I colori della salita: Ho sorriso alla vita pedalando fino al tetto del mondo
Di Silvia Grua
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Anteprima del libro
I colori della salita - Silvia Grua
Mordere la vita
Nasco a Villareggia, un paesino con poco meno di mille abitanti ai piedi di una collina nel canavese, dove la piazza è il luogo di ritrovo da sempre. Da piccoli giocavamo a nascondino e ogni tre per due arrivavamo a casa con le ginocchia sbucciate per una caduta dalla bici. Ho ancora i segni delle prime cicatrici!
Nella mia famiglia non c’è mai stata una cultura nella pratica sportiva. Papà aveva una bicicletta da corsa che ha messo al chiodo quando sono arrivati i figli e si è catapultato nel doppio lavoro: in fabbrica, Olivetti, con il boom economico degli anni ‘70, e aiuto nei terreni agricoli dei nonni quando veniva a casa. Mamma faceva le pulizie in una casa di cura e quando tornava aveva il suo da fare con i due terremoti dei figli, in realtà con uno dei due, mio fratello, che era realmente un vulcano, non lo tenevi fermo neanche se lo legavi.
Io invece ero quella tranquilla, anzi, di più, se mi veniva detto: mi raccomando stai seduta e non muoverti, io addirittura rischiavo di farmi la pipì addosso perché mi era stato detto di non alzarmi!
Chi mi conosce da quando sono nata mi racconta ancora questi aneddoti: «E pensare che non ti muovevi neanche dalla sedia!».
La ricerca dell’indipendenza fu la prima grande motivazione per raggiungere i miei obiettivi: appena ho iniziato a lavorare, con il primo stipendio mi sono iscritta in palestra, era un po’ un mio riscatto, la mia voglia di crescere...
E per anni ho frequentato quel mondo, sei giorni su sette, praticando con attenzione e passione le varie attività, attenendomi alle mie schede, portando a termine i miei allenamenti soddisfatta.
Mi è sempre piaciuto passare il tempo libero all’aria aperta e con la bella stagione approfittavo del verde della collina vicino a casa. Allacciavo le scarpette e uscivo da quelle quattro mura dove mi allenavo per fare prima una passeggiata, poi man mano qualche chilometro di corsetta.... Respiravo un’aria diversa, le mie gambe rispondevano bene e iniziai ad aumentare le distanze, osservando i colori, percorrendo quei sentieri. Un nuovo mondo
che mi dava la carica e di cui iniziai a sentire sempre di più l’esigenza... Appesi la borsa della palestra al chiodo e iniziai a correre più seriamente, aggiungendo un chilometro dopo l’altro e inebriandomi di quelle nuove sensazioni!
Mi iscrissi alla mia prima gara di corsa: una serale, 6 chilometri pianeggiante. Non avevo la benché minima idea di come si svolgesse una competizione podistica... Arrivai credo terz’ultima, stavano già togliendo le bandelle nel percorso, ma non ho dimenticato la felicità per aver tagliato quel traguardo... Una sensazione mai provata prima!
È stata la corsa a insegnarmi che quella felicità andava cercata, andava allenata, un metro dopo l’altro, un passo dopo l’altro, alle volte cadendo, alle volte disperandosi, alle volte analizzando i problemi... ma sempre, sempre, rialzandosi e avendo ben saldo come obiettivo quello di raggiungere e varcare il mio punto di arrivo.
Questa consapevolezza, unita alla sempre più forte passione per il podismo, è diventata ancora più forte grazie all’incontro con la squadra che si è trasformata in una seconda famiglia, l’Atletica Settimese.
E così, nel giro di pochi anni, è esplosa la vera natura di Silvia. Colei che correndo si riempie gli occhi e il cuore di colori, immersa nei sentieri dietro casa a qualsiasi ora del giorno e della notte. Colei che rientra bagnata come un pulcino, dopo un’uscita sotto la pioggia, con le gambe indolenzite... eppure felice. Di una cosa ero certa: avevo bisogno di quella felicità.
Fin da ragazzina ho imparato a dare valore al tempo e al suo trascorrere. Un giorno è fatto di ventiquattro ore e per me, in quelle ore, non esiste la stanchezza. Così come non esiste una scusa che sia in grado di fermarmi, di non farmi indossare le mie scarpette, a fronte della necessità di ricaricare il mio fisico e soprattutto la mia anima!
Chilometri macinati e l’asticella che poco per volta si è spostata più in alto. Assieme alle scarpette ho iniziato ad allacciare lo zaino e percorrere strade sempre più lontane, sentieri sempre un po’ più in salita, per raggiungere quelle cime che vedevo così distanti, studiando i percorsi sulle cartine...
Ho incominciato a vivere la montagna in tutte le sue stagioni, in tutti i suoi colori. Dalle temperature piacevoli estive e il verde dei pascoli, passando per le meravigliose sfaccettature dei colori autunnali, fino ad arrivare al candore dell’inverno, con le distese di bianco infinito, il termometro che rimane sotto lo zero e la neve che ti avvolge fino alle ginocchia...
Alle volte, anche mentre proseguivo a fatica, con il vento contro o con la pila frontale per illuminare i miei passi, mi sono chiesta Chi me lo fa fare?
. E il mio sguardo si indirizzava lassù, a quella cima che era il mio obiettivo... Una volta arrivata, ecco che la fatica svaniva: immersa in quel cielo infinito che mi sembrava di poter toccare con un dito, perché lassù tutto il resto non aveva più importanza: c’eravamo io, il mio zaino e il mio tutto.
Ascoltavo il mio corpo e cominciai a sentire che ogni tanto le mie ginocchia si lamentavano. Fu allora che iniziai a cercare un’alternativa a tutte queste sollecitazioni... Decisi di comprare la mia prima bici da strada quando avevo trentotto anni, di terza mano, telaio in alluminio, cambio Shimano Sora... Non so se mi piacerà
, fu il mio pensiero.
Dalle prime difficoltà a imparare a usare i pedali con sgancio rapido (alzi la mano chi non è caduto almeno una volta proprio cercando di mettere il piede a terra!), iniziai a conoscere un mondo tutto nuovo per me. Sentivo lo scorrere delle ruote sull’asfalto, quella catena che girava, il vento in faccia ad accompagnarmi nelle uscite...
Osservavo quelle strade con altri occhi, salutando altri ciclisti che incontravo. E i chilometri diventarono sempre di più. Studiavo i percorsi, cercando le stradine meno trafficate, perdendomi e ripartendo, guardando il mondo con gli occhi di un’eterna sognatrice che ora viaggiava su quella bici...
Scoprii cos’è uno sport come il ciclismo: lo stare in sella tante tante ore, fin dove ti può portare quella magica catena che sei tu a far girare, con le tue gambe, con la tua testa, con il tuo cuore, spingendo sui pedali.
Da semplice alternativa, la bici mi rapì. Sì, mi ha rapita la conquista della libertà, capace di unire le gioie e i dolori che provo per arrivare ad una delle mie amate cime con un colpo di pedale dopo l’altro, facendomi esplorare il mondo da lassù, dove tutto è più bello!
E questa alternativa continua a