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Indiana
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E-book331 pagine5 ore

Indiana

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Info su questo ebook

Nel suo primo romanzo George Sand ci racconta la storia della dolce e appassionata Indiana, creatura incantevole che scopre l’amore tra innocenza, passione, dolore, abbandono...

Indiana Delmare, bella e malinconica, vive con l’anziano marito in un castello della provincia francese. Con loro il cugino, il baronetto inglese Ralph Brown, devoto e fedele a Indiana, la protegge da sempre sopportando la noncuranza della giovane donna nei suoi confronti. Più sensibile e ingenua di tante altre donne, si innamora appassionatamente di Raymon de Ramière, nobile affascinante e superficiale, che la corteggia assiduamente fino a conquistare il suo cuore. Indiana ignora che proprio Raymon sta intrattenendo una relazione segreta con Noun, sua amica d’infanzia. Questo darà l’avvio a una serie di eventi drammatici che porteranno Indiana a mettere in discussione il suo cuore e a interrogarsi sulla vita, sul destino, sulla società dell’epoca e sulle leggi del tempo.

Un classico romantico da scoprire e riscoprire.
Oltre all’amore George Sand interviene attivamente nella storia condividendo le sue idee rivoluzionarie e moderne di cambiamento sociale, indipendenza femminile, lotta di classe, al fine di creare una società più equa e più giusta.

“Indiana è la storia di un amore appassionato e moderno, la vera storia del cuore di una donna.”
(Le Figaro, 1832)
 
LinguaItaliano
Data di uscita9 ago 2023
ISBN9781915077110
Indiana
Autore

George Sand

George Sand (1804-1876), born Armandine Aurore Lucille Dupin, was a French novelist who was active during Europe’s Romantic era. Raised by her grandmother, Sand spent her childhood studying nature and philosophy. Her early literary projects were collaborations with Jules Sandeau, who co-wrote articles they jointly signed as J. Sand. When making her solo debut, Armandine adopted the pen name George Sand, to appear on her work. Her first novel, Indiana was published in 1832, followed by Valentine and Jacques. During her career, Sand was considered one of the most popular writers of her time.

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    Anteprima del libro

    Indiana - George Sand

    INDIANA

    George Sand

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    Proprietà letteraria riservata

    Copyright ©2020 Ghostly Whisper Ltd.

    Autore: George Sand

    Titolo originale: Indiana (1832)

    Traduzione: Barbara Morgan

    Revisione: Elena Cassidy

    Progetto grafico: Le Muse - Grafica

    A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

    ISBN  978-1-915077-11-0

    Website: http://www.ghostlywhisper.com

    Facebook: https://www.facebook.com/ghostlywhisperltd

    Instagram: https://www.instagram.com/ghostlywhisperltd

    Twitter: https://twitter.com/GW_BooksEtc

    Nel suo primo romanzo George Sand ci racconta la storia della dolce e appassionata Indiana, creatura incantevole che scopre l’amore tra innocenza, passione, dolore, abbandono...

    Indiana Delmare, bella e malinconica, vive con l’anziano marito in un castello della provincia francese. Con loro il cugino, il baronetto inglese Ralph Brown, devoto e fedele a Indiana, la protegge da sempre sopportando la noncuranza della giovane donna nei suoi confronti. Più sensibile e ingenua di tante altre donne, si innamora appassionatamente di Raymon de Ramière, nobile affascinante e superficiale, che la corteggia assiduamente fino a conquistare il suo cuore. Indiana ignora che proprio Raymon sta intrattenendo una relazione segreta con Noun, sua amica d’infanzia. Questo darà l’avvio a una serie di eventi drammatici che porteranno Indiana a mettere in discussione il suo cuore e a interrogarsi sulla vita, sul destino, sulla società dell’epoca e sulle leggi del tempo.

    Un classico romantico da scoprire e riscoprire.

    Oltre all’amore George Sand interviene attivamente nella storia condividendo le sue idee rivoluzionarie e moderne di cambiamento sociale, indipendenza femminile, lotta di classe, al fine di creare una società più equa e più giusta.

    Indiana è la storia di un amore appassionato e moderno, la vera storia del cuore di una donna.

    (Le Figaro, 1832)

    BIOGRAFIA

    George Sand è nata come Amantine Aurore Lucile Dupin il 1 luglio 1804 a Parigi. Dalla morte del padre nel 1808 viene cresciuta a Nohant, in casa di sua nonna, dove trascorrerà gran parte della sua vita nonostante i frequenti soggiorni a Parigi.

    In seguito a un matrimonio infelice, si crea un circolo di amici, lascia il marito e si trasferisce a Parigi, dove scrive un romanzo con Jules Sandeau, con cui ha una relazione. Indiana è il primo romanzo che scrive da sola e pubblica nel 1832 con il nome G. Sand. Con il secondo romanzo Valentine inizia a usare lo pseudonimo George Sand. Tra le sue relazioni più celebri ci sono state quelle con lo scrittore Alfred de Musset e il musicista Fryderyk Chopin. Ammirata da Dostoievskij e Mazzini, era grande amica di Balzac, Flaubert e di Jules Néraud al quale si rivolge (come espediente letterario) nella conclusione di Indiana.

    La sua immensa produzione letteraria comprende decine di romanzi, lavori teatrali, saggi, lettere, articoli di giornale. Fu una delle figure più celebrate del diciannovesimo secolo, non solo in Francia ma in tutta Europa. Famosa presso il pubblico di ogni livello, aveva conservato un’incredibile modestia.

    Inculcò al suo tempo il dovere di liberare donne e uomini dalla schiavitù politica e sessuale, traendo la lezione da esperienze vissute personalmente. Divenne l’emblema della donna scandalo che aveva fatto parlare la buona società per le sue stranezze e i suoi amori, la femminista che si era battuta per i diritti della donna nei suoi romanzi audaci. Ma nei suoi scritti sopravviveva comunque il desiderio di dare permanenza ai costumi e alle credenze locali, soprattutto nei suoi romanzi pastorali più celebri, come La piccola Fadette e La palude del diavolo.

    Non solo la sua arte, ma la sua vita, avventurosa come un romanzo, è la creazione più durevole. Continuò a scrivere fino alla morte nel 1876.

    INTRODUZIONE

    Indiana è il primo romanzo che George Sand scrisse da sola, in sei settimane, e che divenne il primo successo che lanciò la carriera dell’autrice nel 1832.

    Nella storia già si intravede, oltre il sottofondo autobiografico, il principio della libertà dell’amore, l’impulso verso una migliore educazione per le donne e un nuovo atteggiamento nei confronti della loro posizione in società.

    La critica dell’epoca era convinta che la scrittura maschile e femminile fosse essenzialmente diversa. Ma Indiana combina in sé tratti maschili e femminili, una forza e una virilità maschile unite alla grazia e alla delicatezza femminile. In ogni caso, considerata l’enfasi data al dolore di una donna nella società patriarcale, nessun uomo probabilmente avrebbe potuto descrivere una tale condizione nello stesso modo o ritrarre il personaggio di Raymon come ha fatto George Sand. Il colonnello Delmare, incarnando invece l’idea di legge che riduce le donne a merce di scambio, evidenzia quanto l’istituzione del matrimonio fosse oppressiva per la dignità delle donne. Solo in Sir Ralph, doppio di Indiana e suo spirito affine, si intravede un riconoscimento morale e spirituale.

    Ognuno dei tre personaggi maschili principali rappresenta una specifica posizione politica e il romanzo eccelle per l’accuratezza storica. Nel contempo però Indiana mostra chiaramente che la politica non riguarda soltanto i dibattiti tra gli uomini ma fa parte anche della vita delle donne.

    Una perfetta simmetria è evidente anche nel triangolo dei personaggi femminili, che oltre a Indiana stessa include Laure de Nangy, erede aristocratica che avrà un ruolo decisivo nella storia, e Noun, cameriera e amica d’infanzia di Indiana. Un po’ come Emma Bovary, protagonista del celebre romanzo Madame Bovary dell’amico Flaubert, Indiana risponde alla perdita delle illusioni e delle fantasie con una profonda e spesso silenziosa depressione.

    Il linguaggio nel libro diventa emblema di differenza insuperabile tra le classi sociali, così come il confine tra idealismo e realismo, colonia e metropoli, natura e città. Forse perché il linguaggio non appartiene davvero a nessuno, come gli oggetti di una stanza d’albergo descritti nella storia. Allo stesso modo il blocco e l’incapacità linguistica prevengono il vero se stesso dalla possibilità di esprimersi.

    Eccellenti sono le descrizioni dettagliate e poetiche dell’ambiente e della natura, simboleggiate dall’amore idilliaco, ambientate ai tropici, narrate nella storia spesso citata da Indiana e Ralph, Paul e Virginie (di Bernardin de Saint-Pierre).

    Permane in tutto il romanzo la speranza per le donne di una trasformazione radicale della loro condizione. Indiana forse non diventa un modello per una nuova generazione di donne, ma rappresenta comunque un’innovazione.

    George Sand, attraverso i suoi romanzi e la sua storia, rimane un personaggio straordinario in qualunque epoca. Assunse un nome maschile per essere uno scrittore tra gli scrittori, a causa delle difficoltà incontrate dalle donne nel pubblicare romanzi, degli ostacoli posti sul loro cammino e del sistema sociale e legale che toglieva loro la proprietà delle loro produzioni letterarie. Non fu comunque la sola autrice del diciannovesimo secolo ad adottare uno pseudonimo maschile.

    Si avviò così la metamorfosi di una giovane donna nella figura più scandalosa del tempo. Una donna che si vestiva da uomo e fumava sigari, una donna che ebbe rapporti con i maggiori artisti del romanticismo e fu coinvolta in amori tempestosi, una donna il cui contegno venne giudicato scandaloso dalla società benpensante. Una donna vissuta tra fuoco, talento, fulgore, bellezza e rivoluzioni della sua epoca, tanto che la critica la accusò apertamente di ateismo, di blasfemia e di immoralità.

    Ma proprio questa era la sua fedeltà. Era troppo fedele a se stessa per esserlo agli uomini che aveva amato, alle persone che incontrava, all’epoca che viveva. Perché la fedeltà a se stessi è il vero fondamento per avere una direzione costante nella vita, è costruire un rapporto preliminare, indispensabile a ogni altro. Nonostante i tentativi di una società a larga dominanza maschile George Sand non apparteneva a nessuno. La sua stessa opera è l’espressione del bisogno di indipendenza delle donne dagli uomini.

    Perché George Sand ha alzato la sua voce di donna mentre le altre donne tacevano. Si è resa padrona della propria vita. Ed è proprio questa la sua opera più importante: la sua vita.

    BARBARA MORGAN

    DALLE PREFAZIONI DI GEORGE SAND A INDIANA

    "Ho scritto Indiana nell’autunno del 1831. È stato il mio primo romanzo. L’ho scritto senza progetti, senza una teoria estetica o filosofica in mente. L’ho scritto in un’età in cui una persona scrive istintivamente e quando la riflessione serve solo a confermare le nostre tendenze naturali. La gente ha voluto vederlo come una disputa studiata con cura contro il matrimonio. Non stavo cercando di fare qualcosa di così importante e sono rimasta sorpresa da tutte le belle cose che i critici hanno trovato da dire a proposito delle mie intenzioni sovversive. La critica è fin troppo intelligente e proprio questa sarà la sua fine. Non giudica mai semplicemente ciò che è stato fatto semplicemente. Cerca mezzogiorno alle due del pomeriggio, come recita il vecchio proverbio, e deve aver fatto un grande danno agli artisti che prestano troppa attenzione alle sue opinioni."

    Se cercate una spiegazione di tutto nel libro, Indiana è un simbolo. È una donna, la creatura debole a cui è affidato il compito di ritrarre passioni represse o, se preferite, soppresse dalla legge. È il desiderio alle prese con la necessità, è l’amore che si scaglia alla cieca contro tutti gli ostacoli della civiltà. Ma il serpente si consuma i denti e li rompe quando cerca di mordere una lama. Il potere dell’anima si esaurisce quando cerca di lottare contro la realtà della vita. Questa è la conclusione che si può trarre da questa storia, questo il suo significato quando è stata narrata a chi ve la trasmette.

    "Coloro che mi hanno letto senza pregiudizio comprendono che ho scritto Indiana con il senso irragionevole, è vero, ma profondo e legittimo, dell’ingiustizia e della barbarie delle leggi che ancora governano l’esistenza delle donne nel matrimonio, nella famiglia e nella società. Il mio compito non era quello di scrivere un trattato sulla giurisprudenza, ma di lottare contro l’opinione pubblica, perché è ciò che ritarda o promuove i miglioramenti sociali. La guerra sarà lunga e dura, ma io non sono il primo, né l’unico, né l’ultimo, difensore di una causa così bella, e la difenderò finché rimarrà in me un soffio di vita."

    Libertà di pensiero, libertà di scrivere e parlare, sacra conquista dello spirito umano! Quali sono le piccole sofferenze e le fugaci preoccupazioni causate dai tuoi errori e abusi paragonate alle infinite benedizioni che porti al mondo?

    Prima parte

    CAPITOLO 1

    In una fresca e piovosa sera d’autunno, in un piccolo castello della Brie, tre persone immerse nei loro pensieri erano seriamente impegnate a osservare i ceppi nel camino che bruciavano e la lancetta del pendolo che si spostava lentamente. Due di questi silenziosi individui sembravano completamente rassegnati alla vaga noia che incombeva su di loro. Ma il terzo dava segni di aperta ribellione: si agitava sulla sedia, reprimeva a metà alcuni sbadigli malinconici e colpiva con le pinze i ceppi scintillanti, con l’intenzione evidente di combattere contro il nemico comune.

    Questa persona, molto più anziana degli altri due, era il padrone di casa, il colonnello Delmare, un vecchio ufficiale in pensione, bell’uomo un tempo ma ora appesantito e calvo, con i baffi grigi e uno sguardo feroce. Padrone eccellente davanti al quale tremavano tutti: moglie, servi, cavalli e cani.

    Abbandonò infine la sedia, ovviamente spazientito per non sapere come rompere il silenzio, e cominciò a camminare pesantemente avanti e indietro per il salotto. Ma senza perdere per un momento i movimenti rigidi di un vecchio militare, tenendo la schiena dritta e girandosi tutto in una volta, con quel perpetuo autocompiacimento tipico dell’ufficiale di parata in servizio.

    Ma i giorni brillanti, in cui il tenente Delmare respirava la vittoria nell’aria dei campi militari, erano passati. L’anziano ufficiale in pensione, ora dimenticato dalla patria ingrata, si ritrovò condannato a subire tutte le conseguenze del matrimonio. Era il marito di una donna giovane e bella, il proprietario di un comodo maniero con le sue dipendenze e anche un industriale di successo. Per cui il colonnello era di cattivo umore, soprattutto quella sera, perché il tempo era umido e lui aveva i reumatismi.

    Attraversò gravemente il suo vecchio salotto arredato in stile Luigi XV. A volte fermandosi davanti a una porta sormontata da amorini nudi affrescati che incatenavano con fiori cerve educate e cinghiali domati, altre volte di fronte a un pannello sovraccarico di sculture magre e tormentate, dove l’occhio si sarebbe stancato invano a seguire i tortuosi capricci e gli infiniti abbracci. Ma queste vaghe e fugaci distrazioni non impedivano al colonnello, a ogni giro della sua passeggiata, di lanciare uno sguardo lucido e profondo ai due compagni della sua silenziosa veglia, spostando dall’uno all’altro gli occhi attenti che da tre anni vigilavano un tesoro fragile e prezioso, sua moglie.

    Perché sua moglie aveva diciannove anni e, se l’aveste vista sprofondata nell’angolo di quell’immenso camino di marmo bianco intarsiato di rame dorato, se l’aveste vista, così fragile, così pallida, così triste, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, così giovane in quella vecchia casa, accanto a quel marito anziano, simile a un fiore appena nato in  un vaso gotico, avreste provato pena per la moglie del colonnello Delmare e forse ancora di più per il colonnello.

    Il terzo occupante di quella casa isolata era seduto all’angolo del camino, all’altra estremità del ceppo incandescente. Era un uomo nel pieno vigore della forza e della giovinezza, le cui guance lucenti, la ricca capigliatura di un biondo brillante, i favoriti folti, contrastavano con i capelli ingrigiti, la carnagione spenta e l’aspetto ruvido del padrone. Ma il meno artista degli uomini avrebbe comunque preferito l’espressione rude e austera di Delmare ai tratti regolari e insipidi del giovane. La figura paffuta, incisa in rilievo sulla lastra di lamiera che occupava il fondo del camino, era forse meno monotona, con il suo sguardo incessantemente fissato sulle braci ardenti, di quanto non lo fosse nella stessa contemplazione il personaggio rubicondo e biondo di questa storia. Eppure il vigore evidente delle sue forme, la nitidezza delle sue sopracciglia marroni, il bianco candore della sua fronte, la calma dei suoi occhi limpidi, la bellezza delle sue mani e persino la rigorosa eleganza del suo abito da caccia, lo avrebbero fatto passare per uno splendido cavaliere agli occhi di ogni donna affezionata ai cosiddetti gusti filosofici di un altro secolo. Ma forse la giovane e timida moglie del signor Delmare non aveva mai osservato un uomo; forse mancava, tra quella donna fragile e sofferente e quell’uomo placido e buono, un minimo di simpatia. È certo che il marito arguto staccò i suoi occhi di avvoltoio senza sorprendere uno sguardo, un sussurro, un palpito tra quei due esseri così diversi. Quindi, sicuro di non avere nemmeno un motivo di gelosia a occupargli la mente, cadde in una tristezza più profonda di prima e immerse bruscamente le mani in fondo alle tasche.

    L’unica figura felice e affettuosa in quel gruppo era un bellissimo cane da caccia della razza dei grifoni, che aveva posato la testa sulle ginocchia dell’uomo seduto. Era notevole per la figura slanciata, le robuste zampe pelose, il muso affusolato come quello di una volpe e l’aspetto spiritoso con il pelo irto e disordinato, attraverso il quale due grandi occhi fulvi brillavano come due topazi. Quegli occhi da cane da corsa, così sanguigni e scuri nell’ardore della caccia, ebbero poi un’indefinibile espressione di malinconia e tenerezza. E quando il padrone, oggetto di tutto quell’amore istintivo a volte superiore agli affetti ragionati dell’uomo, scorreva le dita tra il suo pelo argentato, gli occhi dell’animale scintillavano di piacere, mentre la sua lunga coda spazzava ritmicamente il focolare, spargendo la cenere sull’intarsio del parquet.

    Quella scena d’interni, per metà illuminata dalla fiamma del focolare, avrebbe potuto essere il soggetto di un dipinto in stile Rembrandt. Bagliori bianchi e fugaci inondavano la stanza e le figure a intervalli, poi, passando al tono rosso delle braci, si spegnevano gradualmente; la vasta sala si oscurava quindi progressivamente. Ogni volta che il signor Delmare si girava mentre camminava, passando davanti al fuoco, appariva come un’ombra e si perdeva immediatamente nelle misteriose profondità del salone. Alcune lame dorate spiccavano qua e là con luci luminose sulle cornici ovali cariche di corone, di medaglioni e di nastri di legno, sui mobili decorati con ebano e rame e persino sulle cornici sfilacciate lavorate in legno. Ma quando un tizzone quasi spento cedeva il suo brillare a un altro punto ardente del focolare, gli oggetti, prima luminosi, rientravano nell’ombra e altre brillanti asperità si distinguevano dall’oscurità. Così si sarebbero potuti cogliere, uno alla volta, tutti i dettagli del dipinto; ora la mensola sorretta da tre grandi tritoni dorati, ora il soffitto dipinto che rappresentava un cielo punteggiato di nuvole e stelle, ora le pesanti tende di damasco cremisi con le lunghe frange che rispecchiavano i loro riflessi satinati e le cui ampie pieghe sembravano agitate dall’incostante chiarezza.

    Si sarebbe detto, vedendo l’immobilità delle due figure in rilievo davanti al focolare, che temessero di disturbare l’immobilità della scena. Fissi e pietrificati come gli eroi di una fiaba, si sarebbe detto che la minima parola, il minimo movimento avrebbero abbattuto su di loro le mura di una città fantastica. Mentre il tenebroso padrone, che con passo regolare era il solo a spezzare l’ombra e il silenzio, somigliava molto a uno stregone che li teneva sotto un incantesimo.

    Finalmente il cane, dopo aver ottenuto uno sguardo di compiacenza dal suo padrone, cedette al potere magnetico che la pupilla dell’uomo esercita su quella degli animali intelligenti. Emise un leggero mugolio di timorosa tenerezza e gettò le zampe sulle spalle del suo amato padrone con leggerezza e grazia inimitabili.

    «Giù, Ophelia! Giù!»

    E il giovane rivolse in inglese un severo rimprovero al docile animale che, vergognoso e pentito, si trascinò strisciando verso la signora Delmare come per chiederle protezione. Ma la signora Delmare non uscì dalle sue fantasticherie e lasciò che la testa di Ophelia si posasse sulle sue mani bianche, che teneva incrociate sulle ginocchia, senza concederle una carezza.

    «Quindi questa cagna si è installata nel salotto?» disse il colonnello, segretamente soddisfatto di aver trovato un motivo di malumore per passare il tempo. «Nel canile, Ophelia! Vai fuori, stupida bestia!»

    Se qualcuno avesse osservato da vicino la signora Delmare, avrebbe potuto indovinare, in quella circostanza banale e comune, il doloroso segreto di tutta la sua vita. Un brivido impercettibile le attraversò il corpo e le mani, che sostenevano senza pensare la testa dell’animale preferito, si strinsero rapidamente attorno al collo ruvido e peloso, come per trattenerlo e preservarlo. Il signor Delmare estrasse la sua frusta da caccia dalla tasca della giacca, avanzò con aria minacciosa verso la povera Ophelia che si accucciò ai suoi piedi, chiudendo gli occhi ed emettendo guaiti di dolore e di paura. La signora Delmare divenne ancora più pallida del solito; il seno le si gonfiò convulsamente e volgendo i grandi occhi azzurri verso il marito disse con un’espressione di terrore indefinibile:

    «Vi prego, signore, non uccidetela!»

    Quelle poche parole fecero trasalire il colonnello. Un senso di tristezza prese il posto della sua inclinazione alla rabbia.

    «Questo, signora, è un rimprovero che capisco molto bene e che non mi avete risparmiato dal giorno in cui in un momento di furia ho ucciso il vostro spaniel durante la caccia» disse. «Non è una grande perdita? Un cane che correva sempre avanti e si accaniva sulla selvaggina! A chi non avrebbe fatto perdere la pazienza? Inoltre, lo avete tanto amato solo dopo la morte; in precedenza non vi interessava affatto, ma ora che per voi è un’occasione di biasimarmi...»

    «Vi ho mai fatto un rimprovero?» disse la signora Delmare con la dolcezza che si ha per generosità con le persone che si amano e per rispetto di se stessi con quelle che non si amano.

    «Non ho detto questo» rispose il colonnello con tono a metà tra padre e marito. «Ma nelle lacrime di certe donne ci sono rimproveri più aspri che in tutte le imprecazioni di altre. Diavolo! Signora, sapete bene che non mi piace vedere piangere intorno a me...»

    «Non mi vedete mai piangere, credo.»

    «Eh! Non vi vedo con gli occhi sempre rossi? È ancora peggio, di sicuro!»

    Durante questa conversazione coniugale, il giovane si era alzato e aveva fatto uscire Ophelia con la massima calma. Poi tornò a sedersi di fronte alla signora Delmare, dopo aver acceso una candela e averla posata sulla mensola del camino.

    Quell’atto puramente casuale ebbe un’improvvisa influenza sull’umore del signor Delmare. Appena la candela gettò una luce più regolare e meno tremolante di quella del camino sulla moglie, notò l’aria di sofferenza e sconforto che, quella sera, si era diffusa su tutta la sua persona, il suo atteggiamento stanco, i lunghi capelli castani sciolti sulle guance sottili e i cerchi scuri sotto gli occhi spenti e arrossati. Fece qualche giro nella sala e poi, tornando dalla moglie con un cambiamento piuttosto brusco:

    «Come state oggi, Indiana?» chiese con la goffaggine di un uomo il cui cuore e carattere raramente concordano.

    «Come al solito, vi ringrazio» rispose lei senza mostrare né sorpresa né rancore.

    «Come al solito non è una risposta, o meglio è una risposta da donna, una risposta ambigua, che non significa né sì né no, né bene né male.»

    «Allora non sto né bene né male.»

    «Bene» riprese lui con rinnovata asprezza. «State mentendo. So che non state bene. L’avete detto a Sir Ralph qui presente. Avanti, ho mentito? Parlate, signor Ralph, ve l’ha detto?»

    «Me l’ha detto» rispose flemmatico l’uomo interrogato, senza prestare attenzione allo sguardo di rimprovero che Indiana gli rivolgeva.

    In quel momento entrò una quarta persona; era il factotum della casa, vecchio sergente del reggimento del signor Delmare. Spiegò in poche parole al signor Delmare che aveva ragioni per credere che dei ladri di carbone si fossero introdotti nel parco le notti precedenti, alla stessa ora, e che era venuto a chiedere un fucile per fare una ronda prima di chiudere le porte. Il signor Delmare, che vide una svolta militare in quell’avventura, prese immediatamente il suo fucile da caccia, ne diede un altro a Lelièvre e si preparò a lasciare la stanza.

    «Cosa?» disse la signora Delmare con paura «Uccidereste un povero contadino per qualche sacco di carbone?»

    «Ucciderò come un cane chiunque troverò di notte a vagare nella mia proprietà» rispose Delmare, irritato da quella obiezione. «Se conosceste la legge, signora, sapreste che mi autorizza a farlo.»

    «È una legge terribile» riprese Indiana con fervore. Poi, reprimendo immediatamente l’istinto aggiunse in tono più calmo: «Ma i vostri reumatismi? Dimenticate che piove e domani soffrirete se uscite stasera.»

    «Avete paura di essere obbligata a curare il vecchio marito!» rispose Delmare, aprendo bruscamente la porta.

    E uscì, continuando a brontolare contro la sua età e contro sua moglie.

    CAPITOLO 2

    Le due persone che abbiamo appena nominato, Indiana Delmare e Sir Ralph o, se si preferisce, il signor Rodolphe Brown, restarono una di fronte all’altra, calme, fredde come se il marito fosse stato tra loro. L’inglese non aveva pensato di giustificarsi e la signora Delmare sentiva di non avere gravi rimproveri da fargli, perché aveva parlato solo con buone intenzioni. Infine, sforzandosi di rompere il silenzio, lo rimproverò dolcemente.

    «Non va bene, mio caro Ralph» gli disse. «Vi avevo proibito di ripetere quelle parole sfuggite in un momento di sofferenza. Il signor Delmare era l’ultimo che avrei voluto informare sul mio male.»

    «Non vi capisco, mia cara» rispose Sir Ralph. «Siete malata e non volete curarvi. Quindi ho dovuto scegliere tra la possibilità di perdervi e la necessità di informare vostro marito.»

    «Sì» disse la signora Delmare con un sorriso triste. «E voi avete deciso di informare l’autorità

    «Avete torto, avete torto, parola mia, a lasciarvi amareggiare così contro il colonnello. È un uomo d’onore, un uomo degno.»

    «Ma chi dice il contrario, Sir Ralph?»

    «Eh, voi stessa, senza volerlo. La vostra tristezza, la vostra malattia e, come lui stesso nota, i vostri occhi rossi dicono a tutti in ogni momento che non siete felice...»

    «State zitto, Sir Ralph, andate troppo oltre. Non vi ho detto così tanto.»

    «Vi infastidisco, lo vedo. Cosa volete? Non sono intelligente, non conosco le sottigliezze della vostra lingua e quindi sono molto simile a vostro marito. Come lui ignoro completamente, sia in inglese sia in francese, cosa dire alle donne per consolarle. Un altro vi avrebbe fatto capire, senza dirvelo, il pensiero che vi ho appena espresso così goffamente; avrebbe trovato l’arte di entrare in confidenza con voi senza lasciarvi percepire i suoi progressi e forse sarebbe riuscito ad alleviare un po’ il vostro cuore che si irrigidisce e si chiude davanti a me. Non è la prima volta che noto quanto, soprattutto in Francia, le parole siano più importanti delle idee. Le donne soprattutto...»

    «Oh, avete un profondo disprezzo per le donne, mio caro Ralph. Sono sola qui contro due; quindi mi devo rassegnare a non avere mai ragione.»

    «Dacci torto, mia cara cugina, stando bene, riacquistando la tua allegria, la tua freschezza, la tua vivacità di un tempo; ricorda l’isola Borbone e il nostro delizioso rifugio a Bernica, la nostra infanzia gioiosa e la nostra amicizia vecchia quanto te...»

    «Ricordo anche mio padre» disse Indiana, sottolineando tristemente la risposta e posando la mano in quella di Sir Ralph.

    Caddero in un profondo silenzio.

    «Indiana» disse Ralph dopo una pausa. «La felicità è sempre alla nostra portata. Spesso basta solo allungare la mano per afferrarla. Cosa ti manca? Sei piuttosto benestante che è meglio di essere ricca, hai un marito eccellente che ti ama con tutto il cuore e, oserei dirlo, un amico sincero e devoto...»

    La signora Delmare strinse debolmente la mano

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