Ivy Compton-Burnett
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Anteprima del libro
Ivy Compton-Burnett - Cristina Bolzani
Indice
Introduzione
Interno con despota
1. Tè e Tao
2. Ironie polifoniche
3. Postfazione – Depravazione da salotto
4. Appendice – Una conversazione
Cronologia
Bibliografia
Cristina Bolzani
Ivy
Compton-Burnett
Titolo | Ivy Compton-Burnett
Autore | Cristina Bolzani
Copertina | Londra © Cristina Bolzani
ISBN | 9791221463231
© 2023 - Tutti i diritti riservati all'Autore
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Morto e deludente: così mi hanno smascherata, e quell’odioso budino di riso di un libro è quello che sospettavo: un fallimento totale. Senza vita. Molto inferiore all’amara verità e all’originalità intensa della signorina Compton-Burnett. Questo dolore mi ha svegliata alle quattro di mattina e mi ha fatto soffrire acutamente.
(Virginia Woolf, Diario di una scrittrice)
Il ritmo del suo scrivere non è né lento né rapido: è il ritmo uguale e senza scampo di chi sa dove deve andare. La sua pazienza è martellante e infernale. [...]Li cercai tutti [i suoi libri]. So poco l’inglese; leggevo quei romanzi con estrema fatica [...] E tuttavia non facevo che ripetermi che io, quei romanzi, non li amavo; che forse li esecravo [...]. Ma ad un tratto capii che li amavo invece in un modo furioso; che ne avevo gioia e consolazione; che vi potevo bere come all’acqua d’una fontana. Pure non c’era in essi né acqua, né aria. [...] Non riuscivo a vedere dove mai fosse, in quei romanzi, la poesia: eppure sentivo che ci doveva essere, se là si poteva, senza aria né acqua, respirare e bere, se vi si provava, nell’abitarvi, una felicità profonda, consolante e liberatrice.
(Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi)
Scrittrice castissima ed anzi gelida, Ivy Compton-Burnett trae una immobile, sinistra gioia da favole di sommessi, sussurranti omicidi, di ingegnosi incesti, di bene educate, irreparabili disperazioni. Realizza la sua concentrata, psicologica unità di luogo nell’ambito della home: la vita domestica, inclusiva di una periferica e corale servitù, e distribuita nei gironi delle diverse età dell’uomo, dall’infanzia alla estrema vecchiezza, a ciascuna delle quali spettano diverse qualità di demenza, di peccato, di frode, di dannazione. (...)
Per la scostante lucidità intellettuale, per la coerenza della fantasia letteraria, per il rifiuto di ogni consolazione che non sia dello stile, Ivy Compton-Burnett è senza dubbio tra i massimi scrittori europei di oggi: ma appunto codeste qualità la rendono elusiva ed impervia al lettore frettoloso ed impaziente.
(Giorgio Manganelli, Concupiscenza libraria, Adelphi)
Introduzione
Passeggiando nel centro di Roma, un giorno mi sono imbattuta in Ivy Compton-Burnett. Una libreria di remainder esponeva Il presente e il passato in una buona copia Einaudi. Il tempo di sfogliare in fretta il libro e già ero sedotta dal chiacchiericcio ininterrotto dei suoi personaggi. Un amore a prima vista, riconfermato leggendo gli altri romanzi, la biografia, i saggi critici dedicati a lei.
Ho pubblicato la prima edizione di questo saggio nel 2009. Tredici anni dopo la scrittrice è un po’ più nota in Italia, alcuni suoi romanzi sono stati pubblicati anche di recente. Ma rimane una scrittrice per pochi. Vestita di un rigoroso total black, molto simile alle governanti che abitano i suoi libri, è capace di disegnare un carattere con un solo tratto di carboncino: chiaroscuro che diventa rivelatorio tra le parole, sotto i discorsi, nell’inconscio - o in un surreale troppo-conscio e iperlogico - di verbose esistenze che si dipanano inerti tra le mura di spoglie tenute tardo vittoriane. Dove la malvagità è spesso impunita, le relazioni affettive sono declinate in tutti i modi possibili, e tuttavia Londra ha perso la sua Ivy, titolava un articolo del Guardian di qualche tempo fa. I suoi libri non si trovano, lamentava l’autore. Che ne era stato della pensatrice radicale, tra le poche eretiche moderne, a detta di Mary McCarthy? Il suo dialogo è troppo elegante, troppo intellettuale? O è una rimozione collettiva della famiglia patriarcale post-vittoriana, raccontata da un’autrice nei cui romanzi, come sottolinea l’ammiratore Edward Sackville-West, a parte la violenza fisica e la fame, non c’è alcuna caratteristica del regime totalitario che non abbia la sua controparte nelle famiglie atroci?
Certo, Compton-Burnett sa raffigurare il lato doloroso, e anche respingente, della famiglia, trasmettendo un senso di misteriosa stranezza: i personaggi si muovono in un ambiente domestico che però non è familiare, che li fa sentire alienati, che è anormale per i loro sviluppi psicologici; che è inquietante e, freudianamente, unheimlich.
Ma il dolore, mentale più che fisico, innerva i dialoghi con quel particolare sense of humour che spesso è un catartico rovescio del sense of tragic. E c’è sottesa sempre una riflessione filosofica. Se nelle sue trame le sorti del mondo sono nelle mani dei tiranni, la scrittrice mette al centro i contemplativi, antieroi dalla voce suadente, ironici atarassici inadeguati alle belligeranze ma con l’arma del linguaggio.
Purtroppo per gli estimatori di Ivy, però, le sorti dei suoi libri sono in mano ad altri tiranni: editori e librai.
Interno con despota
¹
Quanti scrittori possono vantare di aver suscitato l’insonnia di Virginia Woolf, che nel Diario di una scrittrice ammette di essersi svegliata in preda a un’acuta sofferenza, pensando al suo libro come a qualcosa di morto e deludente, e molto inferiore all’amara verità e all’originalità intensa di Miss Compton-Burnett? Lei non ricambiava la stima, anzi pensava che Woolf fosse sopravvalutata, e invidiava piuttosto le scrittrici di bestseller come Rose Macaulay e Daphne du Maurier. Di ambizione non era priva, ma la sua scrittura non era destinata a molti lettori; solo dopo la sua morte, nel 1969, un certo mondo intellettuale se ne invaghì. Natalia Ginzburg, quei romanzi – il cui ritmo è uguale e senza scampo di chi sa dove andare e la cui pazienza è martellante e infernale – ammette di amarli in un modo furioso. Per Alberto Arbasino c’è nell’opera della grande signorina qualcosa di simile a un Seneca devastato dai dadaisti. Nathalie Sarraute annota in L’ère du soupçon che niente potrebbe essere più sorprendente che la monotona ostinazione con cui, durante quarant’anni di lavoro, la Compton-Burnett ha posto e risolto in modo identico gli stessi problemi. Ma Ivy ha gusti classici, non contraccambia l’interesse per la maestra del nouveau roman. Per capire l’originalità dei suoi venti romanzi, pubblicati dal 1911 al 1971, e della sua natura conservatrice nella forma ma sovversiva nel senso, è utile ripercorrere la sua vita eccentrica. Nata a Pinner (Londra) nel 1884 da una famiglia della middle class, Ivy Compton-Burnett racconta storie della piccola nobiltà terriera tardo-vittoriana con l’aria di appartenere a quel mondo. La madre, Katherine Rees, seconda moglie di Thomas Compton Burnett, omeopata, sua ex paziente per problemi maniaco-depressivi, si rivela una madre priva di un qualunque senso materno, il che non le impedisce di avere altri sei figli dopo Ivy, oltre che essere matrigna dei cinque figli nati dal precedente matrimonio del marito. Snob tanto da imporre il trattino al cognome, prototipo di tutti i tiranni che la futura scrittrice forgerà nei suoi romanzi, Katherine è circondata da molte governanti e conduce una vita separata da figli e figliastri e anche dal marito, che perlopiù vive in un albergo a Londra. In aggiunta al clima terrificante nella famiglia, la vita della futura scrittrice è funestata da perdite drammatiche. L’inseparabile fratello Guy muore di polmonite nel 1905, gettando anche la madre nella depressione tanto da morirne, nel 1911, e lasciando Ivy a occuparsi di fratelli e sorelle, nel ruolo di padrona tipica delle sue narrazioni familiari. Due sorelle minori, Topsy e Primrose, commettono un bizzarro doppio suicidio con il Veronal nel 1917, e nello stesso anno muore nella battaglia di Somme il fratello minore, Noel. Lei stessa rischia di morire durante l’epidemia di influenza dopo la guerra. Nel 1919 comincia la lunga convivenza con l’esperta di mobili antichi Margaret Jourdain. Gli amici hanno opinioni differenti sulla loro relazione, ma Ivy taglia corto affermando che loro sono ‘neutre’. Un ménage sereno nonostante qualche diversità di vedute in ambito creativo; Margaret Jourdain un giorno ammette: Naturalmente non ho mai letto la spazzatura di Ivy. Con questo passato alle spalle, ma così riservata in pubblico e abile nella reticenza fuorviante, Ivy ha spesso ribadito di avere avuto una vita pressoché priva di eventi, tanto che negli anni Cinquanta era nota nel mondo letterario come the English Secret.
Segreto inscalfibile o quasi.
L’originalità dello stile è evidente a partire dai titoli scelti da Ivy, che hanno la struttura tradizionale del romanzo ottocentesco, con echi innanzitutto austeniani, ma con una torsione parodistica, beffarda, che riesce a rendere strana e straniante una forma nota. A parte il primo, Dolores, e l’ultimo postumo The Last and The First ma scelto comunque con i criteri dell’autrice, gli altri diciotto coniati da lei fanno parte di una famiglia in cui ci sono rime, come Pastors and Masters, allitterazioni, come A Family and a Fortune, assonanze, come Elders and Betters; e poi, titoli con concetti antitetici, come The Present and the Past, Darkness and Day, o che si riferiscono a rapporti domestici come Mother and Son, Manservant and Maidservant. Preannunciano che si racconterà di interni inglesi scanditi dalla dialettica servo-padrone, e suggeriscono temi che si svilupperanno, con variazioni diverse di trama in trama, in tenute di campagna pressoché identiche, dove peraltro la natura e tutto ciò che va oltre il dialogo resta nell’ombra, e dove tutti i personaggi parlano nella stessa lingua che Ivy regala loro. Ma sono anche titoli assertivi in modo particolare, per l’uso che si fa dell’equilibrio e del ritmo.
La struttura di ciascun titolo evidenzia la concentrazione di Compton-Burnett per la forma dialogica, e riflette la sua costante, profonda e analitica attenzione per il linguaggio. Un linguaggio che racconta in modo ossessivo – con accenti che sembrano scaturire da uno stato post-traumatico – il potere e la possessività che dominano le relazioni familiari.
I romanzi sono ironie polifoniche che si disseminano negli incessanti dialoghi tra i personaggi, e raccontano di cattivi matrimoni, vedove sofferenti, figlie sospinte dal senso del dovere; romanzi a loro modo femministi, se non fosse che la scrittrice non segue le convenzioni del ruolo di genere, e che la preferenza sessuale e l’abitudine cambiano senza troppi problemi, in variazioni e non deviazioni. E quindi il tema ricorrente dell’incesto, che sia reale o immaginario, non solleva argomentazioni e analisi ma, così come l’adulterio e l’eccessivo attaccamento parentale o filiale, è presentato in modo freddo, quasi divertito. Ivy non è scioccata nel considerare questi aspetti della vita, ma anzi è affascinata dalle dinamiche del controllo manipolatorio. Forte delle tragedie greche studiate da ragazza e rivisitate con echi shakespeariani, austeniani, wildiani, e quel disincanto verso religione e famiglia assorbito dall’amato Samuel Butler, inserisce i fatti nel flusso dell’ordinario; tutto ciò che fanno le persone non è che la superficie e il materiale della vita; elementi che suggeriscono un significato profondo ma