La forza dei desideri
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Anteprima del libro
La forza dei desideri - Valter Ferrato
È iniziata così…
È mattina: la nebbia ammorbidisce i contorni e le forme. Un silenzio ovattato avvolge l’intero paesaggio: i colori sono meno definiti, i pensieri sono rallentati.
Il lavoro nelle cantine è intenso: nell’aria si percepisce il profumo del vino. Ogni gesto è più lento perché l’autunno, in campagna, è il giusto passaggio alla pausa invernale. Le poche macchine che passano nelle strade si nascondono velocemente nella nebbia permettendo alle luci dei fanali di sfumare nella foschia. Siamo a metà degli anni Sessanta in provincia di Asti, precisamente il 27 ottobre 1966. Data della mia nascita.
È iniziato tutto così. Questi primi attimi della mia esistenza, l’atmosfera e il ritmo lento daranno un’impronta forte alla prima parte della mia vita.
Chissà, forse allora è stato piantato il seme di quella che sarebbe diventata la mia filosofia di vita. Tutto serve, tutto è utile, tutto passa.
CRESCERE
I primi anni della mia vita, si sono inseriti alla fine degli anni Sessanta. Un tempo, quello, in cui dalle campagne si fuggiva per rincorrere ciò che rappresentava il sogno dell’esplosione industriale. Molti dalle campagne del Monferrato guardavano Torino affascinati dall’idea dell’industria che garantisce il lavoro sicuro. Lontano da quelle terre così difficili da lavorare e da quel raccolto sempre in balìa dei capricci meteorologici.
Le campagne si spopolavano a favore della città che attirava i più intraprendenti alla ricerca di una vita migliore. Almeno in apparenza. A pochi chilometri di distanza da casa mia, l’evoluzione industriale galoppava eppure ancora oggi ho la percezione di aver vissuto un tempo completamente differente. Molto più antico per le caratteristiche della vita quotidiana che si conduceva in campagna.
Le giornate erano scandite dal sorgere e dal tramontare del sole. Le settimane e i mesi avevano il ritmo delle stagioni. Ho vissuto i miei primi anni in una sorta di isolamento dal mondo. O forse dovrei dire che il mio mondo era il cortile, il contatto con la natura e con gli animali. Tutto ciò che usciva da questo piccolo mondo veniva filtrato dalla mia famiglia. I miei genitori erano talmente concentrati sul lavoro che ritenevano, in perfetta buona fede, che questo modello educativo fosse un modo per proteggermi dai pericoli esterni. E così ho imparato a riempire le mie giornate con il nulla che avevo. Mi inventavo i giochi in totale solitudine adattandoli allo scorrere delle stagioni. Ho dei ricordi molto nitidi. Se ripenso all’autunno ricordo la nebbia che non si vede in fondo alla strada
. Come dice ancora oggi mia mamma. Ma anche l’umidità che si percepiva respirando, l’odore della vendemmia e i funghi che mio papà e mia mamma raccoglievano e portavano a casa come trofei. L’inverno lo ricordo tanto freddo e con tanta neve. Mi sembra di rivedere i vetri con il ghiaccio all’interno, di sentire ancora l’odore di fumo della stufa legna e percepire i pantaloni di lana che mi pungevano le gambe. La primavera la riconoscevo dalle viole e dalle margherite che vedevo fiorire nel prato davanti a casa e dai fiori di pesco degli alberi nel retro di casa. L’estate era il caldo torrido, il grano che diventava biondo, l’odore del fieno raccolto da conservare in cascina per l’inverno. E che delizia i pomodori dell’orto di mia nonna che con olio e sale diventavano un piatto stellato. Mi sembra di sentire ancora la freschezza dell’acqua e menta che mio papà portava in campagna.
E il mondo? Un minimo contatto c’è stato con l’asilo ma è stato veramente una toccata e fuga perché diciamo che non ero ancora pronto ad entrare in società. All’asilo mi mandarono dalle suore. Mi ricordo come fosse ieri il primo giorno. Davanti a me, in fila, una serie di figure femminili vestite di nero. Alcune con un grande sorriso, altre con uno sguardo austero. E ricordo mia mamma che, con una spinta, mi invitava a procedere verso di loro. Ammetto che non ero entusiasta di questa nuova esperienza ma lentamente, quasi strisciando i piedi sulla ghiaia del sentiero, mi sono avvicinato e, senza girarmi verso mi mamma, ho dato la mano a suor Matilde. È stata lei ad accompagnarmi all’interno della scuola facendomi poi sedere su una piccola sedia offrendomi una caramella di zucchero.
Il mio più bel ricordo di quel periodo è proprio Suor Matilde. La ricordo alta e grandissima, un gigante buono. I suoi abbracci di conforto rischiavano di stritolarmi. La sua risata era sempre fragorosa e contagiosa. Era lei ad occuparsi della cucina e il profumo dei suoi abiti ci anticipava il menu del giorno. Spesso nei miei momenti di sconforto mi portava in cucina, mi faceva salire su di una sedia e mi faceva controllare il soffritto o mescolare il sugo. Erano altri tempi quelli, anche in fatto di sicurezza a scuola. Meno piacevole, è il ricordo dell’arrivo del pulmino che passava davanti casa a prendermi. Ogni mattina speravo che l’autista si dimenticasse di passare dal mio cortile. Non ho mai amato andare all’asilo, ma le promesse dei premi fatte dai miei genitori mi facevano accettare questa quotidianità. Ricordo ancora la felicità provata quando ho ricevuto la mia prima bicicletta come ricompensa per aver frequentato regolarmente e aver partecipato al saggio di fine anno.
E poi la scuola. Qui potrei proporti tante riflessioni che riassumo così: la scuola non è uguale per tutti, la scuola è diversa per tutti. Non tanto perché ognuno di noi abbia un diverso modo di recepire gli insegnamenti, non è solo questo. Il punto è che talvolta può accadere di incontrare insegnanti che si pronunciano sul futuro professionale dei ragazzi sin dai primi passi della scuola dell’obbligo. Se mi fermo un attimo, rivedo Valter di allora: un bambino nato nel 1966 in una famiglia di contadini di un paese della provincia di Asti. Era come se tutti avessero già deciso che io non potessi fare altro che diventare un contadino vista la provenienza della mia famiglia. Non era previsto un percorso differente per me: come se non potessi essere in grado di andare oltre o non ne avessi le possibilità.
Le mie capacità scolastiche, seppure con discreti risultati, non sono mai state riconosciute. Come