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L'oscura esistenza. Dark Days
L'oscura esistenza. Dark Days
L'oscura esistenza. Dark Days
E-book506 pagine6 ore

L'oscura esistenza. Dark Days

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Info su questo ebook

Lisa Forte e Isabella Dorgia sono giunte all'estremo

nord dell'Alaska in certa di risposte, ma si troveranno

coinvolte in una terribile lotta per la sopravvivenza,

nel buio e nella neve. Si prospettano giorni oscuri.
LinguaItaliano
Data di uscita7 dic 2021
ISBN9791220377034
L'oscura esistenza. Dark Days

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    Anteprima del libro

    L'oscura esistenza. Dark Days - Manuel Mura

    Il mondo gelido

    Le due donne sembravano ombre prive di sostanza, in mezzo a quel mare bianco in apparenza senza fine.

    Anche se lungo la strada principale la neve era stata spalata di recente, con la tempesta che imperversava, continuava a depositarsi in grande quantità, riempiendola velocemente. Già così superava le caviglie e ancora poco avrebbe raggiunto la vita come succedeva agli angoli della strada, dove il mare bianco si perdeva all'infinito.

    Il cielo buio unito alla bufera e al vento forte e freddo che tagliava la faccia, facevano credere fosse già notte fonda e non scesa la sera da poco. Ma lì in Alaska notte e giorno si confondevano spesso, soprattutto in quel periodo in cui il sole spariva all'orizzonte per almeno un mese.

    Questo a dire il vero a Isabella Dorgia faceva proprio comodo e piacere, non potendosi esporre alla sua luce, per lei letale.

    Tra le due era anche quella più leggera nel vestiario.

    Non soffrendo il freddo il giaccone marrone lungo che indossava serviva solo a salvare le apparenze e coprire la leggera maglia celeste scuro d'abbondante scollatura e la corta minigonna dello stesso colore.

    Non indossava nemmeno un berretto né teneva il cappuccio alzato come la sua compagna, limitandosi a farsi pizzicare il collo dalla leggera pelliccetta del giaccone, anche quella per salvare le apparenze. Ma anche bardata di tutto punto il suo seno prosperoso e il fondoschiena perfetto risaltavano subito all'occhio mentre il viso pieno, contornato dai capelli scuri lunghi e gli occhi chiari acuti e penetranti, rimaneva in evidenza. Alta il giusto e proporzionata nel corpo era sempre stata una ragazza molto bella e fino a circa un anno prima spensierata.

    Da quel terribile giorno, in cui si era ritrovata in casa con uno sconosciuto di nome Albert, la sua vita era stata stravolta per sempre. Adesso si ritrovava in un'esistenza a metà che le riservava non pochi dolori ma aveva scelto comunque di vivere. Se non altro ora non sentiva più cose come caldo e freddo né tanto meno la fatica, anche per quello portava lei lo zaino più pesante.

    Lisa Forte al suo fianco era decisamente meno vistosa e appariscente ma malgrado l'età conservava ancora il fascino della gioventù.

    Alta e magra, dai capelli grigi corti a caschetto, gli occhi azzurri penetranti e determinati, conservava ancora un fisico atletico e forme non enormi ma ben fatte, soprattutto nel fondoschiena che non sembrava risentire degli anni. Ma al contrario della sua compagna era ben coperta dalla testa ai piedi, tanto che i suoi tratti fini e ben fatti risultavano invisibili, non di meno la sua determinazione non risentiva né degli anni né del tempo. In quel momento neanche del freddo, troppo determinata nel compiere la sua missione e guardare avanti per farvi caso.

    Del resto, essere arrivate con l'ultimo volo, giusto poco prima che l'aeroporto chiudesse i battenti, aveva fatto sì che nessun taxi fosse più disponibile, costringendole a farsela a piedi fino alla città di Olasko loro meta.

    A quanto ne sapevano era una cittadina piccola e con un numero esiguo di abitanti, poco più che un paesino, ma attrezzata per sopravvivere al rigido clima di quei luoghi. Vero o no a loro importava solo trovare informazioni utili sul caso che stavano seguendo e che le accomunava, facendole compiere quel viaggio spossante e non privo d'inconvenienti dall'Italia all'Alaska.

    Isabella a dire il vero dubitava fortemente che in quel posto sperduto, ammesso ci arrivassero mai, trovassero qualche informazione utile, soprattutto perché la dritta gliela aveva data un'anziana indovina e secondo lei nemmeno con tutte le rotelle apposto.

    Aveva detto: raggiungete il punto più a nord-ovest nell'estremo nord del continente scoperto dall'antico navigatore, entro l'ultimo giorno dell'ultimo sole. Lì troverete un indizio per continuare la ricerca, proveniente dal vostro passato più torbido.

    Isabella rimaneva molto scettica riguardo quelle enigmatiche parole e in generale alle presunte capacità della cartomante ma capiva la determinazione della sua compagna di non trascurare alcuna pista per trovare gli assassini di suo figlio. E visto che era morto per salvarla, in quanto vero obiettivo dell'agguato, si sentiva responsabile, così la seguiva dovunque andava.

    Avevano già vissuto molte avventure da quando quasi un anno prima si erano conosciute, trovando un'intesa e un affiatamento che all'inizio sembrava impossibile.

    «Ci siamo quasi.»

    Anche se attutita dalla tempesta la voce forte e risoluta di Lisa risuonò nitida alle orecchie di Isabella.

    «Meno male, saranno due ore che camminiamo.»

    «Visto che non senti la stanchezza non vedo dove sia il problema, inoltre qui non c'è nemmeno il sole a disturbarti.»

    «Quello sì ma a me piace stare in mezzo alla gente...»

    «A sangue come sei messa?» domandò secca bloccando sul nascere discorsi futili che non amava.

    «Ne ho a sufficienza per non avere problemi e non crearne. Comunque, qui nessuno avrà da ridire se il mio corpo è più freddo.»

    «Non per chi ti sta vicino.»

    «In due ci si scalda meglio.»

    «Quasi la prendo come una proposta.»

    Isabella si morse la lingua, ricordandosi con un attimo di ritardo che Lisa preferiva le donne agli uomini. A quanto aveva capito il matrimonio con suo marito era dovuto alla nascita del figlio e forse il loro rapporto nemmeno troppo consensuale. Non si era mai addentrata in merito ma da come ne aveva parlato le veniva da pensarlo.

    «Se non hai di meglio da fare...»

    «Siamo qui per trovare un indizio utile, ti ricordo.»

    «Non l'ho scordato. Ma prima dobbiamo arrivarci in questa maledetta città e anche a quell'albergo che hai prenotato. Inoltre, mi chiedo chi ci sia in giro con questo tempo. All'aeroporto il termometro segnava meno quaranta e adesso la temperatura deve essere scesa ulteriormente.»

    «La gente di qui è attrezzata e abituata al clima, penso ci sia ancora molta attività in città.»

    «Lo spero.»

    «Gli spazzaneve devono passare in continuazione per liberare le strade, anche in piena notte.»

    «Non invidio i conducenti.»

    «Guarda, quella laggiù deve essere la centrale elettrica.»

    Indicò un grosso impianto che spiccava sugli altri per dimensioni, anche se quasi completamente al buio.

    Ma come andarono avanti le luci delle città le accolsero e sembrava esserci ancora attività malgrado l'ora e il tempo.

    Non ci volle molto per entrare in quella che era una città, nemmeno tanto piccola, disposta lungo un'unica grande via che a tratti curvava, venendo coperta dalle case larghe e basse e facilmente accessibili come tipico in America.

    A Isabella non piaceva quello stile che permetteva a chiunque d'entrarci, considerando anche la delinquenza che imperversava negli Stati Uniti. Ma in quella piccola comunità probabilmente si conoscevano tutti e, dovendo fare i conti con il clima impietoso, difficilmente c'erano problemi d'ordine pubblico. C'era anche da dire che lì tutti avevano delle armi a disposizione, altra cosa che non le piaceva per niente. A ogni modo non disse niente e continuò a seguire la sua compagna, sperando sapesse dove andare. In effetti trovare l'albergo fu facile, considerando che in tutta la città ce n'erano due, uno poco distante dall'entrata e l'altro più in profondità, ovviamente a loro toccò quello, costringendole a un'altra lunga camminata. Se non altro si fecero un'idea più precisa della città che trovarono ordinata, ben organizzata e pulita. Anche gli abitanti apparvero subito cordiali e ben disposti, indicandole con precisione la posizione dell'albergo.

    Di sicuro non c'erano molti turisti lì, soprattutto in quel periodo dell'anno, anzi Isabella non si sarebbe stupita se fossero le uniche.

    E in una comunità del genere non sarebbero di certo passate inosservate, anzi le veniva da pensare che nell'arco di poco tutti sapessero della loro presenza, e questo era un bene. Gli avrebbero fatto risparmiare tempo nel trovare qualche informazione, sempre ci fosse veramente.

    Seguì Lisa nell'albergo fino alla stanza grande e confortevole, ma dopo aver sistemato i bagagli pensò bene di lasciarle proseguire il piano d'azione da sola.

    «Se non hai più bisogno di me...»

    «Vai pure a scaldare qualche uomo, io intanto faccio qualche domanda in giro.»

    «Spero salti fuori qualcosa...»

    «Non sei convinta, vero?»

    «Lo sai come la penso, mi sembra impossibile che in un posto sperduto come questo troveremo qualche indizio utile.»

    «Un luogo isolato dove non batte il sole per molto tempo l'anno non credi sia l'ideale per creature come te?»

    Sentirsi ricordare quello che era diventata suo malgrado non rappresentava mai cosa piacevole, comunque dovette ammettere che il ragionamento di Lisa aveva la sua logica.

    «In effetti non credo di essere la sola qui, però in una piccola comunità come questa se qualcuno manifestasse comportamenti violenti o insoliti verrebbe subito notato, non credi?»

    «Probabilmente se è presente qualche creatura della notte mantiene di sicuro un basso profilo.»

    Comunque, poteva sempre costituire un pericolo, soprattutto per chi faceva domande in giro.

    «Forse è meglio che venga con te.»

    «So difendermi da sola.»

    Con lo sguardo indicò la pistola dentro la giacca, inoltre se la sapeva cavare bene anche a mani nude.

    «In fondo non siamo qui per una gita...»

    «Vai pure, io intanto sondo il terreno.»

    «Sei sicura?»

    «Ci vediamo domani, se scopro qualcosa ti faccio sapere.»

    «Eventualmente chiamami...»

    Le venne in mente che magari i cellulari non prendevano. Controllò e in effetti non c'era quasi niente campo.

    «Dubito che prenda, comunque meglio portarlo.»

    «D'accordo, a domani. Sii prudente.»

    «Anche tu.»

    Subito fuori venne accolta dalla furia del vento, la cui intensità sembrava ulteriormente aumentata, forse dovuta alla conformazione stessa della città, o forse era impietoso e basta. Ma malgrado la rallentasse nei movimenti non rischiava di farla ammalare né le impediva d'andare a caccia. Tuttavia, la battuta si rivelò alquanto difficoltosa.

    Nella strada accanto c'erano ancora mezzi in movimento e qua e là qualche persona passava, tuttavia si allontanava in fretta, rincasando o radunandosi in qualche locale. Lei evitava sempre luoghi troppo affollati, preferendo qualche solitario viandante a cui far passare la serata in maniera inconsueta.

    Anche lì rimpiangeva il tempo in cui poteva decidere come le pareva sulle relazioni amorose, adesso invece era costretta ad averne anche quando ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ma se non altro da quando aveva adottato quel metodo più soft era riuscita a trovare il giusto compromesso con la sua nuova esistenza.

    Del resto, se contatto ci doveva essere meglio che fosse piacevole per entrambi, soprattutto per la controparte umana, il cui ricordo dell'esperienza rimaneva spesso relegato in un sogno o in una piacevole avventura invece che un trauma. A ogni modo quel mordi e fuggi, nel vero senso del termine, continuava a piacerle poco ma faceva buon viso a cattivo gioco. E pensando a ciò si concentrò sul presente, cercando qualcuno adatto.

    Escluse a priori d'entrare senza permesso in casa altrui, rischiando di imbattersi in una moglie gelosa o prendersi una fucilata e in generale attirare all'attenzione, ma con quel tempo impietoso anche un'esperienza all'aperto si poteva considerare impossibile. Non restava che continuare a cercare qualcuno più adatto ma più passava il tempo più le strade si svuotavano e le sue speranze si affievolivano.

    Tutti correvano rapidamente nelle loro abitazioni a scaldarsi, ignorandola o buttandole rapire occhiate che tuttavia non li fermavano.

    Si rese conto che rispetto a Pisa, la sua città, dove sapeva come muoversi e dove trovare qualcuno disponibile, era tutt'altro paio di maniche e se non si fosse mossa subito avrebbe potuto considerare sfumata la serata.

    Provò ad abbordare un uomo appena sceso da uno spazzaneve ma come incrociò gli occhi stanchi e desiderosi di riposo ci ripensò subito, inoltre dalla casa su cui puntava lo sguardo scorse una figura femminile osservarlo, probabilmente sua moglie.

    Lasciò subito perdere, continuando a girare a vuoto per mezz'ora abbondante.

    La tempesta si faceva ancora più forte, il vento gelido tagliava la faccia in maniera insopportabile e la neve era sempre più alta: anche i mezzi in circolazione scarseggiavano sempre più, a quel punto tanto valeva tornare in albergo.

    Si trovava piuttosto distante, giusto vicina all'altro hotel, in cui notò le luci tutte spente e la porta d'ingresso chiusa, così pensò bene d'accelerare il passo per tornare da Lisa.

    Nemmeno si accorse del giovane con cui si scontrò. Entrambi si trovarono a un passo dal cadere ma riuscirono a mantenere l'equilibrio.

    Le disse qualcosa che non udì, intenta a osservarlo meglio.

    Era alto e magro, sulla trentina, dai folti capelli castani malamente scompigliati che il cappuccio non riusciva a nascondere del tutto, gli occhi verde chiaro e il viso leggermente deturpato dal naso storto ma comunque ben fatto. A guardarlo bene non sembrava del posto e forse nemmeno americano ma lei si concentrò più sullo sguardo. I suoi occhi rivelavano una certa tristezza, sicuramente dovuta al fatto che non aveva nessuna che lo scaldava. Ormai le bastava poco per capire se uno fosse accompagnato o desideroso di esserlo e quel ragazzo faceva sicuramente parte della seconda categoria.

    Le stava dicendo che era mortificato e di perdonarlo o qualcosa del genere, ma nemmeno l'ascoltò, sicura d'aver trovato la persona che cercava, anzi di più.

    Le ricordava un ragazzo con cui aveva desiderato una relazione stabile ma era stata costretta a lasciarlo per via della sua oscura esistenza. Rispetto a lui era più alto e qualche anno avanti ma sicuramente dal carattere simile: gentile e introverso. Era proprio il suo tipo.

    Gli si aggrappò a un braccio chiedendogli, in un inglese un po' stentato, se gli andava di passare una serata insieme.

    Stupefatto per la proposta, rimase a fissarla come un ebete.

    «Visto che il destino ci ha fatti incontrare meglio non perdere tempo in convenevoli, inoltre non è il caso di rimanere qui al freddo» incalzò, sperando d'aver detto bene le parole.

    Per quanto molto intelligente le lingue non erano proprio il suo forte, in particolare l'inglese. Ma in fondo non c'era nemmeno bisogno di parole per capirsi. Come gli vide per un attimo puntare una casa più avanti comprese che era la sua. Lo trascinò lì e solo quando furono sulla soglia della classica abitazione all'americana il ragazzo realizzò quello che stava succedendo.

    «Ma aspetta, non so nemmeno chi sei e...»

    «Isabella.»

    «Non ti ho mai vista, sei di fuori?»

    «Sì, sono arrivata oggi.»

    «Oggi? Con questa tempesta?»

    «Sei solo in casa, vero?»

    «Sì, vivo da solo...»

    «Allora cosa stai aspettando?»

    «Ecco...il fatto è che...insomma non sono abituato...nemmeno ti conosco...»

    «Ci conosceremo meglio. Entriamo.»

    Tanto stupefatto quanto emozionato aprì rapido la porta, introducendo Isabella in una sala molto vasta che costituiva buona parte dell'appartamento.

    Una recinzione di legno rettangolare aperta ai lati delimitava la parte centrale della stanza dove spiccava un grosso televisore con davanti due poltrone. Per il resto c'erano diversi mobili sul lato destro e un piccolo angolo cottura dalla parte opposta, delimitato da una porta scorrevole. In quel punto erano situate due finestre che mostravano il monotono panorama siderale, insieme a quella più piccola vicino alla porta.

    Altre tre porte più avanti conducevano a tre diversi ambienti: il bagno, la camera da letto e una specie di piccolo studio, in cui Isabella buttò solo una rapida occhiata mentre il ragazzo si cambiava.

    Dal canto suo le era bastato togliersi il giubbetto per rimanere leggera, particolare che lasciò il ragazzo a bocca aperta.

    «Eri vestita così leggera?» riuscì a dire dopo un po'.

    «Come ti chiami?»

    «Giorgio Lambrosetti.»

    «Sei italiano?» chiese in italiano.

    «Sì, anche tu?» rispose nella medesima lingua.

    «Sì, di Pisa.»

    «Io sono originario di Livorno.»

    «Ma guarda, un italiano in Alaska!»

    «Che ci fai in un posto così sperduto e in questo periodo?»

    «Si tratta di una lunga storia. Te la racconterei ma pensavo volessi fare di meglio.»

    «Davvero? Proprio con me?»

    «Sei quello giusto: giovane, scapolo e passionale.»

    «Come fai a dirlo?» Sorrise e l'aiutò a togliersi i vestiti. «Guarda che non sono ricco.»

    «Tranquillo, non voglio soldi.»

    «Ma sei reale?»

    Gli trascinò le mani nei punti migliori, morbidi al tatto e sicuramente reali.

    «Giudica tu.» Sorrise al suo imbarazzo. «Sono reale e desiderosa di passare la notte con te, per cui rilassati e non trattenerti: scatena pure la tua passione come meglio desideri, sono abituata a tutto.»

    Non ci fu bisogno di altre parole, a parlare furono i fatti.

    Giorni oscuri

    In effetti il primo rapporto fu piuttosto turbolento, ne fecero le spese diverse sedie, un mobiletto, il cui contenuto era riverso per terra, e parte della recinzione di legno, rimasta leggermente incrinata in un punto. Oltre l'impeto del ragazzo c'era l'incitazione continua di Isabella nel fare più forte a contribuire al disordine che regnava in casa.

    Una volta finito si gettarono sul letto dove, poco più tardi, consumarono il secondo rapporto, decisamente più blando.

    Fu Isabella a fare tutto, lasciando a Giorgio solo la gioia di gridare fino alla fine. Adesso dormiva beato sotto le coperte.

    Anche lei era lì, con la testa appoggiata al suo petto, contenta dell'esperienza avuta ma con un'altra fame da soddisfare.

    Le vene del collo l'attiravano come una calamita: sentiva il sangue pulsare e ne avvertiva l'odore sotto lo strato di pelle. Cominciò a leccarlo, poi mordicchiarlo, desiderosa da una parte di dare sfogo a quell'impulso e dall'altra d'aspettare ancora. Ma alla fine il desiderio si fece più forte, impellente e smanioso, al pari di una droga di cui non poteva più fare a meno.

    «Isabella...» bisbigliò Giorgio, sentendo le sue labbra sul collo.

    «Tranquillo...» riuscì a dire a fatica, non trattenendo più la voglia di sangue.

    «Cosa hai in mente di fare stavolta?»

    Emise un leggero grido quando si sentì mordere, in realtà solo punzecchiare visto che Isabella non aveva ancora estratto i canini.

    «Non avere paura, ti farò provare una nuova emozione.»

    Non che avrebbe potuto opporsi con lei sopra che lo teneva fermo ma nemmeno lo fece, desideroso di provarla.

    Emise un grido quando lo morse con i canini ma il dolore passò subito, lasciando il posto a una sensazione paradisiaca. Gridò dal piacere per quell'emozione mai sperimentata, ancora meglio di quanto provato prima. Non avrebbe mai voluto smettere; in effetti non se ne accorse nemmeno, perdendo i sensi.

    Isabella sapeva quando fermarsi. Si staccò da lui, per poi leccargli la ferita in modo non lasciasse tracce, infine rimase appoggiata al suo petto, pienamente soddisfatta della serata: dopotutto venire in quel posto sperduto non era stata una così cattiva idea.

    Anche se non dormiva mai di notte in quel momento si lasciò cullare dal tepore del calore umano che non possedeva più.

    Aveva imparato da tempo a riscaldare il corpo col sangue, oltre simulare il respiro e il battito cardiaco ma di veramente attivo rimaneva solo il cervello, il resto l'aveva lasciato alla vita precedente ormai scomparsa. Tuttavia, in quel momento si sentiva nuovamente viva.

    A rigor di logica sarebbe dovuta uscire in cerca di qualcun altro con cui nutrirsi ma niente era più appagante di quello che aveva già, inoltre non c'era di sicuro più nessuno in giro. Fu il pensiero per Lisa a lasciarle qualche dubbio.

    Era da sola ma sapeva cavarsela bene inoltre, con ogni probabilità, dormiva, dubitando che avesse scoperto qualcosa di utile. Tanto valeva aspettare l'indomani e insieme a cercare qualche indizio sul loro nemico, sempre ci fosse davvero in quel posto sperduto. Continuava ad essere scettica ma non voleva lasciare niente al caso. L'indomani si sarebbero messe al lavoro ma per quella sera voleva godersi quell'attimo di relax che non le capitava da tanto.

    Pensandoci non doveva nemmeno temere la comparsa del sole, potendo così muoversi anche di giorno, per quanto preferiva sempre dormire. Sarebbe rimasta lì ad assicurarsi che il ragazzo stesse bene poi, arrivata sera, avrebbe raggiunto Lisa e insieme deciso il da farsi. Le sembrava una buona idea, così decise di seguirla.

    Sonnecchiò per diverso tempo tra le braccia di Giorgio che a un certo punto si spostò di lato. Lo lasciò fare e si alzò un istante. Buttò una fugace occhiata alla finestra, notando delle ombre in movimento lungo la strada principale, una dozzina almeno, forse più.

    Forse si trattava di qualcuno che stava rincasando ma andare in giro con la tempesta che imperversava e cinquanta gradi sottozero le parve comunque strano. Guardò ancora ma non vide più nesssuno.

    «Devo essere paranoica.»

    Non ci pensò più e tornò a letto, ad appoggiare la testa sulla schiena del ragazzo. Si pentì d'averlo morso subito con tutta la notte a disposizione ma anche la sensazione che provava ora era paragonabile quanto le effusioni amorose, anzi migliore.

    Desiderava solo lasciarsi trasportare da quell'immersione di piacere ma qualcosa tornò a turbarla, anche se non sapeva spiegarsi cosa.

    Tirò su la testa ma non c'era niente di anomalo, a parte la casa in disordine. Da cosa derivava quella sensazione era un mistero, tuttavia non spariva.

    Le venne da pensare che stava andando fuori di testa, quando avvertì chiaramente un odore, per lei inebriante, provenire da fuori, odore di sangue.

    Malgrado non avesse un olfatto molto sviluppato, e tra lei e l'origine di quell'odore c'era una notevole distanza, era certa di non sbagliarsi, si trattava di sangue fresco, lo avvertiva chiaramente. Ma cosa significava tutto ciò?

    Forse qualcuno aveva avuto un incidente e perdeva sangue, anche in notevole quantità per avvertirlo così intensamente. Se così andava subito soccorso o con quella tempesta sarebbe morto nell'arco di poco. Tuttavia, frenò l'istinto di uscire.

    Avvicinarsi a una fonte di sangue non era mai un bene, rischiava di perdere il controllo e non di certo aiutare il poveraccio. Però, se era ferito e probabilmente incosciente o impossibilitato a muoversi (ragionamento dovuto al fatto che l'odore di sangue perdurava) doveva essere subito soccorso o sarebbe morto comunque.

    Le venne l'idea di chiamare un'ambulanza ma non conosceva il numero di telefono né l'indirizzo o il punto dove si trovava, inoltre il tempo rendeva tutto difficile. Doveva pensarci lei.

    Scattò giù dal letto e recuperò rapida i vestiti, dirigendosi alla porta. Prima d'aprire buttò un'occhiata alla finestra lì vicino ma era talmente appannata e ricoperta di neve da non permetterle di vedere nulla, però l'odore di sangue l'avvertiva ancora.

    Non ci pensò oltre: aprì la porta venendo investita dalla bufera.

    Rapida la chiuse e si guardò attorno. Inizialmente non scorse niente, poi notò due tizi dall'altra parte della strada chini su una donna, sicuramente il ferito che cercava. Vide la neve attorno macchiata di sangue.

    Doveva aver subito una brutta ferita e non dava segni di vita, tuttavia c'erano già due persone a prendersene cura, poteva tranquillamente tornare a casa. Con ogni probabilità avevano già chiamato i soccorsi e, bufera permettendo, sarebbero giunti presto.

    Fece per tornare dentro quando i due tizi s'alzarono di scatto.

    Erano uomini di mezza età e di media corporatura molto simili tra loro, forse gemelli. Entrambi erano sprovvisti di capelli, dal naso storto e particolarmente brutti ma a colpirla fu il sangue rappreso sui loro volti, che con la lingua leccavano avidamente. Non bastasse ciò, a scioccarla maggiormente furono gli occhi: nere orbite vuote prive di sentimenti e di pietà. Gridò senza volerlo, attirando maggiormente l'attenzione.

    Le si gettarono addosso in un attimo, come animali che agguantano la preda per divorarla, inchiodandola alla parete della casa, a un passo dalla porta.

    Ruggivano come belve e da tali si comportavano ma Isabella oppose un'accanita resistenza, che tuttavia non bastava a fermare il loro impeto. Con una mano teneva il volto di uno, con l'altra cercava di fermare le mani dell'altro e allo stesso tempo impedire ad entrambi di morderla. Era una lotta disperata e bestiale che la vedeva sfavorita. Tuttavia, quello su cui premeva la mano sul volto si disinteressò di lei, puntando gli occhi vuoti e famelici all'abitazione, sicuramente avvertendo la presenza del ragazzo.

    «No!» gridò come lo vide spalancare la porta con un calcio.

    L'altro le si gettò addosso, superando le sue difese e stringendole le braccia attorno al corpo mentre con i denti la mordeva al collo, scatenando la sua furia.

    Le mascelle dell'uomo si bloccarono di colpo, mentre gli occhi vacui ruotarono qualche istante prima di focalizzarsi sull'origine del dolore. Poi li vide, dieci artigli che dalle dita di Isabella perforavano il suo petto da parte a parte. Emise un urlo bestiale di dolore, che divenne subito di rabbia ma non lo salvò dalla fine: Isabella estrasse gli artigli dal petto e con una veloce sbracciata divise la faccia del vampiro in tanti pezzi, dandogli la morte definitiva.

    L'altro, buttò solo un istante lo sguardo verso il ragazzo, che dormiva ignaro di tutto, per poi lanciarsi con foga su di lei. La gettò a terra colpendola più volte al volto con i pugni, duri come il ferro ma che scalfivano appena la sua tempra potenziata. Tuttavia, fu lesto ad evitare gli artigli e bloccarle le braccia con le sue, dando vita a uno scontro bestiale. Sembravano animali che lottavano per la supremazia del territorio, lui che ruggiva come una bestia emettendo versi agghiaccianti, lei che gridava e aveva gli occhi rossi come braci ardenti, mentre cercava di liberarsi e colpirlo con gli artigli.

    Rimasero un minuto abbondante in stallo, ognuno che cercava invano di prevaricare sull'altro poi, la forza dell'uomo potenziata al massimo, unita alla rabbia accresciuta dalla morte del fratello non solo di sangue ma anche di nascita, prese il sopravvento.

    Inchiodò le braccia di Isabella a terra per poi bloccarla con il suo peso, infine si gettò sul suo collo, avido di sangue e desideroso di staccarglielo a morsi. Ma Isabella non rimase a guardare passivamente, mosse le gambe quel tanto da riuscire a sbilanciarlo leggermente, facendogli mancare il bersaglio.

    Si ritrovò la faccia dell'uomo davanti alla sua e immediatamente reagì con una testata, lasciandolo stordito. Questo mise fine alla presa, dandole l'occasione di eliminarlo che non sprecò: lo colpì al collo con gli artigli per poi muovere rapida le braccia, decapitandolo.

    Se lo scrollò di dosso e si rialzò, scioccata per quanto successo. Ma un sapore famigliare le offuscò per qualche istante la ragione. Si trattava di sangue, schizzatole in faccia quando l'aveva decapitato. Istintivamente lo leccò con la lingua, sputandolo subito.

    La sua peculiarità di poter bere solo sangue maschile le tornò ancora una volta a sfavore ma se non altro le permise di riprendere subito il controllo di sé. E, come realizzò quanto successo, corse fulminea in casa chiudendo forte la porta.

    Si precipitò dal ragazzo, che per fortuna stava bene e dormiva beatamente, poi corse alle finestre laterali guardando ossessivamente fuori, aspettandosi di vedere altri di quegli esseri che per fortuna non scorse. Forse si era trattato solo di due pazzi che avevano approfittato dell'occasione propizia per fare scorta di sangue. Magari erano rimasti chiusi da qualche parte e senza più il prezioso liquido in corpo, così da perdere la ragione. Poteva essere la spiegazione più logica ma non la convinceva del tutto.

    I suoi simili con cui aveva avuto a che fare fino a quel momento erano per lo più dei delinquenti, ma quelli incontrati prima sembravano proprio delle bestie feroci. La loro espressione vuota e priva di qualsiasi forma di umanità le fece riaffiorare alla mente un vecchio e terribile ricordo, riguardante un essere mostruoso che strappava i cuori delle persone tra atroci sofferenze, per poi collezionarli. Solo pensarci le fece accapponare la pelle, così lo scacciò subito, concentrandosi sul problema attuale, domandandosi se non si stava semplicemente facendo prendere dal panico.

    Fece alcune volte avanti e indietro, poi tornò alle finestre: non si vedeva nessuno e la città era immersa nel buio più totale. Questo particolare accese una lampadina nella sua mente. Possibile che non ci fosse nemmeno una luce accesa? Era notte fonda e dalla sua posizione la visuale limitata ma le sembrava comunque strano, a pensarci anche la centrale elettrica era completamente al buio.

    Si catapultò al pulsante della luce più vicino, lo schiacciò più volte ma non si accese. Provò con un altro e poi tutti quelli presenti ma la casa rimaneva completamente al buio. Corse nello studio dove ricordava d'aver visto un telefono. Tirò su la cornetta e ancora prima di pensare a comporre qualche numero si accorse che non c'era linea, era muto.

    Forse tutto ciò era dovuto alla tempesta ma ripensando alle ombre viste prima le venne il sospetto non fosse così.

    «Possibile che...»

    Quello che le venne in mente le sembrò assurdo. I vampiri erano soliti agire individualmente, in fondo si trattava di esseri schivi e solitari proprio in virtù della loro natura, ma in questo caso doveva trattarsi di un'eccezione alla regola, ammesso che la sua teoria fosse giusta. La ragione le diceva di no, che era impossibile, ma l'istinto di sì: a chi dare retta? E soprattutto cosa fare?

    Se si fosse sbagliata sarebbe potuta benissimo restare lì dov'era, magari sbarrare porta e finestre e rimanere accanto al ragazzo, ma se aveva ragione significava che molte persone erano in grave pericolo, forse l'intero villaggio e tra queste anche Lisa.

    Si ricordò del cellulare nella tasca del giubbetto ma come corse lì constatò che non prendeva, tanto per cambiare.

    «Maledizione!» strillò.

    Fece altre volte avanti e indietro, per poi arrischiarsi in una breve sortita. In realtà mise solo il naso fuori, aprendo lentamente e accertandosi non ci fossero altri pericoli nelle immediate vicinanze. Non ne scorse tuttavia la tensione era nell'aria, l'avvertiva chiaramente e non solo. L'odore di sangue portato dal vento non apparteneva unicamente alle vittime vicino a lei, ne percepiva chiaramente dell'altro. Poi udì anche un rumore forte provenire da poco distante, in direzione del centro città. Sembrava quello di un tuono ma era certa si trattasse di uno sparo e non l'unico probabilmente.

    A tutto ciò si aggiungeva la totale assenza di luci in qualunque direzione guardasse.

    L'intera città era al buio, isolata dal resto del mondo, in una notte in tempesta e senza che il sole sorgesse per almeno un mese. Se a questo univa quanto successo prima e le figure viste muoversi nel buio più completo poteva tranquillamente trarre le somme: la città era sotto attacco.

    Ragionando su ciò di sicuro avevano bloccato le uniche via d'accesso e di fuga, visto la tempesta rendeva impossibile altre alternative. E per riuscire in questo dovevano essere in tanti, più di quelli visti prima, ciò significava che avevano in mente di fare una strage.

    Tornò rapida in casa, pensando al da farsi.

    Doveva assolutamente raggiungere Lisa e avvertire gli abitanti del pericolo, sempre non fosse troppo tardi, ma tutto ciò significava abbandonare il ragazzo al suo destino.

    Di sicuro, prima o poi, sarebbero venuti anche lì, anzi strano non l'avevano ancora fatto.

    Ragionandoci un attimo il grosso dei nemici si era di certo diretto in centro città mentre lì in periferia erano rimasti in pochi a spartirsi il territorio. Ripensando a quei due se non li avesse uccisi, dopo aver terminato di dissanguare quel poveraccio, sarebbero entrati anche lì e ucciso Giorgio. Ma non dubitava che ne arrivassero altri. Che fare?

    «Dannazione! Perché l'ho morso?» gridò.

    Fosse stato bene l'avrebbe portato a nascondersi da qualche parte ma in quelle condizioni era completamente indifeso.

    Forse avrebbe potuto portarcelo lo stesso. Aveva ancora la forza aumentata, poteva avvolgerlo nelle coperte e portarlo via come un fagotto, forse non si sarebbe nemmeno accorto di niente. Ma esisteva davvero un luogo sicuro? Ne dubitava e comunque non lo conosceva e più indugiava e peggio era.

    Pensò a Lisa, domandandosi se si fosse accorta di qualcosa e in quel caso cosa avrebbe fatto. Rimpiangeva di non avere il suo straordinario autocontrollo ma una decisione doveva prenderla e subito.

    Si accostò al letto dando un bacio sulla fronte di Giorgio.

    «Mi dispiace. Non avrei mai immaginato succedesse questo. Se ne usciamo vivi prometto di farti divertire per tutto il tempo che vorrai.»

    Detto ciò, sollevò un mobile che posizionò davanti alla porta e alla finestra vicina per poi calarsi da una delle finestre laterali. La chiuse e tolse la protezione dalla neve, sperando quanto meno che rallentasse i vampiri, augurandosi non venissero mai lì.

    Intanto erano di sicuro all'opera da altri parti, doveva fermarli e salvare Lisa e gli abitanti dalla loro furia.

    Non sarebbe stato facile, si prospettavano giorni oscuri.

    Forze oscure

    Il locale in cui Lisa entrò era più sobrio di quel che si aspettava.

    Abituata a locali adrenalinici e stracolmi di persone in cui la droga circolava come il pane, quello a confronto era un night per signorine, almeno all'apparenza.

    Un lungo bancone proprio di fronte all'entrata divideva di fatto il locale in due. Dal lato sinistro erano posti numerosi tavoli con relative sedie, al momento quasi tutti vuoti, mentre il lato destro era adibito a sala biliardi e jukebox, che le ricordavano quelli dei suoi tempi. Ma in fondo al lato destro la strada curvava e non poteva sapere cosa c'era oltre. Escluse il bagno, in quanto era situato sul fondo del lato opposto, ben visibile dall'entrata. Sempre su quel lato c'erano un paio di avventori, cinque per l'esattezza, impegnati a giocare a biliardo e fare battute. Qualcuno di loro le buttò un paio d'occhiate compiacenti che ignorò. Si sedette davanti al bancone ordinando una birra e accendendosi una sigaretta, che fece solo finta di fumare. In realtà buttava occhiate da una parte all'altra, sicura che qualcosa da nascondere c'era in quel locale.

    Aveva passato diverse ore a conoscere l'ambiente circostante e soprattutto ascoltare le notizie del posto, interessata alla criminalità che pareva pressoché inesistente.

    L'unico piccolo traffico illecito era quello degli alcolici, utilizzati in grande quantità pressoché da tutti gli abitanti, di conseguenza che ogni tanto qualche ubriaco facesse casino o scoppiasse qualche rissa ci stava. Soprattutto a tale riguardo era famoso proprio quel locale, dove erano solite sfociare delle piccole risse che tuttavia non si erano mai risolte in nulla di grave, o almeno così aveva sentito dire.

    Lo sceriffo David Balkom era considerato un inflessibile difensore della legge e non ci andava tenero con chi la infrangeva. Si vociferava che molti detenuti erano morti cercando di evadere, insomma la classica scusa per sbarazzarsene in modo lecito. Altri invece erano stati malmenati dal suo vice che aveva fama del più duro del paese, di conseguenza tutti rigavano dritti, o almeno la maggior parte pensò lei. Era impossibile non ci fossero mele marce o non si facesse qualcosa di illegale, e tutto portava a quel locale.

    A ogni modo un fatto insolito e sicuramente grave era successo proprio la sera prima. Riguardava l'uccisione di un allevamento di cani da slitta, massacrati dal primo all'ultimo con bestiale ferocia. Proprio poche ore prima lo sceriffo aveva arrestato un sospetto e visti i metodi spiccioli che usava se era colpevole l'avrebbe fatto di sicuro confessare.

    Comunque, tutto ciò non la riguardava. Era lì solo per trovare informazioni sull'assassinio di suo figlio, sul mandante. Purtroppo, l'unica indicazione in suo possesso era un nome, Aspos, che non sapeva nemmeno se appartenesse a una persona, a un'organizzazione o anche a un posto. Sapeva solo che i suoi affiliati erano sparsi in tutto il mondo, soprattutto in Italia, a cui affidava il lavoro sporco, come eliminare le persone scomode. Proprio seguendo uno di loro era risalita a un pezzo grosso, morto prima che potesse rivelarle informazioni utili. L'unico indizio rimasto era un tatuaggio rappresentante un cerchio con all'interno un serpente, attorcigliato attorno a una piramide.

    Aveva svolto numerose ricerche a riguardo senza risalire a nulla di concreto: tutto ciò che lo concerneva era stato cancellato.

    Però era certa che quel tatuaggio fosse collegato ad Aspos, sia perché il soggetto in questione era un vampiro e se l'era fatto incidere nella pelle col fuoco, un atto troppo estremo per un

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