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E-book3.142 pagine69 ore

Tutti i romanzi

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Info su questo ebook

Introduzione di Armanda Guiducci
Edizioni integrali

Questo volume raccoglie tutti i romanzi della «più grande scrittrice d’avanguardia del Novecento europeo»: dalle prime prove ancora influenzate dalle forme del romanzo storico d’impianto ottocentesco, fino alle opere della maturità, il lettore può seguire l’evoluzione di una personalità, di uno stile e di un pensiero inconfondibili. Parallelamente e insieme all’imporsi dell’indagine nell’interiorità del personaggio, si fa strada nella narratrice inglese la conquista stilistica del “monologo interiore”, del “flusso di coscienza”, mentre il superamento dell’esteriorità dei modelli tradizionali di scrittura si accompagna alla precoce e dolorosa presa di coscienza della necessità di combattere il ruolo subalterno delle donne. Raggiungendo nelle sue pagine migliori la profondità di Proust e Joyce, la Woolf è oggi uno dei capisaldi della letteratura mondiale e la massima rappresentante della scrittura al femminile.

• La crociera
• Notte e giorno
• La camera di Jacob
• Mrs Dalloway
• Gita al faro
• Orlando
• Le onde
• Gli anni
• Tra un atto e l’altro


Virginia Woolf
nacque a Londra nel 1882. Figlia di un critico famoso, crebbe in un ambiente letterario certamente stimolante. Fu a capo del gruppo di Bloomsbury, circolo culturale progressista che prendeva il nome dal quartiere londinese. Con il marito fondò nel 1917 la casa editrice Hogarth Press. Grande estimatrice dell’opera di Proust, divenne presto uno dei nomi più rilevanti della narrativa inglese del primo Novecento. Morì suicida nel 1941. La Newton Compton ha pubblicato Gita al faro, Una stanza tutta per sé, Mrs Dalloway, Orlando, Notte e giorno, La crociera, Tutti i racconti e il volume unico Tutti i romanzi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854141919
Tutti i romanzi
Autore

Virginia Woolf

Virginia Woolf was an English novelist, essayist, short story writer, publisher, critic and member of the Bloomsbury group, as well as being regarded as both a hugely significant modernist and feminist figure. Her most famous works include Mrs Dalloway, To the Lighthouse and A Room of One’s Own.

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    Anteprima del libro

    Tutti i romanzi - Virginia Woolf

    Indice

    Il percorso creativo di Virginia Woolf. Introduzione di Armanda Guiducci

    Nota biobibliografica, a cura di Paola Faini e Tommaso Pisanti

    LA CROCIERA

    In viaggio con Virginia Woolf. Premessa di Ornella De Zordo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Capitolo quattordicesimo

    Capitolo quindicesimo

    Capitolo sedicesimo

    Capitolo diciassettesimo

    Capitolo diciottesimo

    Capitolo diciannovesimo

    Capitolo ventesimo

    Capitolo ventunesimo

    Capitolo ventiduesimo

    Capitolo ventitreesimo

    Capitolo ventiquattresimo

    Capitolo venticinquesimo

    Capitolo ventiseiesimo

    Capitolo ventisettesimo

    NOTTE E GIORNO

    La trama del desiderio: dalla notte al giorno. Premessa di Pietro Meneghelli

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Capitolo quattordicesimo

    Capitolo quindicesimo

    Capitolo sedicesimo

    Capitolo diciassettesimo

    Capitolo diciottesimo

    Capitolo diciannovesimo

    Capitolo ventesimo

    Capitolo ventunesimo

    Capitolo ventiduesimo

    Capitolo ventitreesimo

    Capitolo ventiquattresimo

    Capitolo venticinquesimo

    Capitolo ventiseiesimo

    Capitolo ventisettesimo

    Capitolo ventottesimo

    Capitolo ventinovesimo

    Capitolo trentesimo

    Capitolo trentunesimo

    Capitolo trentaduesimo

    Capitolo trentatreesimo

    Capitolo trentaquattresimo

    LA CAMERA DI JACOB

    La svolta di Jacob. Premessa di Tommaso Pisanti

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Capitolo quattordicesimo

    MRS DALLOWAY

    Tra i rintocchi del Big Ben. Premessa di Pietro Meneghelli

    GITA AL FARO

    Premessa di Armanda Guiducci

    I. La finestra

    II. Il tempo passa

    III. Il Faro

    ORLANDO

    Premessa di Maura Del Serra

    Prefazione dell’autrice

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    LE ONDE

    Premessa di Maura Del Serra

    GLI ANNI

    Premessa di Paola Faini

    1880

    1891

    1907

    1908

    1910

    1911

    1913

    1914

    1917

    1918

    Il tempo presente

    TRA UN ATTO E L’ALTRO

    Premessa di Flaviana Sortino

    232

    Prima edizione ebook: ottobre 2012

    © 1994 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4191-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Virginia Woolf

    Tutti i romanzi

    La crociera - Notte e giorno - La camera di Jacob - Mrs Dalloway

    Gita al faro - Orlando - Le onde - Gli anni - Tra un atto e l’altro

    Introduzione generale di Armanda Guiducci

    Premesse ai testi di Maura Del Serra, Ornella De Zordo, Paola Faini,

    Armanda Guiducci, Pietro Meneghelli, Tommaso Pisanti, Flaviana Sortino

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Il percorso creativo di Virginia Woolf

    Nel nostro secolo tanto ricco di ottime scrittrici (pensiamo solo a Karen Blixen, Marina Cvetaeva, Anna Achmatova, Katharine Mansfield, Simone de Beauvoir, Marguerite Yourcenar, tanto per una veloce citazione), Virginia Woolf resta, e resterà per qualche secolo di là dal «confine» del Duemila, la più grande scrittrice d’avanguardia del Novecento europeo fra Proust (che amava) e Joyce (che aborriva). Amava Proust (la cui lettura le era stata proposta in anteprima culturale dalla sua cerchia veramente progressista di Bloomsbury) per l’ampia gamma sottile e vibratile delle rifrazioni psicologiche nelle quali si dissolveva il personaggio tradizionale a contorni perfettamente chiusi, realistici, inafferrabile, ahimè, nella sua interiorità.

    «L’aspetto individuale, i segni caratteristici sono realtà puerili. Sotto di essi tutto è buio, diffuso, insondabilmente profondo» (Gita al faro). Aborriva Joyce per i suoi «vortici di oscenità». L’amica scrittrice K. Mansfield le aveva portato da visionare l’Ulysses in forma di scartafaccio, convinta si trattasse di un testo straordinario.

    Una attività critica intensa e ininterrotta, iniziata fin da giovanissima, la condusse a meditare sui problemi della letteratura e a chiarire a se stessa le ragioni della propria poetica, commisurandola sul solido blocco della tradizione letteraria inglese, e la portò ben presto alla audace convinzione che il romanzo tradizionale di fattura ottocentesca non corrispondesse più né alla realtà mutata del Novecento né, soprattutto, all’essere umano mutato. «Il carattere umano è mutato», scriveva nel dicembre 1910, «si è fatto frammentario ed elusivo.»

    Nel 922 Virginia ruppe gli ormeggi, si lanciò; e scrisse, dedicato a Thoby, l’amato fratello morto, La camera di Giacobbe. Aveva già dolorosamente varato (sette stesure fra una minaccia e l’altra di follia), forse con l’occhio a Jane Austen, che ammirava, un romanzo del tutto tradizionale: La crociera e, poco dopo, Notte e giorno, uscito a filo con la guerra mondiale, nel 1919, il cui tradizionalismo indignò molto K. Mansfield (non era più possibile scrivere così, dopo una guerra che aveva sconvolto il mondo!), ma che per lei, Virginia, rappresentarono un banco di prova, una sfida estrema al grande romanzo realistico, per lei incarnato al suo top in Tolstoj: era lei in grado di padroneggiare la tradizione realistica classica del romanzo inglese? Può essere anche che quel rifarsi alla tradizione realistica classica dei suoi esordi abbia rappresentato per lei una solida sporgenza cui aggrapparsi nelle crisi depressivo-maniacali che la perseguitarono dal ’13 al ’15, per due anni dopo il matrimonio con Leonard Woolf.

    La crociera e Notte e giorno, anche se prolissi (specie Notte e giorno) tutt’altro che privi di bellezza alla lettura, specie La crociera con le sue scene di delirio allucinatolo, vanno considerati due fasi del pervicace, ostinato processo di autorealizzazione di Virginia in scrittrice fra una crisi e l’altra a tendenza suicida. Sotto questo aspetto, essa fu, fino al fatale 1941, un’eroina: presentiva tutto l’orrore della perdita della lucidità, la terrifica minaccia della follia disgregatrice, lottò sempre con il costruirsi una identità di scrittrice sempre più salda e mediante la creatività. «Il pieno uso delle nostre facoltà significa felicità.»

    Gli anni fra il ’15 e il ’22 furono dunque un periodo cruciale di trasformazione della Woolf da aspirante scrittrice in scrittrice. Allorché scrisse secondo il realismo tradizionale i suoi primi due libri era tuttavia già in pieno conflitto con se stessa. Mentre scriveva Notte e giorno si era chiesta - a proposito dei romanzi impeccabilmente confezionati secondo verosimiglianza - «fatica sprecata giacché oscura e tarpa la luce dell’ispirazione» «È proprio così la vita? Devono essere proprio così i romanzi?».

    Nei racconti Lunedì o martedì del ’21 che, con sua gran felicità, piacquero molto al suo amico poeta T.S. Eliot, aveva incominciato a costruire secondo quell’approccio lirico obliquo che avrebbe generato poi il sottile, inconfondibile tremito poetico delle sue pagine future. La propria voce la trovò in La camera di Giacobbe, dopo venti anni che l’andava cercando. Aveva ormai 40 anni.

    Come Joyce, ma senza supporlo, Virginia considerava la «trama», tanto più se avvincente (come in Conrad), una «volgarità da giornalisti» e il primo suo passo in senso sperimentale fu ne La camera di Giacobbe il fratturare la trama. Scritto con l’evidente scopo di dimostrare che Jacob Flanders, il protagonista, era inconoscibile, il libro assembla una raccolta di frammenti-ricordo (attinti alla vita dell’amato fratello morto Thoby): Jacob bambino che gioca sulla spiaggia, Jacob a Cambridge, a pranzo, in Grecia, nella biblioteca del British Museum, e così via. Gli avvenimenti principali, come la morte di Jacob nella prima guerra mondiale, non vengono menzionati, devono essere dedotti dai loro effetti secondari: così, la madre di Jacob insieme all’amico di Jacob, Bonamy, ne svuotano la stanza e non sanno più che farsene delle sue scarpe. Nel destino di Jacob è implicita una domanda: ma dove conduce questa civiltà guerrafondaia? Dobbiamo accontentarci di frammenti e di ombre, vuole amaramente qui dirci la scrittrice, giacché noi non siamo che ombre e amiamo disperatamente esseri che non sono altro che ombre. «La vita non è che una processione di ombre e Dio solo sa perché le abbracciamo tanto ardentemente e le vediamo scomparire con tanta angoscia, dato che sono ombre.» La scrittrice vuole qui renderci visibile che dobbiamo accontentarci di ombre e di frammenti: tale è la condizione tragica del nostro amore sulla terra.

    Verso il ’20 la Woolf aveva già elaborato una propria visione della vita e dell’io, che comportarono la scelta formale del monologo interiore, atto a fluidificare le rigide forme scandite del romanzo realistico e a umanizzarne i personaggi, permettendo al romanziere di penetrarne l’interiorità altrimenti inattingibile, celata com’era dietro il luccichio dei bottoni della giacca o dello sparato, celata cioè dietro l’aspetto esteriore dell’Io tutto proteso sul mondo fisico e sociale. Esiste, pensava la Woolf, un aspetto esteriore dell'Io, quasi fosse un guscio plasmato dalle passioni famigliari e personali, la personalità, affacciato sull’esperienza e sul tempo che lo cangiano e lo modificano, il passato premendo sul presente e il presente sul passato. Ma fluidi e cangianti sono in realtà i contorni dell'Io. «Io sono fatta e rifatta continuamente», dice Susan ne Le onde. Secondo la Woolf i personaggi dei romanzi realistici tradizionali erano costruiti in base a una nozione troppo superficiale dell’Io umano.

    I personaggi di Virginia Woolf raramente sono racchiusi in contorni precisi. Aleggia intorno a loro un senso d’inesplicabile e di mistero. La Woolf intese simultaneamente esprimere sia il mutamento che la continuità dell’identità individuale - e li espresse nei Ramsay di Gita al faro, ne La signora Dalloway, nei sei personaggi de Le onde. Come in Joyce che nonostante il parere contrario dell’amica K. Mansfield e del ben più autorevole amico T.S. Eliot, Virginia continuò tuttavia a disprezzare come «un manovale autodidatta che si schiaccia i brufoli», l’innovazione formale sostanziale della Woolf fu, in definitiva, quella del monologo interiore, del flusso di coscienza, che le permetteva meravigliosamente di esplorare l’interiorità dei personaggi: ricordi, desideri, sogni... I personaggi, con una duplice, e logorante, tensione della scrittrice, potevano adesso essere simultaneamente veduti sia nel loro aspetto esteriore che nella più difesa intimità del loro essere.

    Questo modo di trattare i personaggi fu perfino più avanzato di quello di Joyce. «Noi siamo zebrati, multicolori», sosteneva la Woolf. E a ragione: molte presenze invisibili, a volte fantasmatiche, interferiscono con il nostro io più segreto, interiore, (e sono anzi proprio loro a stabilizzare la continuità della nostra identità), lo striano, lo zebrano, lo rendono multicolore.

    Nell’uso del monologo interiore, da signora raffinata quale era e non amante della psicanalisi, scansò le melmose pozze dell’Es nelle quali Joyce aveva fatto profondamente affondare Leopold Bloom e Molly Bloom, generando quei «vortici d’oscenità» che lo avevano reso tanto sgradevole alla Woolf.

    E, quanto alla sua personale visione della vita, Virginia la espresse in un articolo del ’19, oggi famosissimo: Modern Fiction: «Esaminiamo per un momento una mente comune in un giorno comune. Essa riceve una miriade di impressioni - banali, fantastiche, evanescenti o scolpite da una punta d’acciaio - che le provengono da tutte le parti. È come una pioggia incessante di atomi... Registriamo gli atomi così come essi cadono sulla mente e nell’ordine in cui cadono, tracciamo il disegno, per quanto sconnesso o incoerente sia all’apparenza, che ogni immagine o incidente incide sulla coscienza».

    La forma non era dunque prescrivibile e, infatti, la Woolf continuava: «Se lo scrittore potesse basare il suo lavoro sui suoi sentimenti e non sulle convenzioni, non ci sarebbero più trame né commedie, né tragedie, né storie d’amore, né catastrofi, alla maniera precostituita. La vita non è una serie di lampioni piantati in forma simmetrica, è un alone luminoso semitrasparente che avvolge la nostra coscienza dall’inizio alla fine. E non è forse compito del romanziere saper rendere questa qualità fluttuante, inconoscibile, inafferrabile, con il minimo intervento di ciò che è sempre esterno ed estraneo?».

    Intorno al ’24 Virginia giunse all’acme della ribellione contro il romanzo tradizionale modellato da tutta una stirpe maschile, e nel contempo prese piena, orgogliosa coscienza che il suo talento era decisamente femminile, poetico e lirico, con radici in una ipersensibilità in grado di folgorarla in momenti eccezionali con piccole epifanie, piccole rivelazioni del «disegno nascosto» dietro il non essere, cioè dietro l’ottuso spessore delle apparenze della realtà quotidiana. Scrivere era per lei la «grande gioia» di poter rendere reale per mezzo di parole il disegno celato dietro il non essere - disegno nel quale tutti noi esseri umani rientriamo in quanto parte del mondo, mondo che «è un’opera d’arte» di cui «noi siamo le parole, siamo la musica». Presa coscienza della natura, femminile e poetica, del proprio talento, Virginia decise di scrivere secondo quanto lei, donna e «sopraffatta dalla poesia della vita», sentiva la vita: «un alone luminoso avvolgente la coscienza», senza più farsi ricattare, per sfide concorrenziali di parità con l’uomo, dai modelli maschili di romanzo.

    Frattanto fin dal ’23 aveva preso sempre più vita nella sua immaginazione una figura femminile: Clarissa Dalloway. Clarissa, una signora dei quartieri alti londinesi, le richiamava tutta una serie di amiche aristocratiche che l’avevano affascinata per la loro grazia, elegante disinvoltura, «quasi esseri che si muovessero in un mondo superiore». La signora Dalloway fu per la Woolf una tappa di grande importanza: fu il primo romanzo nel quale, senza più problemi o complessi d’inferiorità, essa attinse alla grande riserva della sua esperienza femminile, e si abbandonò alla propria vena lirica, anzi elegiaca. In Clarissa Dalloway, sulla cinquantina, che, indebolita da una malattia, avverte dolorosamente il passare del tempo e della vita, vita che lei ama intensamente, la Woolf trasfuse il proprio senso di estasi di fronte alla vita e la propria intensa consapevolezza di ogni attimo vissuto. Clarissa si appiglia con tutti i sensi alla pienezza di ogni attimo vissuto per combattere il doloroso sentimento della vita come un graduale processo di perdita e di compromesso. Dedica una giornata al fine di creare una serata di vita splendida - in forma di ricevimento - per i suoi amici: una creatività tipica della vita femminile tutta tesa a intessere rapporti.

    Nel clou del suo ricevimento serale, Clarissa, vestita di verde e di argento, si muove come una sirena nelle onde e, in quel felice fluttuare fra la gente, riconosce dentro di sé con gioia: «ancora possedeva quel dono: di essere, esistere, e tutto riunire nell’attimo fuggente».

    A non gran distanza dal risplendente salotto di Clarissa si aggira, disperato, in preda alle forze del caos e della follia, a visioni allucinatorie, un certo Septimius Warren Smith, reduce di guerra. Il romanzo è costruito sulla continua contrapposizione fra l’amore estatico di Clarissa per la vita e l’impulso di morte di Septimius - e nasce di qui la sua straordinaria ricchezza.

    La signora Dalloway continua il ricevimento anche dopo avere saputo del suicidio di Septimius, non già per cinismo ma per riaffermare la vita e la creatività contro la morte e la distruzione. In La signora Dalloway Virginia inaugurò il suo personale e originale modo di narrare: la pioggia impressionistica degli atomi sulla mente umana.

    Quasi tutto quello che narrava era un riflesso di piccoli fatti insignificanti sulla coscienza ondeggiante e cangiante dei personaggi, la quale, come un prisma toccato dalla luce, rimandava rifrazioni e dissolvenze. Ne sortiva davvero un senso della vita come di un palpitante alone luminoso. Il tempo non ha offuscato questa scrittura così leggera, ritmata sull’onda, screziata di immagini. Quando l’ebbe terminato di scrivere, la Woolf annotò sul suo diario: «Ora posso scrivere, e scrivere e scrivere». Aveva ormai abbracciato in pieno, sentiva, il proprio punto di vista femminile.

    Il libro uscì nel 1925 e nello stesso anno Virginia cominciò a scrivere Gita al faro, libro considerato il suo capolavoro e che uscì due anni dopo.

    L’altro passo in avanti della Woolf fu di spezzare, mediante una satira fantastica, la rigida connessione sociale fra identità sessuale e ruolo. E lo fece col dipingere un brillante e rocambolesco ritratto di Orlando, ora uomo, ora donna, ritratto ispiratole da Vita Sackville- West, una aristocratica lesbica che si era presa di lei e la cui gran classe e casata la affascinavano. Ora uomo, ora donna, Orlando fra mille peripezie attraversa vari secoli della storia e cultura inglese dal tempo della regina Elisabetta al diciannovesimo secolo. L’autrice, in sostanza, in Orlando difese l’androginia dell ’essere umano, la nostra ambiguità sessuale (gli aspetti maschili e femminili conviventi in ciascuno di noi).

    Intarsiato di echi mimetici della letteratura inglese dagli elisabettiani in poi, ricco di ironia nel rappresentare gli effetti dei condizionamenti sociali sul comportamento umano ritenuto innato, il libro riuscì insieme divertente e prezioso e riscosse un successo che la Woolf non aveva mai avuto.

    In Una camera tutta per sé Virginia impastò insieme nel ’29 due conferenze sul tema: «Le donne e la narrativa», tenute nel ’28 alle studentesse di Cambridge nelle quali aveva rivisto tutte le proprie incertezze giovanili. Disse loro duramente di procurarsi una indipendenza economica, 500 sterline al mese, e una camera tutta per sé al fine di scrivere con la concentrazione necessaria e trattò i limiti imposti alla creatività femminile dalla dipendenza economica e morale dall’uomo e dalla mancanza di cultura. Le esortò a scrivere in quanto donne, orgogliose di esserlo, ma (come avevano già detto Joyce ed Eliot) uscendo dal personale. Dovevano, sì, scrivere da donne, non dimenticando però che la mente dell’artista è androgina, come aveva sostenuto Coleridge. Il segno del femminile veniva dunque invertito: da qualifica (letteraria) degradante diventava quello «specifico femminile» che, pago di sé, distingue alla pari le creazioni della donna da quelle dell’uomo. Era pubblicamente nata, a filo col Trenta e con il fascismo dilagante in Europa, la Woolf scrittrice femminista.

    Virginia, figlia di una famiglia politicamente conservatrice dell’alta borghesia londinese, aveva acquisito una sensibilità femminista durante gli anni dal ’10 al ’20, età classica delle suffragette a Londra, a causa dei contatti con donne di varia estrazione sociale impegnate nella battaglia per il voto politico alle donne - e la spinta più decisiva le venne, ritengo, dalla sua modesta e adorata maestra di greco, Janet Case.

    Il femminismo in lei attecchì su una sofferenza antica: il suo senso di esclusione, di oppressione, il suo odio per la società patriarcale, il suo essersi fin da ragazzina ritenuta una vittima di quest’ultima.

    Perciò, nel 1933, scrivendo Flush, dipinse a meraviglia, tramite gli occhi di Flush, il cagnolino della grande poetessa Elizabeth Barrett Browning reclusa domestica di un padre-patriarca oppressivo, quel mondo dell’oppressione patriarcale di cui lei stessa aveva tanto sofferto e vi espresse il proprio anelito alla fuga.

    Nel ’36-37 mentre iniziava la guerra civile spagnola e si avvicinava l’incubo della guerra con la Germania nazista, Virginia congedò un nuovo romanzo: Le onde, questa volta non più basato sui monologhi interiori bensì sugli spazi mentali, espressi mediante «recitativi» o soliloqui drammatici, di sei personaggi ben distinti nella loro individualità, dall’autrice seguiti attraverso i vari stadi della vita per mostrarne gli elementi simili nella dinamica delle esistenze.

    Il senso? Come un’onda è inseparabile dal mare, ciascuno di noi, unico ma inseparabile dal resto dell’umanità, è un’onda nello scorrere della vita e dell’eternità. Le onde rende il senso della vita, del tempo e del mutamento come lo intendeva la Woolf, e affronta il tema della mortalità. Echeggiando tutta la liquidità del mare, il romanzo, volutamente e totalmente privo di fatti e impersonale, è un grandioso intreccio polifonico di recitativi che, non distinguendosi l’uno dall’altro per accenti particolari, rischia tuttavia una certa monotonia. Nel suo romanzo successivo, Gli anni, con una brusca svolta dovuta forse al tragico imporsi della Storia e di una seconda guerra mondiale, Virginia si aggrappò a quei «fatti» che disprezzava tanto - «i crudi fatti» - e tentò una dimensione storica: il romanzo segue i figli del Colonnello e della signora Pargiter dal 1880, in piena età vittoriana e patriarcal-paterna, fino al 1936, e mostra come man mano la vita abbia perso i suoi caratteri convenzionali e come i due grandi fatti storici liberatori della oppressione patriarcale delle donne: la guerra e l’emancipazione femminile, le abbiano impresso una sorta di evoluzione. Ma la scrittura lirico-poetica della Woolf non era fatta per aggredire i fatti storici. Ne divergeva, ne ripugnava, di modo che il libro, scritto con una strana scrittura prosciugata, e qua e là basato su ricordi autobiografici, rischia per il lettore un certo ermetismo, dovuto al rifarsi dell’autrice a un suo codice privato, significante e pieno di risonanze per lei, ma non già per il lettore.

    Mentre la guerra civile spagnola continuava e il secondo conflitto mondiale si preparava all’orizzonte, Virginia scrisse un libro in parte femminista, in parte pacifista: Tre ghinee.

    In Tre ghinee si trovano almeno due fondamentali idee portanti: l’idea che, a causa della millenaria esclusione sociale femminile, esista una cultura delle donne letteralmente «estraniata» dalla maschile, «estranea» sia al potere patriarcale che alla cultura della violenza, della violenza, della dittatura, della guerra, da lui generata; che tale estraneità vada dichiarata e difesa; che esista, dunque, una cultura diversa e separata delle donne. In secondo luogo, l’idea che questa «diversità» vada dalle donne stesse commutata da negativa in positiva: l’esclusione sociale le ha salvate dal collaborare agli orrori della cultura della violenza. Capovolgendo questa «diversità» da negativa in positiva, da condanna in rivalsa, da subita in agita, le donne devono adottare «parole» loro e «metodi» loro. E tuttavia negli anni Trenta il fascismo, maschilista, aggressivo e guerrafondaio, intese cancellare ogni ricordo di femminismo in Europa - di modo che sull’aspetto femminista della Woolf cadde il buio e non tornò più luce - dall’America all’Europa - che dopo l’ondata femminista del Settanta, cioè a dire non molto tempo fa.

    L’ultimo libro che Virginia scrisse fu Fra gli atti.

    Pointz Hall è, in un’Inghilterra rurale ricca di storia, la residenza di campagna di raffinati signori nella cui proprietà, nel giugno ’39, mentre l’Europa è sull’orlo della guerra, la gente del villaggio mette in scena all’aperto la annuale rappresentazione teatrale, una parodia diretta da una regista dilettante presuntuosa e lesbica, Miss La Trobe (doveva restare l’ultimo ritratto di una donna artista tracciato dalla Woolf).

    La rappresentazione lascia più perplessi che soddisfatti gli spettatori, che cercano di ricavarne un senso.

    Con questo libro Virginia, che aveva un tempo denunciato la tirannia delle strutture romanzesche che un Bennett, un Wells, un Galsworthy avevano imposto sull’esperienza, sposta ora ironicamente il suo tiro sul pubblico, che reclama intrecci, certezze, significati tangibili, messaggi. Anche il pubblico è dunque colpevole, non solo lo scrittore.

    Il libro è ispirato a una sorta di nostalgia: al desiderio che possa perdurare, dinanzi alla barbarie avanzante - nel cielo sopra Rodmell, dove Virginia abitava e scriveva, veniva frattanto combattuta a colpi d’aerei la battaglia d’Inghilterra - la grande, antichissima, splendida civiltà rurale dell’Inghilterra legata alla fioritura della civiltà borghese; e sottintende una angoscia per gli inevitabili radicali futuri mutamenti della vita dopo la guerra.

    Il 28 marzo del ’41, completato questo romanzo cui mancava solo la rifinitura finale, Virginia uscì una mattina quietamente da casa e andò ad annegarsi, zavorrandosi di pietre le tasche della giacca, nel fiume Ouse. Si suicidò perché amava tanto la lucidità. Alla sorella Vanessa lasciò scritto: «Non faccio che udire voci e so che questa volta non ne uscirò. Ho lottato ma non ce la faccio più».

    Si può legittimamente parlare di due femminismi, a proposito di Virginia Woolf: il suo, storicamente fissato negli anni dal 1910 al ’20, e alle lotte infuocate delle donne inglesi per ottenere il voto politico l’accesso alle Università e alle carriere.

    È quello di riporto e inteso a ottenere diritti civili fin qui negati, che fu la grande ondata femminista del Settanta in Europa. Furono le giovani donne cresciute nella curva di quest’ondata, sia in America che in Italia, a strappare via i veli neri che gli anni Trenta fascisti avevano gettato sul volto della Woolf femminista. Si riscoprì, con entusiasmo e con meraviglia, che, scrittrice di gran qualità, la Woolf era stata un ’antesignana anche nel campo del femminismo, e così quest’aspetto obliterato della grande scrittrice venne riportato a nuovi onori e glorie. Una camera tutta per sé diventò una piccola bibbia, incentivante le giovani aspiranti scrittrici e, da una quindicina di anni a questa parte, ha messo in onda tutta una serie di interrogazioni, confronti e dibattiti sulla «specificità» femminile nella letteratura, problematica tuttora aperta e molto coinvolgente.

    Infine, il femminismo di Virginia Woolf è stato adottato e adattato, piegato a nuove esigenze, innestato nei bisogni del presente, in poche parole elaborato, rivissuto; ed esiste perfino il rischio che certi lineamenti storici della Woolf risultino incredibili, se non indifferenti, tanto ci siamo appropriate di lei, tanto ne abbiamo fatto la nostra madre spirituale. Per esempio, il suo enorme investimento nella lotta per l’istruzione superiore femminile, posta dell’indipendenza economica, posta, a sua volta, della libertà di pensiero, e il suo legame, fino a ieri sconosciuto, con le pioniere di questa lotta in Inghilterra. Sì, come fece Virginia a rompere il suo bozzolo dorato? La domanda m’intrigava tanto che ho finito per scrivere una biografia, in tal senso finora inesistente, di Virginia Woolf (Virginia e l’angelo, Longanesi, 1991). Un modo come un altro, fra quelli in gioco, per mantenere viva fra il suo tempo storico e il nostro questa scrittrice grande e coraggiosa, giustamente definita «la madre spirituale» dell’odierno movimento delle donne colte.

    ARMANDA GUIDUCCI

    Nota biobibliografica

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

    1882. Virginia Adeline Stephen nasce a Londra, il 13 gennaio. Sia il padre - il celebre critico e saggista vittoriano Leslie Stephen - che la madre, Julia Jackson Duckworth, sono al secondo matrimonio. Maggiori di lei sono la sorella Vanessa e il fratello Thoby. L’altro fratello, Adrian, nasce un anno dopo. Resteranno profondamente impresse nella memoria evocativa le estati trascorse a St. Ives, in Cornovaglia.

    1895. Muore la madre. Prime crisi nervose, in relazione anche con le ambigue attenzioni a lei rivolte dal fratellastro George.

    1897. Intense letture. La casa è vivacemente frequentata dagli amici del padre, spesso personaggi della cultura del tempo.

    1899. Il fratello Thoby si iscrive all’Università di Cambridge, entrando in amicizia con Lytton Strachey, Leonard Woolf, Clive Bell, e altri che costituiranno, più tardi, il raffinato Bloomsbury Group (dal nome del quartiere londinese, tra l’Università e il British Museum).

    1904-1906. Muore il padre. Nuovo collasso nervoso, tentativo di suicidio. Appare, sul «Guardian», il suo primo articolo. Viaggia in Italia con la sorella Vanessa e con l’amica Violet Dickinson. Riunioni del giovedì del gruppo di Bloomsbury (ne faranno parte, via via, anche lo scrittore E.M. Forster, l’economista Keynes, il filosofo Bertrand Russell, il critico e pittore Roger Frye). Collaborazione al «Times Literary Supplement». Viaggio in Spagna e Portogallo. Insegna al Morley College.

    1906. Viaggio in Grecia. Al ritorno, il fratello Thoby muore di febbre tifoidea.

    1907. Matrimonio di Vanessa con Clive Bell.

    1908-11. Viaggio in Italia con i Bell. Lytton Strachey vorrebbe sposarla. Squilibri nervosi. Rifiuta varie proposte di matrimonio. Conosce Lady Ottoline Morrell. A Firenze e poi a Bayreuth. Viaggio in Turchia. Altre crisi nervose.

    1912. Il matrimonio con Leonard Woolf le restituisce un senso di più sereno assettamento. Viaggi in Francia, Spagna e Italia.

    1913. Altro tentativo di suicidio. Comincia a tenere il Diario.

    1915. Esce, dopo anni di lavoro, The Voyage Out (La crociera). Si vanno delineando i criteri di un nuovo stile narrativo, tra approfondimento psicologico e frammentazione epressiva. Conosce la scrittrice Katherine Mansfield, amica-rivale.

    1917. Leonard e Virginia fondano la Hogarth Press, la casa editrice che pubblicherà tutte le opere di Virginia, i Poems di T.S. Eliot e altre importanti opere. Leonard è attivo sul piano politico-sociale, è promotore di iniziative pacifiste.

    1919. Pubblica Night and Day e il racconto Kew Gardens (con xilografie di Vanessa).

    1921. Pubblica i racconti brevi di Monday or Tuesday (Lunedì o martedì).

    1922. Esce Jacob’s Room (La camera di Jacob), primo dei grandi romanzi sperimentali. Nello stesso anno Joyce pubblica Ulysses e il poeta T.S. Eliot The Waste Land (La terra desolata): fondamentali testi della rivoluzione del linguaggio in letteratura.

    1925. Esce Mrs Dalloway. Eventi presenti e passati nella vita della protagonista sono evocati attraverso le tecniche del monologo interiore e del flusso di coscienza. Pubblica The Common Reader (Il lettore comune), una raccolta di saggi. S’intensifica l’amicizia con Vita Sackville-West.

    1927. To the Lighthouse (Al Faro). Il desiderio di una gita al faro da parte del piccolo Ramsay prende sottile, intricato sviluppo simbolizzante. Viaggio in Sicilia.

    1928. Orlando. Ironico-fantastico viaggio del protagonista nel tempo e nello spazio (e sue metamorfosi di stato e di sesso).

    1929. Viaggio a Berlino. Si occupa di questioni e rivendicazioni femministe. Pubblica il saggio A Room of One’s Own (Una stanza tutta per sé).

    1931. The Waves (Le onde). Vite polifonicamente raccontate come onde nello scorrere del tempo e delle cose. Amicizia con Ethel Smith. The Common Reader, nuova serie di saggi. 1933. Rifiuta l’offerta di una laurea honoris causa dall’Università di Manchester. Esce Flush (le memorie del cane della poetessa Elizabeth Browning).

    1935. Si accentua il senso dell’impegno. Ribadisce le sue posizioni antifasciste.

    1937. Esce The Years (Gli anni). Episodi di cronache familiari attraverso il tempo. Muore nella guerra civile spagnola Julian Bell, il primogenito di Vanessa.

    1938. Three Guineas (Tre ghinee), altro saggio femminista.

    1939-40. Ansie e disagi dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale aggravano le sue condizioni di salute. Pubblica il saggio su Roger Fry.

    1941. Le sue condizioni mentali si fanno critiche. «Non faccio che udire voci e so che questa volta non ne uscirò. Ho lottato, ma non ce la faccio più». Ha terminato Between the Acts (Tra un atto e l’altro). Il 28 marzo, dopo aver scritto una lettera a Leonard e un’altra a Vanessa, si uccide lasciandosi annegare nel fiume Ouse.

    BIBLIOGRAFIA

    Edizioni originali

    The Voyage Out, London, Duckworth, 1915; The Mark on the Wall, Richmond, The Hogarth Press, 1919; Kew Gardens, Richmond, The Hogarth Press, 1919; Night and Day, London, Duckworth, 1919; Monday or Tuesday, Richmond, The Hogarth Press, 1921; Jacob’s Room, Richmond, The Hogarth Press, 1922; The Common Reader, London, The Hogarth Press, 1923; Mr. Bennett and Mrs. Brown, London, The Hogarth Press, 1924; Mrs. Dalloway, London, The Hogarth Press, 1925; To the Lighthouse, London, The Hogarth Press, 1927; Orlando: a Biography, London, The Hogarth Press, 1928; A Room of One’s Own, London, The Hogarth Press, 1929; The Waves, London, The Hogarth Press, 1931; A Letter to a Young Poet, London, The Hogarth Press, 1932; The Common Reader, Second Series, London, The Hogarth Press, 1932; Flush: a Biography, London, The Hogarth Press, 1933; The Years, London, The Hogarth Press, 1937; Three Guineas, London, The Hogarth Press, 1938; Roger Fry: A Biography, London, The Hogarth Press, 1940; Between the Acts, London, The Hogarth Press, 1941; The Death of the Moth and Other Essays, London, The Hogarth Press, 1942; A Haunted House and Other Short Stories, London, The Hogarth Press, 1943; The Moment and Other Essays, London, The Hogarth Press, 1947; The Captain’s Death Bed and Other Essays, London, The Hogarth Press, 1950; A Writer’s Diary, London, The Hogarth Press, 1953; Virginia Woolf and Lytton Strachey: Letters, a cura di L. WOOLF e J. STRACHEY, London, The Hogarth Press and Chatto & Windus, 1956; Granite and Rainbow: Essays, London, The Hogarth Press, 1958; Contemporary Writers, London, The Hogarth Press, 1965; Collected Essays, London, The Hogarth Press, 1965, 4 voll.; Mrs. Dalloway’s Party, London, The Hogarth Press, 1973; The Letters of V.W., a cura di N. NICOLSON e J. TRAUTMANN, London, The Hogarth Press, 1975-84, 6 voll.; Moments of Being. Unpublished Autobiographical Writings, Sussex University Press, 1976; The Complete Shorter Fiction, a cura di S. DICK, London, Triad/Grafton, 1976; Freshwater, A Comedy, London, The Hogarth Press, 1977; Books and Portrait. Some Further Selections from the Literary and Biographical Writings, London, The Hogarth Press, 1977; The Diary of V.W, a cura di A.O. BELL e A. MCNEILLIE, London, The Hogarth Press, 1977-84, 5 voll.; The Pargiters: The Novel-Essay Portion of the Years, a cura di M. LEASKA, New York, N.Y. Public Library, 1977; The Pargiters: The Novel-Essay Portion of the Years, a cura di M. LEASKA, London, The Hogarth Press, 1978; V. Woolf’s Reading Notebooks, a cura di B. SILVER, Princeton, PUP, 1983.

    Traduzioni italiane

    Orlando, trad. di A. SCALERÒ, Milano, Mondadori, 1933; Gita al faro, trad. di G. CELENZA, Firenze, Treves, 1934; La signora Dalloway, trad. di A. SCALERO, Milano, Mondadori, 1946; Flush, vita di un cane, trad. di A. SCALERO, Milano, Mondadori, 1946; La camera di Giacobbe, trad. di A. BANTI, Milano, Mondadori, 1950; La casa degli spiriti, trad. di D. PASOLINI, Milano, Mondadori, 1950; Il lungo viaggio, trad. di G. VALENSIN, Milano, Longanesi, 1951; Gli anni, trad. di M. DE ANGELIS, Milano, Mondadori, 1955; La crociera, trad. di O. PREVIATI, Milano, Rizzoli, 1956; Le onde, trad. di G. DE ANGELIS, Milano, Mondadori, 1956; Notte e giorno, trad. di L. QUINTAVALLE, Milano, Eli, 1957; Diario di una scrittrice, trad. di G. DE CARLO e V. GUERRINI, Milano, Mondadori, 1959; Per le strade di Londra, trad. di L. BACCHI WILCOCK e J.R. WILCOCK, Milano, Mondadori, 1963; Gita al faro, trad. di G. CELENZA, a cura di A. BERTOLUCCI, Milano, Garzanti, 1974; Le tre ghinee, trad. di A. BOTTINI, Milano, La Tartaruga, 1977; Momenti di essere, trad. di A. BOTTINI, Milano, La Tartaruga, 1977; Tra un atto e l’altro, trad. di F. WAGNER e F. CORDELLI, PARMA, GUANDA, 1978; Orlando, trad. di A. SCALERO, a cura di A. BERTOLUCCI, Milano, Garzanti, 1978; Flush, biografia di un cane, Milano, La Tartaruga, 1979; La signora dell’angolo di fronte, raccolta di saggi a cura di G. BOMPIANI, Milano, Il Saggiatore, 1979; Il volo della mente, lettere 1888/1912, trad. di A. CANE, a cura di N. NICOLSON e J. TRAUTMANN, Torino, Einaudi, 1980; Le cose che accadono, lettere 1912-1922, a cura di N. NICOLSON e J. TRAUTMANN, Torino, Einaudi, 1980; Per le strade di Londra, Saggi scelti, trad. di L. BACCHI WILCOCK e J.R. WILCOCK, Milano, Il Saggiatore, 1981; Gli anni, trad. e introd. di E. GROPPALI, Milano, Garzanti, 1981; La famiglia Pargiter, a cura di M.A. LEASKA e A. CAGIDEMETRIO, Milano, La Rosa, 1981; Lunedì o martedì, trad. di F. DURANTI, Milano, La Tartaruga, 1981; Cambiamento di prospettiva, lettere 1923/’29, trad. di S. GARIGLIO, a cura di N. NICOLSON e J. TRAUTMANN, TORINO, EINAUDI, 1982; Notte e giorno, trad. di N. FUSINI, a cura di M.V. MALVANO, Milano, La Rosa, 1982; Romanzi e altro, a cura di S. PEROSA, Milano, Mondadori, 1982; Una stanza tutta per sé, Milano, Il Saggiatore, 1982; Freshwater, a cura di L.B. RUOTOLO e M. MALVANO, Milano, La Rosa, 1983; Un riflesso dell’altro. Lettere 1929/1931, Torino, Einaudi, 1985; Tutti i racconti, trad. di A. BOTTINI e F. DURANTI, Milano, La Tartaruga, 1985; Cara Virginia. Le lettere di V. Sackville-West e V.W., trad. di F. CAGNONI e S. COYAUD, Milano, La Tartaruga, 1985; Notte e giorno, trad. di M.V. MALVANO, Torino, Einaudi, 1987; Leggere recensire, trad. di A. BOTTINI, Milano, Marcos y Marcos, 1990; Ore in biblioteca, a cura di P. SPLENDORE, Milano, La Tartaruga, 1991; Una stanza tutta per sé, postfaz. di M. BULGHERONI, Milano, Il Saggiatore, 1991; Le onde, introd. di A. GUIDUCCI, trad. di M. DEL SERRA, Roma, Newton Compton, 1992; Al faro, trad. di N. FUSINI, Milano, Feltrinelli, 1992; La signora Dalloway, introd. di A. GUIDUCCI, trad. di P.F. PAOLINI, Roma, Newton Compton, 1992; Gita al Faro, introd. di A. GUIDUCCI, trad. di A.L. MALAGO, Roma, Newton Compton, 1993; Orlando, trad. di A. ROSSATTI, introd. di V. PAPETTI, Milano, Rizzoli, 1993; Una stanza tutta per sé, introd. di A. GUIDUCCI, cura e trad. di M. DEL SERRA, Roma, Newton Compton, 1993; Orlando, introd. di A. GUIDUCCI, cura e trad. di M. DEL SERRA, Roma, Newton Compton, 1994; Gli anni, introd. di A. GUIDUCCI, cura e trad. di P. FAINI, Roma, Newton Compton, 1994; La crociera, introd. di A. GUIDUCCI, trad. di L. BIANCIARDI, Roma, Newton Compton, 1994; Notte e giorno, introd. di A. GUIDUCCI, cura e trad. di P. MENEGHELLI, Roma, Newton & Compton, 1996.

    Biografie e studi

    Biografie

    A. PIPPETT, The Moth and the Star. A Biography of V.W., Boston, Little Brown, 1955; Q. BELL, V.W.: A Biography, London, The Hogarth Press, 1972, 2 voll. (ed. it. Milano, Garzanti, 1974); R. POOLE, The Unknown V.W., Cambridge, cup, 1978; P. ROSE, Woman of Letters: A Life of V.W., New York, OUP, 1978; L. WOOLF, An Autobiography, Oxford, OUP, 1980, 2 VOLL.; J. MEPHAM, V.W. A Literary Life, London, Macmillan, 1991.

    Contributi stranieri

    M.C. BRADBROOK, Notes on the Style of V.W, in «Scrutiny», 1932; F. DELATTRE, Le roman psychologique de V.W., Paris, Vrin, 1932; W. HOLTBY, V.W., London, Wishart, 1932; T.S. ELIOT, in «Horizon», 1941; E.M. FORSTER, V.W., Cambridge, cup, 1945; J. BENNETT, V.W.: Her Art as a Novelist, Cambridge, CUP, 1945, 1964²; D. DAICHES, V.W., London, Nicholson & Watsson, 1945; R.I. CHAMBERS, The Novels of V.W., Edinburgh, Oliver & Boyd, 1947; M. CHASTAING, Laphilosophie de V.W., Paris, Vrin, 1951; B. BLACKTONE, V.W.: A Commentary, London, Longmans Green, 1952; J. HAFLEY, The Glass Roof: V.W. as Novelist, Berkeley, California, UP, 1954; E. AUERBACH, in «Mimesis», Torino, Einaudi, 1956; D. BREWSTER, V.W., London, Allen and Unwin, 1963; N.C. THAKUR, The Symbolism of V.W., Oxford-New York, OUP, 1965; J. GUIGET, V.W. and Her Works, trad. J. STEWART, London, The Hogarth Press, 1965; H. MURDER, Feminism and Art: A Study of V.W., Chicago, UP, 1968; M. LEASKA, V.W.’s Lighthouse: A Study in Critical Method, New York, Columbia University Press, 1970; J.O. LOVE, Worlds in Consciousness, Berkeley, California, UP, 1970; H. RICHTER, V.W. The Inward Voyage, Princeton, PUP, 1970; J. ALEXANDER, The Venture of Form in the Novels of V.W., New York, 1971; C. SPRAGUE (ed.), V.W.: a Collection of Critical Essays, Englewood Cliffs, N.J., Prentice Hall, 1971; J. NAREMORE, The World without a Self: V.W. and the Novel, New Haven, Yale, up, 1973; Y. SUGIYAMA, Rainbow and Granite. A Study of V.W., Tokyo, Hokuseido Press, 1973; N. TOPPING BAZIN, V.W. and the Androginic Vision, New Brunswick, Rutgers U.P. 1973; M. GOIDMAN, The Reader’s Art: V.W. as Literary Critic, L’Aia, Mouton, 1974; J. LEHMAN, V.W. and Her World, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1975; T.S.W. LEWIS (ed.), V.W.: A Collection of Criticism, New York, McGraw-Hill, 1975; K. SCHWANKS, Bildstruktur und Romanstruktur bei V.W., Heidelberg 1975; R. MAJUMDAR e A. MC LAURIN (eds.), V.W.: The Critical Heritage, London, Routledge and Kegan Paul, 1975; H. LEE, The Novels of V.W., London, Methuen, 1977; M. LEASKA, The Novels of V.W., New York, John’s Jay Press, 1977; A. FLEISHMAN, V.W.: A Critical Reading, Baltimore, John’s Hopkins up, 1977; M. ROSENTHAL, V.W, London Routledge and Kegan Paul, 1979; T.E. APTER, V.W.: A Study of her Novels, London, MacMillan, 1979; J. HILLIS MINER, Fiction and Repetition, Oxford, Blackwell, 1982; P. DEMENTS e I. GRUNDY (eds.), V.W.: New Critical Essays, London, Vision and Barnes and Noble, 1983; N. TORGOVNICK, The Visual Arts, Pictorialism, and the Novel, Princeton, pup, 1986; T. BOWIBY, V.W., Oxford, Blackwell, 1988; S. DICK, V.W.: Dramatic Novelist, London, Macmillan, 1989; D. FERRER, V.W. and the Madness of Language, London, Routledge and Kegan Paul, 1990; S. MC NICHOI, V.W. and the Poetry of Fiction, London, Routledge and Kegan Paul, 1990.

    Contributi italiani

    U. MORRA, Il nuovo romanzo inglese: V.W., in «La Cultura», genn. 1931; A. GUIDI, Appunti di una lettura di V.W., in «Mercurio», 2, 1945; S. ROSATI, V.W., in «English Miscellany», 1, 1950; D. DE ROBERTIS, V.W., in «Paragone», 2, 1951; A. BANTI, Umanità della Woolf, in «Paragone», 3, 1952 e in «Opinioni», Milano, Il Saggiatore, 1961; G. MELCHIORL, I funamboli, Torino, Einaudi, 1956, 1963; V. SANNA, Il romanzo di V.W., Firenze, Marzocco, 1956; C. IZZO, Testimonianze sul «Bloomsbury Group», in «Studi in onore di V. Lugli e D. Valeri», Venezia 1961; V. AMORUSO, V.W., Bari, Adriatica, 1968; A. LOMBARDO, Il diario di V.W., in Ritratto di Enobardo. Saggi sulla letteratura inglese, Pisa, Nistri Lischi, 1971; M. STAMPA BARRACCO, L’immagine dialettica, Napoli, Liguori, 1978; S. PEROSA, Introd. a V. Woolf, Romanzi e altro, Milano, Mondadori, 1978; M. MANCIOLI BIM, V.W., Firenze, La Nuova Italia, 1981; P. ZACCARIA, V.W., Bari, Dedalo, 1981; R. BERTINETTI, V.W., l’avventura della conoscenza, Milano, Ed. Univ. Jaca, 1985; N. FUSINI, Nomi (con un saggio su V.W.), Milano, Feltrinelli, 1986 e introd. alla trad. di To the Lighthouse, Milano, Feltrinelli, 1992.

    Paola Fami

    AGGIORNAMENTO BIBLIOGRAFICO

    Traduzioni

    Momenti di essere e altri racconti, trad. di m. daLLatorre, Milano, bur, 2002; La signora Dalloway, trad. di L. RICCI DONI, con uno scritto di P. RICOEUR, Milano, se, 2003; Tutti i racconti, a cura di s. dick, Milano, La Tartaruga, 2003; Casa Carlyle, a cura di D. Bradshaw, pref. di D. LESSING, trad. di A. GALLENZI e E. MINERVINI, Milano Oscar Mondadori, 2004; Diario di una scrittrice, trad. di G. DE CARIO, Roma, Minimum fax, 2005; Gita al faro, trad. di L. Bianciardi, Milano, bur, 2005.

    Studi

    O. PAISUCCI (a cura di), La tipografia nel salotto: saggi su Virginia Woolf, Torino, Tirrenia Stampatori, 1999; D. KOTNIK, Virginia Woolf, la Minerva di Bloomsbury, Milano, Rusconi, 1999; L. PEACH, Virginia Woolf, Basingstokke, Macmillan Press, 2000; C. CONCILIO, La declinazione dell’Io: identità e alterità nella narrativa in inglese del Novecento, Napoli, Liguori, 2001; S. PETRIGNANI, La scrittrice abita qui, Vicenza, Neri Pozza, 2002; The reception of Virginia Woolf in Europe, ed. by M.A. CAWSN. Luckhurst, London-New York,

    Continuum, 2002; M. CUDDY-KEANE, Virginia Woolf, the intellectual and the public sphere, Cambridge, CUP, 2003; G. BRISAC, Virginia Woolf, le mélange des genres, Paris, Editions de l’olivier, 2004; J. DUNN, Sorelle e complici: Vanessa Bell e Virginia Woolf, trad. di L. VERGA, Milano, Tascabili Bompiani, 2004; M.m. pawLowski (a cura di), Virginia Woolf e il fascismo, ed. italiana a cura di L. GIACHERO, Milano, Selene, 2004; L. RAMPELLO, Il canto del mondo reale: Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Milano, Il Saggiatore, 2005; S. OLDFIELD (a cura di), Lettere in morte di Virginia Woolf, trad. di M. PREMOLI, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2006; N. FUSINI, Possiedo la mia anima: il segreto di Virginia Woolf, Milano, A. Mondadori, 2006; G. CARRARO, Virginia Woolf e il faro. La voce del silenzio, Salerno, Edisud Salerno, 2007; F. DE GIOVANNI, La pagina e la tela. Intersezioni in Virginia Woolf, Napoli, Giannini, 2007; T. SZASZ, La mia follia mi ha salvato. La follia e il matrimonio di Virginia Woolf, Milano, Spirali, 2009.

    La crociera

    Titolo originale: The Voyage Out. Traduzione di Luciana Bianciardi.

    In viaggio con Virginia Woolf

    Non uno, ma due, sono i viaggi a cui allude il titolo altamente simbolico del primo romanzo scritto da Virginia Woolf ¹. Sono viaggi per acqua (un elemento legato al moto e al cambiamento che ricorre nel testo come presenza costante) e tutti e due assumono le connotazioni di progressione interiore, di percorso all’interno della coscienza.

    Il viaggio principale, che solo apparentemente è una semplice crociera, è quello che alcuni inglesi compiono in nave dall’Europa all’America meridionale, da Londra, via Lisbona, all’immaginaria città di Santa Marina, seguendo un itinerario che li porta a contatto con un mondo diverso e offre loro la possibilità di liberarsi da schemi e convenzioni legati alla cultura d’origine. Per Rachel, la protagonista, è soprattutto un viaggio iniziatico che la conduce dall’isolamento all’incontro con gli altri, dall’immaturità adolescenziale protratta fin oltre i venti anni, alla scoperta dell ’amore e della propria individualità. Viaggio di sola andata, per lei che non ritornerà in Europa perché, colpita da febbri non ben identificate, muore dopo giorni trascorsi in preda ai fantasmi e agli incubi del delirio.

    All’interno di questo viaggio se ne delinea un altro, più breve: l’escursione in battello che i personaggi principali compiono nel risalire il fiume nella foresta equatoriale. Viaggio nel viaggio dunque, che si presenta come un percorso a ritroso nel tempo, dal presente a un passato remoto, dalla civiltà a uno stadio primitivo, qual è quello in cui vivono gli abitanti del villaggio nella foresta. A confronto con loro, liberi e bellissimi, gli inglesi appaiono goffi e «insignificanti» come ammetterà il giovane Terence; questo contatto con una dimensione selvaggia scuote i protagonisti nel profondo, ma non evoca in loro gli orrori e gli oscuri fantasmi dell’inconscio come nel conradiano Cuore di tenebra, facendo al contrario intravedere la spontaneità a cui il soggetto ha rinunciato nell’allontanarsi da una dimensione naturale.

    Questo secondo viaggio, dalle connotazioni simboliche ancora più esplicite e marcate del primo, ha un ruolo essenziale anche nella strutturazione dell’intreccio, perché il testo suggerisce che le febbri che causano la morte della protagonista potrebbero averla contagiata proprio là, nel corso di quel fugace incontro con il primitivo. Forse è stato così. Nessuno lo saprà mai.

    Questa incertezza che avvolge le ragioni e il senso ultimo della morte di Rachel mi sembra uno degli elementi centrali del romanzo in quanto segnale della sua appartenenza all’inquieta stagione del Modernismo letterario. Come i grandi testi modernisti, The Voyage Out è un ’opera che non presenta certezze, non offre indicazioni o risposte, ma, al contrario, apre degli interrogativi, lascia aperti degli spazi, suggerisce possibilità di interpretazione². La morte di Rachel, nella sua inesplicabilità, risulta emblematica di quello che sarà un presupposto teorico ed esistenziale della letteratura modernista, che si discosta dalla tradizione ottocentesca proprio nel non poter più ricorrere a un codice riconoscibile e riconosciuto di valori e di norme. Come, negli stessi anni, James Joyce e Thomas . S. Eliot, Virginia Woolf già nella scrittura del suo primo romanzo, mostra la coscienza che l’artista ha del mistero che avvolge il reale, e rivela la percezione di quell’«alone luminoso» che per lei rappresenta il simbolo più adeguato dell’esistenza³.

    Alla stesura di The Voyage Out Virginia Woolf lavorò, con varie interruzioni, dal 1908 al 1915, quando il romanzo venne finalmente pubblicato, e nel corso di questi anni il testo fu costantemente modificato con successive revisioni e riscritture. Un periodo così lungo di gestazione e le nove diverse redazioni (tante ne ha individuate la studiosa Louise De Salvo⁴) testimoniano il travaglio che ha accompagnato la nascita di quest’opera, un esordio letterario tra ipiù sofferti, lacerato dai dubbi dell’autrice sulle proprie capacità artistiche e sostenuto da una determinazione a cui si alternavano periodicamente momenti di cedimento e di sconforto. La Woolf scriveva, come dice il marito Léonard, «con una tormentata intensità» e quando nel 1913 il manoscritto fu accettato per la pubblicazione dall’editore Duckworth, la scrittrice fu colta subito da paure angosciose: restava sveglia notti intere a chiedersi se la sua arte, a cui aveva dedicato tanta energia, non fosse qualcosa di futile⁵, terrorizzata da possibili critiche e stroncature⁶. Così nei mesi seguenti si susseguirono le terribili emicranie e le crisi depressive, curate con il riposo assoluto nella clinica specializzata di Twickenham, un esilio forzato che ebbe effetti disastrosi sul suo equilibrio, tanto che arrivò a tentare il suicidio, approfittando dell’assenza di Léonard per ingerire cento pasticche di Veronal.

    Si salvò, ma fino al 1915 ebbe crisi intermittenti che si diradarono fino a scomparire temporaneamente quando, nel marzo di quell’anno, il suo romanzo fu accolto molto bene sia dagli amici che dalla critica. Edward M. Forster, al cui giudizio la Woolf teneva molto, sul Daily News scriveva: «Ecco finalmente un libro che, al pari di Cime tempestose, raggiunge una sua unità, anche se per vie diverse». In effetti il giudizio degli altri contò sempre molto per la Woolf, la cui paura più profonda era proprio che la sua arte, e quindi lei stessa, fossero, come lei diceva, una «mistificazione».

    Dalla prima stesura, intitolata Melymbrosia, alla redazione finale di The Voyage Out non ci sono variazioni sostanziali nella trama, e tuttavia nell’ultima versione sono cambiati non poco lo stile e lo spessore dei personaggi⁷. In particolare, Rachel non è più l’eroina convenzionale del romanzo ottocentesco (una giovane che fa il suo ingresso nel mondo e scopre l’amore) per la quale la morte risultava più casuale e meno legata al significato complessivo dell’opera; anche la qualità della scrittura di Melymbrosia risulta alquanto tradizionale, troppo tradizionale per rendere la ricchezza e la complessità dei temi che ritroviamo in The Voyage Out Nelle pagine di questa «opera prima» vengono infatti anticipati i grandi temi della narrativa woolfiana della maturità, dal rapporto tra un uomo e una donna alla focalizzazione su un femminile che risulta sempre centrale nel testo, al tema della morte, a quello dell ’artista e del suo rapporto con il mondo.

    Il rapporto tra un uomo e una donna, benché non sia il tema centrale di questo romanzo - che non si qualifica certo come semplice «storia d’amore» - è tuttavia un motivo ricorrente in un’opera scritta in anni in cui questo aspetto dell ’esperienza sembra essere stato particolarmente sentito dall ’autrice. Sul piano teorico, nelle celebri conversazioni che si tenevano tra i membri del gruppo di Bloomsbury, si parlava molto di amore, di matrimonio, di libertà, concetti che si sentiva l’esigenza di ripensare sovvertendo l’ottica tramandata dalla cultura vittoriana. Su un piano più concreto, proprio negli anni della realizzazione di The Voyage Out la scrittrice aveva accettato di sposare Léonard Woolf, non senza essersi prima interrogata sui propri sentimenti verso vari componenti del gruppo di Bloomsbury che le avevano fatto una proposta di matrimonio. Inoltre, come rivelano anche il diario e le lettere, oltre a varie testimonianze, Virginia era rimasta molto scossa dal matrimonio della amatissima sorella Vanessa, che da un rapporto esclusivo con lei era passata a un’intimità coniugale con Clive Bell dalla quale la Woolf si sentiva esclusa.

    In The Voyage Out il rapporto tra un uomo e una donna ritorna come motivo ricorrente a rappresentarne diverse varianti. C’è l’amore-passione, assoluto e doloroso, di Rachel e Terence, un sentimento che fa affiorare inconsapevolmente alle labbra di lei la parola «terribile», e che fa scorrere lacrime in apparenza immotivate sul volto di lui. Dopo l'incontro con Rachel per Terence è come se l’esistenza scorresse su due piani diversi: quello degli altri che «parlavano dall’alto, sospesi in aria» mentre lui e Rachel erano caduti insieme «sul fondo dell’universo». In questo sentimento c’è un elemento doloroso che si placa momentaneamente solo con il contatto fisico: seduti vicini, i due protagonisti sentono che il mondo ritorna a possedere «spessore e solidità». Ma il testo ci suggerisce che questa è solo un’illusione: quando si alzano, si vedono riflessi in uno specchio dove, anziché «grandi e indivisibili» come si erano sentiti un attimo prima, appaiono a loro stessi «piccolissimi e separati», riflessi in una superficie che rispecchia anche tante altre cose. L’amore è qui un’aspirazione irrealizzabile all’assoluto e diventa dunque una condizione inseparabile dalla delusione e dalla sofferenza: solo alla morte di Rachel, Terence sente tra loro «l’unione che da vivi era stata impossibile».

    L’amore felice sembra dunque essere quello non vissuto, in un romanzo dove gli effetti della realtà su questo sentimento sono spesso distruttivi. Le altre coppie che si muovono sulla scena di The Voyage Out riproducono sviluppi diversi di quello che un tempo era stato l’amore e che nel matrimonio è ora diventato consuetudine come per i Thornbury, insofferenza come per gli Elliot, tenerezza come per i Dalloway. Più complesso e contraddittorio risulta nel testo il rapporto che unisce gli Ambrose, nei quali viene anticipata la più celebre coppia Ramsay di Al faro. Sposati da molti anni, «godono del benessere della solitudine senza subire la desolazione» e se da un lato manca tra loro il dialogo, dall’altro sono spesso colti in atteggiamento affettuoso e uniti da un’intesa e una solidarietà che li proteggono dal mondo esterno. Emerge in questo romanzo tutta l’incertezza dell’autrice nei confronti del matrimonio, e l’ambiguità del suo giudizio, più ancora che nella vicenda narrata, si riflette nel punto di vista di Terence, nella cui immaginazione si alternano diversi scenari di vita coniugale, alcuni felici e invidiabili, altri, i più numerosi, malinconici o claustrofobici.

    E comunque sempre la donna, in questo come negli altri romanzi della Woolf, a sostenere il peso di un ’unione spesso difficile, a mantenere vitale il rapporto all’interno di un’istituzione che le impone dei compromessi e limita le sue potenzialità. Questo non ci stupisce. Come non ci stupisce che i personaggi principali delle sue opere siano delle donne, perché nell’estetica woolflana è chiaro il presupposto che la donna sia dotata di una capacità intuitiva molto più raffinata di quella degli uomini, e che abbia doti vitali di cui l’uomo passivamente si nutre. Nel mondo poetico di Virginia Woolf le donne sono spesso fonte di vita e di armonia, proprio come i grandi personaggi femminili dei romanzi di Edward M. Forster: Mrs Wilcox ed Helen Schlegel di Casa Howard, Mrs Moore di Passaggio in India.

    A questo tipo di donna, che rappresenta l’altra faccia dell’universo femminile rispetto all’immagine che Virginia Woolf ha di sé, appartengono Helen Ambrose e Clarissa Dalloway. Helen ha molti tratti di Vanessa Bell⁸: innanzitutto la bellezza e il fascino che seducono il giovane intellettuale St. John, come anche altri personaggi, ma, ancor più di loro, l’io narrante, la cui voce descrive, affascinata, i gesti e le espressioni di Helen mentre parla, ride, ricama. Inoltre, come Vanessa, Helen trova la sua realizzazione di donna nella maternità, come il testo mette più volte in evidenza⁹. Non è un caso che su questo punto trovi un’intesa immediata con Clarissa, che ha appena incontrato: parlando dei figli, tra loro il tono da salottiero si fa intimo e si legge nel testo che i loro occhi si fanno «più profondi» e le loro voci «più cordiali». Clarissa Dalloway (che pochi anni più tardi sarebbe tornata come protagonista dell’omonimo romanzo) è dotata, al pari di Mrs. Ramsay di Gita al faro, di una sensibilità che non ha niente di intellettuale, anzi è una donna molto «normale». Qui sta il segreto del suo fascino, nella semplicità con cui intuisce i bisogni degli altri e con cui risolve problemi che potrebbero sembrare complicati. Helen e Clarissa sono donne felici e realizzate («non so perché sono felice», ammette ridendo Helen) che vivono al fianco di uomini completamente diversi da loro, che viziano e proteggono come fossero bambini incapaci di affrontare il mondo senza il loro aiuto. Ridley Ambrose, lo studioso che trascorre tutto il suo tempo a tradurre testi di poeti greci, e Richard Dalloway, il politico presuntuoso e superficiale, vengono amati e sostenuti da donne che la Woolf ci mostra infinitamente più grandi, la cui ricchezza interiore è inafferrabile e mutevole com ’era per l’autrice l’essenza della vita stessa. Loro non lo sanno, e in questo sta parte della loro bellezza, ma lo possono comprendere il lettore e la lettrice del testo woolfiano, se decifrano l’ironia inconsapevole di frasi come quella rivolta da Clarissa al marito: «Quello che mi piace in te [...] è che tu sei sempre lo stesso, mentre io sono una creatura mutevole».

    Rachel, più vicina alla proiezione autobiografica dell’autrice, appartiene a un tipo di donna diversa, che non accetta compromessi con la realtà neppure per amore. Dotata di un ’acuta sensibilità, insicura, non particolarmente bella, ha grande difficoltà a comunicare con gli altri su un piano superficiale. Il suo difficile rapporto con la parola diventa, anzi, uno dei fili conduttori del testo: leggermente balbuziente, non ha familiarità né con le frasi scritte che maneggia «come se fossero state di legno [...] e avessero posseduto una propria forma, come tavoli o sedie», né con la parola detta. E proprio questa incapacità a dire è un tratto in cui, paradossalmente, l’autrice proietta una parte di sé, se nel diario scrive di non saper trovare le frasi per esprimere quello che sente. E certo, quello che lei, Virginia, non può essere espresso con il linguaggio della comunicazione comune, ma con parole animate da un soffio vitale che le rinnovi e le riordini in un ritmo, in un suono, in una forma capaci di rendere la sua «visione» d’artista.

    Rachel, consapevole della solitudine, transitorietà,complessità delle relazioni umane, esprime la profondità del proprio essere attraverso la musica,che qui assume la valenza che per la Woolf aveva la scrittura, e se la sua stessa sensibilità crea un abisso tra sé e gli altri, dimentica tutto il resto immergendosi nella musica, la forma d’arte che è pura astrazione, dimensione in cui l’emozione può esprimersi senza le mediazioni spaziali e temporali che la scrittura impone.

    Il personaggio di Rachel introduce in questo romanzo il tema dell’artista e del suo sofferto rapporto col mondo, che sarà uno dei motivi ricorrenti dell’arte novecentesca, emblematicamente espresso nel joyciano Ritratto dell’artista da giovane¹⁰. Il rapporto di Rachel con la musica, la sua aspirazione a vedere oltre il sipario delle apparenze, i suoi interrogativi sul senso della vita, il bisogno di «molte altre cose oltre all’amore di un solo essere umano», ne fanno una figura vicina all’immagine che Virginia Woolf ha dell’artista moderno. Ma per lei l’arte non sarà l’approdo finale. Al termine del suo viaggio, il superamento di una condizione di isolamento e di incomunicabilità avverrà non attraverso la realizzazione artistica, ma con la morte.

    Dotata di una sensibilità d’artista senza averne il talento creativo, il personaggio di Rachel anticipa soltanto un tema che verrà pienamente affrontato dall’autrice nelle opere più tarde. Sarà Lily Briscoe, la pittrice di Gita al faro, a dare agli interrogativi di Rachel una risposta simile a quella che la stessa Woolf sta cercando. Accettando la condizione di isolamento cui è destinata, Lily Briscoe, come la scrittrice Virginia Woolf si realizza nel processo, lento e tormentato, della creazione artistica, nel quale compensa la sua apparente impotenza nel mondo e si spoglia della propria individualità per evocare, con la sua personale visione, una voce universale.

    Sul piano formale, con questo romanzo ha inizio la ricerca intrapresa da Virginia Woolf per colmare il vuoto lasciato dalla tradizione del romanzo realista, una tradizione che lei riconosce altissima ma ormai incapace di rappresentare sulla pagina la coscienza e la sensibilità del soggetto moderno. La sua ricerca di una forma diversa proseguirà sempre più estrema e consapevole nelle pagine di La signora Dalloway (1925), di Gita al faro (1927) e Le onde (1931) fino all’ultima creazione Tra un atto e l’altro, terminato appena un mese prima del suicidio compiuto nelle acque del fiume Ouse il 28 marzo 1941. E nel corso di questi anni con lucidità era arrivata a contrapporre agli eredi del realismo ottocentesco (i «materialisti» Wells, Bennett e Galsworthy), i nuovi scrittori «spirituali», tra cui collocava E. M. Forster, Joyce, Eliot e se stessa, artisti che «si sforzano di arrivare più vicino alla vita»¹¹.

    In The Voyage Out non viene ancora scardinata del tutto la nozione di rappresentazione oggettiva, e il testo si affida a una trama realistica dalle solide coordinate spaziali e temporali. E tuttavia, se non presenta ancora le tecniche più sperimentali della scrittura woolfiana, come il flusso di coscienza e il monologo interiore (e forse anche per questo il romanzo è rimasto l’opera sua meno nota), già rivela in modo inequivocabile l’uso di strumenti espressivi innovativi e sofisticati.

    Su un impianto narrativo apparentemente tradizionale si innesta una nuova forma di espressione che procede per immagini ricorrenti arricchite di valenze sempre diverse, come quelle dell’acqua di un fiume o del mare, per simboli, come quello della nave, del viaggio o della foresta, per anticipazioni di motivi che ritornano nel testo a illuminare retrospettivamente le pagine già lette, come nel capitolo venticinquesimo, che si apre con l’immagine apparentemente neutra delle onde che si frangono sulla spiaggia con il «sospiro di qualche creatura esausta» e che in realtà anticipa l’immagine finale dell’onda che sommerge la coscienza di Rachel durante la malattia.

    Anche la caratterizzazione dell’ambiente è resa attraverso una selezione rigorosa di particolari intesi a evocare associazioni più ampie dal significato simbolico e metaforico, come nel caso della stanza di Rachel, in un processo che allenta, fino a dissolverle, le relazioni (così importanti nel romanzo realista) tra ambiente e personaggio.

    Anche se mancano in questo romanzo quei momenti epifanici di visione che diventeranno il tratto distintivo della pagina woolfiana, momenti in cui il soggetto, distaccato dalla realtà contingente, coglie l’essenza della vita, The Voyage Out è dunque un romanzo moderno, in cui il valore è già chiaramente attribuito non al mondo oggettivo dei fatti, delle convenzioni e delle apparenze, ma all ’esperienza interiore del soggetto, alle emozioni e alle sensazioni della sua coscienza inquieta; un testo in cui il lettore percepisce che l’impegno di chi scrive è già teso a dar forma a quella elusiva e inafferrabile essenza della realtà che per Virginia Woolf è compito dell’artista cogliere.

    ORNELLA DE ZORDO

    ¹ Il titolo del romanzo, The Voyage Out, è curiosamente anticipato in una lettera del 1905 scritta durante il viaggio in nave compiuto dalla Woolf in Portogallo insieme al fratello Adrian, un viaggio che ha sicuramente fornito elementi alla composizione del romanzo: «Scoprimmo durante il viaggio di andata Con the voyage out") che avremmo dovuto prenotare i biglietti per il ritorno». In The Letters of V. Woolf a cura di N. Nicolson e J. Trautman, London, The Hogarth Press, 1975-1984, 6 voll., I, p. 223.

    ² Sul

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