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Emozioni mondiali: Storie di calcio e vita dai Mondiali del 1970 ad oggi
Emozioni mondiali: Storie di calcio e vita dai Mondiali del 1970 ad oggi
Emozioni mondiali: Storie di calcio e vita dai Mondiali del 1970 ad oggi
E-book331 pagine3 ore

Emozioni mondiali: Storie di calcio e vita dai Mondiali del 1970 ad oggi

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Info su questo ebook

I Mondiali di calcio hanno cadenzato le vicende e i ricordi della nostra vita e sempre lo faranno. Così come canzoni e musica a farne da colonna sonora.
È questa la traccia in cui si muove questo libro di Raffaele Cammarota: storie, emozioni, suggestioni, aneddoti, mutamenti sociali attraverso i Mondiali di calcio dal 1970 ad oggi. In un'Italia profondamente cambiata.
Ognuno di noi ricorda perfettamente dove si trovava, e con chi, la notte dell'11 Luglio 1982 o quella del 9 Luglio 2006. O, per i meno giovani, la notte dell'Azteca nel celeberrimo 4-3 alla Germania. E così ci sembra di risentire vivida la voce di Nando Martellini con il suo tre volte "Campioni del mondo", quella graffiante di Pizzul, o quella limpida di Civoli con l'indimenticabile "Cielo azzurro sopra Berlino".
E ogni volta ci torna in mente inevitabilmente un ricordo, una canzone, una sensazione, un momento della nostra vita in cui abbiamo mollato tutto per restare incollati davanti alle tv per una partita dei Mondiali. Per sognare, e tornare ancora una volta bambini.

Appendice con risultati e statistiche di tutti i Mondiali
 
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2020
ISBN9788863586084
Emozioni mondiali: Storie di calcio e vita dai Mondiali del 1970 ad oggi

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    Emozioni mondiali - Raffaele Cammarota

    Messico ’70

    Tra staffette e partite storiche

    Come spiegherebbe a un bambino che cos’è la felicità?

    Non glielo spiegherei.

    Gli darei un pallone per farlo giocare.

    Eduardo Galeano

    3 giugno 1970: inizia ufficialmente il mondiale dell’Italia.

    A Toluca contro la Svezia, in altitudine, con molti degli Azzurri a temere gli effetti della quota di quasi 2.700 metri, per noi qualcosa di davvero speciale.

    Sono le 16.00 ora locale, le 23.00 in Italia.

    Le piccole televisioni col tubo catodico s’illuminano nelle case degli italiani, in piena sbornia post anni Sessanta e con i primi prodromi degli effetti della rivoluzione sociale/sessuale sessantottina che sfoceranno presto nel successivo decennio degli anni di piombo, saturo di contrapposizioni ideologiche.

    In sottofondo Battisti con la sua Anna e i fiori di pesco, i Beatles appena sciolti furoreggiano nelle radio con Let it be, e Modugno smuove i cuori con La lontananza.

    E poi i Pink Floyd con l’album Atom heart mother fanno presagire i segnali degli immensi capolavori successivi.

    Chi scrive compiva esattamente due mesi quel giorno.

    Ovviamente impossibile ricordare qualcosa.

    Però è bello immaginare che in qualche nascondiglio recondito della nostra mente possano conservarsi suoni e immagini dei primi mesi di vita, anche di quei giorni e di quelle telecronache in sottofondo.

    Immagino mio padre, tifoso all’epoca del grande Cagliari di Gigi Riva, fare le ore piccole davanti alla tv con un bimbuccio piagnucoloso ad interrompere concentrazione e tifo.

    Le aspettative dell’Italia non sono poche: in fondo siamo i campioni d’Europa in carica, abbiamo in rosa l’ultimo Pallone d’oro 1969, Gianni Rivera, e una squadra molto equilibrata e piena di talento.

    Nonostante ciò un alone di scetticismo circonda l’ambiente della comitiva azzurra alla partenza da Fiumicino.

    L’Italia che ha vinto il Campionato Europeo nel ’68 in casa guadagna la qualificazione per Città del Messico grazie soprattutto alle prodezze di Gigi Riva (7 gol in 4 partite), ma il gioco appare scarno nonostante la puntualità in zona gol di Rombo di tuono.

    Alla vigilia della partenza una forte colica addominale priva la comitiva azzurra del centravanti della Juventus Pietro Anastasi, sostituito in gran fretta da «Bonimba» Boninsegna dell’Inter e, stranamente, anche da Pierino Prati, un altro attaccante.

    E a farne le spese è Lodetti, centrocampista di fatica che, forse, sarebbe stato molto utile nelle fatiche messicane d’alta quota.

    La leggenda narra che Lodetti abbia rifiutato stizzito l’offerta della federazione, a mo’ di risarcimento, di una vacanza/ soggiorno tutto pagato ad Acapulco per lui e la moglie. Come biasimarlo!

    Così, per il debutto a Toluca contro la Svezia, Valcareggi sceglie i seguenti undici: Albertosi; Burgnich Facchetti; Bertini, Niccolai, Cera; Domenghini Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva.

    Senza il Pallone d’oro in carica Rivera: dettaglio non da poco, come si vedrà presto.

    La coppia centrale difensiva del Cagliari Niccolai-Cera è un’invenzione delle ultime ore, suggerita dal decadimento fisico del libero juventino Salvadore; quando poi al 37’ Niccolai si infortuna viene a comporsi una coppia inedita Rosato-Cera nella quale il cagliaritano svolge le funzioni di libero senza averlo fatto abitualmente in precedenza.

    La forzata soluzione si rivela fondamentale.

    Cera sarà uno dei cardini dei successi italiani in Messico e la sua interpretazione del ruolo anticiperà canoni moderni: non più asserragliato oltre la linea dei terzini come ultimo baluardo, ma capace di uscire dal bunker palla al piede e dare l’avvio alla manovra di rilancio con tecnica da centrocampista.

    L’Italia vince per 1-0 con un tiraccio da fuori area di Domenghini, e la partita viene controllata senza eccessivi patemi. Rosato neutralizza a dovere lo spauracchio Kindvall e con la prima vittoria l’Italia mette una serie ipoteca sul passaggio ai quarti.

    Il secondo incontro del girone contro l’Uruguay termina 0-0 con le due squadre che non affondano i colpi quasi per un reciproco patto di non belligeranza.

    Intanto nell’ambiente azzurro il fuoco cova sotto la cenere.

    È Rivera ad aprire le ostilità dicendo che se lo si era portato in Messico per lasciarlo in panchina tanto valeva rimandarlo in Italia.

    Siamo nel pieno della celeberrima staffetta tra Mazzola e Rivera.

    Il responsabile della comitiva italiana, Mandelli, è per una soluzione drastica, ma poi vari mediatori riescono a far rientrare i propositi di sanzioni verso il ribelle.

    Certo, ad una analisi fredda postuma, appare davvero inconcepibile non prevedere un posto in squadra per uno dei più grandi talenti della storia del calcio italiano, e mondiale, per di più all’apice della sua forma e pallone d’oro in carica. Mistero.

    Osservando il Brasile, che in quel mondiale gioca addirittura con cinque numeri 10, appare davvero anacronistica e pretestuosa la tesi dell’incompatibilità tra Mazzola e Rivera, i due più grandi talenti dell’epoca insieme a Riva.

    Con i moduli e le concezioni tattiche attuali possiamo solo provare a immaginare che spettacolo sarebbe potuto essere un trio d’attacco contemporaneamente composto da Rivera, Mazzola e Riva in un modulo 4-2-3-1 oppure in un 4-3-2-1 ad albero di Natale di ancelottiana memoria¹.

    L’ambiente comunque rimane scosso e nella successiva partita con Israele non si riesce a vincere anche per gli interventi di un guardalinee che annulla due reti di Riva. Rivera entra al 46’ a rilevare Domenghini, ma la squadra non ha benefici rilevabili, anzi affiora un nervosismo deleterio che sembra comprovare, nell’interno della formazione, una divisione in «clan» che certa stampa dà per certa.

    Tuttavia con il pareggio l’Italia sale a 4 punti² e guadagna l’accesso ai quarti pur avendo segnato una sola rete nei tre incontri disputati.

    Così il 14 giugno, sempre a Toluca, alle 12.00 ora locale si arriva al quarto di finale con il Messico con gli Azzurri ancora alle prese con i padroni di casa, come era già successo in Cile nel 1966.

    I messicani passano in vantaggio al 13’ con Gonzales grazie a uno svarione difensivo degli Azzurri, ma Domenghini rimedia al 25’ con un tiro potente dei suoi, deviato da Pena nella propria rete.

    Gli Azzurri riescono a prevalere nel secondo tempo grazie anche all’ingresso consueto di Rivera al posto di Mazzola, che vivacizza la manovra. Arriva così la doppietta di Riva inframezzata da un bel gol proprio di Rivera.

    Gli Azzurri staccano il biglietto per la semifinale con la Germania, che a sua volta batte l’Inghilterra solo ai supplementari dopo un incontro emozionante.

    Le altre semifinaliste sono l’Uruguay e il Brasile di Pelè che si sbarazzano, rispettivamente, della Russia per 1-0 ai tempi supplementari e del Perù per 4-2.

    Che semifinali, ragazzi!

    C’è l’elite mondiale del calcio: tutte le semifinaliste hanno infatti vinto almeno una volta il Mondiale e addirittura chi si aggiudica la coppa Rimet tra Italia, Brasile e Uruguay la porta a casa in maniera definitiva.

    Come da regolamento, alla terza aggiudicazione è tua per sempre.

    LA PARTITA DEL SECOLO

    Arriviamo così, senza più tergiversare, alla partita del secolo, da molti considerata ancora oggi una delle partite più avvincenti ed emozionanti della storia del calcio: Italia-Germania.

    Una targa allo Stadio Azteca ricorda l’avvenimento:

    EL ESTADIO AZTECA, RINDE HOMENAJE A LAS

    SELECCIONES DE:

    ITALIA (4) Y ALEMANIA (3)

    PROTAGONISTAS E NEL MONDIAL DE 1970 DEL

    PARTIDO DEL SIGLO

    17 DE JUNIO DE 1970

    A questo match sono stati dati tanti significati.

    Il più importante, probabilmente al di là del valore sportivo, è che segna agli occhi del mondo il culmine di un riscatto umano, sociale e persino politico di un Paese che era stato in ginocchio fino a qualche lustro prima e che anche nelle gioie e nella coesione dello sport ritrova la sua strada.

    Da Coppi e Bartali, via via fino agli eroi contadini delle prime due Olimpiadi del dopoguerra, continuando con la bellissima sbornia dei Giochi di Roma, per finire col primo e unico titolo europeo nel calcio nel 1968. Proprio quel calcio che a livello di Nazionale ci vede iniziare da campioni del Mondo in carica gli anni 50 e che, per vent’anni, ci riserva invece solo delusioni.

    Questi ragazzi in Messico sono tutti figli della guerra: dai più vecchi (Puia e Burgnich del ’38 e del ’39) ai più giovani (Niccolai, Gori, Prati e Furino, tutti del ’46).

    Vengono tutti da famiglie modestissime: quelle che si sono rimboccate le maniche per dar loro da mangiare e per farli crescere in un Paese migliore. E loro hanno ringraziato così: regalandoci un sorriso e sputando l’anima finché hanno potuto.

    Sono anni in cui la maglia azzurra è fortunatamente ancora più importante di tutte le altre maglie messe assieme. E ancora non fanno capolino tatuaggi sotto di essa. Figuriamoci.

    Così un Paese intero si ritrova di notte davanti alla tv. In bianco e nero ovviamente.

    Con le immagini non certo ad alta definizione come oggi.

    Un bimbo di due mesi che piange in sottofondo nell’altra stanza per la giusta richiesta della propria razione di latte e inizia la partita.

    La telecronaca è affidata a Nando Martellini, da poco subentrato a Niccolò Carosio, che accompagna la partita con il suo meraviglioso accento del centro Italia e un italiano impeccabile.

    Forza Italia! E all’ottavo minuto siamo già in vantaggio.

    Uno strano triangolo al limite dell’area, anche con una componente fortunosa, e Bonimba Boninsegna segna con un bellissimo sinistro dal limite dell’area, uno a zero per noi.

    Nell’esultanza di Boninsegna c’è un che di liberatorio: si tratta della sua prima rete ad un Mondiale, per il quale inizialmente non era nemmeno stato convocato.

    Per i successivi ottanta minuti l’Italia gioca una partita prevalentemente difensiva, tenendo sulle spine i tedeschi con alcuni insidiosi contropiede.

    All’89’ Albertosi salva il risultato deviando un pericoloso colpo di testa di Uwe Seeler, dopo che vi erano state almeno altre quattro nitide palle gol per i tedeschi.

    Proprio quando sembra ormai fatta per gli azzuri compare dal nulla il milanista Karl-Heinz Schnellinger che porta la gara in parità due minuti e mezzo oltre i tempi regolamentari, al suo primo e unico gol in quarantasette partite con la nazionale.

    «Ormai era quasi finita la partita e mi stavo avvicinando all’uscita per gli spogliatoi, per questo mi trovai lì in area sorprendendo i difensori italiani». Così ammetterà, suscitando non poca ilarità, il difensore tedesco in interviste successive.

    Un recupero così abbondante, contrariamente a quanto succede oggi, a quei tempi era più unico che raro; praticamente in quasi tutte le partite gli arbitri fischiavano la fine allo scadere del 90º minuto, al massimo una trentina di secondi dopo.

    Questo spiega la delusione e lo sconcerto di Nando Martellini che al fischio finale dei tempi regolamentari si sfoga, quasi imprecando al microfono: «Questo Yamasaki! Due minuti e mezzo dopo la fine del tempo regolamentare!»

    Iniziano così i tempi supplementari che, per la straordinaria densità di emozioni offerte, entrano di diritto nella storia e nella memoria collettiva.

    Al gol di Gerd Müller al 94’, abile a sfruttare un errato tocco di Poletti dopo un debole colpo di testa di Uwe Seeler, risponde un difensore azzurro, Tarcisio Burgnich – al suo secondo e ultimo gol in nazionale in sessantasei partite – su un errore difensivo tedesco.

    Un minuto prima della fine del primo tempo supplementare l’Italia passa addirittura in vantaggio, con uno straordinario assolo di Riva in contropiede culminato con un preciso diagonale vincente a fil di palo sulla sinistra del portiere.

    Beckenbauer resta stoicamente in campo con una spalla lussata e con un braccio fasciato lungo il corpo fino alla fine dei supplementari.

    Al quinto minuto del secondo tempo supplementare, la Germania Ovest trova il pareggio.

    Il colpo di testa di Seeler su un pallone proveniente da un calcio d’angolo sembra indirizzare la palla fuori, ma Müller interviene di testa, trovando uno spiraglio tra Rivera, piazzato sulla linea di porta, e il palo.

    Albertosi non nasconde affatto il suo rincrescimento nei confronti di Rivera e gli rivolge un vocabolario di parole irripetibili, inesistenti persino nella Bibbia, conscio che quell’errore possa rivelarsi fondamentale per le sorti della gara.

    Come ammesso dallo stesso Rivera successivamente, al momento della ripresa del gioco è assalito da un forte senso di colpa, preso dalla voglia di dribblare tutti e andare a segnare direttamente per farsi perdonare l’errore. Ma, alla vista di una muraglia di tedeschi, sconfortato passa la sfera a De Sisti.

    È un’azione corale a riportare, dopo soli sessanta secondi, l’Italia di nuovo e definitivamente in vantaggio: palla rimessa in gioco dal centrocampo, undici passaggi, nessun intervento dei tedeschi e conclusione dello stesso Rivera che, su passaggio di Boninsegna, di piatto supera Maier.

    Palla da un lato e portiere dall’altro.

    Uno dei gol più belli della storia del calcio per la coralità dell’azione, per l’importanza e il momento della segnatura.

    Finisce 4-3. L’Italia dopo trentadue anni è di nuovo in una finale Mondiale e per tutta la notte, nelle piazze italiane, l’impresa è festeggiata come la vittoria del campionato stesso in attesa della finale vera e propria.

    Sul piano dell’impatto culturale, Italia-Germania Ovest può a buon diritto essere considerata una delle partite più emozionanti ed influenti nella storia del calcio professionistico. Amata dalla gente, che rimase incollata ai televisori fino a tarda notte per seguirla.

    Partita dal fascino estremo resa epica, oltre che dalle emozioni sportive, anche dall’ora notturna in cui venne trasmessa in Italia, terminata verso le 2.00 di notte.

    Le finestre di tutt’Italia in quella notte di giugno sono spalancate.

    In una tipica calda nottata italiana di giugno.

    Martellini chiude emozionato: «Telespettori italiani, al termine di due ore di sofferenza e di gioia vi possiamo annunciare: l’Italia è in finale. Che meravigliosa partita!».

    È finita, siamo in finale.

    Probabilmente non ci si è resi subito conto ma quella partita segna definitivamente la fine del decennio Sessanta e dell’apoteosi rivoluzionaria di quel decennio. Un’era che ebbe i suoi momenti apicali nella notte dello sbarco sulla Luna, domenica 20 luglio 1969, e in quella di Italia Germania 4-3, appunto.

    C’è ancora vita e felicità oltre gli anni Sessanta, forse.

    Secondo molti la partita del secolo ne ha forse oscurato un’altra, nello stesso Mondiale, altrettanto bella, non per il numero di gol, ma per le qualità delle giocate.

    È Inghilterra-Brasile; e probabilmente avrebbe potuto cambiare la storia del torneo e forse del calcio.

    Nel primo tempo c’è la parata del secolo di Gordon Banks su Pelè.

    Davvero incredibile il balzo per salvare la propria porta su colpo di testa angolatissimo e potente del fuoriclasse verdeoro. Un intervento che sfida apertamente le leggi della fisica. Cercatelo su youtube, impressionante.

    Insieme alla parata di Zoff all’ultimo minuto contro il Brasile nell’82 e quella di Buffon su Zidane contro la Francia nella finale Mondiale 2006, per importanza e momento, a pieno titolo le parate più straordinarie del calcio moderno.

    Nel secondo tempo c’è quello che potremmo definire il tackle perfetto: quello tra Jairzinho e Bobby Moore.

    L’intervento di Bobby Moore, tra i più grandi difensori inglesi della storia, è qualcosa di stilisticamente perfetto.

    Il difensore inglese affronta in area il giocatore brasiliano in un intervento di una pulizia e precisione uniche, senza nessun contatto col giocatore, solo palla.

    E questa giocata innesca l’azione che può cambiare la storia del torneo. La difesa verdeoro rinvia corto e male la palla che capita sui piedi di Jeff Astle: è un rigore in movimento.

    Ma Jeff Astol tira a lato.

    E Jairzinho poco dopo punisce Banks segnando l’unico gol dell’incontro. Sliding doors.

    LA FINALISSIMA CON I VERDEORO

    E così ci tocca il Brasile.

    L’immenso Brasile dei cinque numeri Dieci.

    Una delle squadre più forti della storia del calcio.

    Noi ci creiamo il problema della coesistenza di Mazzola e Rivera; loro invece giocano contemporaneamente con Pelè, Rivelino, Tostao, Gerson, Jairzinho. Tutti con il numero dieci sulle spalle nelle loro rispettive squadre di club.

    A proposito di numeri 10. Fino ai mondiali del ’58 in Svezia il numero 10 nel calcio era un numero qualsiasi. In quel mondiale il Brasile indicò solo l’elenco dei giocatori senza segnare i numeri.

    Un funzionario della FIFA guarda Pelè e gli dice:

    Sei tu Edson Arantes Do Nascimento?

    risponde lui.

    E gli consegna a caso la maglia numero 10.

    Così, se fino a quel momento giocare con la numero 10 equivaleva ad un qualsiasi altro numero, dopo la prima partita giocata da Pelè la maglia numero 10 sarebbe diventata il numero del calcio.

    E così in futuro sarà il numero scelto da Maradona, Zico, Platini, Antognoni, Baggio, Messi. Solo per citarne alcuni.

    Forse in parte solo Cruijf con la 14 e Cristiano Ronaldo con la 7 hanno provato ad illuminare, invano, altri numeri.

    Da allora il numero 10 rimane il numero del calcio.

    In un calcio prevalentemente difensivista, il CT brasiliano Zagallo, ex ala sinistra campione del mondo del ’58, trova così incredibilmente il modo di far coesistere questi cinque giocatori in campo, regalando spettacolo ed emozioni.

    Noi proviamo ad affrontarli alla nostra maniera, non facendo nemmeno tanto male nei primi sessanta minuti.

    Partiamo con Rosato, che ha fatto un mondiale eccezionale, su Pelè e Burnich su Tostao. Ma le marcature sono evidentemente sbagliate, Rosato soffre troppo.

    Si stanno proprio aggiustando le marcature appena cambiate quando Pelè segna di testa un gran gol con un’elevazione straordinaria.

    Probabilmente O’rey è ancora in aria lì in Messico che volteggia.

    Comunque l’Italia si difende bene, prova a ripartire appena può e raggiunge il pareggio alla fine del primo tempo con un bel tiro di Boninsegna dal limite dell’area dopo una caparbia azione in pressing sui brasiliani.

    Addirittura al 14’ della ripresa Domenghini ha la palla per far girare il match a nostro favore. Invece di crossare tira in porta

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