o lardo e continuava a lavorare fino a tarda sera, mentre i suoi congiunti, compreso il marito, andavano a coricarsi.

    Zia Mariuccia era la primogenita e la spalla destra di nonna Maria, l’aiutava non solo nelle faccende domestiche ma soprattutto nella crescita delle altre figlie: Rosalia, Carmela e Concetta.

    A quell’epoca non dare alla luce un figlio maschio e quindi non consentire il proseguimento della stirpe veniva visto come una grave mancanza da parte della donna, solo lei era responsabile in questi casi…

    Nonna Maria, però, non si era data per vinta, e nonostante il parere contrario della levatrice che l’aveva assistita al parto di Concetta e che per miracolo l’aveva strappata alla morte, decise di intraprendere una nuova gravidanza a suo completo rischio e pericolo, per dare a mio nonno il tanto sospirato figlio maschio che perpetuasse il suo nome. Il suo desiderio venne esaudito, nacque un bel maschietto di nome Domenico, nonna Maria ebbe appena il tempo di vederlo, poi morì per un’emorragia inarrestabile.

    Nonno Alfredo entrò in una profonda depressione, si sentiva responsabile per la morte di sua moglie, quindi cominciò a bere per dimenticare e per cercare di mettere a tacere la sua coscienza. Iniziò così a trascurare il lavoro nei campi, provocando alla famiglia un repentino peggioramento della situazione economica.

    Dopo la morte della madre il carico di lavoro di Mariuccia era diventato proprio insostenibile; a quell’epoca infatti lei aveva sedici anni, mentre le sue sorelle ne avevano otto, sette e sei e il fratellino Domenico, detto Mimmo, aveva pochi mesi. Mariuccia doveva andare a lavorare nei campi e soprattutto educare e crescere i suoi fratelli, mantenendo l’ordine e la pulizia in casa. Resasi conto che il padre non era più in grado di dare il suo contributo effettivo alla famiglia e trovandosi da sola a gestire una situazione più grande di lei, chiese aiuto a un lontano cugino di suo padre, che viveva da solo in fondo al paese. Cecchino, che non aveva altri impegni, per stima e rispetto verso quella sua giovanissima parente aveva accettato immediatamente la proposta, con la speranza, forse, di poter cambiare la sua vita piatta e monotona. Aveva da poco passato la trentina, ma un po’ per il suo carattere chiuso e solitario, un po’ perché era un uomo senza troppe possibilità economiche, non aveva mai avuto una vera fidanzata; tranne una cocente delusione che aveva provato molti anni prima quando la fanciulla da lui tanto amata lo aveva rifiutato per le sue scarse condizioni economiche e si era sposata con un bellimbusto del paese, ma pieno di soldi e proprietà. Da allora Cecchino si era chiuso in se stesso ed era diventato un cupo e triste misogino, senza una qualsiasi relazione sociale e chiuso nella solitudine più disperata. Quando ricevette quella chiamata si era subito messo a disposizione, facendosi ben volere dalla famiglia Macrì e sempre mantenendo un atteggiamento di rispetto e di considerazione per la giovane cugina. Mariuccia lo aveva colpito subito per il suo carattere forte e deciso e per la profonda tenerezza che nutriva per i suoi fratelli minori. Le aveva manifestato, fin dall’inizio, i sentimenti profondi che nutriva per lei, perché aveva capito di non esserle del tutto indifferente, ma non c’era stato modo di farle cambiare idea. Mariuccia lo aveva guardato con i suoi profondi occhi neri e gli aveva detto con tono deciso e perentorio: «Cecchino, sai bene qual è il mio compito principale. Ora non ho tempo per pensare a me stessa, devo badare ai miei fratelli e cercare di dar loro un futuro sereno, l’ho giurato a mia madre prima che spirasse, non posso avere una famiglia e avere dei figli ora, devo occuparmi prima di tutto delle mie sorelle». Cecchino con lo sguardo basso e implorante aveva aggiunto: «Cara Mariuccia, sei una donna altruista e buona e capisco le tue preoccupazioni, ma ti prego, dammi almeno una speranza, dimmi che nutri un po’ d’amore per questo pover’uomo bistrattato e umiliato da tutti. Se tu mi ami almeno un poco, io ti aspetterò anche una vita intera, sarò sempre al tuo fianco, pronto a sostenerti e a proteggerti».

    Mariuccia si commosse a quelle parole così intense e accorate, gli prese una mano e così espresse anche lei, per la prima volta, i sentimenti che nutriva per lui: «Cecchino, anch’io ti amo, ma ora non posso sposarti. Non me la sento di prometterti qualcosa che non so quando e come potrò mantenere, tutto dipenderà dal destino delle mie sorelle e di Domenico».

    Cecchino prese una mano tra le sue e gliela cominciò a baciare, poi s’inginocchiò davanti a lei: «Cara, adorata Mariuccia, con queste parole mi hai reso l’uomo più felice della terra. Non importa quanto ti dovrò aspettare, ti attenderò anche una vita intera, l’importante è che un giorno, tu sarai mia per sempre».

    E con quelle parole piene d’amore eterno e duraturo, fu suggellato questo giuramento tra i due, di cui nessuno avrebbe mai conosciuto parola.

    Qualche mese dopo questo episodio nonno Alfredo morì di cirrosi, il vino gli aveva completamente distrutto il fegato. Mariuccia continuò quindi il suo impegnativo compito di mamma adottiva, serbando nello stesso tempo questo amore per Cecchino che la sosteneva e le dava forza per affrontare i problemi sempre più seri e imprevedibili che avrebbero dovuto superare insieme.

    II Capitolo

    Era ormai giunto il fatidico ’68, l’anno che avrebbe portato grandi cambiamenti nella vita italiana ed europea, ma in quel piccolo paese del sud tutto restava uguale e immoto come sempre.

    In quell’anno, le tre sorelle Macrì Rosalia, Carmela e Concetta erano diventate tre belle fanciulle, alte, con una corporatura soda e procace, così come la maggior parte delle donne mediterranee, brune, con sopracciglia folte e occhi scuri, profondi e intensi. Erano ormai nel fiore degli anni e quindi in età da marito: avevano infatti per ordine venti, diciannove e diciotto anni.

    Non c’era da meravigliarsi se Mariuccia aspettasse con trepidazione le tanto sospirate richieste di matrimonio da parte dei compaesani. In quegli anni se una ragazza superava i vent’anni, era ormai destinata a essere considerata vecchia e zitella per cui i familiari si affrettavano a combinare dei matrimoni per evitare il nubilato delle loro congiunte, guardato anch’esso con molto sospetto e sarcasmo.

    Quando le tre ragazze uscivano per il paese (solo per recarsi in chiesa la domenica mattina, in quanto all’epoca era disdicevole per una donna uscire da sola per il paese, ne andava dell’onore della famiglia…), accompagnate dallo zio Cecchino, dalla sorella maggiore e dal fratellino, il loro passaggio veniva accompagnato da sguardi e da occhiate intense e significative, da gomitate, fischi di approvazione e risolini.

    La mancanza di una figura di rilievo maschile nell’ambito familiare, un padre o un fratello adulto, veniva considerato quasi come un elemento di debolezza per cui le donne venivano viste come facili prede, inoltre, la mancanza di una dote rendeva quasi impossibile un loro matrimonio; per questo i timori e le preoccupazioni di Mariuccia erano più che fondati. Altresì ella temeva che la mancanza di un uomo effettivo in casa non garantisse la necessaria sicurezza per portare a termine un eventuale progetto di matrimonio, ma pensava che gli uomini potessero approfittare dell’ingenuità delle sorelle e comprometterne, in qualche modo, l’onorabilità.

    Per questo lei e Cecchino osservavano molto attentamente gli sguardi e le occhiate furtive che molti uomini lanciavano su di loro. Il gruppo camminava a testa alta, salutando i paesani solo con un gesto della mano e accompagnandolo solo di rado con un saluto verbale. Camminavano impettite e dignitose, quasi da sembrare superbe, in realtà il loro era un semplice atteggiamento di autodifesa.

    Mia madre Concetta era la più romantica e sognatrice delle sorelle, viveva nel suo mondo fatto di fantasia e di illusioni, credeva nell’amore vero, unico e solo e non condivideva affatto la mentalità ristretta del posto in cui viveva. Durante quelle fugaci uscite domenicali aveva l’opportunità di vedere, davanti al bar, un giovanotto bruno, alto, con un sorriso e una dentatura perfetta, di nome Saro (che lei conosceva da diversi anni), che ogni qualvolta le passava davanti la fissava in modo sfrontato e provocatorio, e togliendosi il cappello con un fare cerimonioso l’apostrofava così:

    «La riverisco signorina Concetta, i miei ossequi. Oggi è più bella del solito. La natura, di fronte alla sua bellezza prorompente, sfigura».

    «Buongiorno a voi, compare Saro», bisbigliava lei sottovoce, rossa dalla vergogna e abbassando lo sguardo.

    Superato il gruppo di uomini che quotidianamente stazionava davanti al bar, Mariuccia si avvicinò a Concetta, l’allontanò dalle altre sorelle, la prese sottobraccio e le bisbigliò all’orecchio per non farsi sentire dalle altre: «Non dare retta a quel vile ciarlatano, è uno spregevole bugiardo; non credere alle sue lusinghe. È stato promesso fin da quando era ragazzino alla figlia di Pasqualino, il proprietario terriero dell’«Aranceto", il più grande e ricco appezzamento di terra della zona circostante. Non ti fare incantare da quegli occhi da ammaliatore, già una ragazza è stata disonorata per colpa sua ed è stata costretta a fuggire negli Stati Uniti d’America per cercarsi un marito. In paese tutti la consideravano una puttana, così ha rovinato la reputazione dell’intera famiglia. Adesso la madre e le sorelle di questa sgualdrina camminano a testa bassa, come se avessero commesso chissà quale peccato, e non si danno pace per come sia potuto accadere. Hai capito Concetta? Prima o poi, arriverà l’uomo d’onore, serio e timorato di Dio che chiederà regolarmente la tua mano. È solo questione di tempo, ormai…»

    «Sì Mariuccia, hai ragione, ma non ti devi preoccupare, quell’uomo non mi interessa affatto».

    Ma lo disse più per evitare delle preoccupazioni alla sorella maggiore che per altro.

    Mariuccia se ne accorse, ma si augurò in cuor suo di essersi sbagliata.

    Concetta pensava a Saro giorno e notte, se lo sognava più bello e sfacciato che mai e solo a pronunciare il suo nome le labbra le tremavano e il suo viso diventava di fuoco pensando ai loro incontri clandestini… In realtà non aveva mai dimenticato il giuramento che lei e Saro si erano scambiati in riva al mare quando erano degli adolescenti sognatori e pieni di aspettative per il futuro…

    III Capitolo

    Si conoscevano fin da quando lei era una bambina in quanto Saro andava periodicamente a comprare dalla sua famiglia il latte, le uova fresche e le verdure del loro orto, quindi si era creato tra di loro un rapporto molto stretto benchè ci fossero sei anni di differenza. Ma un paio di anni prima, per caso, si erano incontrati in spiaggia poiché Concetta, all’insaputa dei familiari impegnati come ogni giorno a lavorare nei campi, aveva preso un sentiero che conduceva verso il mare. Aveva indossato un costume intero nero di Mariuccia con l’intento di andarsi a fare un bagno. Era piena estate e faceva molto caldo. A quell’epoca Concetta aveva sedici anni, era una splendida giovane con l’aspetto di una donna. Quel giorno aveva disobbedito a Mariuccia e aveva fatto una cosa abbastanza pericolosa, in quanto sua sorella continuamente le ripeteva di non addentrarsi da sola in strade deserte dove era possibile incontrare uomini che lavoravano o cacciavano. Il suo detto preferito era: «Attenzione, per evitare guai gli uomini bisogna tenerli a debita distanza».

    Mariuccia aveva cominciato a fargli il lavaggio del cervello dopo che lei e le altre sorelle avevano avuto il primo ciclo mestruale e non c’era giorno che non gli ripetesse le stesse, puntuali raccomandazioni. Sentiva il peso e la grande responsabilità di salvaguardare l’illibatezza delle sorelle, così come aveva promesso a sua madre in punto di morte.

    Concetta era arrivata sulla spiaggia abbastanza presto perché voleva semplicemente bagnarsi e rinfrescarsi un po’. Lei purtroppo non sapeva nuotare e di questo se ne rammaricava enormemente, aveva cercato inutilmente di convincere Cecchino ad insegnarglielo, ma tutto era stato vano poiché gli era stato risposto che ad una donna non serviva nuotare, ma occuparsi della casa, cucinare e lavorare nei campi. Concetta era una sognatrice ed amante del mare, per questa ragione quel rifiuto ingiusto e immotivato le aveva fatto scattare la voglia di quella fuga solitaria. Cominciò a camminare sulla riva, osservando le decine di gabbiani che sorvolavano la sua testa, respirò profondamente, si tolse il vestito di cotone ed entrò gradualmente in acqua restando a riva. Era una piacevole sensazione stare a mollo nell’acqua fresca, ma quanto avrebbe desiderato saper nuotare…

    Mentre stava immersa nei suoi pensieri gettò un urlo vedendo affiorare davanti a sé un uomo con pinne e maschera. Il giovane, divertito da quella reazione esagerata, si tolse la maschera, fischiò in modo prolungato, la squadrò dall’alto in basso ed esclamò: «Perbacco, non sei Concetta Macrì? Certo che ne è passato di tempo… È da un bel po’ di tempo che non ci si vede, vero? Cosa ci fai qui tutta sola?»

    Concetta si sentì imbarazzata e fuori posto, arrossì violentemente e si rese conto che le preoccupazioni di Mariuccia non erano del tutto infondate. Si alzò prontamente di scatto, afferrò un telo e cercò di coprirsi per quanto poteva.

    «Certo che sei diventata un bel donnino! Ma non poteva essere diversamente, anche da bambina non eri niente male! Ma non aver paura, non ti mangio mica e poi noi ci conosciamo bene! Vero? C’è stato sempre un certo feeling tra di noi e tu lo sai molto bene…»

    Concetta diventò rossa dalla vergogna, era uscita solo per prendere un po’ di sole e farsi un bagno, non si aspettava certo di incontrare Saro e ora si sentiva fortemente a disagio, voleva solo scomparire dalla faccia della terra e fuggire a gambe levate. Poi disse di getto: «È stato bello rivederti, ma ora devo rientrare, si è fatto tardi».

    «Non se ne parla proprio», disse squadrandola dall’alto in basso come se fosse un capo di bestiame da vendere o da acquistare. Ora è giusto che mi dedichi un po’ del tuo tempo, non credi?»

    La guardava con desiderio e passione in quanto era diventata una donna a sua insaputa. «Come mai sei scomparsa dalla circolazione? Come mai non vieni più a vendermi i prodotti del tuo orto? Hai paura di me o forse tua sorella non gradisce la mia presenza?»

    «Per nessun motivo in particolare. Dopo la morte dei miei genitori, mia sorella Mariuccia si prende cura di tutti noi e preferisce che io resti a casa a fare i lavori domestici, mentre gli altri lavorano in campagna».

    «Come mai allora oggi sei qui tutta sola? Ti ha dato il permesso tua sorella?»

    «Certamente, avevo solo voglia di bagnarmi un po’ con questo caldo e ora infatti me ne vado, perché si è fatto tardi e si staranno preoccupando per me».

    «Secondo me tua sorella non sa che sei qui, o sbaglio? Non preoccuparti, non le dirò niente, siamo complici, capito?» e fece finta di giurare. «Mi piace il fatto che sei uscita di casa di nascosto e hai incontrato me. Non è segno del destino? Non so quante volte sono venuto a comprare qualcosa per vederti e c’erano sempre tua sorella e Cecchino che mi controllavano. Hanno forse paura di me? Forse dovrebbero, comunque, che ne dici di vederci di tanto in tanto qui sulla spiaggia? Se vuoi posso insegnarti a nuotare, se ne hai voglia».

    «Ora devo andare proprio, sono in ritardo», aggiunse Concetta con un filo di voce rotta dall’emozione e presa dal panico.

    «Ci vediamo domani qui, angelo mio. Ti aspetterò per tutto il tempo che vorrai e t’insegnerò a nuotare», disse in modo autorevole che non ammetteva repliche, quasi a sottolineare che se non fosse andata lei, ci avrebbe pensato lui.

    Concetta si era defilata velocemente temendo il peggio e sentendosi estremamente vulnerabile. Aveva ripreso la strada di ritorno in gran fretta, quasi correndo, per il timore che lui potesse seguirla. Era riuscita a rientrare come una ladra, senza farsi vedere da nessuno. Si era cambiata in fretta e furia ed aveva indossato gli abiti usuali, mentre aveva sciacquato e messo ad asciugare in cantina il costume di Mariuccia. Non si era mai sentita così agitata e con il batticuore a ritmi così accelerati. Si dava della sciocca per quelle sue strane sensazioni che le facevano pensare che forse le era accaduto qualcosa di importante. Era possibile che rivedere Saro dopo tanto tempo le aveva fatto quell’effetto? O ne aveva avuto paura? Restare sola con lui l’aveva messa fortemente a disagio, ora capiva le preoccupazioni di Mariuccia sugli uomini ed era forse questo il motivo per cui l’aveva relegata in casa a fare i servizi domestici piuttosto che lavorare in campagna con loro e vendere i loro prodotti ai numerosi clienti. Sicuramente Mariuccia non si fidava di Saro e forse aveva ragione… D’altra parte era rimasta colpita positivamente perché lui si era offerto di insegnarle a nuotare e non c’era cosa che lei desiderasse di più nella vita.

    Quel giorno si era impegnata più del solito nei lavori domestici per evitare accuratamente lo sguardo indagatore di Mariuccia, che riusciva a captare come un radar ogni singolo mutamento del suo volto. La sera si era andata a coricare presto con il fratellino per evitare le possibili domande delle sorelle e dopo le preghiere sperava di prendere sonno, ma inutilmente. Rivedeva davanti a sé il viso di Saro ed il suo sguardo intenso e profondo su di sé, il suo profilo deciso ed i capelli scuri. Era davvero bello e affascinante, ma non era pane per i suoi denti e lo sapeva bene. Rimase con lo sguardo fisso sulla parete per un tempo interminabile e contò all’infinito…

    Anche nel centro del paese c’era qualcun altro che soffriva d’insonnia quella notte. L’incontro di quella mattina a mare lo aveva lasciato senza parole, si girava e rigirava nel letto alla ricerca di una posizione adeguata che gli consentisse di prendere sonno, ma tutto era stato inutile. Pensava e ripensava all’incontro con Concetta, fissando bene nella memoria quei momenti indimenticabili, ed il volto di lei gli impediva di dormire. Era sempre stato attaccato a lei fin da quando era bambina, non sopportava che nessuno le si avvicinasse o le parlasse. Considerava Concetta di sua proprietà esclusiva e si era ripromesso che quando sarebbe cresciuta sarebbe stata sua. Per lui era diventata una sfida, tutti i divieti imposti da Mariuccia e Cecchino per impedirgli di vedere Concetta avevano sortito l’effetto contrario su di lui, avrebbe avuto ciò che desiderava facendosene un baffo di tutto il resto: degli impedimenti della sorella e dei progetti matrimoniali di sua madre.

    Così, preso da un desiderio irrefrenabile, si alzò, si vestì ed uscì in piena notte per arrivare a casa della sua amata. Voleva rivederla a tutti i costi e convincerla a incontrarsi l’indomani al mare, nel posto dove si erano ritrovati. Camminava con passo sicuro e svelto, tanta era la voglia di stare con lei. Lungo la strada non incontrò anima viva e si ritrovò ben presto in aperta campagna in compagnia di grilli e cicale e di una splendida luna piena che gli illuminava la strada. Raggiunse la casa presto e con facilità, gettò ai cani del cibo prelibato inzuppato di un forte sonnifero per non farli abbaiare e poi si avvicinò furtivamente alle finestre aperte per il caldo di luglio per capire dove stesse dormendo Concetta. La intravide sdraiata di fianco su un letto di una stanzetta a piano terra, vicino a lei dormiva un bambino. Improvvisamente lei si girò e vide Saro appoggiato alla finestra che la fissava. Si sentì imbarazzata e paralizzata, incapace di proferir parola. Ma Saro non perse tempo, scavalcò facilmente la finestra ed entrò, si avvicinò silenziosamente al letto e disse: «Vedo che anche tu, come me, non riesci a dormire, per questo sono venuto a trovarti, angelo mio. Domani sarò in spiaggia per le 9, vieni e ti insegnerò a nuotare». Poi la fece alzare delicatamente, l’abbracciò e cominciò a baciarla sul viso, sul collo e infine sulla bocca. Concetta era rimasta interdetta, frastornata, non si aspettava un epilogo simile e temeva il peggio. Ma non poteva fiatare, altrimenti Mimmo si sarebbe potuto svegliare. Saro la toccò e la palpeggiò in modo spasmodico desiderando possedere quel corpo sodo, giovane e procace. Concetta lo supplicò di smettere con le lacrime agli occhi, lui si rese conto che forse aveva esagerato con le sue manifestazioni al loro primo incontro, così le disse a bassa voce: «A domani, Concetta. Se non ci sarai verrò a prenderti, ci puoi contare. Buonanotte, amore mio», aggiunse baciandola di nuovo con passione. Concetta era rimasta immobile, madida di sudore per il caldo ma soprattutto per l’emozione provocata dalle esternazioni di Saro. Si alzò a tentoni per asciugarsi

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