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Le vie dell’occulto
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E-book377 pagine5 ore

Le vie dell’occulto

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In questo libro l’autore ha raccolto una serie di testi e di sue ricerche svolti nel corso degli anni. La Parte Prima del testo, “Qualche passo nel buio”, è una breve storia delle sapienze occulte che chiarisce complicati concetti esoterici. La Parte Seconda, “Maestri sconosciuti, i fondatori del pensiero occulto” tratta alcuni dei principali protagonisti dell’occultismo occidentale. La Parte Terza, “Simboli della Scienza sacra”, approfondisce l’analisi simbolica come strumento per affrontare le tradizioni esoteriche. Completano l’opera due appendici; la prima “L’Albero della Notte” è dedicata a un rituale magico scritto dall’autore, mentre la seconda “La Voce del Fuoco: gli oracoli caldei” è la rielaborazione e l’approfondimento di un testo apparso in documenti risalenti alla confraternita della Golden Dawn.
LinguaItaliano
EditoreVenexia
Data di uscita5 set 2018
ISBN9788899863197
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    Anteprima del libro

    Le vie dell’occulto - Sebastiano Fusco

    Ravello

    Presentazione

    In questo libro raccolgo una serie di miei testi apparsi nel corso di molti anni su pubblicazioni diverse. Se il loro aspetto è eterogeneo, ciò avviene perché in realtà sono eterogeneo io stesso, nel senso che durante la mia vita mi sono occupato di cose molto differenti, e ho dovuto di volta in volta elaborare uno stile di comunicazione adatto a convogliare meglio ciò che intendevo dire.

    La Parte Prima comprende una serie di testi scritti originalmente in inglese nel 1989 per un supplemento speciale della rivista americana Gnosis pubblicato all’epoca della traduzione negli USA del romanzo di Umberto Eco Il pendolo di Foucault. I curatori volevano che chiarissi i complicati riferimenti esoterici contenuti nel libro, chiarendo in particolare i riferimenti alla storia nascosta dell’umanità, le teorie del complotto e le società segrete in rapporto con il pensiero magico. Anni dopo, ho ritradotto in italiano gli articoli, completandoli con aggiunte e note ed eliminando i riferimenti non indispensabili all’opera di Eco, perché ormai passati d’attualità. Umberto Eco (anche se non ci teneva a farlo sapere) era un profondissimo cultore delle cosiddette scienze occulte, e possedeva un’enorme biblioteca di testi sull’argomento, quasi tutte prime edizioni antiche fra cui alcuni incunaboli. Era l’unica cosa che gli abbia mai invidiato.

    Nella Parte Seconda ho riunito un gruppo di articoli scritti nel 1986 per il mensile Abstracta curato dal mio amico Andrea de Pascalis, il più grande esperto di alchimia che abbia mai conosciuto. Anche se la pubblicazione ebbe vita non lunga (in tutto 54 numeri) è rimasta un’esperienza estremamente significativa, di certo – per contenuti e veste – una delle più belle riviste dedicate alla storia e l’esegesi delle dottrine esoteriche mai apparse in tutto il mondo.

    La Parte Terza comprende tre articoli legati dall’aspetto comune dell’analisi simbolica, uno degli strumenti che impiego per affrontare argomenti come le tradizioni esoteriche. Il primo, sul simbolismo della rosa, risale al 1986 ed è apparso su Abstracta. Gli altri due, su Disney e sull’iniziazione, sono stati scritti nel 2015 per la rivista Antarès, diretta dal mio amico Gianfranco de Turris, uno dei più grandi esperti di qualsiasi cosa si possa essere esperti.

    Ho aggiunto due appendici per documentare due aspetti particolari del mio lavoro. La prima è dedicata a uno dei pochi rituali magici che abbia mai scritto. Anche questo originariamente in inglese, lo misi insieme verso la fine degli anni Ottanta su invito di un gruppo thelemico (cioè legato all’insegnamento di Aleister Crowley) che operava nel Regno Unito, con cui venni in contatto durante un convegno in Italia dedicato al grande mago britannico. Apparve anonimo (come è d’uso per questo genere di letteratura, in cui non contano i nomi ma i contenuti) nelle comunicazioni che il gruppo diffondeva fra gli adepti. Poiché la segretezza è un concetto relativo, in seguito l’ho visto circolare su internet, manipolato in tutte le maniere possibili e attribuito alle personalità più stravaganti, fra cui Cagliostro ed Ermete Trismegisto.

    La seconda appendice documenta il mio lavoro di traduttore e curatore di opere fondamentali della sapienza magica. È la rielaborazione completa e l’approfondimento di un testo apparso nel 2007 nell’ambito di una collazione di documenti risalenti alla confraternita occulta nota come Golden Dawn. Non negherò che si tratta di un testo difficile, ma per me è il più importante fra quelli raccolti in questo volume, perché mostra (spero) come l’analisi filologica e storica siano del tutto inadeguate a chiarire il senso dei documenti fondamentali del pensiero magico, e di conseguenza non facciano emergere il senso profondo di questi testi. Viviamo in un’età del mondo in cui ha finito per affermarsi il più sciagurato tra i sistemi filosofici, ovvero l’empirismo di Locke, secondo cui nulla è vero e meritevole d’attenzione se non ciò che ci deriva dai sensi o dall’esperienza. Materialisti e razionalisti tagliano via in questo modo ogni ricchezza interiore che viene dallo spirito; negano ciò che non capiscono e dicono così di combattere l’ignoranza. Dovrebbero invece dare ascolto a uno dei massimi scienziati del nostro tempo, scomparso da pochi giorni quando scrivo queste righe, Stephen Hawking: Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza.

    Se questo libro servirà a insinuare anche in una sola persona il dubbio che al di là di ciò che si può misurare o concepire vi sia un qualcosa meritevole d’interesse, avrà raggiunto il suo scopo.

    sf

    PARTE PRIMA

    QUALCHE PASSO NEL BUIO,

    BREVE STORIA DELLE SAPIENZE OCCULTE

    I due volti della moneta:

    il mondo visibile e quello occulto

    Il Centro come simbolo dell’origine divina del Tutto, che manifesta la propria perfezione nell’atto creativo.

    La Queste, o conquista, rappresentata dall’animalità in lotta con se stessa: la natura umana imperfetta che combatte contro le forze infere per recuperare lo stato divino.

    La Gnosi come via di redenzione e iter iniziatico.

    Testa e croce

    Il mondo che segue la via dell’occulto è molto diverso da quello di coloro che rimangono ancorati alla vita di tutti i giorni. Come le due facce opposte di una stessa moneta, i due mondi mostrano apparenze diverse. Da una parte c’è una testa, dall’altra c’è una croce, e per chi ha l’occhio fisso su di una faccia, la seconda rimane nascosta: invisibile e inattingibile come se fosse dall’altra parte dell’universo. Eppure, sono entrambe aspetti di una realtà unica, la moneta, dotata di una ben precisa e rilevabile individualità. Passare da una faccia a quella opposta è semplice: basta rigirare la moneta fra le dita. Potremo allora osservare il secondo aspetto dell’entità singola che stiamo studiando: ma in tal caso perderemo di vista l’altra faccia.

    Come la testa è diversa dalla croce, così il mondo palese è diverso dall’occulto. La realtà è fatta di cose, di oggetti che possiamo vedere, toccare, misurare; di entità che sono raggiungibili con i nostri sensi o interpretabili con la ragione. Per chi vive nel mondo di tutti i giorni, l’altra realtà – quando si manifesta – appare invece intessuta di ombre, di illusioni, di sensazioni impalpabili e imprevedibili; su di essa non si può intervenire, non la si può né anticipare né dominare. Non valgono, per agire su di essa, né le nostre conoscenze del mondo fisico, né la nostra tecnologia. Le uniche possibilità d’azione che ci sono concesse sono legate alla sfera mentale. Soltanto operando sul nostro psichismo, facendo leva sulla volontà, sulla fantasia e sul potere di concentrazione si potrà in qualche modo giungere a una limitata cognizione e a una ancor più limitata capacità di azione sull’altro versante del Tutto.

    Nella dimensione celata della realtà, secondo gli occultisti (termine che significa studiosi di ciò che è nascosto), quello che agisce e ha effetto è il pensiero puro, la volontà nuda, la fantasia creatrice; in altre parole, ciò che plasma, dirige, governa le forze agenti nella faccia nascosta della moneta è proprio ciò che, invece, sulla realtà fisica e concreta è meno efficace: i processi mentali fini a se stessi, l’immaginazione, la capacità di meditare e di contemplare simboli e astrazioni.

    Gli occultisti moderni sintetizzano in quattro assiomi fondamentali le basi teoriche del pensiero magico: 1) l’universo studiato dalla scienza è soltanto una parte, e non la più importante, del Tutto; 2) la volontà umana costituisce una forza reale, suscettibile di essere allenata e guidata; questa volontà così sottoposta a disciplina è in grado di influire sul Tutto e di produrre effetti apparentemente soprannaturali; 3) ciò che disciplina e guida la volontà è l’immaginazione creatrice; 4) sulla trama del Tutto s’intesse un rigoroso sistema di corrispondenze che ne collegano strettamente i diversi enti: l’occultista che sa scorgerle e interpretarle le può utilizzare per i propri fini, buoni o cattivi.

    Insomma, come, in questo mondo, la materia inerte può essere plasmata dalle nostre mani con l’aiuto di opportuni strumenti fisici, così, nell’Altrove, il tessuto basilare dell’Essere può venire plasmato e diretto dall’azione della mente allenata. Soltanto a pochi, tuttavia, è concesso di poter agire su questo mondo per conoscere a fondo l’altro e influire su di esso (con riti, cerimonie, operazioni magiche); e ancora più esiguo è il numero di quanti sono in grado, con azioni mentali portate avanti nel mondo occulto, di agire sul mondo visibile.

    Succede però, talvolta, a chi è colto da un desiderio divorante di prendere contatto con l’altra realtà, con la seconda faccia della moneta, di attuare un rovesciamento totale delle sensazioni e degli impulsi, sino a immergersi interamente nel nebuloso Altrove che si stende al di là dei confini del conoscibile, perdendo ogni legame col mondo di tutti i giorni. Mistici, santi, indemoniati, ossessi, hanno fatto e fanno continuamente questa esperienza.

    L’occultista vuole invece qualcosa di ben diverso. Il suo obiettivo è osservare la moneta da tutte e due le parti nello stesso tempo: cioè, tenere sott’occhio entrambi gli aspetti del Tutto, superando il dualismo delle apparenze. Soltanto in questo modo, infatti, potrà recepire la fondamentale unicità dell’Essere e potrà comprendere – se a tanto gli basteranno volontà e forza interiore – i metodi per dominarne tanto l’uno quanto l’altro aspetto.

    A questo punto nasce una domanda: come possiamo fare per vedere contemporaneamente entrambe le faccia di una moneta?

    È semplice. Stringiamola fra le dita e avviciniamoci a uno specchio. Vedremo allora un altro noi stesso che ci mostra la faccia nascosta, mentre abbiamo ancora sott’occhio la prima. Far emergere dalle profondità della coscienza un doppio che ci riveli l’aspetto sconosciuto del Tutto è, appunto, l’obiettivo primario dell’occultismo. Gli alchimisti lo chiamavano Grande Opera: la realizzazione della Pietra Filosofale, mediante la quale si poteva trasformare la materia in vile oro. Cioè, fuor di metafora, far assumere alla conoscenza comune il carattere di sapienza occulta, che trasforma e innalza chi la recepisce.

    Ma dove è possibile reperire lo specchio magico capace di attuare una così straordinaria esaltazione delle nostre comuni capacità di apprendere e di conoscere? Chi può fornirci un ponte praticabile tra i due mondi, il reale e l’occulto?

    Questo ponte, in verità, esiste e non bisogna cercarlo neppure troppo lontano. I buddhisti dicevano che l’Assoluto è nascosto sotto forma di gioiello in un loto dai mille petali che, sapendo guardare, ognuno potrà scorgere poggiato sul proprio ombelico. Occorre dunque solo chinare la testa sul petto e cercare di vederlo. Insomma, basta scrutare all’interno di noi stessi: il Gioiello è nel Loto¹. Nelle pagine che seguono, cercheremo di farne balenare qualche riflesso.

    Il pendolo e il leone

    Che rapporto può esservi fra un pendolo, che lentamente percorre le sue isocrone evoluzioni guidato dalle leggi della meccanica, e un leone impegnato in una lotta mortale con un serpe gigantesco, simile a un drago?

    Se lo chiede il protagonista del Pendolo di Foucault, il romanzo di Umberto Eco fondato appunto sulla sostanziale evanescenza dei confini fra reale e immaginario. Eco utilizza queste due figure simboliche per presentare al lettore il tema fondamentale dell’ambiguità del Tutto. Il pendolo cui allude è lo strumento utilizzato a metà dell’Ottocento dal fisico francese J.B.L. Foucault per dimostrare sperimentalmente la rotazione della Terra.² Un modello dell’apparecchio è conservato a Parigi in una sala del Conservatoire des Arts et Métiers, dove lo vede il protagonista del libro. In una sala dello stesso istituto, è conservato anche un bassorilievo di origine gnostica, che rappresenta il leone della volontà attiva in lotta col drago dell’istintualità passiva. Il primo oggetto – il pendolo – è simbolo del mondo reale, dove tutto obbedisce a leggi ben precise, suscettibili di interpretazione da parte della ragione umana: il bassorilievo invece è una raffigurazione fantastica delle forze che agitano il mondo dell’occulto, le cui leggi non sono più interpretabili con la ragione, ma possono essere soltanto intuite, o conosciute attraverso processi di illuminazione, rivelazione soprannaturale, evocazione interiore.

    Confrontarsi con un simbolo può essere talvolta un’esperienza sconvolgente. I simboli sommuovono il fondo della coscienza e la loro azione è simile a quella che veniva attribuita alla Pietra dei Saggi: trasformano (anzi, transustanziano) tutto ciò che cade sotto il loro influsso.

    Nell’universo mutevole e illusorio della magia, i sensi ci ingannano, la ragione fallisce: i simboli sono dunque l’unica guida sicura, le uniche luci di riferimento cui affidarsi, come fari lontanissimi che fra le nebbie indichino ai naviganti, su mari ignoti, l’approssimarsi di coste mai disegnate da alcun cartografo.

    Per cominciare un viaggio d’esplorazione nei territori dell’occulto, il pendolo e il leone sono simboli buoni quanto qualsiasi altro. Dunque – possiamo chiederci (come il protagonista del romanzo di Eco) – che rapporto c’è fra loro?

    Nel mondo reale, una domanda del genere susciterebbe risposte stravaganti. Nell’universo simbolico, nascono invece subito simmetrie e associazioni. Per la precisione, nasce un’antitesi, o meglio una polarità, quella che vede sul lato positivo (prima faccia della moneta del mondo) l’eterna e perfetta regola che origina e muove tutte le cose, raffigurata dal moto ordinato del pendolo, e sul lato negativo (seconda faccia) il cieco e ferino agitarsi di chi è prigioniero del mondo dei sensi e non scorge nulla al di fuori della propria animalità, come il leone e il serpe in lotta fra loro.

    Fra le due fiere da un lato e il pendolo dall’altro si individua così un iter iniziatico che, come tutti i cammini, può essere percorso nei due sensi: in quello dell’elevazione e in quello della caduta.

    L’asse del mondo

    Elevazione e caduta sono concetti base – fra l’altro – della Kabbalah, una delle dottrine che gli occultisti hanno preso a modello per rappresentare il loro edificio ideale. I saggi ebrei che idearono questa complessa e rigorosa architettura dell’universo (un’architettura nella quale non c’è distinzione fra reale e immaginario, perché tutto ciò che è concepibile è anche vero in quanto essendo concepibile, è esprimibile in parole creatrici) indicarono con il termine Kether l’idea di centro come Uno, Primo Mobile, Causa Prima del Tutto. Kether è il punto fermo al quale è incernierato il mondo come immagine concepita dall’Ente Divino, ed espressa col Verbo Creatore.

    La corda del pendolo, che oscilla con moto isocrono attorno a questo punto, mantenendo sempre lo stesso piano mentre la Terra le gira al di sotto, è simbolicamente l’Axis Mundi, asse del mondo; lungo di essa dal Centro immobile ed eterno (il fulcro del pendolo), si scende verso il peso oscillante che percorre il suo arco, corrispondente a Malkuth: cioè, sempre nella terminologia kabbalistica, il mondo reale, quello nel quale viviamo l’esistenza di tutti i giorni. L’asse del pendolo, che collega il peso al fulcro, segna così il tragitto che da quod est inferius conduce a quod est superius, ovvero che porta dalla terra al cielo.

    Il centro fisso è sempre uguale a se stesso; il peso invece, oscillando, muta situazione a seconda del variato comporsi delle forze che agiscono sulla sua massa. Il primo è dunque simbolo dell’Essere, il secondo del Divenire. Fra l’uno e l’altro si svolge l’iter di chi cerca di risalire dal mutevole al fisso; vale a dire dall’umano al divino. Una delle più note raffigurazioni allegoriche di questa ascesa è la visione avuta in sogno da Giacobbe, dormiente sotto la rupe (Genesi 28): una scala che sale dalla terra al cielo e lungo la quale si muovono gli angeli, cioè gli agenti mediatori tra l’uomo e Dio. Significativamente, la visione è raffigurata nel frontespizio del Mutus Liber, uno dei più famosi libri di alchimia, un’opera priva di testo scritto, che parla soltanto attraverso immagini simboliche. L’ascesa lungo la scala di Giacobbe rappresenta il cammino dell’iniziato, che tenta di scorgere le verità superiori partendo dalla propria imperfetta (dormiente) natura umana. Ma è un cammino incerto, che non può giovarsi di mappe della cui affidabilità si possa esser sicuri in partenza. Questo cammino è quello che, spesso inconsapevolmente e senza volerlo, percorre chi si inoltra nei territori dell’occulto, aprendo gli occhi su panorami la cui estensione non conosce e la cui stessa origine appare, alla sua ragione, incerta e indefinibile: frutto a un tempo di una sua fantasia personale e di riscontri oggettivi imprevisti e inattesi.

    Questa consistenza ambigua è in effetti propria di tutte le verità diffuse dalle scuole cosiddette iniziatiche: nella sapienza occulta il soggettivo si stempera nell’oggettivo e i confini fra l’elaborazione personale e le realtà esteriori si sovrappongono e si confondono.

    I kabbalisti (che, come si vedrà, sistematizzarono e ridussero a una visione unica una serie di concetti espressi dagli gnostici, i nei-platonici e i pitagorici, eredi a loro volta, secondo gli occultisti, di una tradizione ancestrale detta iperborea) figuravano la realtà come organizzata in quattro Mondi:

    Atziluth, il Mondo Divino, sede degli archetipi, corrispondente in un certo modo al mondo delle idee platonico;

    Briah, il Mondo Creativo, sfera degli Arcangeli e di altre entità spirituali, che realizzano la volontà divina trasformandola in atti dei mondi inferiori;

    Yetzirah, il Mondo della Formazione, disteso subito al di sopra del piano della materia e composto da una sostanza super-sottile (la Quintessenza degli alchimisti), che impone forma e qualità agli enti materiali e può essere plasmata con il pensiero guidato dalla volontà disciplinata;

    Assiah, il Mondo della Materia, quello in cui si dipana la nostra esistenza comune.

    Dal punto di vista dell’occultismo pratico, il Mondo della Formazione (che gli occultisti dell’Ottocento chiamavano Piano Astrale) è il più importante di tutti perché è grazie all’intervento sulla sua sostanza formante, la Quintessenza (chiamata anche con nomi diversi a seconda delle varie dottrine iniziatiche: Akasha, Luce Astrale, Mediatore Plastico, e così via) che i maghi pensano di poter esercitare un influsso anche sulla materia densa, nonché di produrre mutamenti sulla propria consapevolezza e su quella altrui.

    I quattro piani dell’Essere non sono sovrapposti l’uno all’altro come strati geologici in una roccia, né sono sfere concentriche come le sfoglie di una cipolla. Piuttosto, si compenetrano l’uno nell’altro, ma differiscono per la qualità della sostanza di cui sono fatti, per le leggi che li governano e per le entità che li popolano.

    Fra di essi esiste una gerarchia di rapporti, e agendo sull’uno si possono provocare effetti sugli altri. Come il piano della materia è abitato da creature peculiari (l’uomo e le varie specie animali), così anche negli altri piani dell’Essere vi sono particolari abitanti più o meno evoluti, che vanno da semplici espressioni di forze telluriche inferiori (talvolta chiamate elementali), a supreme intelligenze angeliche, incaricate di governare più mondi.

    La convinzione dell’esistenza di diversi piani di realtà implica, come importantissimo corollario, il concetto dell’esistenza di più corpi dell’uomo abilitati ad agire su ciascuno dei piani in questione. Insieme al corpo fisico (che, pur essendo quello più greve e lontano da Dio, è tuttavia il più importante, perché costituisce il punto di partenza per la scalata ai mondi superiori), esiste una serie di altri corpi sottili, il cui numero varia a seconda dei piani dell’Essere individuati dalle diverse scuole iniziatiche.

    Secondo la tradizione più diffusa nell’occultismo moderno, accanto al corpo materiale abbiamo un corpo detto eterico, a esso associato e agente sullo stesso piano, che rappresenta l’intrico di forze impalpabili che assegnano la forma alle strutture biologiche.³ Successivamente, sono presenti un corpo astrale, che agisce sul piano omonimo e può essere fatto distaccare dal corpo fisico per compiere peregrinazioni sul piano simbolico della Quintessenza; poi un corpo mentale, cui è accessibile il piano angelico; e infine un corpo spirituale che costituisce la scintilla divina racchiusa nella complessa struttura psico-fisica dell’uomo e che, se liberata grazie alla coscienza illuminante, tende in modo spontaneo verso il più alto dei Mondi.

    Queste intricate concezioni dipendono direttamente dall’idea dell’universo sulla quale si basa la sapienza occulta.

    L’universo magico

    Una delle raffigurazioni simboliche più note nel cosmo, così come viene visto dal pensiero magico tradizionale, è rappresentata in una carta dei Tarocchi: il diciottesimo Arcano Maggiore, chiamato La Luna.

    L’astro notturno vi viene raffigurato come un volto di donna, alto nel cielo, che dagli occhi stilla lacrime d’argento su un sentiero che si snoda perdendosi in lontananza fra due torri. Un cane e un lupo abbaiano alla sua luce, mentre un granchio scivola sulla riva di uno stagno tra il riflesso dei raggi argentei.

    È una delle carte più interessanti di questo gioco mistico la cui origine si perde nei tempi. Rappresenta la vita segreta della mente e, attraverso un simbolismo a sfondo sessuale, la penetrazione dell’Iniziato nell’ignoto.

    Il riflesso della luce lunare suscita fantasmi: nella sua fosforescenza si muovono creature della notte, incubi e illusioni.

    Il cane e il lupo sono gli impulsi animali dell’uomo, liberati dal potere dell’astro notturno, che tradizionalmente domina l’inconscio. Il granchio sta per la costellazione del Cancro, che governa il silenzio, le forze nascoste, gli influssi invisibili. La luce d’argento lo fa emergere dall’acqua stagnante: è l’arcano che si manifesta e prende forma nel mondo sensibile. I flutti da cui esce sono le acque del Genesi, cioè il caos, l’abisso informe e vuoto sul quale aleggiava il Ruach Elohim, lo Spirito di Dio, e dal quale si formò l’Universo. Come nella Bibbia, l’elemento vivificante è costituito dalla luce, ovvero l’illuminazione divina, che dissipa le tenebre della ragione.

    L’insieme raffigura, come del resto molte altre carte dei Tarocchi, l’operazione magica. Ma il suo simbolismo, benché suggestivo, è chiuso e tale rimane finché lo si esamina attraverso il freddo obiettivo della logica razionale e materialista. Per dissugellarlo occorre sottoporsi a una Discesa agli Inferi, in cui si dissolvano gli automatismi mentali che ci costringono a ragionare secondo gli schemi dell’empirismo, e ci riporti a contatto con le verità iniziatiche del Mito.

    Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo della Cosa Unica. Con questa affermazione incomincia la Tavola di Smeraldo, uno dei documenti magici più venerati dai seguaci del pensiero occulto.

    In effetti, l’inizio della Tavola attesta il Principio Primo della sapienza magica, dal quale tutto il resto della dottrina discende a guisa di successivi corollari. Questo Principio Primo consiste in un modo particolare di concepire l’Universo, Dio, l’Uomo e le mutue relazioni.

    All’occhio del mago il Cosmo non appare come un assembramento disordinato (o comunque disposto secondo un ordine difficilmente conoscibile) di enti diversi, in genere senza rapporti reciproci. Al contrario, l’Universo è simile a un corpo umano: tutti i suoi organi, anche i più differenti e distanti, sono legati l’uno all’altro, tanto che agire su di uno significa provocare effetti a volte insospettati sugli altri. E, come dall’unione di tutti gli organi nasce un essere unico, l’uomo dotato di una sua volontà e di sue caratteristiche singolari, così dall’unione di tutti gli enti dell’universo nasce una Cosa Unica, dotata a sua volta di proprietà e caratteristiche singolari. Per il mago questa Cosa Unica, cioè l’Universo con tutto ciò che contiene, esteso all’infinito nel tempo e nello spazio, è Dio.

    Il paragone con il corpo umano non è casuale. Per il mago, infatti, se l’Universo-Dio è il Macrocosmo, l’uomo è il Microcosmo, una sua piccola immagine simbolica che ne riproduce, ridotte agli infinitesimi, tutte le caratteristiche.

    In questo modo il pensiero magico giunge a concepire una sua particolare forma di unicità dell’Essere, ricomponendo in uno schema senza dicotomie la triade Dio-Universo-Uomo.

    Aspirazione del mago è pervenire alla coscienza totale di questo Essere Unico: estendere cioè, mediante un processo di espansione spirituale, la sua singolarità sino a recepire tutti gli aspetti diversi ma concomitanti dell’Ente Universale e, una volta giunto a contemplarli nella loro totalità indifferenziata, imparare a dominarli. Ciò è nelle sue possibilità in quanto, secondo il pensiero magico, tutte le cose sono aspetti di un’unica cosa, e nel Microcosmo umano si stempera e sintetizza il Macrocosmo, cioè Dio. Giunto a tanto, il mago diviene Uomo Completo: Si eleva al di sopra degli angeli, sino a giungere all’Archetipo stesso, con il quale diviene cooperatore, e nulla più gli è impossibile, secondo l’espressione dell’occultista rinascimentale Cornelio Agrippa. È questa la Grande Opera, obiettivo supremo della Magia, al cui concepimento nessuno, se non pochi eletti, è mai pervenuto, e che richiede un’intera vita, o più vite, per essere portata a termine.

    Spingiamoci adesso ancora un po’ più avanti nella direzione indicata dal parallelismo fra universo e l’uomo.

    In un singolo individuo, personalità, carattere e comportamento sono determinati dall’intercomporsi di impulsi differenti: amore, odio, volontà di potenza, istinto distruttivo, forza di conservazione, e quant’altro agita la nostra debole umanità. Nel corpo scorrono poi flussi di fondamentale importanza per la vita, anche se non immediatamente discernibili: la corrente sanguigna, gli impulsi nelle contrazioni muscolari, e fenomeni ancora più sottili, come le complesse reazioni biochimiche su cui si basa il funzionamento degli organi essenziali, cervello compreso.

    Nell’Organismo Universale si manifesta qualcosa di simile. La sua struttura è percorsa da forze misteriose, che lo condizionano nella sua interezza.

    Queste forze sono mitiche e metafisiche: sono cioè eterne e onnipresenti, e sfuggono dunque a ogni inquadramento sotto categorie come lo Spazio e il Tempo. Fluiscono in ogni fibra dell’Essere Unico, e sono sostanza della sua intima coesione.

    I primi abitatori del mondo, gli Iperborei, le conoscevano e, come affermano le Tradizioni, sapevano come guidarle e come uniformarsi al loro flusso: la Terra era un paradiso, il mondo viveva un’Età d’Oro. Poi, non sappiamo in seguito a quali avvenimenti, persero questa conoscenza. Le stirpi umane successive raccolsero tuttavia il riflesso del primo splendore, che col passare del tempo si faceva sempre meno fulgido, e tramandarono il ricordo delle Forze Magiche attraverso le immagini dei loro dèi.

    Così, ad esempio, la forza dell’amore vivificante, il principio rigenerativo dell’Universo, è rappresentato dall’Ishtar dei Babilonesi, l’Afrodite dei Greci, la Venere dei Romani, e così via; il principio distruttivo è rappresentato dal sanguigno Marte, la forza vitale dal Sole, la serena stabilità dal luminoso Giove, la mutevolezza dalla Luna, il melanconico declino dal lento e triste Saturno, la vivacità intellettuale dal rapido Mercurio.

    Le Forze fondamentali sono sette, tante quanti i citati pianeti visibili agli antichi nel Macrocosmo, e le aperture nella testa dell’uomo o i centri del corpo sottile nel Microcosmo. Il mago deve imparare ad avvertirne il fluire, che è sia interno che esterno a lui. Riuscirà a dominarle e a sfruttarle a proprio vantaggio se saprà, con l’aiuto eventuale di simbologie, riti, cerimonie, entrare in comunicazione con esse e deviarne il corso nella direzione voluta.

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