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Tennis Aut
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E-book211 pagine3 ore

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Info su questo ebook

La vita è come il tennis: ti arrivano addosso delle bordate paurose e in qualche modo, di dritto o di rovescio, bisogna rimandarle dall’altra parte della rete. Un giorno, però, ti arriva incontro una pallina diversa dalle altre, che gira fortissimo, è imprendibile ed è blu: il colore dell’autismo. 
In questo memoir, come un esploratore da Marte, Andrea “Bubu” Melis racconta cosa ha visto sulla terra rossa del campo da tennis. Al di qua della rete c’è il bambino del Tennis Club Cagliari, nato con la racchetta in mano, pieno di un amore ossessivo per il gioco, che diventa giocatore e poi maestro, per ritrovare se stesso nei bambini che allena. Al di là della rete, Andrea è papà di Federico, un bambino autistico di 10 anni che, proprio come un tennista, ripete sempre gli stessi gesti, segue una precisissima routine, vive nel silenzio e poi, all’improvviso, grida, si arrabbia, si chiude in se stesso e diventa una pallina imprevedibile. 
Tra scambi e rimbalzi, stereotipie e meditazione, da queste pagine emerge una storia intensa, personale e perfino ironica, fatta di ricordi sportivi, aneddoti imbarazzanti e consigli per i “genitori autistici”, che spesso, proprio come sul campo da tennis, si ritrovano da soli a giocare la loro partita, una pallina alla volta.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2021
ISBN9791220121682
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    Anteprima del libro

    Tennis Aut - Andrea “Bubu” Melis

    cover01.jpg

    Andrea Bubu Melis

    Tennis Aut

    Quattro scambi tra tennis e autismo

    © 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-1690-9

    I edizione dicembre 2021

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Tennis Aut

    Quattro scambi tra tennis e autismo

    A Federico, che mi ha reso una persona migliore

    Prefazione

    di Tathiana Garbin

    Ho conosciuto Bubu nel 2004, una persona meravigliosa e preparata, quando fu aperto il Centro Tecnico Federale all’interno del Centro di preparazione olimpica di Tirrenia, a quei tempi diretto da Renzo Furlan insieme a Pino Carnovale e Giancarlo Palumbo. Mi allenavo proprio con la Federazione e in quel periodo c’erano in pianta stabile diversi Junior convocati, tutti nati tra il 1989/1990, tutti molto forti. Mi allenavo con loro e con tutti gli altri giocatori e giocatrici che passavano per Tirrenia. Al centro si alternavano i vari tecnici dei ragazzi, Bubu era uno di questi: seguiva Scheggia, Daniele Piludu, sembravano padre e figlio. Abbiamo condiviso tanti allenamenti insieme, la nostra collaborazione con il benestare della Federazione è iniziata proprio così. È stato l’anno che vinsi a Parigi con la n° 1 del mondo, Justine Henin.

    Ho subito capito che Bubu avrebbe potuto arricchirmi come persona e come allenatore. Quando si girò verso di me, appena abbiamo incrociato gli sguardi per la prima volta, il suo sorriso e i suoi occhi mi hanno trasmesso quella chimica celestiale che ci deve essere tra giocatrice e allenatore, ho capito subito che lui era di animo gentile, con una forte passione per la professione. Ricordo che non guardava mai l’orologio, usciva dal campo solo dopo che era arrivato a compimento del lavoro programmato o perché soddisfatto per quello che avevo dato sul campo, con una piena consapevolezza. Una professionalità con dietro una grande competenza, che trasmetteva fortissima passione, un’ossessione per il campo indescrivibile, che solo in pochi allenatori ho visto. Una persona vera, ricca di valori. Ad averne di persone come Bubu. I ragazzi li trattava come figli.

    Oggi come tennis italiano siamo una superpotenza, abbiamo tanti giocatori e giocatrici professionisti, nella Top 10, che vincono tornei ATP, degli ottimi giovani che daranno continuità ai risultati, alcuni di questi sono già dei top player. Un successo che viene da lontano, iniziato con la generazione di noi ragazze e del dream team che aveva vinto ben 4 Fed Cup. Per me è un onore esserne capitano. Oggi i ragazzi devono in parte ringraziare le donne, per la loro forte spinta motivazionale.

    Stiamo vivendo un grande momento, un risultato dato da una somma di componenti: il talento degli atleti, la crescita esponenziale degli allenatori italiani, invidiati in tutto il mondo, la base con degli ottimi maestri e scuole tennis, il sistema della Federazione che supporta il tutto con un ottimo settore tecnico e il supporto dell’Istituto di Formazione Roberto Lombardi, così come i tanti tornei organizzati a tutti i livelli, ITF, ATP e WTA giocati in Italia, mai quanto prima, con il grande supporto del canale televisivo Super Tennis. Per il settore femminile abbiamo avuto anni d’oro, e adesso siamo nella fase di ricambio generazionale, con tante giovani che presto calcheranno i campi più importanti al mondo, come stanno già facendo i maschi. Oltre alla Billie Jean King Cup mi occupo del settore femminile Over 18, e sono convinta che noi ex giocatrici dobbiamo restituire qualcosa a questo sport, per chiudere il cerchio. Abbiamo ricevuto tanto, è ora di dare qualcosa per continuare a far crescere le nuove generazioni, come tenniste e come persone.

    Un suggerimento che posso dare alle giovani tenniste è di affidarsi a strutture e allenatori preparati, e di avere progettualità nel lungo periodo sempre con loro, allenatori che siano brave persone come Bubu, e di dare sempre il massimo se si vuol arrivare, con tanta passione, continuità e perseveranza.

    Oggi può essere più facile arrivare, ma è molto più difficile confermarsi. Le giovani top player hanno più difficoltà a gestire le pressioni e tutto quello che ruota fuori dal campo. Ai miei tempi le prime dieci del mondo erano fortissime, e difficili da battere, oggi può capitare che una di loro vinca uno slam, che sia nella top 10, e che nel torneo successivo venga fatta uscire al primo turno da una che è top 100. Oggi ci sono troppe distrazioni e la comunicazione è cambiata, si è evoluta, devi essere brava a gestire non solo i pensieri e le emozioni. Il tennis è l’unico sport dove sei in campo da sola, giri il mondo per tante settimane, e non puoi contare su nessuno. Come scrive Bubu, devi vincerti da sola. Il talento va ricercato e coltivato, il lavoro va applicato, con costanza e perseveranza. Il tennis è unico, lo si è visto anche in questo periodo triste della pandemia, è uno sport sicuro. Abbiamo avuto la fortuna di poter giocare sempre.

    Quando entri nel vortice del tennis è difficile uscirne. Nel raccontarsi, Bubu riporta le sue esperienze di vita, vissute come dei sogni, con tanta passione amore e speranza.

    Questo è un libro adatto a tutti i neofiti del tennis, agli appassionati del mondo della racchetta e pallina, ma anche agli atleti agonisti. Un succo concentrato di contenuti e di consigli applicabili sul campo a tutti i livelli, oltre 50 anni di vita raccontati con intensità e spirito libero, che si può leggere tutto d’un fiato, e che identifica l’autore. Il vissuto del campo, partendo dal bambino sognatore fino all’adulto intraprendente e al maestro sognatore.

    Un padre autistico, una famiglia autistica come la descrive lui, che vive il disagio del proprio figlio, con diversi stati d’animo e interrogativi, con sogni che sanno di speranza, soprattutto quando i genitori non ci saranno più, e prevale l’ansia di chi ci sarà dopo di loro. Stati emotivi forti, che cercano di essere accolti con la meditazione.

    I fatti nel libro non seguono una continuità temporale, ma procedono avanti e indietro, a scambi, come in una partita di tennis. Alcuni sono stati ispirati da situazioni particolari, coincidenze temporali, ritorni di memoria personale. È un libro di ricordi incentrato sull’importanza del ricordare, componente essenziale dell’essenza individuale. Rinunciare ai ricordi, ai sogni, alla memoria vuol dire accettare, in modo più o meno consapevole, di rinunciare ai propri valori, alla propria etica, alla propria unicità.

    Una bellissima biografia romanzata nella quale Bubu, questa volta non come coach ma come autore, cerca in tutti i modi di vedere delle similitudini tra il tennis e l’autismo, una verità che riscontro perfettamente, che narra di come il guasto, come lo chiama lui, lo abbia arricchito come padre, come maestro e come allenatore. Il lettore vivrà momenti del campo, di puro tennis, per passare all’altro campo, quello blu dell’autismo. Un libro che consiglio di leggere, e ancora più importante, di condividere, se vi piacerà come è piaciuto a me. Cercate di sognare ad occhi aperti, come ha fatto Bubu realizzando questa bellissima opera. Dopo la lettura, uscirete arricchiti di emozioni, conoscenze e approcci valoriali.

    Lo consiglio a tutti per conoscere meglio il mondo dell’autismo. Anche qui, ne uscirete più informati e consapevoli del problema del vissuto della disabilità intellettiva. Troverete tanti aspetti similari tra il mondo della racchetta e quello del silenzio, della mancanza delle parole, della comunicazione non verbale, quel mondo speciale, con le proprie routine quotidiane, che sono fondamentali per il tennista, e per l’autistico.

    Con stima e orgoglio, mentre preparo i miei prossimi impegni da referente del settore tecnico femminile della Federazione Italiana Tennis, scrivo la prefazione a un caro amico, padre, maestro e grande allenatore, ossessionato dal tennis.

    Sei una persona speciale, come tuo figlio Federico,

    Tax Garbin for Bubu Coach

    *

    Tathiana Garbin (Mestre, 1977): allenatrice di tennis e capitano della squadra italiana di Fed Cup, attuale Billie Jean King Cup, ex n° 22 del mondo in singolare e n° 25 in doppio. Il suo miglior risultato negli slam è stato quarto turno al Roland Garros in singolare e Quarti in doppio a Wimbledon. Nel 2001 a Indian Wells ha battuto Monica Seles, allora n° 4 del mondo, e a Parigi nel 2004 la n° 1 del mondo, Justine Henin.

    If I were to say God, why me? about the bad things,

    then I should have said God, why me?

    about the good things that happened in my life.

    When I was holding the cup in my hand, I never asked God: Why me?

    So now that I’m in pain, how can I ask God: Why me?

    – Arthur Ashe

    Apri le braccia al cambiamento, ma non lasciare andare i tuoi valori.

    – Dalai Lama

    Caro Tennis,

    dal momento che sono nato ho iniziato a respirare la terra rossa dei campi. Davanti al piccolo bar di mio padre, annusavo il profumo dei gerani del giardino e il verde del parco. Ero un bambino che oggi non esiste più: niente piccoli schermi, niente social, cresciuto in strada, le altalene e le tane per giocare a nascondino erano le poche cose che esistevano oltre il pallone e la racchetta per giocare a pittino, improvvisato in spazi incredibili. Ogni volta che ricordo quei tempi con gli amici, mi sembra impossibile averci giocato da quanto lo spazio era piccolo, ma tutti coloro che sono passati per quello spazio hanno sviluppato una tecnica, un controllo di palla raro a trovarsi ancora oggi.

    Mi sono da subito innamorato di te… tornavo a casa sporco di terra e felice di aver trascorso tutta la giornata nel mio parco giochi del tennis. Capii subito che quella sarebbe diventata la mia vita, la mia passione, la mia ossessione.

    Così è stato. Ho iniziato a tirare qualche palla dall’altra parte della rete con dei bravi educatori e maestri che non potrò mai dimenticare, erano i miei eroi. Ero piccolo e paffutello, e così sono rimasto, ma con un grande braccio. Potevo fare qualsiasi colpo grazie a una tecnica pulita, quasi perfetta, ancora oggi bella da vedere. Ricordo ancora la mia prima trasferta per un torneo ufficiale, partecipavano i migliori, avevo 11 anni ed era la prima volta che prendevo un aereo. I miei fecero grandi sacrifici per vestirmi da capo a piedi con borsa e racchette nuove per l’evento, anche se non mi ci trovavo ad essere così bello e pulito: mi mancava la sporcizia dei campi, soffrivo per il tessuto della tuta in flanella, che mi pizzicava sotto il cavallo, le scarpe nuove che facevano male ai piedi. Ero felice delle mie nuove racchette, non volevo credere di poter possedere dopo tanti anni di tennis due Slazenger Challenge fiammanti, rigorosamente in legno, incordate in budello naturale con tanto di sacca. Non esistevano i bag di adesso, più grandi degli stessi bambini, la mia vecchia Maxima Deluxe passò ai miei fratelli, che stavano percorrendo la stessa mia strada.

    Avevo 13 anni quando mio padre lasciò quel paradiso.

    Si trasferì, con il lavoro, in periferia, ed ero triste perché sapevo che non avrei più potuto giocare a tennis con i miei fratelli e tutti i miei amici. Ma il caso ha voluto che quel bambino potesse continuare per tutta l’adolescenza a rincorrere il suo sogno, giocare e giocare, solo e solo a tennis.

    Per uno scherzo del destino la stessa cosa sta capitando oggi a mia figlia Lucrezia, alla stessa età. A tanti di voi sarà sicuramente capitato di avere la sensazione di vivere un momento già determinato, come se aveste vissuto una vita precedente. Sono déjà vu che mi rimbalzano davanti nel quotidiano, più alti di qualsiasi palla in top spin, quasi a soffocarmi.

    Così è stato. Anche da allenatore, dall’altra parte della rete, ho subito capito che era sempre il mio gioco. Finita la scuola, d’estate giravo oltremare con mio fratello, per i tornei. Lui era più forte di me, e quando perdevo e lui rimaneva in gara gli facevo da coach. Così ho capito che avrei trasmesso emozioni, passioni, valori, ossessioni anche ai miei allievi. Non l’ho mai fatto solo per denaro, non l’ho pensato mai come vero lavoro: era la mia strada e la percorrevo senza badare a niente, mi sentivo un po’ come un artista di strada, sapevo che stavo facendo la cosa giusta, rincorrevo la mia passione. Mai e poi mai il tennis mi avrebbe tradito o lasciato.

    Il mio gioco, la mia passione è diventata una professione, sono diventato insegnante, educatore e maestro di vita, ho studiato, mi sono formato e aggiornato, come ancora faccio oggi. Ascolto e apprendo da chiunque, ho sempre catturato i dettagli dei tanti coach in giro per il mondo, ho appreso anche dagli stessi allievi, sono loro i precursori dell’innovazione del tennis e non solo, sono loro che mi fanno sentire come uno di loro. Sono ossessionato dal continuo sapere, dall’essere curioso per tutto, dalla mia voglia di vivere, dal rialzarmi sempre una volta di più delle brusche cadute, dai miei valori, dalla mia grande empatia.

    Caro Tennis, non pensavo potessi fare tanto per me. Mi hai dato tanto e non so come ringraziarti di tanta fiducia, non so se sia meritata, ho percorso questa strada incontrando tante persone che mi hanno arricchito di passione, amore e competenze, e non ho mai visto il bicchiere mezzo vuoto, nel mio meraviglioso mondo di racchette e palline, anche se quella gran donna di mia madre mi rimproverava di crescere, perché mi diceva che di sogni e passioni, come il tennis, non avrei campato.

    Come il bambino piccolo e paffutello che ha iniziato per gioco, e poi per sport, anche l’adulto educatore e maestro ha iniziato per gioco e poi per diletto, svolgendo per oltre trent’anni una delle più belle professioni al mondo, senza badare a nulla, insegnando prima nelle strutture di periferia - dove giocare a tennis era un lusso - senza tutele, con le tariffe che erano come le oscillazioni della borsa, sapevi a che ora iniziavi ma mai a che ora terminavi. Mi bastava vedere gli occhi di un bambino che stava aggrappato alla recinzione per capire che il tennis doveva essere per tutti. Ore e ore sui campi, fine settimana, festivi, trasferte corte e lunghe, non ero concentrato sul mio futuro: per me era la cosa giusta da fare, stavo in una bolla sicura. La mia missione era vivere il presente e trasmettere la passione che avevo sentito da bambino ad altri bambini. Alcuni sono diventati tennisti per una parte della loro vita, altri, ora colleghi, sono diventati gran belle persone. E di questo ne sono fiero.

    Sempre per gioco, mi sono trovato catapultato nel mondo agonistico, dove hai possibilità di successo solo se esiste un progetto condiviso. Senza ricercarlo, ero spinto non so da quale energia positiva, fino a girare anche trenta settimane all’anno a calcare i campi dei circoli più blasonati e i tornei più importanti al mondo. 

    Ricordo ancora le prime trasferte oltreoceano: ero arrivato nel Gotha del tennis, si era creata quella chimica celestiale, come nel rapporto duraturo tra giocatore e coach. E quando passavo la notte a far programmazioni, analizzare partite, con i flash dei momenti, delle scelte che determinano i risultati ad abbagliarmi, in un qualsiasi letto di albergo, lontano dalla mia amata isola, pensavo e ripensavo se era proprio quello che volevo fare.

    Con tanta gioia, passione, coraggio e sacrificio, sono arrivato al mio piccolo successo, a uno dei miei piccoli obiettivi, in solitaria, convinto di fare al meglio la mia professione, continuando a crescere e crescere ancora, ad avere la riconoscenza degli altri. Così è il tennis.

    Avevo la convinzione che nessuno mi poteva far sentire inferiore, credevo tanto in me stesso, non ho mai mollato di fronte alle tante avversità, perché ero e rimango un sognatore, un romantico di altri tempi, che rifarebbe tutto quanto per tante altre vite.

    Poi la vita, quella che mi è toccata stavolta, mi ha messo davanti a dei bivi, e in questi casi non sai mai se sono scelte che non puoi cambiare o se, anche se ci provi, il tuo destino ti riporterà prima o poi alla tua via segnata, che tu lo voglia o no.

    Non potevo sbagliare una seconda volta.

    La prima volta preferii il tennis, girovagando, al mio primo matrimonio. Poi ho scelto un altro amore, avere dei figli, ho preferito la famiglia alla carriera, a quel mondo che dal di fuori sembra un luna park, un paradiso, ma se lo vivi da dentro, anche per poco, capisci che non è così. Anche chi prova a viverlo, come i grandi tennisti e il loro entourage, incontra le stesse paure e fragilità di tutti i normali mortali.

    Non sono pentito, perché in un’altra forma sono sempre rimasto nel tennis, continuando a crescere ancora tennisti e ancor di più bambini e adolescenti, che sono diventate brave persone con grandi valori. L’ho fatto un po’ più vicino a casa, nello stesso luogo in cui da bambino si

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