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Il vestito di Cartone: Una storia semplice di gente comune all'inizio del terzo millennio
Il vestito di Cartone: Una storia semplice di gente comune all'inizio del terzo millennio
Il vestito di Cartone: Una storia semplice di gente comune all'inizio del terzo millennio
E-book311 pagine3 ore

Il vestito di Cartone: Una storia semplice di gente comune all'inizio del terzo millennio

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Info su questo ebook

Valeria, quarantenne single, invita a casa per la cena di Natale Aldo, un barbone conosciuto pochi giorni prima per strada. Conquistata dalla sua triste storia decide di aiutarlo nella ricerca del figlio Marco, che l’uomo ha perso di vista dopo la morte della moglie. Ma anche Aldo scompare misteriosamente. Valeria si mette sulle sue tracce per ritrovarlo a tutti i costi. Affronta così un lungo viaggio costellato di incontri, storie di varia umanità e ricco di colpi di scena, che la vedrà testimone di un delitto maturato nell’ambiente degli homeless. Alla fine della sua ricerca lei stessa si scoprirà profondamente cambiata, tanto da imprimere una svolta diversa e determinante alla sua vita fino ad allora solitaria e malinconica.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2014
ISBN9788898190492
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    Anteprima del libro

    Il vestito di Cartone - Aurora Cantini

    Sommario

    Il vestito di cartone

    Copyright

    ROMA, DICEMBRE 2002

    PRESENTAZIONE

    INCONTRO COL BARBONE

    LA SERA DI NATALE

    LA STORIA DI ALDO

    IL SOGNO DI ALDO

    CAPODANNO SULLA NEVE

    ROMA, GENNAIO 2003

    RITORNO A CASA

    STORIE DI BARBONI

    IL PRETE

    L’INSEGNANTE DI RELIGIONE

    FIRENZE, GENNAIO 2003

    VANDA

    L’INCONTRO CON MAURO

    FIRENZE, GENNAIO-FEBBRAIO 2003

    L’OMICIDIO

    ALL’OBITORIO

    IL DOTTORE

    LA CENA

    LE INDAGINI

    IL DIARIO DI MAURO

    BIANCA A FIRENZE

    LA STORIA DI MAURO

    IL MIO SOGNO

    LE MIE INDAGINI

    LA SVOLTA

    IL DELITTO

    LA MÈTA DEL MIO VIAGGIO

    LA TELEFONATA

    VENEZIA, FEBBRAIO 2003

    L’AMICO DI MARCO

    VENEZIA E IL CARNEVALE

    STORIA DI EMMA

    VENEZIA, FEBBRAIO-MARZO 2003

    TRACCE DI ALDO

    RITROVARSI

    L’INCONTRO TRA PADRE E FIGLIO

    L’ABBRACCIO

    GIROVAGANDO PER VENEZIA

    FESTA DI CARNEVALE

    IL CAVALIERE MISTERIOSO

    PASSEGGIATA AL CHIARO DI LUNA

    DIECI MESI DOPO: ROMA, DICEMBRE 2003

    LA NUOVA VITA

    VIGILIA DI MATRIMONIO

    RIFLESSIONI

    STRANI SEGNALI

    GIOVANNA

    IL GUANTO BIANCO

    FIRENZE, 28 DICEMBRE 2003

    IL GIORNO DEL MATRIMONIO

    L'autrice

    Aurora Cantini

    Il vestito di cartone

    Una storia semplice di gente comune
    all'inizio del terzo millennio

    Copyright

    Titolo: Il vestito di cartone

    Autore: Aurora Cantini

    Foto della copertina: Aurora Cantini

    Copyright © 2014 Librosì EDIZIONI

    ISBN versione ebook: 978-88-98190-49-2

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    Scrivi a librosi.edizioni@gmail.com

    "Non è né la carne, né il sangue,

    ma il cuore che rende padri e figli."

    (J. Schiller)

    ROMA, DICEMBRE 2002

    PRESENTAZIONE

    Eccoci di nuovo, manca una manciata di giorni al Natale.

    Possibile che sia già passato un altro anno?

    Mi angoscia il tempo che scorre così in fretta, così inesorabile!

    La città, come al solito, si è adeguata per tempo alla circostanza mostrando il suo aspetto migliore, strade addobbate, vetrine sfavillanti, negozi colmi di tanta merce posta in bella vista, traffico più caotico, gente che va e viene in tutte le direzioni.

    Un macrocosmo variopinto che si rimette in moto ogni anno rinnovando il solito rituale.

    Me ne accorgo non soltanto dall’ambiente che mi circonda, ma soprattutto dal maggiore afflusso di clienti nel nostro negozio; veramente in molti hanno deciso di regalare o regalarsi un buon libro per la ricorrenza.

    «Buonasera signora» esordisce rivolgendosi a me un uomo sui cinquant’anni, con uno spiccato accento nordico «cerco un libro sui miti e le leggende dell’antica Grecia...».

    «Sì... qualcosa del genere dovremmo avere... prego... mi segua... da questa parte...».

    Faccio strada lungo un breve corridoio che separa i due locali del negozio e lo conduco in un piccolo vano dove vi sono scaffali di libri dedicati all’antichità romana, greca ed egiziana.

    «Ecco, dia un’occhiata qui, forse troverà qualcosa che fa al suo caso... Faccia pure con comodo... io intanto torno di là, vedo che la cassa si è affollata e la mia collega è occupata a servire due signore...».

    Anche questa giornata sta per finire... sono quasi le otto, il negozio si è gradualmente svuotato e a noi non resta altro che chiuderlo e tornare a casa.

    «Allora come passi la serata Valeria?» domanda Bianca mentre abbassa le saracinesche.

    «Questa sera vado a cena con un mio amico» rispondo «sai... Andrea... lo conosci anche tu mi pare... niente di particolare... però è un modo per stare insieme e fare due chiacchiere».

    «Ah... sì» continua Bianca «mi sembra che sia quel tuo vecchio compagno di scuola...».

    «Proprio lui... è soltanto un amico... sai gliel’ho promesso tante volte ma non mi decidevo mai... ora non posso più sottrarmi alle sue continue richieste e perciò ho deciso: vado stasera...».

    «OK... allora buon divertimento Valeria... ci vediamo domani».

    Bianca si congeda da me e prende a camminare nella direzione opposta alla mia.

    «Buonanotte Bianca» rispondo io «a domani».

    Dopo la gradevole serata passata in compagnia di Andrea, me ne torno finalmente a casa.

    Già... ma prima di continuare è forse il caso che mi presenti: mi chiamo Valeria Ripa e ho quarant’anni, capelli castani, lisci di media lunghezza, corporatura snella, altezza normale.

    Vivo in un piccolo appartamento in affitto da sola... beh... proprio sola non direi... ho con me una gattina di nome Pallina con la quale a volte parlo, dimenticandomi che è soltanto un grazioso animale, anche se mi mostra affetto in mille modi e, in certi momenti, da come si atteggia, mi sembra che capisca i miei stati d’animo. È veramente uno spasso...!

    Sono figlia unica, ho perso mia madre quando ero piccola e sono cresciuta con mia zia nubile e con mio padre, un piccolo artigiano del ferro battuto, mestiere oggi quasi in via di estinzione.

    Mia zia se ne è andata una decina di anni fa; mio padre di recente, lasciandomi un vuoto immenso.

    Un dolore ancora oggi non completamente elaborato.

    Non passa giorno senza che il mio pensiero vada a lui, anche per pochi istanti.

    In gioventù mi sono presa una laurea in Lettere che non mi è servita a niente.

    Mi sono messa subito a lavorare nel negozio di libri antichi di una zona centrale della città, e lì sono rimasta fino a oggi, senza cercare altre opportunità di impiego.

    Del resto, questo lavoro mi piace molto e lo condivido or­mai da anni con Bianca, mia collega e grande amica.

    Anche lei, come me ha una laurea che tiene nel cassetto, ma è contenta del lavoro e non intende cambiarlo, almeno per il momento.

    Abbiamo in comune anche lo status di single, io non mi sono mai sposata, lei lo ha fatto ma il risultato è stato mediocre, visto che dopo pochi anni di matrimonio si è separata dal marito.

    Il nostro lavoro ci porta comunque a contatto con diversa gente interessante, studiosi, professori universitari, filosofi che spesso si intrattengono volentieri a conversare con noi sui più svariati argomenti.

    Nel mio tempo libero ci sono gli amici, la palestra, i libri gialli e la musica dei Dire Straits.

    INCONTRO COL BARBONE

    Cammino frettolosamente nella notte umida, illuminata da molti lampioni e penso alla mia condizione.

    Non so perché, forse l’avvicinarsi delle feste natalizie mi stimola l’idea di fare un bilancio della mia vita.

    Il Natale è la festa della famiglia riunita, ma io non ho una famiglia e questa mancanza mi comincia a pesare anche se sono piena di interessi e di voglia di fare, le giornate mi passano in fretta e cerco di concedere poco spazio alla malinconia.

    Mentre sono assorta in questi pensieri, passo davanti a un luogo più buio e, in mezzo a un mare di cianfrusaglie, scorgo un cartone che sembra muoversi lentamente, come a simulare il movimento di un respiro. Accanto, altri cartoni di varie dimensioni.

    Più mi avvicino e più mi rendo conto che si tratta di una zona occupata da due o tre barboni.

    Forse dormono all’interno del cartone, noncuranti del freddo e del rumore.

    Ma c’è chi si lamenta sommessamente o tossisce, forse per colpa di una bronchite cronica, mai curata, pronta a sferrare l’attacco durante l’inverno.

    Ho sempre avuto profondo rispetto per queste persone.

    E le loro storie mi colpiscono e mi inducono a riflettere quando, di tanto in tanto, vengono portate alla ribalta.

    Non so cosa mi prende, ma seguendo un impulso irrefrenabile mi avvicino pian piano a uno di questi poveracci.

    Sembra completamente immobile sotto una nutrita coltre di cartoni che lascia appena intravedere la parte superiore del capo. Vedo una testa quasi calva, con pochi capelli, non scorgo altro.

    Mi chino e sollevo con le due dita della mano lentamente il lembo del cartone.

    Scopro il volto di un uomo anziano, con gli occhi semichiusi.

    Sento il suo respiro pesante. Mentre tento di rimboccargli il cartone lui apre gli occhi e mi guarda spaventato con aria interrogativa. Io lo rassicuro dicendo che non deve temere nulla; allora richiude gli occhi e si gira dall’altra parte dandomi le spalle.

    A questo punto, temendo di averlo disturbato, decido di lasciarlo in pace e senza dire niente mi allontano, tuffandomi di nuovo nel caos cittadino.

    Guardo l’orologio. Sono le undici di sera devo affrettarmi a tornare a casa.

    Mi strucco, mi infilo il pigiama e... sono finalmente a letto! Spengo la luce e cerco di prendere sonno.

    Ma non c’è verso, mi giro e mi rigiro, mi viene sempre in mente quel poveretto, non riesco a togliermi la sua immagine dalla mente.

    Finalmente il sonno prende il sopravvento; mi sveglio il mattino seguente ben riposata.

    Il tempo sembra cupo e desideroso di piovere, vedo delle nuvole minacciose all’orizzonte che non fanno presagire nulla di buono. Sono le 7:30 del 21 dicembre, il traffico è già abbastanza sostenuto, macchine e uomini si muovono a una velocità impressionante.

    Vado al negozio e ci resto tutto il giorno; io e Bianca siamo molto indaffarate in questo momento e spesso ci dimentichiamo anche del tempo che passa.

    Ogni tanto però mi ritorna in mente quell’uomo della strada; chissà perché questo pensiero si fa più invadente la sera una volta rientrata a casa, quando comincio finalmente a rilassarmi sprofondata nel mio divano davanti alla TV.

    Non so spiegarmi il motivo di tanto interesse per lui; è vero che si trova in una situazione di disagio, ma non è certamente il solo, è uno dei tanti sbandati che si trovano in tutte le città del mondo; insomma questa è una realtà di emarginazione come ce ne sono altre, penso ad esempio alla povertà, ai diritti negati all’infanzia violata ecc... ecc...

    Però i barboni, non so perché, mi suscitano più compassione.

    All’approssimarsi dell’inverno il problema si ripresenta sempre e così capita di sentire storie di questo tipo: Barbone trovato morto dal freddo su una panchina; oppure, Oltre duecento senzatetto sono morti in Russa per il freddo, che lì certamente non scherza.

    Più recentemente, sempre dalla Russia, ho sentito questa notizia raccapricciante: Barbone morto avvolto in un blocco di ghiaccio, per liberarlo è stato necessario ricorrere allo scalpello.

    E degli episodi di violenza sui barboni? Ne vogliamo parlare?

    Quante ne sentiamo. Barboni malmenati e bastonati, presi a calci e pugni, ridotti in fin di vita per puro sadismo.

    Storie terribili dunque e spesso circondate dalla indifferenza generale.

    La gente va sempre di fretta, la morte per strada non fa più caso.

    Questa è l’amara verità.

    Insomma questi pensieri mi rendono inquieta e, siccome, nonostante i miei sforzi, non riesco a togliermi dalla testa quel poveretto avvicinato la sera prima, decido di uscire di nuovo e di recarmi da lui, nonostante l’ora tarda e i possibili rischi di incontri indesiderati.

    Mi rendo conto che è una pazzia, ma la cosa non riesce a dissuadermi.

    Un sottile strato di umidità pervade ogni cosa, poche macchine transitano squarciando con la luce dei loro fari il buio della notte.

    Non vedo passanti, se non qualche sagoma in lontananza avvolta nell’oscurità.

    Cammino frettolosamente verso il luogo del bivacco.

    Si tratta in realtà di uno slargo appena illuminato da due lampioni laterali dove sono sistemate due o tre persone, a giudicare dal numero dei cumuli di cartone visibili; penso che sotto ogni cumulo si nasconda un uomo.

    Facendomi coraggio, mi avvicino a uno di questi, nella speranza di trovarvi rannicchiato l’uomo della sera precedente, l’uomo che ha suscitato in me tutto questo interesse incomprensibile.

    Ma, nell’accingermi ad abbassare il cartone, lui con una mossa repentina mi anticipa e mostra interamente la propria faccia. Mi è andata bene per fortuna!

    Sì, è proprio lui che, dopo avermi scrutato bene, mi chiede con voce roca chi sono e che cosa voglio.

    Il tono della sua voce mi sembra abbastanza brusco.

    Rispondo che mi chiamo Valeria e non voglio nulla di particolare; aggiungo, mentendo, che sono una giornalista e sto conducendo una inchiesta sul mondo dei barboni, per questo cerco di avvicinarne qualcuno per farmi raccontare la sua esperienza di vita.

    L’uomo, dopo aver riflettuto alcuni istanti, inaspettatamente accetta di raccontarsi.

    Sono sorpresa, non credevo di riuscire nell’intento così facilmente.

    Inizia a parlare dicendo di chiamarsi Aldo, di avere intorno ai sessantacinque anni; in passato era commerciante di mobili, aveva una moglie, Giovanna, e un figlio, Marco.

    Racconta di una famiglia normale, una come tante, con i problemi quotidiani ma anche delle soddisfazioni.

    Dopo pochi minuti, forse per la stanchezza o per l’ora tarda interrompe il racconto, pregandomi di riparlarne il giorno successivo, magari nel pomeriggio e allo stesso posto.

    Io annuisco e ci vediamo come d’accordo.

    La sua storia però non fa significativi passi in avanti perché lui sembra restio a proseguire.

    Dopo avermi detto che amava molto sua moglie, scorgo una certa commozione nei suoi occhi verdi e profondi e la favella sembra essersi bloccata.

    Capisco che non è più il caso di continuare; forse quello che sta per dirmi deve essere molto doloroso per lui, per cui decido di rimandare la prosecuzione del racconto a un incontro successivo; lui mi ringrazia, saluta e senza aggiungere altro si allontana da me, non vuole mostrarmi il suo lato debole.

    La sera stessa sono ancora a cena con Andrea, perché anche lui è momentaneamente solo, avendo la famiglia dai suoceri.

    Ci troviamo in un bel ristorante, appena fuori città, immerso nel verde, scegliamo un tavolo in un angolo del locale più appartato, ci sediamo ed ordiniamo la cena, sul tavolo troneggia una composizione natalizia dalla quale spunta una candela rossa accesa.

    Mi guardo intorno e noto che anche gli altri tavoli sono addobbati a festa, non c’è molta gente, forse è ancora presto, sono appena le otto di sera.

    Andrea sta di fronte a me, è molto elegante e anche belloccio, se non fosse che lo conosco dai tempi del liceo, per cui per me è quasi come un fratello, potrei dire che sarebbe un buon partito.

    Oltre che gradevole d’aspetto, io so che è un vero amico, di animo buono e generoso che si farebbe in due pur di aiutare le persone in difficoltà.

    Ricordo che mi corteggiava quando eravamo studenti, sempre discretamente devo dire, con piccoli gesti o cose apparentemente insignificanti.

    Per esempio, poteva accadere che un giorno, entrando in classe, trovassi sul mio banco un piccolissimo fiore, o un altro oggetto di piccole dimensioni che quasi non si notava, ma io sapevo da chi proveniva.

    Lui, conseguita la maturità classica, ha abbandonato gli studi dopo due anni di università alla facoltà di Ingegneria, scegliendo di fare l’imprenditore in una piccola TV locale, dove era entrato quasi per caso e dove per qualche tempo si era occupato della redazione e conduzione del TG, per poi passare dietro le quinte, come direttore di produzione.

    Si è sposato con una collega giornalista e ha un bambino di cinque anni.

    Durante la cena mi chiede della mia vita privata, cercando di far emergere qualche parte di me che non voglio esternare, essendo io di carattere chiuso e poco propensa a raccontarmi.

    Dopo tante insistenze, e forse complice l’atmosfera rilassata della sera, accenno a un paio di relazioni sentimentali avute nel passato, importanti per me, ma... ahimè... inesorabilmente finite per incompatibilità di carattere col partner.

    Gli dico che sto ancora cercando l’uomo della mia vita, ma non in maniera ossessiva, perché non voglio sbagliare di nuovo. Lui mi guarda con occhi teneri, poi dopo una lunga pausa mi dice che è sempre a disposizione per me, qualunque cosa chiedessi.

    Finita la cena mi riaccompagna con la macchina fin sotto il portone di casa.

    Lo ringrazio per la bella serata e gli porgo la mano per salutarlo, lui la prende e la bacia delicatamente, io la ritraggo con discrezione, scendo dall’auto e mi infilo nel portone, lasciando alle spalle il rombo del motore dell’auto che si allontana nella notte.

    Salgo la prima rampa di scale ma poi mi fermo e guardo l’orologio.

    Sono le 23:30, il mio pensiero corre là nel luogo dei barboni, mi è venuto l’impulso di andarci per salutare Aldo, se ancora è sveglio.

    Scendo dunque in strada e raggiungo frettolosamente il posto, dove lo scorgo già sotto i cartoni, con la fronte coperta da un berretto di lana scolorito.

    Mi chino, sento il suo respiro pesante e affannoso, sembra assopito, decido quindi di andarmene ma lui, accortosi della mia presenza, mi invita a restare.

    Mi osserva; i suoi occhi brillano come stelle, sarà forse l’umidità, sarà forse l’emozione, non lo so, gli dico che sono lì solo per un saluto, non voglio disturbarlo, lo vedo che abbozza un sorriso, è contento, gli auguro la buonanotte, promettendogli che sarei tornata presto, lui mi porge la mano e mi fa un gesto di assenso col capo.

    Poi scappo via di corsa e torno subito a casa.

    Il giorno successivo è l’antivigilia di Natale, mi reco al lavoro che, come al solito, ci tiene occupate tutto il giorno.

    Durante la breve pausa del pranzo che trascorriamo sem­pre nel negozio, consumando dei panini, racconto a Bianca l’incontro col barbone o, con l’uomo vestito di cartone, come preferisco chiamarlo io.

    «Come mai» mi interrompe a un certo punto lei «come mai ti interessa quell’uomo? So che sei particolarmente sensibile al problema dei senzatetto... so che in passato hai fatto delle offerte a qualcuna di queste associazioni che si occupano di loro... se non sbaglio, ma perché ti interessa proprio quell’uomo in particolare... insomma... cosa ti spinge ad andare da lui anche a notte fonda?».

    «È proprio quello che mi sto chiedendo da un po’» rispondo con aria sorpresa «non so darmi una spiegazione a questo mio strano comportamento... non lo so Bianca. Sento di dover agire in questo modo... mi fa tenerezza... sento di doverlo aiutare in qualche modo!».

    «Mah! Se così è... non vedo che altra spiegazione al momento potresti dare alla cosa... Fai quello che ti senti di fare Va­leria!» conclude laconicamente Bianca, che si è già alzata per ascoltare un cliente, entrato nel frattempo nel negozio.

    Dopo pochi minuti riprendiamo la nostra attività fino alla sera, dispensando consigli e cercando di accontentare al massimo le aspettative degli avventori.

    Ho ricevuto diversi inviti per trascorrere il Natale da parte di amici e parenti

    A dire il vero, però, non ho voglia di andare da nessuna parte, preferisco starmene a casa mia, in compagnia della mia gattina.

    Ma forse è un po’ poco; in realtà sono sola e, in questi momenti, la solitudine si accentua.

    La mia mente si affolla di pensieri; ripenso ai Natali felici della mia infanzia, alle poesie recitate sulla seggiola, circondata dall’affetto dei miei familiari.

    Mi pervade la tristezza, ma non devo consentire che essa prenda il sopravvento

    A un tratto, mi viene in mente un’idea incredibile.

    Perché non trascorrere il Natale a casa mia con Aldo, l’uomo della strada?

    Sì... l’idea mi pare buona, potrebbe essere un Natale

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