Forse non tutti sanno che la grande Juventus...
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Tutti i segreti della Vecchia Signora
Quella della Signora del calcio italiano è una storia ultracentenaria e talmente ricca di avvenimenti memorabili, campioni dalle grandi imprese e vittorie indimenticabili che corre solo un rischio: quello di dimenticare i piccoli eroi di tutti giorni, i re per una notte, e le vicende minori. Sono i mattoncini quotidiani che hanno costruito nel corso degli anni la cattedrale bianconera. Sotto le guglie, dietro i dipinti e dentro le sculture di quella immensa architettura ci sono loro, i “Forse non tutti sanno che…”. È arrivato il momento di sapere chi sono. Il libro di Moretti è una raccolta di storie e personaggi inesplorati, un vasto assortimento di pillole bianconere, pescate spaziando fra gli episodi più curiosi e meno noti. Il filo di questo sfaccettato racconto cuce tutte assieme una miriade di avventure, tra passato e presente bianconero, formando un mosaico composto da tante tessere di non ordinaria juventinità. Spunti avvincenti o commoventi, vicende umane e sportive, aneddoti divertenti, fatti singolari e insoliti. Tutto ciò che è assolutamente necessario conoscere se si vuole diventare dei veri tifosi bianconeri.
Forse non tutti sanno che la grande Juventus...
- Solo dopo sei anni dalla nascita della Juventus nacquero le maglie bianconere
- Nel primo derby della Mole un presidente venne chiuso nello spogliatoio
- Nello spazio di appena tre mesi, alla Juventus capitò tutto e il contrario di tutto dentro lo stadio San Nicola di Bari
- C’è stata una frase, una in particolare, che ha segnato il punto di svolta per la stagione bianconera 2015-2016
Claudio Moretti
dal 2007 è autore del programma televisivo Sfide. Ha scritto più di venti documentari e trasmissioni tv. Per il CONI inventa e realizza brevi format sui campioni azzurri. Ha curato per «La Gazzetta dello Sport» una collana di DVD sulla vita di Marco Pantani. Per la Newton Compton ha pubblicato 1001 storie e curiosità sulla grande Juventus che dovresti conoscere, I campioni che hanno fatto grande la Juventus, La Juventus dalla A alla Z. e Forse non tutti sanno che la grande Juventus...
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Forse non tutti sanno che la grande Juventus... - Claudio Moretti
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Due minuti al bar sport
La Juventus ha avuto anche una formazione Erranti
Èl’inizio degli anni Venti quando la dirigenza bianconera si accorge di avere a disposizione un nutrito gruppo di giocatori che, pur avendo qualità calcistiche, non possono per varie ragioni partecipare ai campionati federali. Decide così di raccoglierli tutti in una sola squadra per dar vita alla formazione Juventus Erranti. È una squadra sui generis che gioca incontri amichevoli nei dintorni di Torino su invito e fa pubblicità sul territorio alla società. Col tempo diventa utile anche per la crescita della prima squadra, dando la possibilità di maturare a tanti ragazzi che ancora non sono pronti per il palcoscenico più importante. E ogni tanto qualche errante
trova anche la via del successo.
Michel Platini ha vinto il premio L’alveare d’argento
nel 1985
Domenica 27 ottobre 1985 la Juve è schierata a centrocampo prima dell’inizio dell’ottavo turno di campionato: l’impegno è contro l’Udinese allo stadio Friuli. Michel Platini si prepara a guidare i bianconeri, che hanno vinto tutte le prime sette partite, quando un addetto della Lega Calcio gli si avvicina con in mano un trofeo dalla forma contorta. Michel indica il suo petto, come a dire con una buona dose di perplessità: «È per me?». Pare di sì. «E di cosa si tratterebbe?». È il famoso premio L’alveare d’argento
, istituito dall’altrettanto famoso, se non di più, Gigi Nardini, un erborista di Cividale del Friuli. «E dunque cosa avrei fatto per meritarmelo?».
Platini, secondo il giudizio di una apposita giuria, è risultato il giocatore più fantasioso del campionato 1984-1985. «Ah, okay. Tutto chiaro ora».
Un derby della Mole fu deciso dal sosia di Rodolfo Valentino
C’ era una volta un centravanti di sfondamento capace di segnare reti col pugno di ferro o col guanto di velluto. Il suo nome era Pietro Pastore. Alla precoce età di quindici anni aveva già esordito in prima squadra; a venti, dopo essere diventato adulto nel Padova, tornò a Torino e mostrò di che pasta era fatto segnando 53 gol in 64 partite con la maglia bianconera. Eppure Pastore aveva strane abitudini, per esempio quella di dormire prima di ogni partita: era convinto che fosse il solo modo per essere ben sveglio in campo. Ma era un’altra la cosa che colpiva la fantasia delle tifose juventine: la somiglianza con Rodolfo Valentino. E arriviamo così a un giorno di aprile del 1927, quando lui, il sosia di Rodolfo Valentino, decise un derby con il gol della vittoria per la Juve. Presto anche il cinema lo notò e così Pietro Pastore finì per preferire la macchina da presa al pallone.
Pietro Pastore, il sosia di Rodolfo Valentino.
La prima macchina da gol
bianconera è datata 1923; ed era danubiana
Estate 1923. Un giovanissimo Edoardo Agnelli, divenuto presidente a soli trentun anni, decide di mettersi in mostra con un mercato aggressivo. La pietra angolare di qualsiasi squadra è un grande allenatore, e così Agnelli bussa alla porta di Jenő Károly, profeta del calcio più forte del momento, quello danubiano. Dopo la mente, servono le braccia… e soprattutto i piedi. E così in due estati il presidente strappa alla concorrenza due stelle della fenomenale Nazionale ungherese: Viola e Hirzer. Si aggiungono poi Rosetta, Allemandi e Pietro Pastore. Nel 1925 arriva lo scudetto. La macchina da gol bianconera sgasa
sul campionato e travolge tutti: segna 84 gol in 26 partite, più di tre reti per ogni volta che i bianconeri si allacciano le scarpe.
Ferenc Hirzer, la gazzella del gol.
Un allenatore bianconero fu ferito dai pomodori
Costa Azzurra. Fine anni Venti. La Juventus disputa una serie di amichevoli in trasferta. Non gioca bene e i tifosi sono tutt’altro che amichevoli con i propri beniamini. Le ire dei più scalmanati si rivolgono in particolare contro un capro espiatorio, ovvero George Aitken, il mister bianconero. Non era molto apprezzato dai supporter juventini l’uomo che aveva portato in Italia il sistema
(sistema
era il modulo di gioco in voga in quegli anni, detto anche WM , inventato dal tecnico inglese Herbert Chapman).
Fatto sta che al ritorno dalle suddette amichevoli il nostro George aveva un vistoso cerotto a coprirgli la fronte. E quando gli chiesero: «Ehi, George, cos’hai fatto in fronte?». Lui rispose: «Pomodori». Tutti i presenti cercarono nelle proprie menti di visualizzare come un pomodoro avesse potuto procurargli un taglio, ma prima che ci riuscissero Aitken chiosò: «Però i pomodori erano dentro una scatola!».
Un allenatore bianconero morì un mese prima di vincere lo scudetto
Stagione 1925-1926. Mister Jenő Károly sta conducendo la Juventus verso la conquista del titolo di campione d’Italia. Appena un anno prima aveva promesso lo scudetto al presidente Edoardo Agnelli, e ora era arrivato il momento di rispettare l’impegno. L’estate era ormai inoltrata: ai bianconeri mancavano solo lo spareggio contro il Bologna nella finale della Lega Nord e poi la finalissima contro la vincitrice della Lega Sud. Altri due ostacoli, e poi Károly e la sua truppa avrebbero esultato. Il 28 luglio, però, a tre giorni dalla partita, Károly fu stroncato da un infarto.
Nemmeno un mese più tardi la Juventus festeggiò lo scudetto nella finalissima contro l’Alba Roma, rendendo omaggio al suo allenatore.
Una volta i tifosi del Toro tifarono per la Juve
Estate 1926. Da ormai quindici anni la sfida tra le due cugine torinesi era diventata sentita e accesa. Ma quell’estate accadde qualcosa di allora impensabile, e assurdo ancor oggi, a più di un secolo dal primo derby. Solo un’altra grande rivalità poteva per qualche ora disinnescare quella tra Juve e Toro. Le cose andarono come segue.
Quando il campionato arrivò ai giorni delle sentenze, il Torino perse in modo rocambolesco contro il Bologna la partita decisiva per raggiungere la finale della Lega Nord. Talmente sfortunata fu quella partita che il Torino la portò a termine addirittura senza il suo portiere, bloccato da un infortunio, in tempi in cui le sostituzioni dovevano ancora essere inventate.
L’ira dei torinisti per quella sconfitta fu tale da indurli a tifare per i cugini nella successiva finale tra Juventus e Bologna. C’è da aggiungere che il tifo portò bene alla Vecchia Signora, che trionfò contro i felsinei dopo tre partite combattute.
Una volta la Juventus è arrivata ultima ma non è retrocessa
Per la stagione 1912-1913 fu deciso di abolire il girone unico per allargare il campionato nazionale alle regioni centro-meridionali. Entrarono a far parte della competizione formazioni toscane, laziali e campane. Il torneo venne diviso in due parti: Nord e Centro-Sud. Al termine dei rispettivi gironi i due vincitori si sarebbero sfidati in una finalissima per decretare il campione nazionale. Quella stessa stagione venne introdotta la regola della retrocessione per le ultime classificate nei due gironi. E proprio ultima arrivò la pessima Juve di quella stagione: una vittoria, un pareggio e otto sconfitte. Fanalino di coda del suo girone si preparava alla retrocessione, inconsapevole che la cosa – almeno sul campo – non sarebbe mai più accaduta. Invece proprio quell’estate le neopromosse lombarde Lambro e Unitas decisero di fondersi, liberando un posto, e così l’ultima del girone lombardo-ligure, la Racing Libertas, venne ripescata. A quel punto si decise di ripescare anche Juventus e Modena, le ultime dei gironi piemontese e veneto-emiliano, che così tornarono nel campionato maggiore.
Giampiero Gasperini doveva portare le scarpe di Causio per dargli la forma giusta
Giampiero Gasperini, all’epoca nelle giovanili della Juventus, aveva lo stesso numero di scarpe dell’ala destra bianconera del tempo, il Barone Franco Causio. Per questo il suo compito era quello di portare le sue scarpe in modo da dargli la giusta forma.
Eppure qualche volta Gasperini riuscì anche a giocare: 9 presenze tutte nelle due edizioni della Coppa Italia del 1977 e del 1978. A campionato ormai finito i titolari erano in vacanza o con la Nazionale e così a Giampiero capitava di avere una maglia da titolare.
Un giorno, l’ultimo di maggio del 1978, riuscì anche a segnare un gol. Fu lui ad aprire le marcature dopo un quarto d’ora di gioco. Chissà se le scarpe erano le sue o quelle di Causio…
Il primo stadio della Juve era… un velodromo
Le case che la Juve ha abitato nel corso della sua storia ultracentenaria sono molte, in un crescendo votato alla modernità e al trionfo. Tutto ebbe inizio nel velodromo intitolato al re d’Italia Umberto I , tra le cui prestigiose mura venne disputato il primissimo campionato di football nostrano, svoltosi in forma quadrangolare nel corso di una singola giornata: precisamente l’8 maggio 1898, sotto gli occhi di appena un centinaio di curiosi.
Si trattava di un impianto… inizialmente non adibito al football, come suggerisce il nome stesso. Ma questo non stupisce, visto che i piedi degli italiani impararono a pedalare prima che a tirare calci a un pallone.
Franco Causio, il Barone dribblante.
Franz Beckenbauer è un tifoso bianconero
La Juve può vantare un supporter d’eccezione lontano dai confini nazionali. Questo non dovrebbe stupire, visto che il club bianconero raccoglie ammiratori e tifosi da ogni parte d’Italia e del mondo. Ma stavolta si tratta davvero di un tifoso molto particolare… Franz Beckenbauer, infatti, ha ammesso nel 2003 di avere un debole per la Juventus. Perché? «È il club che ha vinto di più nella storia del calcio italiano, un po’ come il Bayern da noi, e ha sempre avuto campioni e allenatori di grandissimo livello. Per questo motivo da sempre sono un suo sostenitore».
All’esordio in serie A la Juventus vinse in rimonta
Il 6 ottobre del 1929 inizia nel calcio italiano il primo campionato di serie A a girone unico. Proprio così: basta con il nugolo di gironcini sparsi per l’Italia, basta con il calcio parrocchiale e spazio a un torneo più competitivo e in linea con il resto d’Europa. La Juventus, allenata da Aitken, esordisce contro il Napoli. L’inizio è salutato da ottimi auspici. 10° minuto: il partenopeo Zoccola prova a respingere il tiro del bianconero Cevenini, e finisce invece per deviarlo mettendo fuori causa il proprio portiere, Cavanna. Gli auspici sono sempre più rosei quando, poco più tardi, il Napoli resta in dieci uomini a causa di un infortunio a De Martino.
Nella ripresa, però, i bianconeri si complicano la vita e il Napoli segna due volte. In vantaggio per 2 a 1 e con De Martino di nuovo in campo, nella classica posizione sull’ala destra del giocatore infortunato, il Napoli si chiude nel fortino della propria area di rigore a difendere il vantaggio. Ma la Juventus ha la rimonta nel suo DNA e lo dimostra subito. Al 64° un gol di Cevenini, poi uno di Munerati all’86° siglano prima l’aggancio, quindi il definitivo vantaggio.
La prima Gazzella è stata bianconera
Di tante Gazzelle
è popolato l’universo del pallone in tutta la sua storia. Il mondo animale è stato sempre saccheggiato per fornire soprannomi capaci di dipingere le qualità dei calciatori. Pantere, volpi, leoni, aquile, uccelli rapaci ecc., e ovviamente gazzelle, il più gettonato per descrivere attaccanti rapidi ed eleganti.
15 novembre 1925. La Juventus, dopo un inizio di campionato sulle montagne russe condito da due vittorie, un pareggio e una sconfitta, sfida la Pro Vercelli. Tra i bianconeri scalda il piede il talento magiaro Hirzer, autore nella partita precedente contro il Milan di ben due gol. I vercellesi hanno preparato le forze speciali per provare ad arginarlo: due avversari alla volta lo seguono passo passo, come un’ombra, anzi due. Hirzer ha la pellaccia
dura dell’uomo cresciuto nell’Est Europa e non si fa impressionare. E appena trova lo spazio scarta tre avversari con la sua animalesca velocità e mette il centravanti Pietro Pastore nelle agevoli condizioni di spingere il pallone in rete.
Juventus-Pro Vercelli 1 a 0. Ed ecco che al termine della partita i giornalisti, dopo aver passato in rassegna tutto l’universo animale, mettono nero su bianco il soprannome di Gazzella.
Uno juventino vendette una partita, ma poi la giocò alla grande
Stagione 1926-1927. 5 giugno. Derby tra Juventus e Torino. Per i bianconeri la partita non ha valore ai fini della classifica. Per il Toro, invece, vale la vita: la vittoria, infatti, gli regalerebbe lo scudetto. Alla vigilia accade così che il presidente del Torino avvicina il terzino della Juve, Luigi Allemandi, gli allunga 25.000 lire e gli propone di far perdere la partita alla sua squadra, in cambio di altre 25.000 lire dopo l'incontro.
Il Torino vincerà la partita, ma Allemandi giocherà una partita impeccabile, correndo per 90 minuti e non sbagliando nulla: una delle migliori prestazioni della stagione. Al punto che dopo la partita il presidente del Torino si rifiuta di sborsare le altre 25.000 lire. Un giornalista origlia la lamentela di Allemandi per il pagamento non ricevuto e strilla la storia ai quattro venti. Lo scandalo viene così alla luce e lo scudetto viene revocato al Toro. Peggior sorte toccherà al terzino juventino, che verrà squalificato a vita. Solo con la medaglia di bronzo azzurra alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 un’amnistia permetterà ad Allemandi di tornare in campo. Nel 1934 diventerà campione del mondo con la maglia azzurra.
Nel primo derby della Mole un presidente venne chiuso nello spogliatoio
Gennaio 1907. Un mese rivoluzionario per la storia del calcio torinese. Un avvenimento cambierà per sempre il modo di tifare dei torinesi. È il mese in cui viene giocato il primo derby della Mole. La rivalità tra le due squadre della stessa città è un abbraccio ancora più stretto (fratricida più che fraterno) che altrove. Il Torino, infatti, era nato solo un anno prima per volere di alcuni soci juventini che avevano lasciato la società in disaccordo; il più in vista tra loro era l’industriale Alfredo Dick. A qualcuno proprio non era andato giù quel tradimento, e così il 13 gennaio 1907, il giorno del primo derby, pensò bene (o meglio male) di chiudere a chiave Dick negli spogliatoi durante la partita. Solo interpretando gli applausi e il vociare del pubblico Dick comprese che il suo Torino aveva battuto la Juventus per 2 a 1 grazie ai gol di Federico Ferrari Orsi e Hans Kämpfer.
Il più forte secondo portiere di sempre giocava nella Juve
C’ era una volta un portiere talmente forte che il presidente della Juve proprio non se la sentì di lasciarlo a una squadra avversaria. Era il 1925. Il portiere era Ezio Sclavi. Il presidente era Edoardo Agnelli. E la squadra la Lazio. E così il portiere biancoceleste partì alla volta di Torino, ma si trovò di fronte un ostacolo insormontabile: il titolare. Giampiero Combi, infatti, era un portiere senza rivali al tempo: formidabile, indistruttibile e soprattutto sempre presente. Combi non mancava mai e così Sclavi non riuscì mai a giocare. Nessuno poté vedere in bianconero le sue uscite temerarie e precise sia sulle palle alte sia su quelle a terra. Eppure forte lo era davvero, al punto che arrivò addirittura a giocare in Nazionale. Tre presenze, sempre al posto di Combi, anche lì titolare inamovibile. Non gli restò quindi che accontentarsi di diventare il più forte secondo portiere di sempre.
Gli scherzi da spogliatoio c’erano già nel 1928
Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Tra gli azzurri pronti a difendere la bandiera italiana nel torneo di calcio brilla anche la testa lucida di brillantina di Pietro Pastore. Di professione centravanti di sfondamento. Il suo gioco tutto impeto e zuccate perentorie ha conquistato il commissario tecnico azzurro, il cavalier Augusto Rangone. Eppure Pietro, di hobby playboy, è più interessato a conquistare il cuore delle tifose olandesi. I compagni sanno bene che quello è il suo punto debole… Un giorno Pietro era certo di aver fatto finalmente breccia nel cuore di due ragazze. Dopo essersi scambiato con loro sguardi di inequivocabile interesse, trovò sotto il cuscino una rosa rossa, simbolo planetario della passione. La cosa accadde anche nelle sere a seguire. L’ultima sera prima del ritorno in patria (con un dignitoso bronzo appeso al collo) Pietro si sentiva pronto a consumare le sue conquiste, e invece, al posto della rosa rossa, Pietro trovò un topo morto. I suoi compagni gli avevano giocato un brutto scherzo.
Giampiero Combi, il Lord insuperabile.
La Juve vinse la prima Coppa per il ritiro del Milan
2 novembre del 1902. Prima finale juventina della Coppa Città di Torino. Juventus contro Milan. In quei tempi di calcio pionieristico questo era senza dubbio il torneo più importante. Al velodromo Umberto I scesero in campo i ragazzi in rosa (al