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L’allenatore… non solo… nel pallone: Come trarre il meglio dai ragazzi allenando sia l’uomo che l’atleta
L’allenatore… non solo… nel pallone: Come trarre il meglio dai ragazzi allenando sia l’uomo che l’atleta
L’allenatore… non solo… nel pallone: Come trarre il meglio dai ragazzi allenando sia l’uomo che l’atleta
E-book185 pagine2 ore

L’allenatore… non solo… nel pallone: Come trarre il meglio dai ragazzi allenando sia l’uomo che l’atleta

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Info su questo ebook

Questo libro vuole essere il vostro coach personale. Fornisce agli allenatori strumenti per preparare meglio, alla prestazione sportiva, se stessi e la squadra partendo dallo spogliatoio. Offre un utile supporto per la corretta gestione di ansia da prestazione e stress, per poter esprimere al massimo delle proprie potenzialità la comunicazione e la motivazione.
"Se tu sei un allenatore, ogni giorno hai bisogno di strumenti utili ed efficaci per condurre un eccellente allenamento mentale oltre che fisico, tecnico e tattico. Svolgi gli esercizi, ascolta i consigli e sono certo che arriveranno i risultati."
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita2 nov 2022
ISBN9791254890752
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    Anteprima del libro

    L’allenatore… non solo… nel pallone - Fabio Fochesato

    PREFAZIONE di Gianni Sandrè

    Quando Foche mi ha chiesto di fare la prefazione del suo libro, mi sono emozionato. Lui ha studiato per diventare mental coach e ha chiesto a me di introdurre il suo libro su un argomento tanto importante e delicato. Sono stato il suo primo allenatore e, anche se erano anni diversi, in fondo, le funzioni del mental coach avevano già una loro importanza, anche se, formalmente, non gli si dava peso. Quindi: sono stato il suo primo vero allenatore. Ricordo benissimo quegli anni. Eravamo all’inizio degli anni ‘80 e Fabio faceva parte della mia squadra under 19 a Cesano Maderno. Io, come allenatore, ero uno come tanti, ma avevo il pregio di entrare nella testa dei ragazzi. Trasmettevo loro la mia passione e, dopo una partita vinta, scaricavo la tensione piangendo. Le mie teste di cazzo (li chiamavo così, con poca finezza, me ne rendo conto, ma ci piaceva giocare e il gioco non deve mai mancare in un rapporto sportivo) mi gridavano: «Enzo, Enzo, Enzo». Intendevano Enzo Bearzot. Io piangevo ancora di più. Innocentemente e, forse anche un po’ pazzamente, pensavo che sarei diventato come il Signor Enzo, allenatore della Nazionale, e, in un certo senso, anche se avrei dovuto avere un’età diversa dalle giovani promesse delle quali parla Fabio nel suo libro, avevo un sogno impossibile. Lavoravo soprattutto sulla testa dei ragazzi, dicevo loro: «Dai, facciamo fatica un’ora e poi giochiamo. Se correte in allenamento e lo fate anche domenica, vinciamo». Per questo genere di cose, loro impazzivano di gioia: ricordo che facevamo il fuorigioco e il pressing alto e si sentivano grandissimi. Eravamo avanti. Ma la soddisfazione più grande, son sincero quando lo dico, è stata vedere che sono diventati tutti uomini seri e per bene. Avevano capito che il calcio era un divertimento e che la vita era un’altra cosa. Ogni tanto ci vediamo anche adesso e, quando li vedo, dico sempre loro che sono delle teste di cazzo, questo non è cambiato. Loro lo accettano perché sanno che io lo sono più di loro, quindi siamo sempre pari.

    Ricordo che parlavo spesso della vita, del lavoro e delle mie esperienze avute con le ragazze quando avevo più o meno la loro età, per entrare in empatia e cercare di far capire loro che le persone, in quanto tali, sono sullo stesso piano anche se occupano ruoli diversi, che vanno assolutamente rispettati. Erano molto interessati alle cose fuori dal calcio, avevano fame di vita, come tutti i ragazzi. Ma quando facevamo allenamenti mirati sul fuorigioco e sulle posizioni in campo erano attenti ed entusiasti come dei professionisti. A quei tempi il fuorigioco lo praticavano in Olanda. Noi, pur copiando, eravamo tra i primi a farlo, se non i primi (qui è il mio ego da giovane promessa che parla, forse, ma concedetemelo). Era un modulo nuovo. Un portiere, due marcatori, un libero, due sulle fasce, due mediani, un regista e due punte. Un 3/5/2 odierno. Ma, in più, facevamo il fuorigioco fino alla metà campo. Una pazzia, ma ci riusciva bene e gli avversari ci capivano poco. Quei ragazzi ci mettevano la testa in un modo incredibile. La cosa mi lasciava esterrefatto in un modo entusiastico perché fuori dal campo, invece, davano l’impressione di non aver molta passione e sembravano disinteressati. Mi sono dato due spiegazioni: o facevo loro tenerezza per la mia passione per il calcio e per farmi contento s’impegnavano e giocavano come volevo io, oppure, semplicemente, erano ragazzi che interpretavano il ruolo degli svogliati ma che, poi, avevano tanto materiale da dare. Mi davano del tu ma avevano e hanno tuttora rispetto per me. A loro bastava vedermi felice a fine partita e per avere questo dovevano vincere. Per toccare il contenuto del libro di Fabio, posso dire che per intraprendere qualsiasi attività sportiva devi amare la disciplina che pratichi e quando ti alleni devi farlo con la testa esclusivamente dentro all’allenamento. Ogni persona che entra in contatto con noi su un campo di calcio non è solo un centrocampista, un aiuto allenatore, un portiere, un magazziniere: è una persona con emozioni, e la maggior parte delle volte queste sono anche molto forti. Se un ragazzo è dotato di qualità tecniche eccelse ma non mette concentrazione negli allenamenti o non trasforma le emozioni in forza, nella gara diventa peggio di uno più scarso. Passione, impegno e sognare sempre. Per concludere, prenderò in prestito un pezzo di poesia che i ragazzi della mia Under19, per mano di un compagno di Fabio, Paolo Vilbi, mi regalarono per i miei 50 anni: Amicizia e piedi buoni fanno squadre di campioni. A noi è bastata l’amicizia. E l’amicizia non è mai un piano B, è ciò che resta da allenamenti e allenamenti a provare il fuorigioco e a sentirsi grandi. E vale molto.

    PREFAZIONE DI MARCO BOCCHI

    ConVincere

    Tre ragazzi stavano giocando in un campo di calcio con lo stesso risultato, GIOCARE, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro obiettivo, le risposte furono diverse. «Tiro la palla» rispose il primo; «Cerco di fare felice mio padre» rispose il secondo; «Cerco di seguire il mio sogno» disse il terzo. Dall’ascolto di queste frasi mi piace pensare di poter far parte della crescita formativa/educativa dei tre piccoli calciatori.

    Sono Marco Bocchi, educatore/formatore tecnico. Ricopro questo ruolo da oltre vent’anni, dedicandomi esclusivamente al mondo della categoria Pulcini/Esordienti. Ho conseguito l’abilitazione nel 1999 con un Master nel Novembre del 2013 a Coverciano, potendo apprendere da docenti come Renzo Ulivieri e Giancarlo Camolese.

    Ho conosciuto Fabio Fochesato al termine della stagione 2016/17, ma è all’inizio della stagione 2018/2019 che decidiamo, di comune accordo, di lavorare insieme, io occupandomi dell’aspetto tecnico/formativo e lui di quello motivazionale.

    In questi ultimi anni ho potuto osservare una continua evoluzione dell’AdB, che mi ha condotto a cercare una collaborazione utile ai fini di una crescita non solo tecnica ma formativa dei giovani calciatori. Questo rappresenta un progetto innovativo per il settore, in quanto le società dilettantistiche non sono solite selezionare i piccoli giocatori e, inoltre, investono poco sull’educazione sportiva.

    L’età che caratterizza la categoria U11/U10 rappresenta un momento della crescita estremamente delicato e allo stesso tempo funzionale all’apprendimento. Crediamo sia importante proporre esercizi e attività sempre nuove, stimolanti e coinvolgenti affinché possano accrescere le loro competenze tecniche, collaborative e competitive. La nostra sinergia ha prodotto una stagione ConVincente. Abbiamo potuto assaporare molteplici soddisfazioni, riscontrando statisticamente che l’80% dei bambini che hanno percorso insieme a noi quest’avventura ora sono professionisti.

    Lavorando con Fabio ho compreso quanto la motivazione sia fondamentale ai fini della crescita di un buon giocatore, per questo ritengo che debba essere utilizzata nel percorso formativo.

    Essa viene definita, generalmente, come quella dimensione psicologica che ci permette di superare delusioni e difficoltà e generare entusiasmo.

    Per concludere, ritengo importante l’aspetto formativo/educativo tanto quanto quello motivazionale.

    Marco

    Introduzione

    Campioni si nasce o si diventa? Il mondo dello sport professionale è composto solo da atleti predestinati e nati per avere successo, oppure solo da quelli che hanno lavorato duramente allenandosi fino allo sfinimento? Ti sembra una domanda sciocca, vero? In effetti lo è. Ed è chiaro a tutti che la risposta è: nessuna delle due. Che la verità sta nel mezzo. È chiaro a tutti. Soprattutto a te, che non a caso hai scelto di prendere tra le mani il mio libro. Perché probabilmente sai bene che se tutti gli allenatori del mondo sedessero intorno a un tavolino a parlarne, a nessuno di loro verrebbe in mente di negarlo. Si troverebbero tutti concordi sul fatto che nello sport, soprattutto a livello agonistico e professionale, la riuscita della performance è determinata da un insieme di fattori diversi, e concorderebbero che, tra questi fattori, uno dei più importanti è la gestione delle emozioni; sarebbe di immediata comprensione per tutti loro che gli atleti più predisposti ad assorbire emotivamente quel che accade e le parole che vengono loro rivolte possono essere soggetti a calo di rendimento quando esposti a un evento spiacevole, ma non per questo sono meno validi di altri. Sì, sulla carta è una palese verità. Tutti lo capiscono. Ebbene, questo è però uno dei classici casi in cui la teoria viene completamente spazzata via dalla pratica.

    Io sono Fabio Fochesato, sono un mental coach sportivo e con questo libro voglio rivolgermi a voi allenatori; nelle prossime pagine scoprirai che l’obiettivo del mio libro è fornire a te e ai ragazzi gli strumenti per affrontare un diverso tipo di allenamento: quello mentale. Insegno a conoscere se stessi e a gestire le emozioni, non perché esse siano una colpa, non perché siano sbagliate, ma perché esse hanno il potere di modificare, distorcere e disorientare la realtà; noi abbiamo il potere di indirizzare tutto questo. Il mio obiettivo è assicurarmi che chi ha nelle mani i nostri ragazzi sappia come gestire le pressioni e le criticità prima che diventino insostenibili; e soprattutto, sincerarmi che i giovani atleti imparino i segreti per condurre una vita serena anche fuori dal campo, approfittando di quella stupenda metafora della vita che lo sport è a tutti gli effetti.

    Perché prima di essere coach sono stato anch’io un giovane calciatore, sono stato un allenatore, un dirigente e sono anche un papà. Di panchine e di spalti ne ho visti diversi; ho assistito da ogni punto di vista a innumerevoli partite. E posso assicurarti, ma lo saprai già bene, che le stesse persone che attorno a quel tavolo si mostravano ben concordi sull’importanza della componente mentale ed emotiva, quando scendono in campo si trasformano completamente, dimenticando i buoni propositi. Se sei giunto a questo libro, è perché sai bene che è così: quante volte, durante le partite, hai assistito a scoppi di rabbia quasi disumani, urla, ingiurie, offese gratuite, solo per la troppa foga del momento? Quante volte, in preda alla frenesia della competizione, del desiderio di vincere a ogni costo, sembra che si torni davvero al livello triviale di chi crede che nello sport valga solo la tecnica o l’innato talento? Ho visto allenatori sbraitare e genitori bestemmiare, ho sentito di allenatori disposti a sottoporre i propri ragazzi a tecniche barbare prima di affrontare una sfida.

    Cosa succede in questi casi? Perché si dimentica così facilmente l’importanza delle emozioni di chi sta in campo? Perché si cancellano in un attimo tutti i buoni propositi?

    La verità è che, almeno in Italia, molti parlano di mental coaching, ma nessuno è pronto davvero a esercitarlo. E quindi sono davvero pochi gli allenatori disposti a lavorare e a impegnarsi seriamente con uno di noi. Se ne parla molto a proposito dei nomi più celebri, ma quando si tratta di investire sui propri ragazzi quasi nessuno crede che possa davvero fare la differenza.

    Se si trovano nella condizione di dover fare economia, quella per il mental coach è la prima spesa che le società dei settori giovanili sacrificano o non prendono nemmeno in considerazione. Senza contare che allenatori potrebbero non vedere di buon occhio la presenza di un mental coach, in quanto potrebbero non essere disposti a collaborare per paura di perdere la scena. Insomma, bisogna essere mental coach ben visti. L’allenatore, oggi, è vero, non si mette più sullo scranno; si pone al centro. Ma quanti di loro riescono davvero a mantenere la calma e la lucidità quando qualcosa va storto? Non molti. E credi che questo non faccia alcun danno per il solo fatto che la smodata reazione arriva dal centro e non dall’alto?

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