Le parabole di Gesù: Il raggiungimento dell’illuminazione e del risveglio attraverso la non-dualità e la libertà dall’io
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Anteprima del libro
Le parabole di Gesù - Claudio Patrini
Premessa
Esprimendosi per mezzo di parabole, Gesù ha potuto comunicare ciò che non è esprimibile in concetti. La natura profonda della realtà infatti è non-dualistica, e non può pertanto essere incasellata negli schemi dualistici del pensiero concettuale. Questo è il motivo per cui le interpretazioni teologiche, filosofiche o moralistiche non sfiorano nemmeno lontanamente il significato delle parabole evangeliche.
Grazie alle sua parabole, Gesù ci aiuta ad accedere alla dimensione dell’essere, in cui le differenziazioni, i giudizi e le nostre stesse individualità si rivelano illusorie e inconsistenti.
La realtà evocata dalle parabole, peraltro, non è lontana. È più vicina a noi di quanto non lo siamo noi stessi. È possibile accedervi in qualunque momento, semplicemente liberando lo sguardo dalle complicazioni della mente.
Parabola del figlio prodigo
(Lc 15, 11-32)
Il più giovane di due figli, pretese dal padre la sua parte di patrimonio, e partì per l’estero.
Qui sperperò ben presto il suo denaro vivendo in modo dissoluto. In aggiunta, in quel paese si verificò una grave carestia, ed egli si trovò in estrema povertà. Racimolava qualche soldo pascolando i porci, ma era attanagliato dalla fame, al punto che avrebbe volentieri voluto sfamarsi col cibo degli animali, ma nemmeno quello gli era concesso.
Maturò allora un profondo pentimento. Si rese conto di quanto fosse stato ingrato verso suo padre, e di come la sua vita dissoluta lo aveva ridotto in una condizione vergognosamente miserevole.
Si risolvette perciò a fare ritorno a casa, con il proposito di chiedere perdono al padre, e di accettare da lui qualunque trattamento e qualunque mansione, anche la più modesta, pur di uscire dalla situazione disperata in cui si trovava.
Il padre, che lo vide arrivare quando ancora era lontano, gli corse incontro e lo abbracciò; aveva percepito i suoi sentimenti, e subito lo aveva perdonato. Nonostante il figlio riconoscesse di essere colpevole e di meritare di essere trattato come un servo, il padre, pieno di gioia, ordinò ai servi che il figlio venisse vestito con l’abito più bello, che si preparasse un banchetto per le grandi occasioni e che si facesse festa.
Nel frattempo l’altro figlio si trovava a lavorare nei campi. Tornando verso casa, udì le musiche e vide i festeggiamenti, e un servo gli riferì quello che era successo. Egli si sentì offeso e trovò ingiusto il comportamento del padre, che riservava tanti favori a un figlio che lo aveva abbandonato per soddisfare i propri piaceri, mentre a lui, che gli era rimasto vicino e che lo aveva sempre servito, non aveva mai offerto niente del genere.
Il padre allora andò dal figlio maggiore e gli spiegò che, mentre egli era sempre stato con lui, e quindi aveva sempre partecipato di quanto era suo, per il figlio minore era giusto rallegrarsi e festeggiare, in quanto quel suo fratello, da perduto era stato ritrovato, da morto era tornato in vita.
***
Il figlio che lascia la casa del padre siamo tutti noi.
La sua esperienza, che passa per un breve periodo di illusorio piacere per poi finire in una sofferenza disperata, è quella dell’intera umanità. È l’esperienza di lasciare la condizione iniziale di beatitudine inconsapevole (il paradiso terrestre), per passare in una condizione in cui sorge una consapevolezza che è però menomata: l’uomo in questa fase è uscito dall’atmosfera protetta dell’essere, per acquisire una consapevolezza nuova ma riduttiva, che lo induce a percepire illusoriamente sè stesso come un individuo, dotato di proprio pensiero e propria volontà. In questa condizione, l’uomo ha perso la connessione con l’essere, e ciò comporta inevitabilmente sofferenza e disperazione (i patimenti sofferti dal figlio prodigo).
Il ritorno a casa del figlio prodigo rappresenta il superamento dell’illusione individualistica e la riacquistata dimensione dell’essere; ma questa volta è una dimensione più piena, più ricca di valore, perché non più inconscia come in origine.
L’altro figlio, che non si era mai mosso dalla casa del padre, non riceve i festeggiamenti tributati al figlio prodigo, perché rappresenta la condizione dell’essere inconscia, che non suscita la gioia che si prova per il ritrovamento dell’essere, dopo che lo si era perso.
Si tratta effettivamente di perdersi e ritrovarsi, di morire e tornare in vita, perché solo chi conosce la dimensione dell’essere può ritenersi davvero vivo.
Come la parabola suggerisce, una via potente per tornare all’essere è quella dell’umiltà. Quando si giunge alla consapevolezza vera e profonda della propria nullità, e si abbandona tutta l’arroganza su cui era stata costruita la nostra personalità
– allora è possibile che il velo dell’illusione cada, e che finalmente permettiamo alla realtà