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L’oscurità dell’anima
L’oscurità dell’anima
L’oscurità dell’anima
E-book255 pagine3 ore

L’oscurità dell’anima

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Info su questo ebook

Quello che Leo Marchetti, giovane e brillante profiler in forza alla polizia di Milano, è chiamato a risolvere è un giallo che pare impenetrabile.
C’è un misterioso assassino seriale, i cui delitti efferati scuotono la Lombardia. Rapisce donne belle e giovani, e abbandona i loro cadaveri abusati, mutilati, sfregiati di un segno particolare, che suggerisce oscuri intenti legati al satanismo.
Dietro di sé, il killer non lascia altra traccia, se non la firma del Diavolo di Porta Romana, echeggiando così una figura della storia milanese ammantata di un’aura di cupa leggenda.
Toccherà a Leo ricostruire la parti mancanti di un puzzle complesso ed enigmatico. Accanto a lui la sua squadra, e anche l’affascinante ispettore Anna Martini, con cui il rapporto si colorirà presto di dolci tinte sentimentali, e verrà messo alla prova dagli eventi incalzanti.
In una ricerca che impegnerà tutte le loro migliori energie, gli investigatori si addentreranno nel sulfureo ambiente esoterico che si nasconde sotto la patina frenetica della grande città. Alla caccia di un criminale spietato e inafferrabile, si muoveranno tra personaggi ambigui, situazioni torbide e sorprendenti colpi di scena, confrontandosi ognuno con i propri limiti e il proprio passato.
Romanzo intenso, dalle mille suggestioni e dal ritmo battente, in cui venature noir, rimandi storici e riflessioni morali si compongono nella struttura di un avvincente classico poliziesco.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2020
ISBN9788832927375
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    Anteprima del libro

    L’oscurità dell’anima - Anna Maria Lella

    me.

    Prologo

    Compariva ogni giorno nella nebbia che avvolgeva Milano. Aveva un aspetto inquietante. Sempre vestito di nero, si muoveva tra i quartieri più bui e decadenti, poi si spostava verso il centro, in via Fiori Chiari, imbattendosi in quelli senza sonno: gli artisti, le prostitute, i poliziotti, i barboni.

    Indossava un ampio cappotto, che avvolgeva tutto il suo corpo, e anche la testa.

    Non poteva far tacere la sua malinconia.

    Non sarà mai nostro compito quello di fare il bene; piuttosto nostro piacere unico sarà di fare il male, essendo ciò contrario all’alta volontà di colui al quale ci opponiamo. E se anche la sua provvidenza dovesse provare a trarre bene dal nostro male, ecco sarà ulteriore compito nostro pervertire il fine di tale azione, e tentare ogni mezzo per ridurre al male il bene stesso.

    L’oscurità dell’anima: era questo il suo destino.

    La disperazione l’aveva reso immortale. Udiva ancora le voci dei suoi antenati, lì nella piazza illuminata dalla luna.

    Era rimasto solo discendente di una razza antichissima, maledetta dagli uomini.

    Nessuna era finora riuscita a sfuggirgli. Quante ne aveva uccise? A quante aveva donato l’ossessione dell’inferno? E a quante ancora sarebbe toccato?

    Sapeva che al prossimo macabro ritrovamento sarebbero state di nuovo avviate le indagini, ma anche quel caso sarebbe stato presto annoverato tra gli irrisolti.

    Nessuno lo aveva mai notato. Nessuno sapeva dell’uomo che si nascondeva dietro il mantello nero. Un uomo di cui nessuno aveva mai visto il volto.

    1

    Aurora Francisco indossava un completo blu polvere, con una camicia di un tono più scuro. Percorreva la lunga strada che la separava dal suo porto sicuro. Meditava sulla sorte che le era stata propizia fino a quel momento, e all’ultimo regalo: un bimbo di dodici mesi, che l’attendeva a casa come ogni giorno.

    Osservò il cielo minaccioso e il pensiero corse a quella sera d’estate, quando aveva trascorso il suo miglior tempo con l’uomo che amava, per l’ultima volta. Poi era sparito. Non se ne era saputo più nulla, e lui non aveva saputo del figlio che Aurora aveva in grembo.

    La pioggia prese a eseguire la sua melodia liquida, un Adagio in un primo momento che si trasformò in un Presto.

    Aveva da poco superato i venti anni e una bocca da sfamare non era una cosa di poco conto. Lavorava fino a tardi come indossatrice, presso una piccola agenzia di moda di Bormio. Il corpo slanciato era così sinuoso da lasciare intendere rotondità a prova di bomba. Labbra carnose e rosse erano più provocanti delle sue lunghe e snelle gambe. I capelli lunghi si intrecciavano in onde naturali e sensuali. A volte qualche ricciolo oscurava l’azzurro dei suoi occhi. La chiamavano Viso d’angelo e Cuore tenero.

    Sognava di diventare una modella e perciò si costringeva a una dieta ferrea e a una vita di rinunce. Erano passati due anni da quando aveva iniziato quel lavoro, e ancora non era riuscita a farsi notare da chi avrebbe potuto fare la sua fortuna.

    La pioggia battente rendeva la strada più deserta.

    Non aveva mai incontrato nessuno nel percorso verso il suo rifugio dalle angosce umane. L’abbraccio del suo bimbo la ricompensava di ore e ore di attesa e di solitudine tra stranieri in terra straniera.

    Non le parve vero di scorgere in lontananza, come fosse un puntino in mezzo al cielo nero, una figura umana, e provò sollievo. Per la prima volta non era sola.

    Aspettò che si avvicinasse per scrutarne i contorni e rallentò il passo, decisa a fare due chiacchiere e accorciare i tempi.

    Inutile, viene verso di me, e non faremo la stessa strada.

    Accelerò comunque l’andatura verso l’uomo. Quando gli fu abbastanza vicina, la bocca dello sconosciuto non proferì parola. Parlarono i suoi occhi. Aurora ebbe solo il tempo di leggere in essi la follia. La scrutavano, oscuri e penetranti come la lama di un affilato coltello, e la trafissero, scaraventandola in un abisso cieco, da cui non vide via d’uscita.

    Cadde al suolo nell’attimo esatto in cui la pioggia smise di colpire ripetutamente il suolo, fangoso e viscido come la stretta dell’uomo sul suo corpo.

    Era prigioniera di un mostro.

    Mamma, mamma!

    Matteo reclamava a viva voce la presenza della giovane madre, quasi sapesse che era arrivata l’ora in cui di solito rientrava a casa.

    Le urla del piccolo misero in agitazione Marisol, la baby-sitter, che si affrettò a chiamare Aurora. Il telefono era spento. Pensò che potesse essere in dolce compagnia e, tranquillizzato Matteo, si adagiò accanto a lui sul comodo divano, sprofondando nel sonno.

    La notte buia lasciò il posto a un nuovo giorno nella piccola cittadina. Bormio si destò con i suoi colori, resi ancora più vivi dalla recente pioggia, che il sole non aveva cancellato del tutto. Il suo fascino particolare animava le vie con l’odore dei formaggi freschi e del pane appena sfornato.

    Il suono fragoroso della gente a passeggio aveva il potere di svegliare anche i più pigri e di attirare i turisti, numerosi nella stagione invernale, fermi ad ammirare lo scintillio delle botteghe che esponevano in vetrina i prodotti tradizionali: gli sciatt o rospi, come li chiamano in Valtellina, la bresaola, i taroz...

    C’era chi, fermo nel bar del centro, assaporava con tutti i sensi il piacere che questo luogo sprigionava.

    2

    Pensieri oscuri occupano interamente la mia mente: immagino di essere un dio crudele e di punire, nelle sofferenze più atroci, quanti si frappongono tra me e la realtà cupa e solitaria.

    Credo che nessuno abbia mai visto il buio che ho nell’anima: nemmeno un puntino luminoso riesce a rischiarare quell’oscurità intensa e pressante che prende forma ogni volta che una vittima mi implora di lasciarla andare.

    Ripenso alle urla di quella vecchia strega di mia madre mentre le dicevo: Vai all’inferno, brucia!

    Si preparava, la strega, nella notte di Halloween, per il convegno notturno presieduto dal demonio. Il sabba! Voleva portare anche me... Figuriamoci! Ora odo solo le sue urla, e vedo le fiamme che si innalzano in cielo.

    Anche la gente catturata dalle fiamme urlava.

    I vigili del fuoco, per quanto tempestivo fosse stato il loro intervento, non erano riusciti a salvare dalle fiamme né l’uomo, né la donna. Di loro era restato ben poco.

    Le vittime vennero identificate dalla polizia come Gloria e Edoardo Micheli, madre e figlio. Due persone molto riservate. In città, quando si parlava di loro, la gente mormorava: Strana coppia quei due. Nessuno sa da dove vengano. Non ricevono visite, non frequentano nessuno. Nemmeno padre Mark, loro confessore, sa niente di loro. Quello poi dice che non può parlare perché è tenuto al segreto. Brutta storia! Oppure: Sempre che sia stato Edoardo ad appiccare il fuoco! L’avrà fatto per i suoi sensi di colpa, per aver ammazzato quelle povere donne...

    Fu davvero una storia inquietante, perfetta per riempire qualche prima pagina. Poi, come tutte le brutte notizie, fu presto dimenticata.

    L’uomo, la bestia, lasciò il rifugio a malincuore. Solo lì era se stesso. Anni e anni a prendersi cura delle ragazze, chiuse nel seminterrato della sua coscienza.

    Ora c’era Aurora.

    Devo fare in fretta, l’altra vita mi aspetta. Quella delle apparenze. Se non mi sbrigo, qualcuno potrebbe notarmi.

    Il mostro lasciò quel sentiero pericoloso e raggiunse il punto di partenza del Bernina Express, il magico trenino rosso di un tempo. Era un’ombra, al di là degli uomini, invisibile. Era vittima o carnefice?

    I volti incollati ai finestrini, gli altri passeggeri erano fantasmi, vittime della routine quotidiana. Prigionieri catturati da un paesaggio che conoscevano a memoria.

    Seduto in fondo al trenino, come faceva di solito, lui osservava il paesaggio innevato e la propria immagine riflessa nel vetro del finestrino.

    Un sorriso compiaciuto, quasi un sogghigno diabolico, mosse le sue strette labbra. Si concentrò sul da farsi. Non sarebbe stato difficile, bastava ascoltasse quella voce.

    Rientrò in se stesso con la maschera dell’individuo normale.

    3

    Loris Sallisto era in polizia da venticinque anni, ovvero la metà esatta di quanti ne aveva. La sua età diventava evidente quando l’attenzione si concentrava sul suo ventre prominente: risultato di anni e anni a mangiare per lo più porcherie, comprate al volo durante il servizio. Non aveva una moglie e neppure una compagna. Non più.

    Si chiamava Elena. Era bella Elena, e faceva impazzire tutti col suo sorriso provocante. L’aveva conosciuta alla fermata dell’autobus in via Torino, a Milano. Pioveva che dio la mandava. I libri che Elena gelosamente custodiva sotto il braccio le caddero.

    Oh mio dio, non sono miei... Cosa faccio ora? Sì, mi licenzierà, lo farà, ne sono certa. I libri rovinati, no, non è possibile, che sfortuna!

    Elena lavorava in uno studio notarile e i libri che le erano caduti li aveva presi in prestito nella Biblioteca Sormani, dove il notaio suo principale attingeva spesso per consultare i testi che a lui mancavano.

    Non preoccuparti, vedrai che si recupereranno, basta trovare la persona giusta, disse timidamente Loris.

    E lei chi è? Non si impicci, pensi ai fatti suoi.

    Mi perdoni, sono Loris, Loris Sallisto e mi dispiace se sono stato inopportuno.

    Fu allora, come dimenticarlo, che Elena lo catturò col sorriso che ancora portava dentro.

    Ora Loris viveva in perfetta solitudine e dedicava la maggior parte del suo tempo a mangiare ciambelle e a catturare stupratori, assassini e pedofili.

    Leo Marchetti era ritornato in Italia dopo aver seguito brillantemente il corso presso l’accademia dell’ FBI a Quantico. Il suo pessimo carattere mal si adattava all’aspetto, curato e giovane.

    Negli USA Leo aveva stretto amicizia con un profiler che insegnava psichiatria criminale, John Russel, il quale, convinto delle sue qualità, gli aveva proposto di entrare nella famosa unità di analisi comportamentale. Leo però aveva preferito ritornare in Italia, in un piccolo comune dell’Alta Valtellina, ed entrare in polizia. Era diventato il più giovane ispettore della polizia di Milano. Godeva della stima di tutti, nell’ambiente della polizia, in quanto aveva un fiuto particolare nel riconoscere le patologie mentali che caratterizzavano chi si macchiava di delitti efferati.

    La sua fama tuttavia si era diffusa rapidamente, cosicché molti colleghi, in Lombardia, si avvalevano della sua collaborazione. Da qualche tempo, però, Leo aveva dei ripensamenti e si chiedeva se non fosse meglio trasferirsi a Portland, dove avrebbe davvero potuto mettere a servizio della giustizia la sua dote naturale.

    Quello della sezione omicidi con cui lavorava era un gruppo affiatato, dove ciascuno era pronto ad aiutare il collega, mettendosi, se necessario, in discussione.

    Devi smettere di fumare, Loris, ti fa male. Non senti che tosse hai?

    Ti prego, non ripetermi sempre le stesse cose, non ce la faccio, credimi.

    D’accordo, se vuoi morire, arrangiati.

    Ogni volta che Leo chiudeva la parentesi non si fuma, Loris si sentiva subito autorizzato ad accendersi una sigaretta rossa, forte, una Marlboro. Voltava le spalle al collega, noncurante della sua preoccupazione di ex fumatore. Leo doveva confessare, almeno a se stesso, che la voglia di fumare non gli era mai passata e che tante volte era stato sul punto di ricadere nella trappola del vizio.

    4

    Non sapeva più nemmeno il suo nome. L’unico ricordo era la nuvola di cotone idrofilo che calava sul suo volto appena prima del buio: rammentava di essersi dibattuta un poco, mentre una forza superiore alla sua la tratteneva.

    I polmoni le bruciavano ancora, quando si accorse di essere in un luogo talmente oscuro da non riuscire a intravedere neppure uno spiraglio di luce, fosse stata pure una scintilla, che bastasse a farla sentire viva.

    Sono morta e sono all’inferno, pensò Aurora.

    Poi i pensieri coscienti l’abbandonarono e il suo corpo dolorante cadde di nuovo in un sonno profondo, che si augurò fosse l’ultimo.

    Il mostro la osservava, certo di non essere visto. La scrutava con la libidine di chi è pronto a infliggere ogni sorta di sofferenza.

    Non ancora, non è il momento, pensò mentre la saliva viscida colava dalla sua bocca fetida.

    La denudò e annusò ogni parte del corpo della giovane donna. Si soffermò sui capezzoli, stringendoli fino a riportarla in stato di veglia, per poi ricacciarla nel profondo del sonno, causato, questa volta, da un colpo violento.

    Intorno, silenzio assoluto, rotto qua e là solo dal gocciolio dell’acqua, che ignara di tutto ciò che accadeva intorno, continuava a scandire la solita melodia.

    Aurora sognò di essere su una nuvola immacolata e leggera, e si identificò con essa. Scorse la sua anima nelle piante, negli animali e negli uccelli. Accettò l’aiuto divino e si lasciò andare al suo ultimo desiderio: morire.

    5

    Immagino che gli esperti in laboratorio non l’abbiano ancora identificata, vero? chiese Leo senza degnare di uno sguardo il collega.

    No, e immagino che non sarà una cosa semplice, considerando come è ridotta. Non ho mai visto niente di simile: è completamente sfigurata.

    Loris Sallisto prese in mano il referto del medico legale e lo sfogliò.

    "Vediamo. La presenza di corpi estranei non ancora identificati ha determinato l’arresto cardiaco. Sono stati questi corpi estranei che hanno causato lesioni nella faringe della vittima post mortem. Il deposito del sangue nelle vie respiratorie ha determinato il soffocamento. E ancora, sulla fronte la vittima reca un taglio: un marchio, si direbbe una croce."

    Prima di quella, altre cinque vittime erano state rinvenute, sfregiate e anche mutilate, nei mesi precedenti, tutte non distanti dal luogo in cui era stato trovato il corpo di Aurora, nei pressi di Bormio, in una zona nell’area del Parco nazionale dello Stelvio.

    Sembrava che prima di essere uccisa, ognuna di loro fosse stata tenuta prigioniera per un lungo periodo, mesi, forse anche anni, visto che la loro scomparsa risaliva a molto tempo prima che venissero ritrovate cadavere. La notizia di quei delitti aveva gettato nel panico la tranquilla cittadina tra le montagne.

    Leo rivolse un’occhiata feroce attorno. Sia Sallisto, sia il commissario Giulio Alberti, presenti alla riunione per verificare la corretta impostazione fin da subito delle indagini sull’ultimo omicidio, sostennero il suo sguardo, ricambiando la sua stessa frustrazione e voglia di venire a capo di quell’enigma.

    Ricapitoliamo, disse Leo. La prima vittima si chiamava Marianna Gaudesi, di anni ventitré, cassiera in un supermarket di Bormio. Di bella presenza, non sembra che avesse una relazione sentimentale. Orfana di padre, la mamma si è imbarcata per l’Australia e non ha più fatto ritorno. La ragazza raccontava alla collega, la stessa che ha identificato il corpo, che non la sentiva da anni. La seconda vittima era anch’essa cassiera, ma in una profumeria, sempre a Bormio, e si chiamava Enrica Frassineri. Aveva solo ventun anni. I suoi genitori la consideravano una poco di buono e l’avevano allontanata dalla loro casa. I contatti tra loro erano saltuari. Hanno identificato quel che restava del corpo. Dopo questi primi due delitti, i sospetti erano ricaduti su un tizio di nome Edoardo Micheli. Un tipo strano, che viveva con la madre, Gloria, in un casolare vicino a dove erano stati ritrovati entrambi i cadaveri. Ma le cose si sono complicate quando lui e la madre sono morti nell’incendio del loro casolare, e gli omicidi non si sono fermati. La terza vittima faceva la cassiera in un centro commerciale e si chiamava Elisabetta Marangoni. Aveva vent’anni. Non sappiamo nulla dei suoi genitori, né ci risulta che avesse un ragazzo. Di indole solitaria, era la classica ragazza che si faceva i fatti suoi e non parlava mai di sé. L’identificazione del corpo è stata fatta dal suo datore di lavoro. Queste tre ragazze sono state rapite mentre tornavano a casa, e la causa della loro morte è stata il soffocamento. La quarta vittima è stata Emma Felice, anche lei di vent’anni. Faceva la prostituta per alcuni clienti abituali dell’albergo San Lorenzo di Bormio. Emma era stata adottata all’età di quattro anni da una famiglia milanese dopo che i suoi genitori naturali erano morti in un incidente d’auto. La madre adottiva, con la quale Emma non aveva più rapporti ormai da anni, ha riconosciuto il corpo. Quinta vittima: Gemma Cantoni, ventidue anni, prostituta anche lei. Sulla vita di Gemma cala il mistero più profondo. Nessun collegamento è possibile con la sua famiglia. Una sua conoscente ha riferito che probabilmente i suoi vivevano in America e per certe brutte storie famigliari fossero andati fuori di testa, rinnegandola. Sia Emma che Gemma, dunque, arrotondavano lo stipendio prostituendosi. Da alcune testimonianze, pare che siano state rapite nello stesso parcheggio. Sono quelle che avevano sul corpo le ferite peggiori, dal momento che presentavano ustioni gravissime sul volto e anche sui genitali. Proprio quelle ferite sono state la ragione della morte. La sesta, l’abbiamo sotto gli occhi, a un anno di distanza dall’ultimo omicidio. Per tutte, nessuna traccia, nessun indiziato. Oltre alle serie mutilazioni di mani e piedi su tutti i cadaveri, un particolare specifico sembra legare i delitti: le vittime avevano un’incisione a forma di croce sulla fronte, troppo precisa per essere casuale. Ciò ci ha portato a concludere che si tratti dell’opera di una stessa mano. Quindi, o Edoardo aveva un complice, che ha continuato a uccidere anche dopo che lui era morto, oppure, vista che l’ipotesi di un emulatore mi pare troppo fantasiosa, direi che lui non c’entrava fin dal principio.

    Il modo di operare era diverso di delitto in delitto, ma la firma risultava analoga. Di certo i sei casi erano collegati

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