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I campioni del grande Napoli
I campioni del grande Napoli
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E-book522 pagine5 ore

I campioni del grande Napoli

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Info su questo ebook

Dalla fondazione al terzo scudetto

Fuoriclasse, fenomeni, capitani coraggiosi o di lungo corso, leader in campo e riferimento per compagni e tifosi: ecco il libro dei ricordi che raccoglie i cento anni di storia del Napoli. Qui vengono raccolte le gesta e i sentimenti dei campioni, i retroscena relativi al loro arrivo in azzurro, gli aneddoti inediti, le frasi celebri, i migliori gol e le partite indimenticabili. Campioni che sono tali per la loro superiorità nel rettangolo verde, l’incredibile dedizione alla causa partenopea, o anche solo la scintilla di amore eterno scoccata in un attimo con il popolo azzurro: da Higuaín a Osimhen, Maradona e Cavani, tanto per citarne alcuni. E insieme a loro, una retrospettiva di altri “indimenticabili” del Napoli, scelti tra i dirigenti, presidenti e allenatori che hanno reso preziosa e unica la storia della squadra.

Storia e gesta dei campioni azzurri entrati nella leggenda fino alla conquista del terzo scudetto

Maradona, Careca, Jeppson, Pesaola, Lavezzi, Cavani, Hamšík, Insigne, Osimhen, Kvaratskhelia, Mertens…
…e tutti i campioni d’italia
Giampaolo Materazzo
è nato a Napoli nel 1972. Ha scritto per la Newton Compton 101 gol che hanno fatto grande il Napoli.
Dario Sarnataro
è nato a Napoli nel 1975. Voce dei programmi sportivi di Radio Marte, collabora con «Il Mattino» e segue professionalmente le vicende del Napoli Calcio dal 1996. Insieme a Giampaolo Materazzo ha firmato 1001 storie e curiosità sul grande Napoli che dovresti conoscere, Il romanzo del grande Napoli, Il Napoli dalla A alla Z, Forse non tutti sanno che il grande Napoli..., Le 101 partite che hanno fatto grande il Napoli, La storia del grande Napoli in 501 domande e risposte e I campioni del grande Napoli.
LinguaItaliano
Data di uscita17 nov 2014
ISBN9788854170575
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    Anteprima del libro

    I campioni del grande Napoli - Giampaolo Materazzo

    Prefazione

    di Gianfranco Lucariello

    Una cavalcata sfrenata e mozzafiato attraverso quasi un secolo di pallone nella città in riva al Golfo, grazie alle penne delicate e sensibili di due scatenatissimi personaggi, è il caso di dire attenti a quei due : Giampaolo Materazzo e Dario Sarnataro. Dopo i successi del loro primo lavoro insieme, 1001 storie e curiosità sul grande Napoli che dovresti conoscere , stavolta hanno fatto rivivere i grandi personaggi del club, quelli che hanno scatenato e scatenano il popolo azzurro con i loro numeri, le loro qualità tecniche sul terreno di gioco e talvolta con spaccati personali, cioè con storie anche segretissime vissute all’interno e al di fuori del gruppo nel periodo professionale. E c’è chi ha scelto Napoli per tutta la vita, incantato dalla bellezza e dalle contraddizioni di una città dove il calcio ha tutt’altro sapore. È un viaggio incredibile che inizia dall’Ascarelli, poi Partenopeo e che continua al San Paolo, dopo le emozioni del Vecchio Vomero. In altre parole, da Attila Sallustro al Cabezón Omar Sívori e da Diego Maradona a Gonzalo Higuaín, una volata a ritmo battente attraverso le storie calcistiche e private dei grandi fuoriclasse che hanno fatto palpitare e sognare i tifosi azzurri, di tutte le epoche.

    C’è spazio per tutti. Ci sono tanti racconti che riguardano gli idoli dei napoletani, i notissimi campioni che sul terreno di gioco hanno fatto impazzire la gente, in questo viaggio ideale che lega i calciatori e i personaggi dell’intera storia del club partenopeo con quelli attuali. Campioni in campo nel dare battaglia stringendo i denti e campioni anche per l’amore e l’attaccamento alla maglia azzurra, pur se non provvisti di un repertorio di particolari capacità. Campioni dentro, insomma, che insieme con i loro compagni di primissima fila e di grandissimo valore, sfilano trasformati in immagini reali, create nella rievocazione dei due autori.

    Eccoli i Grandi Azzurri, consacrati da Materazzo e Sarnataro, nelle loro pagine avvincenti. Dei nomi tocca farli: il tandem del Vecchio Vomero e che purtroppo durò poco, dopo gli sfracelli iniziali; l’elegante freddezza essenziale di Hasse Jeppson, che staccava di testa più in alto di tutti, e la furia travolgente di Luís Vinício. ’O Lione veniva da Belo Horizonte e giocava nel Botafogo di Rio de Janeiro, insieme con una straordinaria mezzala, Da Costa, che andò alla Roma. Nella squadra che giocava in Collina c’erano anche Amedeo Amadei e Naim Kryeziu, l’albanese che volava sulla fascia, con il Petisso Pesaola su quella opposta.

    E tante, tantissime altre storie, quelle dei napoletani Montefusco, Juliano e Improta, il Baronetto di Posillipo, senza dimenticare Beppe Bruscolotti, per tutti Pal’e fierro, e Moreno Ferrario (undici anni in azzurro), insieme con Ruud Krol e il Guerriero Salvatore Bagni, un attaccabrighe da cui bisognava stare lontani. Già, quelli del primo scudetto: Bruno Giordano, il più forte centravanti italiano di allora. E ancora Rambo De Napoli, Garellik tra i pali, che parava tutto pure con i piedi, come faceva Zoff all’inizio della sua carriera napoletana. E poi Ciro Ferrara, Andrea Carnevale, Alessandro Renica che tramortì la Juve in Coppa

    UEFA

    , Francesco Romano il direttore d’orchestra che capitan Maradona ribattezzò Tota, la mamma della squadra più forte. Tutti Grandi Azzurri, insieme con Antonio Careca, l’erede di Vinício e di José Altafini, il Tedesco Alemão e Giovanni Francini. Con loro nella storia del Napoli ecco Gianfranco Zola, Massimo Crippa, Fonseca, Batman Taglialatela, lo scugnizzo-fedayn più decorato del mondo Fabio Cannavaro, il Pocho Lavezzi, Cavani. Spazio naturalmente anche per gli eroi di oggi, dal Magnifico Lorenzo Insigne, a José María Callejón e al Pipita Higuaín, e non soltanto loro.

    Altre pagine da non perdere quelle dedicate al primo presidente azzurro, Giorgio Ascarelli, e ai mitici trainer di un altro calcio, come William Garbutt. Un tributo urlato a gran voce va a Ottavio Bianchi – chiamato Martello da Maradona e compagni – e ad Albertino Bigon, vincitori dei 2 scudetti azzurri. E giù il cappello per Italo Allodi, che costruì il primo grande Napoli. In tribuna d’onore, nelle storie raccontate da Giampaolo Materazzo e Dario Sarnataro, ecco anche Achille Lauro, Corrado Ferlaino, Aurelio De Laurentiis, Pierpaolo Marino, Mazzarri e Benítez: personaggi uniti nell’azzurro della squadra del cuore, in un viaggio infinito da leggere tutto d’un fiato.

    Introduzione

    Siamo tornati, nove anni dopo. La Storia ci ha imposto di rinnovare, aggiornare, per raccontare la gloria, sportiva, che è tornata, per trasferire emozioni e gesta, colpi di genio e storie che resteranno nel cuore di tutti i tifosi del Napoli. E, senza presunzione, nella testa di tutti gli amanti del calcio. Siamo tornati per raccontare il terzo scudetto!

    Quando il libro I campioni che hanno fatto grande il Napoli è stato pubblicato per la prima volta, infatti, era il 2014. Alcuni calciatori che facevano parte della rosa azzurra dell’epoca hanno trovato posto in questa narrazione, sia nella prima sia in questa edizione speciale. E per loro c’è stato un aggiornamento della loro esperienza in azzurro, arricchita da alcuni momenti magici, da qualche delusione e da altre gioie. Si tratta di Hamšík, Insigne, Mertens, Callejón e Higuaín e tra i dirigenti c’era e c’è ancora Aurelio De Laurentiis. Abbiamo inoltre aggiunto, rispetto alla precedente edizione, altri due profili, relativi a Kalidou Koulibaly e a Maurizio Sarri, due figure che hanno lasciato il segno nella storia del Napoli. A essi e a quelli storici (le leggende azzurre degli anni in bianco e nero, i fuoriclasse degli anni Sessanta e gli eroi dei due scudetti), abbiamo aggiunto gli attuali protagonisti: insieme allo scudetto hanno trovato anche il modo (e il premio) per rimanere immortali. Raccontare qualcosa mentre questa sta avvenendo è molto diverso dal poterla raccontare con il privilegio della prospettiva distante: quando sono passati alcuni anni dall’ultima partita in azzurro di ciascun campione, la storia che si può narrare è ovviamente più oggettiva. È più facile fotografare un lago che cercare di ottenere un’istantanea del tumulto dell’acqua di un torrente che scorre.

    Abbiamo così deciso, per rendere omaggio a quanto già scritto dei nostri amati, ma anche meno amati campioni, di lasciare, dunque, nella presente edizione quanto vi fosse pubblicato nel 2014, con l’aggiunta però di alcune righe che possano assolvere il compito di descrivere alcune emozioni provate e i dati salienti di ciascun ritratto.

    Per quanto riguarda i nuovi eroi della storica stagione 2022-23, abbiamo ritenuto doveroso inserirli praticamente tutti: mancano all’appello i pochi azzurri che hanno giocato solo scampoli di partite. Tutti gli altri sono consegnati all’eterna memoria. È stata un’annata incredibile. Pochissimi tifosi e nessun addetto ai lavori immaginava, durante l’estate del 2022, che cosa sarebbero riusciti a fare i ragazzi guidati da mister Spalletti. Nell’arco dell’intero campionato al Maradona, sugli stadi di tutta Italia e in ogni casa dove la partita si vede in

    TV

    , si è gridato «Mamma mia!» nel vedere le giocate di questo gruppo straordinario. Mamma mia, ogni volta che Kvara toccava il pallone e creava arte. Mamma mia, ogni volta che Osimhen arrivava dove gli umani non possono. Mamma mia, ogni volta che Kim o Rrahmani dominavano gli avversari, ogni volta che Di Lorenzo dettava i tempi di gioco da regista offensivo e continuando a macinare chilometri sulla sua fascia, ogni volta che Lobotka illuminava il campo, ogni volta che Anguissa giganteggiava a centrocampo, ogni volta che Mário Rui crossava perfettamente per l’attaccante di turno, ogni volta che Zieliński sterzava, ogni volta che Meret toglieva la palla dall’incrocio dei pali, ogni volta che Simeone, Elmas o Raspadori entravano in campo e spaccavano la partita, ogni volta che ci hanno fatto esultare, ridere, piangere, gioire. Decenni cristallizzati in un groppo alla gola si sciolgono finalmente in milioni di lacrime.

    Fa quasi tremare la voce, ma tocca dirlo: il Napoli, a distanza di un terzo di secolo, ha vinto lo scudetto. Che meraviglia, mamma mia!

    I nuovi eroi

    Alex Meret

    C’ è uno switch off e uno switch on nell’esperienza di Alex Meret col Napoli a distanza di quattro anni. Sempre in estate, sempre per caso, o quasi. A luglio del 2018 i suoi sogni di gloria sembrano andare in frantumi. Ad agosto del 2022 si (ri)prende il Napoli, in uno sliding doors più simile a un film che alla vita reale. Per ventiquattro ore viene ceduto, a inizio agosto, allo Spezia. Salta tutto, resta al Napoli e a fine mese inizia la sua risalita.

    Facciamo però un passo indietro. De Laurentiis lo acquista dall’Udinese a giugno del 2018, nell’era post Sarri e con l’arrivo di Ancelotti. 25 milioni di euro spesi per un enfant prodige del calcio italiano, della florida scuola di portieri friulani (Zoff, Lorenzo Buffon, Scuffet, Provedel e Vicario, solo per citarne alcuni), con il compito di voltare pagina dopo l’era Reina. Pronti, via, e l’11 luglio, a inizio ritiro, Meret si rompe l’ulna del braccio sinistro (switch off) dopo uno scontro fortuito con il giovane Mezzoni. Rientrerà cinque mesi dopo. Il Napoli corre ai ripari e acquista Ospina: per Meret sarà la fine, con il senno di poi, della prospettiva di giocare da titolare inamovibile. Il ballottaggio, anche per meriti del colombiano e prestazioni grigie del friulano, condite da ulteriori infortuni, premierà Ospina nel rendimento e anche nelle scelte degli allenatori Ancelotti, Gattuso e Spalletti, che preferiscono puntare sull’esperto portiere sudamericano nelle gare che contano. Meret mette insieme 21 presenze nella prima stagione (2018-19, solo 14 in Serie

    A

    ), 29 nella seconda (2019-20, 22 in massima serie), 28 nella terza (2020-21, 22 in campionato) sino ad appena 15 nella quarta, prima con Spalletti allenatore (7 da titolare in

    A

    ). L’alternanza, in sostanza, logora l’autostima di Meret, portiere della Nazionale, rivale di Donnarumma ma con poco spazio per crescere e migliorare. Alex, friulano di Flambruzzo, tenace ma timido, sobrio nello stile ma anche nel carattere, diventa un piccolo caso. Gli esperti lo considerano tecnicamente uno dei migliori d’Italia, anche più dotato – in questo senso – del celebrato Donnarumma, ma il suo talento al Napoli sembra implodere. Sorride, e mostra le sue qualità, solo nella finale di Coppa Italia vinta ai rigori nell’estate del Covid, il 17 giugno 2020. è titolare perché Ospina è squalificato, ma vince il trofeo (nel silenzio inquietante dell’Olimpico di Roma vuoto per le restrizioni anti-coronavirus) da protagonista, parando il rigore di Dybala. è solo un acuto, le sue prestazioni non sono eccellenti e torna nel cono d’ombra di Ospina, il vero titolare. Vince anche l’Europeo con l’Italia di Mancini, anche se non gioca neanche un minuto. Con Spalletti, sulla panchina azzurra dall’estate del 2021, continuerà a vedere poco il campo e quando accade succede il patatrac. è il 24 aprile 2022 e il Napoli crolla a Empoli: da 2-0 perde 3-2 anche a causa di una incredibile papera di Alex. Game over, la stagione finisce con il Napoli terzo e con tanti rimpianti per uno scudetto sfumato, per Meret sembra non esserci altro che l’addio a fine stagione. Il caso però vuole che Ospina non rinnovi e vada negli Emirati Arabi all’Al-Nassr e, nonostante le sollecitazioni di Spalletti, il Napoli non riesca a prendere né Keylor Navas e neanche Kepa. Meret resta in azzurro, arriva come secondo Sirigu e si avvicina lo switch on, dopo aver sfiorato, come detto, il passaggio allo Spezia in prestito. Titolare con Verona e Monza nelle prime due gare di agosto, Meret si accende definitivamente il 31 agosto 2022. Il Napoli pareggia col Lecce per 1-1 in casa, ma il portiere para un rigore a Colombo e sembra trasformarsi. Da quel momento in poi è tutto un crescendo di prestazioni, sicurezza e personalità. Quella che sembrava essere timidezza è diventata autorevolezza. Quella che qualcuno definiva freddezza si è trasformata in eccezionale capacità di resistere alle intemperie. Scaricato da qualche dichiarazione estiva di Spalletti, sfiduciato dalla società che ha cercato sino all’ultimo secondo del mercato estivo, Meret si è ritrovato titolare nel pieno del mercato e nel colmo, dunque, della precarietà. Ha avuto un’inattesa, ai più almeno, capacità di gestire le tensioni, sorprendendo tutti per personalità e determinazione, tratti distintivi che sembravano non appartenere al suo carattere.

    Sono, dunque e finalmente, emerse le eccezionali qualità tecniche tra i pali. Dopo il rigore parato ci sono almeno altre quattro prodezze. La più importante, probabilmente, è quella realizzata contro il Milan a San Siro il 18 settembre 2022. Azzurri e rossoneri appaiati in testa alla classifica a quota 14 punti, insieme alla terza incomoda Atalanta. è scontro diretto, anche se siamo appena alla settima giornata. Il Napoli, senza Osimhen, sfida i campioni d’Italia a domicilio. Meret decide che è questo il proscenio ideale per affermare il suo talento. Compirà due splendide parate su Krunić e Messias, ma l’intervento da urlo avviene poco prima, al 12’, sullo 0-0, su Giroud. Un prodigio nel deviare sulla traversa la spaccata a botta sicura del francese. Il Napoli vincerà 2-1, volando in testa alla classifica, anche per merito del portiere. Il secondo squillo lo compirà in un’altra gara chiave del campionato. Diciottesima giornata, gli azzurri sono primi a +7 sulla lanciatissima Juventus (reduce da otto vittorie consecutive senza subire reti): al Maradona va in scena proprio la sfida contro i bianconeri. Allo show azzurro partecipa, a pieno titolo, Meret. Il Napoli conduce 2-1, prima della fine del primo tempo su un cross dalla sinistra di Kostić il difensore Rrahmani, inavvertitamente, devia a pochi passi dalla porta. Alex compie un balzo e toglie letteralmente dalla porta la palla. Il Napoli vincerà 5-1, stracciando la Vecchia Signora, ma senza quella parata la partita avrebbe potuto assumere un altro connotato, nonostante la netta superiorità azzurra. Da sottolineare, tra i tanti (si pensi all’intervento su Bergwijn dell’Ajax finito nella nomination

    UEFA

    come top save di giornata o alla parata su Højlund in Atalanta-Napoli o varie uscite basse tempestive), altri due interventi pazzeschi: la parata, con la mano di richiamo, su Arfield nella gara di Champions contro il Rangers (il risultato era sullo 0-0, il Napoli vincerà 3-0) e la prodezza assoluta nel derby in trasferta con la Salernitana. Gli azzurri dominano, vincono 2-0, ma per una rara leggerezza sull’asse Di Lorenzo-Lobotka la sfera finisce sui piedi di Piątek: Meret devia miracolosamente sul palo. Sarebbe stato il gol dell’1-2, il Napoli forse avrebbe vinto lo stesso, ma le coronarie dei tifosi (e di Spalletti) ringrazieranno a vita il portiere. Da lì in avanti ha guidato la squadra con sicurezza, migliorando sensibilmente anche nel gioco con i piedi (suo antico limite), attestandosi in media su oltre l’80% di passaggi riusciti a partita. A fine marzo la mascherina, per una leggera frattura al naso, lo renderà più simile a Osimhen, ma il suo rendimento è sempre buono e continuo, firmando idealmente il manuale del portiere che in dieci mesi ribalta l’intera critica a suo favore. Chapeau!

    Giovanni Di Lorenzo

    Quali sono le doti principali di un capitano? Senso di appartenenza, dedizione alla causa, lunga militanza in un club, condivisione dei sentimenti dei tifosi, interpretazione degli stati d’animo della città della squadra. E ancora, porsi da riferimento per i compagni, specie per i nuovi arrivati, esempio da seguire in allenamento e interlocutore corretto con la società. Ebbene, Giovanni Di Lorenzo questa sorta di manuale del perfetto capitano non solo lo ha letto e applicato in modo perfetto, ma sembra che lo abbia quasi scritto. E, a proposito di narrativa, la storia di questo ragazzo di Castelnuovo di Garfagnana, paesino di neanche seimila abitanti della provincia di Lucca, sembra essere un romanzo eroico, una favola a lieto fine. Una di quelle storie da raccontare ai giovanissimi calciatori che sognano di arrivare in Serie

    A

    , di vincere un Europeo con l’Italia, di trionfare e di entrare nella leggenda con un tricolore a Napoli, conquistato peraltro alzando il trofeo. Tutto questo Giovanni lo ha realizzato in soli sei anni, passando dalla Serie

    C

    allo scudetto.

    Di recente, in un’intervista alla rivista «Undici» ha spiegato l’evoluzione della sua carriera dal punto di vista emozionale. «La mia forza più grande è stata la capacità di non mollare mai. E adesso gioco in una grande squadra che disputa le coppe europee e anche nell’Italia, sento l’inno nazionale e quello della Champions prima delle partite: sono cose che uno sogna da bambino, sono cose che a me toccano molto visto quello che ho fatto per arrivare fino a qui. Sono emozioni forti, e me le sto godendo tutte».

    La favola di Di Lorenzo parte dal basso: le giovanili della Lucchese, dove era soprannominato Batigol perché giocava da attaccante, il passaggio – coraggioso – alla Reggina a sedici anni, l’arretramento nel ruolo di terzino e l’inizio della lenta ascesa. La gavetta tra

    B

    e

    C

    , l’esperienza dal 2015 al 2017 al Matera e poi, finalmente, il grande salto, quando ormai sembrava già tardi a ventiquattro anni compiuti. All’improvviso la sua carriera subisce una progressione inarrestabile, simile a quella che lui produce in campo sulla fascia destra. Dalla

    C

    col Matera all’Empoli in Serie

    A

    , dal club toscano al Napoli, per 9,5 milioni di euro, nell’estate del 2019. Ancelotti, allora tecnico azzurro, avrebbe voluto l’inglese Trippier, il fiuto del

    DS

    Giuntoli deraglia su questo ragazzo italiano dalla crescita costante. E così è stato. Basti pensare che il 29 agosto 2017 Di Lorenzo giocava l’ultima gara in Serie

    C

    con il Matera. Due anni dopo, il 31 agosto 2019, ha segnato il primo gol con il Napoli contro la Juventus, a Torino. Il 17 settembre ha poi esordito in Champions League battendo i campioni d’Europa del Liverpool, il 15 ottobre il debutto con la Nazionale di Mancini contro il Liechtenstein. Il resto appartiene al recente passato: Di Lorenzo si impone velocemente sia nel Napoli di Ancelotti sia in quello di Gattuso, distinguendosi come terzino di grande forza fisica, dallo stacco notevole, dalla progressione e dalla buona tecnica. 3 gol nella prima stagione, la vittoria della Coppa Italia nel 2020, in piena pandemia, 3 gol nella seconda stagione. Gattuso lo impiega, per emergenza, anche come difensore centrale e lui non sfigura affatto, anzi, affinando ancora di più la sua perizia tattica. Di Lorenzo non si ferma, è un treno ad alta velocità e in continua evoluzione, come un cyborg dal cuore umano. Migliora di stagione in stagione, lavora in modo ossessivo in allenamento, assorbe con grande disponibilità e umiltà i dettami degli allenatori con cui condivide il percorso. Conquista la titolarità nel ruolo anche con l’Italia, vincendo da titolare l’Europeo, battendo ai rigori nella finale a Wembley l’Inghilterra. Ma non è finita. L’arrivo di Spalletti lo migliora ulteriormente: nel 2021-22 la sua assenza per infortunio priva il Napoli di un elemento fondamentale e forse non è un caso che arrivino le sconfitte con Fiorentina ed Empoli, nelle due gare cruciali per i sogni scudetto. Con Spalletti, Di Lorenzo non è solo un terzino, diventa mezzala nella fase di possesso palla, una delle armi tattiche più innovative del Napoli tricolore. Partecipa alla manovra offensiva in modo determinante, in sovrapposizione come nelle linee interne del campo. Il suo rendimento diventa mostruoso, gioca senza soluzione di continuità e affina ulteriormente le sue doti. Potente e insuperabile in fase difensiva, arrembante e rapido in progressione, abile nel palleggio come nel gioco lungo, Di Lorenzo è uno dei più forti terzini destri d’Europa. Con la moglie Clarissa condivide l’amore per Napoli e ne è riamato per quello che è e per quello che fa nel Napoli e per Napoli. La stagione dello scudetto è sensazionale: tre gol e tre scatti per ricordare le doti di Di Lorenzo e la stagione del trionfo. La rete di testa all’Ajax, primo gol in Champions League, il secondo gol all’Eintracht, a Francoforte, negli ottavi di finale, è da accademia del calcio. Dribbling a metà campo di Kvaratskhelia, scambio con Anguissa, metafisico tacco del georgiano per l’accorrente Di Lorenzo che di sinistro (!) con un tiro a giro beffa il portiere. In mezzo il gol che apre il non semplice derby di Salerno con la Salernitana, con una botta sicura sotto la traversa in area. E poi, come detto, i tre scatti. Il 5 febbraio, nella foto con Osimhen e Kvaratskhelia, guarda in alto e, sui social, scrive: «Kvara, digli a Victor di scendere, dobbiamo esultare», in occasione del gol del nigeriano con un salto in alto da campione. Immagine iconica. «Uniti più di prima» scrive, con tanto di foto in cui è impegnato ad applaudire i propri tifosi, il 4 marzo, dopo la sconfitta interna con la Lazio. E poi tutte le immagini di unione del gruppo, in campo e fuori, sottolineate dall’hashtag «Uniti insieme verso il nostro sogno». Di Lorenzo è stato senza dubbio uno dei grandi protagonisti, un perno fondamentale, un giocatore fantastico, della stagione da leggenda del Napoli. Del resto, forse, nel romanzo-favola di Giovanni tutto era già scritto: il papà Vincenzo, a sorpresa, tifoso del Napoli da sempre, il fratello Diego, un nome, una garanzia. E poi l’amore per una tonalità in particolare. «Conoscete un colore più bello dell’azzurro?», ha esclamato Di Lorenzo nel giorno del lancio della nuova maglia della Nazionale. Pare proprio di no, per lui certamente no. Non a caso ha scelto di restare a vita nel Napoli, chiedendo di firmare (a breve) un contratto sino al 2028, quando avrà trentacinque anni. «Chi va via da Napoli», ha detto sempre alla rivista «Undici», «finisce per rimpiangere tutto quello che si è lasciato alle spalle: la società, la bellezza della città, il calore dei tifosi e delle persone in generale. Sono cose che possono venire a mancare, e infatti sono in tanti a voler tornare qui». Lui ha scelto l’azzurro, ha chiamato la prima figlia Azzurra (l’altra, Carolina, è nata pochi mesi fa) e non intende cambiare idea. Del resto c’è un happy end più bello in una favola azzurra?

    Kim Min-jae

    L’ urlo di Kim squarcia il cielo sopra Milano. è una sera fresca di fine estate e alla Scala del calcio, il Meazza di San Siro, sono le 22:41 del 18 settembre. Il Napoli sta vincendo per 2-1 sul campo del Milan grazie a uno splendido gol di Simeone. La vittoria consentirebbe agli azzurri di staccare i rossoneri di 3 punti, raggiungendo in vetta alla classifica l’Atalanta. L’assalto finale del Milan è disperato. Negli ultimi secondi dei sei minuti di recupero sull’ennesimo cross si avventa Brahim Díaz che sfiora di testa. La palla sembra indirizzata sul secondo palo della porta difesa da Meret ma una giocata di Kim, con un allungo quasi innaturale, in stile kung-fu, la intercetta e la destina in calcio d’angolo. Kim esulta come se avesse segnato, con un urlo che è più forte del boato dello stadio. Un urlo in faccia a Díaz, ai tifosi del Milan, all’intero stadio, ma il suo è un urlo di pura gioia che assomma in sé anche l’enorme tenacia e voglia di vincere del difensore sudcoreano. Il Napoli vince 2-1 una delle partite-chiave del suo tricolore, battendo peraltro i campioni d’Italia. è il match che ha fatto capire agli azzurri la loro forza, il loro trionfale destino. E l’urlo di Kim è una delle immagini più forti e trascinanti della stagione. Con quella giocata e con quella reazione il difensore conquista definitivamente i tifosi azzurri. L’amore è scoccato, come dimostrerà poi il video di quell’urlo, diventato virale su tutti i social. Kim Min-jae è uno dei pilastri assoluti del Napoli dello scudetto, una scommessa stravinta, un difensore tra i più forti al mondo, un idolo assoluto del Maradona, dove ancora rimbomba il coro «Kim-Kim-Kim-Kim» ripetuto dai tifosi ogniqualvolta il sudcoreano effettua un intervento difensivo, un coro che sottolinea lo stupore, la meraviglia e l’orgoglio di vedere in maglia azzurra quel numero 3 che a velocità supersonica, con un tempismo unico, con una determinazione eroica e con una lettura da fuoriclasse del ruolo anticipa, respinge, contrasta, annulla ogni giocata degli attaccanti avversari. In realtà il suo nome è Min-jae, all’inverso rispetto all’uso in Occidente. Il suo è il cognome più diffuso del Paese asiatico (circa una persona su cinque): non a caso sulle maglie preferisce inserire il suo nome, per differenziarsi. Kim è un vero e proprio muro che ha conquistato le copertine sportive italiane ed europee grazie al suo talento, che viene declinato al meglio in virtù di una cultura del lavoro unica, direttamente proporzionale all’educazione orientale. The Monster , il mostro, è il soprannome che si porta dietro: tanto spietato (ma corretto) in campo, quanto gentile fuori; non a caso è stato definito anche il Gigante Buono " o il Gigante Bambino . Dopo aver donato 37.000 euro è, infatti, diventato ambasciatore della Purme Foundation, una associazione sudcoreana impegnata nel sostegno dei bambini disabili in tutto il Paese.

    Kim ha scritto con il Napoli una delle tante favole di questa stagione, riuscendo nell’impresa non solo di far dimenticare Koulibaly ma di diventare in pochi mesi uno dei migliori difensori al mondo. La sua storia al Napoli inizia nel caldo fine luglio del 2022: il 27, De Laurentiis ne ufficializza l’acquisto dal Fenerbahçe per 19,5 milioni di euro, superando la concorrenza del Rennes e a nove giorni dalla cessione al Chelsea di Koulibaly. Kim ha firmato un contratto di tre anni con opzione per altri due. è stato il primo calciatore orientale della storia azzurra. Il suo inserimento nel Napoli è stato fantastico, in campo e fuori. In ritiro, a Castel di Sangro, ha superato brillantemente il rito di iniziazione ballando e cantando Gangnam Style del suo connazionale Psy. In campo ha stupito tutti per rendimento, applicazione totale e concentrazione feroce sin dalla prima apparizione col Verona a Ferragosto. Ha subito assaporato la gioia del gol segnando in casa contro il Monza e ripetendosi tre giornate dopo con la Lazio. Ovviamente ha segnato di testa: il ragazzone coreano è alto 190 centimetri, per 88 chili, e ha nello stacco imperioso una delle sue grandi qualità. E così per Lega e Assocalciatori è stato del tutto naturale assegnare a lui il premio come miglior calciatore dei mesi di settembre e ottobre del 2022. Corteggiato e scoperto dal

    DS

    Giuntoli e dal suo staff, voluto fortemente da Spalletti, Kim è migliorato costantemente, grazie al tecnico ma anche alla sua disponibilità assoluta nel voler apprendere dettami tattici nuovi e una postura diversa nella corsa e nel posizionamento. Via via è diventato insuperabile in difesa ma anche attento a mantenere la posizione. è cresciuto in fase di impostazione e nei tempi di uscita dalla difesa. Straripante con il Liverpool, ha annullato in serie tutti i grandi centravanti, da Immobile a Højlund e Zapata, da Abraham a Firmino e Gómez. I suoi errori sono stati più rari della neve a Napoli, ma è stato subito perdonato. Anche quando il Milan ha vinto al Maradona per 4-0, a causa anche di una prova opaca di Min-jae, nessun tifoso se l’è presa con lui. E questo perché quando ha sbagliato, per esempio nella gara con l’Udinese prima della pausa per il Mondiale, il modo in cui ha chiesto scusa ha conquistato definitivamente anche i più indifferenti. Il suo motto è carpe diem, la locuzione latina del poeta Orazio, che Kim ha voluto come tatuaggio sul suo petto. La sua schiena è invece completamente in bianco e nero, a tema cristianità. Il tattoo ricopre in parte anche il braccio e la spalla sinistra. è figlio di atleti, il papà era judoka e il fratello maggiore Kyung-mi ha giocato come portiere nella Myongji University. Lo zio, mister nella città natale di Tongyeong (dove Min-jae è nato nel 1996), lo ha portato nel mondo del pallone, allenandolo molto duramente. Vincitore di due titoli sudcoreani in K League con lo Jeonbuk Hyundai, Kim Min-jae impressiona per la sua velocità, nonostante l’altezza e la stazza fisica. Ha una frequenza di passo da velocista, una dote naturale affinata grazie al suo amore per il ciclismo. E, in tal senso, subito si è sincronizzato sui sogni dei tifosi del Napoli: battere la Juventus e conquistare il titolo. «Ho una grande voglia di vincere. Il Napoli non vince da tanto tempo, ora sono avido di vittorie, puntiamo allo scudetto», ha detto in un’intervista rilasciata a marzo all’Upbit, società coreana diventata sponsor del Napoli. Un grande

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