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L'anno del cinghiale
L'anno del cinghiale
L'anno del cinghiale
E-book225 pagine3 ore

L'anno del cinghiale

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Info su questo ebook

Lui è Carlo Berlin, veneto doc e naturopata, lei è Mary Glancer, british fino al midollo. Entrambi stimati professori universitari, si amano di un amore romantico e antico, un affetto fatto come tutti di poesia e quotidianità, ma che si estende a un sentimento universale che abbraccia la natura e l’intera razza umana. Ciò che li accomuna è l’ampiezza del loro sguardo, che supera lo steccato di un orticello sui Monti Berici e scruta nel tempo a venire aguzzando la vista là dove solo i folli e gli idealisti osano guardare. “Che succede nel mondo” si chiedono,  “e davvero non possiamo fare nulla per cambiarlo?” Nei tre episodi di questo romanzo il lettore non troverà risposte ma un viaggio in compagnia di eccentrici personaggi attraverso la Cina, l’Europa e l’Australia in un percorso fantapolitico a tratti ironico, molto spesso disarmante, verso null’altro che una semplice intuizione. Agli audaci il merito, o la follia, di darvi credito.
LinguaItaliano
Data di uscita2 set 2023
ISBN9791222443195
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    Anteprima del libro

    L'anno del cinghiale - Elsa Bettella

    Cina – Anno del Cinghiale

    Aeroporto di Pechino, agosto 2019

    C’era da aspettarselo che gli facessero delle domande. Era la prima volta che entrava in Cina con un normale visto turistico e non da visiting professor e certamente volevano fargli sapere che avevano notato la cosa.

    «Il suo nome?»

    «Carlo Berlin.»

    «Professione?»

    «Contadino e naturopata.»

    «Ah sì? E a Harvard che cosa insegna, come guarire con l’insalatina coltivata nell’orto?»

    «Quella dell’insegnamento non è una professione, è un hobby. D’inverno nei campi non si lavora e ho il tempo di fare altro.»

    «Interessante. Quindi che cosa ci fa nel nostro Paese, vuole scoprire come coltiviamo noi l’insalata o insegnare Economia politica per hobby?»

    « Sono in vacanza e ne approfitterei per salutare alcuni amici che ho conosciuto in diverse parti del mondo e che…»

    «Che insegnano principalmente qui, certo. Vigiliamo su di loro con discrezione. Per la loro sicurezza, s’intende. Non ci risulta che lei sia stato invitato da una delle nostre università in questi giorni, professore. Quindi non è qui nel suo ruolo di visiting professor

    «Certo che no. Non in questa occasione, perlomeno. Sono già stato in Cina su vostra richiesta, o meglio, su richiesta delle università, ma…»

    «Lo sappiamo, lo sappiamo, e adesso è qui in veste di turista.»

    «Esatto.»

    « Conosciamo le date esatte dei suoi spostamenti nel nostro Paese, in quali università ha tenuto lezione e quali sono i suoi collegamenti. Sappiamo molto di lei.»

    «Non ne ho dubbio. Conosco bene le vostre regole e mi ci sono sempre attenuto. Vorrei solo viaggiare e conoscere meglio il vostro grande Paese, ecco tutto.

    «Come mai parla così bene la nostra lingua?»

    «La studio da anni e anche se di norma tengo lezioni in inglese mi è servita per creare legami e relazioni con la vostra gente.»

    «Certo conoscere la lingua favorisce la conversazione, tutto diventa più facile. Anche creare relazioni e collegamenti.»

    «È così. È utile allo studio e alla socialità, ma mi permetta una domanda: non le pare normale che il vostro Paese susciti grande interesse da parte di studiosi di tutte le materie di tutto il mondo?»

    «Proprio perché siamo un grande Paese e suscitiamo un così grande interesse nel mondo dobbiamo stare attenti che il nostro messaggio arrivi chiaro e trasparente e non manipolato da opinioni, punti di vista, propaganda e interessi particolari. Mi intende?»

    «Certo che la intendo.»

    «Bene. Le rilasciamo un visto turistico. Non è tenuto a presentare ricerche o progetti e non potrà tenere lezioni.»

    «Posso almeno incontrare, per pura cortesia, le persone che conosco, colleghi e amici?»

    «Per pura cortesia, naturalmente, potrà incontrare chi desidera. Si ricordi che abbiamo una lista di tutti i suoi contatti e che è nostra regola vigilare.»

    «Vuole dire controllare.»

    «Non sia scortese, professore, e ricordi che lei è nostro ospite.»

    «Scusi.»

    «Buona vacanza, professor Berlin. Un’ultima domanda: dove lavora da naturopata e che cosa coltiva, esattamente, contadino Berlin?»

    «Possiedo tre ettari di terra sui Monti Berici, le colline sopra Vicenza, nel nord-est dell’Italia. Coltivo viti e olivi e qualche albero da frutta. I prodotti tipici del mediterraneo.»

    «Vive lì?»

    «Nella bella stagione. In inverno vado e vengo per dedicarmi al mio hobby.»

    «Anche la bicicletta fa parte del suo hobby?»

    «Mi piace la bicicletta. Non inquina e mantiene in forma.»

    «Ha intenzione di usarla anche qui?»

    «Sì, certo. Pensavo di comperarne una. Niente di anomalo per voi, mi pare.»

    «No, ma si ricordi di segnalarci modello e colore. Può andare. Buona vacanza professore.»

    Carlo Berlin si sforzò di ignorare l’ironia del saluto, intascò il visto e si avviò verso l’uscita del terminal di Pechino. L’intera conversazione era stata surreale.

    Il cielo era minaccioso, presto sarebbero arrivate le grandi piogge. In altre circostanze avrebbe scelto un periodo migliore ma Mary non dava più notizie da due mesi e nessuno sapeva dove fosse. L’ultimo contatto era una e-mail inviata da Pechino.

    Non sarebbe stato saggio chiedere notizie a qualcuno in modo diretto perché se fosse stata in pericolo ciò l’avrebbe esposta ulteriormente e attirato l’attenzione di qualche ficcanaso. Meglio tenere un profilo basso e mescolarsi tra la folla. Centinaia di occhi elettronici invisibili spiavano chiunque e ovunque, a volte si vedevano a volte no, ma si sapeva che c’erano.

    L’aria era irrespirabile, al solito, forse solo un po’ meno caliginosa. Doveva sbrigarsi a trovare una bicicletta. Si incamminò verso il mercato, il visto ben custodito dentro la tasca interna della giacca a vento, che palpava ogni tanto per rassicurarsi, e lo zaino che ora sentiva stranamente leggero.

    Mary, Mary dove sei? Perché non ti sei fatta più sentire? Non è da te sparire, anche se ce l’avevi con me e forse volevi punirmi.

    Il cuore sobbalzò al pensiero del suo sorriso, dei suoi capelli biondi, della sua figurina esile e forte allo stesso tempo.

    Anche se non voleva più stare con lui era importante sapere che lei esistesse, che respirasse e camminasse nel mondo. Che poi, il loro stare insieme era un continuo andirivieni, senza radici né stabilità, un’idea più che altro. Eppure vedersi, nutrirsi l’un l’altro di parole e gesti prima di tornare al proprio lavoro, era una necessità.

    Gli venne da sorridere. In una intervista recente sullo stato della democrazia gli avevano chiesto quali fossero i suoi valori personali, oltre a quelli classici occidentali come la democrazia, la libertà, la solidarietà e bla bla bla. Gli era uscita una frasetta tipo: amore, natura, cultura. Mary era un concentrato di questo, era il suo valore. Glielo aveva mai fatto capire?

    Scorse l’ometto delle biciclette, chiedendosi quanti puntini blu spiassero dentro quello spazio, e si lasciò accompagnare di fronte a una montagna di ferrivecchi e gomme bucate. Scovò una bici scura, senza segni di riconoscimento, anonima come altre mille. Era vecchia e pesante, con i cerchioni larghi, e faceva al caso suo nella prospettiva di percorrere parecchi chilometri in ogni condizione. Era la rosa de Il piccolo principe: una come tante, ma sua. L’avrebbe addomesticata e amata.

    Comperò anche due tubolari di ricambio, un cestino di metallo, un lucchetto e un coprisella. Chissà quante ne aveva viste quella bici. Ah, se avesse potuto parlare. La chiamò Bruna e la salutò con una benevola pacca sul manubrio.

    Salvami, Bruna, se dovessi perdermi.

    Naturalmente si guardò bene dal riferire le caratteristiche della bici all’ironico funzionario dell’immigrazione, era comunque certo che Bruna, senza marca né segni particolari, fosse già stata ripresa in innumerevoli fotogrammi dalle invisibili spie elettroniche.

    Sarebbe andato a trovare il suo amico Jun, come prima tappa, ma non oggi, non stasera: troppo tardi e troppo freddo. Sapeva dove andare a dormire, c’era già stato in un paio di occasioni. Si sarebbe concesso una lauta cena finché poteva trovare del buon cibo: riso con verdure, spaghetti di soia, ravioli di verza al vapore, zuppa di alghe, filetti di pesce affumicato, polpettine di polpo fritte, il tutto condito da salse più o meno piccanti.

    Iniziò una pioggia sottile sotto un cielo ormai nero.

    Fece sogni inquietanti: una chiave perduta, dei grattacieli, tutti uguali, con ascensori che si intersecavano e non conducevano mai al piano voluto , vie di fuga attraverso scantinati disseminati di macerie con piccole finestrelle, treni perduti. Si svegliò madido di sudore e con un grande peso sull’anima ma non c’era tempo per indugiare. Jun lo aspettava, si erano scambiati un paio di e-mail. Anche Bruna l’aspettava paziente per portarlo a casa del suo amico professore. Troppo pericoloso incontrarsi all’università: aveva promesso visite di cortesie e non incontri professionali.

    Il cielo si era rasserenato e l’aria del mattino pareva più leggera. Indossò una mascherina, niente bagaglio, solo il necessario, che includeva il suo prezioso visto. Mentre percorreva i grandi viali inquinati rifletté sulla preziosità dell’aria pulita. Pensò alle corse in bici per i colli, a casa, in Italia, tra il vento fresco e profumato. E pensare che a volte ci si lamentava anche lì per il cambiamento climatico, il caldo, il freddo, le piogge. Si doveva respirare a Pechino per capire il problema nei suoi aspetti peggiori.

    Arrivò a casa di Jun stremato dallo sforzo di respirare in economia e pedalare velocemente. Il caloroso saluto, il sorriso gentile dell’amico e un buon tè gli restituirono le forze.

    La vita è fatta di incontri, pensò Carlo, questo è il suo senso.

    Parlarono sottovoce in inglese, a distanza ravvicinata uno di fronte all’altro, sopra un piccolo tavolino. Jun era sicuramente nella lista dei professori che vanno in giro per il mondo e in quella dei contatti di Berlin in Cina. Forse non c’erano microspie in casa, ma meglio essere prudenti.

    Carlo manifestò la sua apprensione per il prolungato silenzio di Mary. Era venuta ufficialmente in Cina per una serie di lezioni all’Università di Pechino e altre due università. Jun la conosceva bene, trattavano materie tecnologiche affini e godevano di stima reciproca. Negli stessi giorni lui si trovava in Europa e non aveva potuto incontrarla, ma avrebbe chiesto con discrezione ai colleghi per avere qualche informazione utile. La sua preoccupazione era visibile, il viso impallidito, la fronte corrucciata. Carlo realizzò dalla sua reazione quanto la situazione fosse delicata.

    Perché? gli chiese con gli occhi.

    «Non te ne posso parlare, né qui né altrove, ma riguarda i nostri lavori sull’Intelligenza Artificiale.»

    «Non eravamo rimasti al 5G e all’internet of things?» disse Carlo.

    «Quello sì, anche, ma siamo già oltre, in una guerra subdola e veloce. E in questa nuova partita si gioca il futuro dell’umanità.»

    «Stai scherzando vero? Mi stai impaurendo. Mary, comunque, che cosa c’entra? Non mi ha mai parlato di Artificial Intelligence, non si occupava di questa cosa. Si occupava di robotica nelle imprese. E comunque le tecnologie erano dentro il contenitore delle relazioni internazionali. Lei non è un’informatica.»

    «Carlo, il passo è breve, e può darsi che tu non sappia alcune cose, alcuni ultimi risvolti del suo lavoro.»

    «Che cosa intendi dire? Che forse stava lavorando in segreto, che è stata avvicinata da qualcuno?»

    «Magari… non so.»

    «Cosa stai dicendo? Mary aveva il suo lavoro all’università, le sue figlie, benché grandi e all’estero, e aveva me. L’avrei saputo, avrei capito. Ne sei sicuro?»

    Un parlottio fitto e teso, testa a testa. Carlo non era più sicuro di niente. Uno scenario inimmaginabile si stendeva come una mappa incomprensibile dentro la sua mente. AI, due piccole e innocue lettere, Intelligenza Artificiale. Mary che lavorava su qualcosa che lui non conosceva, di cui lei non gli aveva parlato. Le loro parole solite, che nascondevano quelle indicibili. Qualcuno l’aveva avvicinata: un’entità astratta, una persona fisica, un’azienda, un governo, un’università. Di quale Paese? Domande senza risposta ma rimaneva una certezza, meglio, una speranza: che Mary non fosse andata via da lui, che non fosse lui la causa del silenzio. Il pensiero gli infuse un po’ di speranza , ma non lo sollevò certo dalle sue responsabilità. Se non l’avesse lasciata così libera, così sola.

    Avrebbe fatto visita all’Università, in fondo conosceva un po’ di persone e salutarle poteva rientrare nella categoria delle visite di cortesia consentite. Si accordarono per incontrarsi in facoltà il giorno dopo, Jun avrebbe organizzato un incontro tra colleghi.

    «Lo farò. Ma tu non fare domande dirette, cerca di ricostruire i giorni di Mary a Pechino attraverso la conversazione. Fai da solo i tuoi collegamenti e le ipotesi. Magari ci possiamo vedere a pranzo. Promettimi di non esporti, Carlo, perché metteresti in imbarazzo tutti noi e non andresti molto lontano.»

    La notte successiva fece sogni che non ricordò e che lo lasciarono in uno stato di angoscia. Voleva preparare un piccolo discorso in cinese, molto semplice e cortese, dal quale trasparisse il suo desiderio di rivedere la compagna per chiederle scusa di qualcosa. Sperava di farla franca, di non risultare troppo falso e che il raccontino reggesse.

    Aveva a che fare con persone dotate di un grande sapere specifico nel loro campo e con una cultura millenaria alle spalle, molto diversa da quella occidentale. Queste persone coltivavano l’arte dell’ascolto e della pazienza, erano poco interessate alle questioni dell’Io e dell’anima e molto inclini a valutare obiettivamente il comportamento delle persone. Noi occidentali, pensò Carlo, tendiamo a voler interpretare taluni comportamenti e talvolta a giustificarli come effetti di un malessere interiore causato da fattori esterni e ineluttabili.

    In funzione di queste sostanziali differenze culturali doveva pensare e agire in modo adeguato, senza far trapelare emozioni, sentimenti e paure, adottare un piglio calmo e deciso e giustificare la sua indagine con la volontà di porre rimedio a un comportamento errato. Aveva letto e meditato sulla storia del confucianesimo e un tempo gli era parso perfino di poterla accostare al fermo rigorismo morale dell’etica calvinista.

    Più ci pensava e più capiva che il discorsetto non sarebbe stato né semplice né breve. Sarebbe dovuto partire da lontano, stabilire legami e nessi, forse cominciare dall’Africa o dalla Belt Road Initiative o, come la chiamava a volte con i suoi studenti, la Nuova via della seta, per sottolineare un antico collegamento culturale tra l’Oriente e l’Italia, che fin dai tempi lontani è stata patria di grandi innovatori.

    Ecco, ecco, forse aveva trovato un filone di dialogo: gli italiani e l’innovazione. Doveva rispolverare un po’ la memoria ma questa poteva essere la pista giusta per agganciare i suoi interlocutori e giustificare le sue richieste. Marco Polo, ma anche prima, L’Italia non è mai stata fuori dai giochi dell’innovazione, ripeté a se stesso. L’Italia, questo piccolo Paese che tanto interessava i suoi colleghi, il Paese dei paradossi, lo chiamavano, come se il loro…

    «L’identità di un Paese è la sua storia e nella storia di un Paese la ricerca dell’identità finisce per definire i contorni di una diversità, di una specificità.»

    I colleghi cinesi sapevano che Carlo teneva un corso di Economia Politica chiamato Cities and Regions in Italy and Europe: economia, politica ma anche storia e innovazione.

    «Per esempio, se la Francia è la sua campagna, l’Italia è le sue città. E le città italiane che costituiscono le fondamenta dell’identità del paese sono un contesto particolarmente favorevole alla fioritura dell’innovazione. Vale quindi la pena di ricordare che non siamo un Paese condannato a subire l’innovazione degli altri, quanto destinati a contribuire all’innovazione globale, purché ci sia fiducia nelle nostre capacità.»

    Potrei portare esempi di inventori e innovatori nelle varie epoche.

    «La storia classica riporta Archita, scienziato vissuto a Taranto nel 400 a.C., che creò una colomba meccanica, probabilmente un aliante di legno, che potremmo considerare uno dei primi esempi di automa.»

    Ottimo l’aggancio con le moderne tecnologie.

    «Archimede, nato a Siracusa nel 287 a.C., matematico e fisico, fu un inventore geniale che applicò il funzionamento delle leve a tantissimi dispositivi meccanici come la puleggia e la vite di Archimede. Il mondo romano ha costruito la sua eccellenza sulla capacità di lavorare in squadra nel campo dell’ingegneria edile per la costruzione di strade, ponti, acquedotti, bagni, sistemi termali e di tutte le infrastrutture di un grande impero. Una dote dei romani fu certamente la capacità di annettere e assimilare culture diverse in un unicum integrato.»

    Anche questo piacerà molto: troveranno similitudini, faranno collegamenti con il loro grande obiettivo del Progetto BRI.

    Non era certo che il Diritto romano, base dei diritti moderni in occidente fosse un buon argomento. Sarebbe venuta fuori la discussione sui diritti umani e sulle beghe legali che il progetto BRI e i suoi investimenti stavano comportando nei diversi Paesi toccati dal progetto, vale a dire quasi tutto il mondo. Forse qui avrebbe dovuto sorvolare. Sarebbe passato all’epoca delle città medioevali.

    «Si sviluppò a Salerno una famosa scuola medica, attiva dall’830 d.C., responsabile della rinascita della chirurgia. Federico II di Svevia è accreditato come l’inventore moderno della burocrazia e di un corpo organico di oltre duecento leggi a favore di un totale e innovativo riassetto del regno siciliano. Borghesano Lucchese ha creato a Bologna nel 1273 il primo filatoio meccanico per la seta. A Venezia, Angelo Barovier scoprì nella sua fornace il procedimento tecnico per realizzare un vetro terso e incolore. Sempre a Venezia visse Marco Polo e nacque l’Arsenale, quello che viene considerato il primo laboratorio di ricerca industriale sulle tecnologie per la navigazione e probabilmente la prima catena di montaggio prefordista. Vi lavoravano circa sedicimila operai, in grado di costruire una nave al giorno.

    Questo piacerà moltissimo ai cinesi.

    «Sempre a Venezia vennero inventati i primi occhiali. Ad Amalfi venne inventata da Flavio Gioia la bussola magnetica e

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