Palloni bucati. Il flop del calcio italiano
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Recensioni su Palloni bucati. Il flop del calcio italiano
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Anteprima del libro
Palloni bucati. Il flop del calcio italiano - Stefano Righi
Anno 2012
ISBN 978-88-97324-43-0
© Stefano Righi e goWare limitatamente all’edizione e-book
Hanno lavorato a questo e-book Elisa Baglioni, Maria Rosa Brizzi, Stefano Cipriani, Valeria Filippi, Mirella Francalanci, Francesco Guerri, Maria Ranieri, che fanno parte dell’
La copertina è di Lorenzo Puliti.
goWare è una startup del Polo Tecnologico di Navacchio, a pochi chilometri da Pisa, la città della Torre e di Galileo.
Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it.
Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com.
Made in Navacchio on a Mac.
Dalla Grandeur al flop
Un sogno lungo 13 minuti
Il sogno è durato solo 13 minuti. Poi il brusco risveglio: uno, due, tre, 4-0, fino a che nell’inutile tempo di recupero il portiere spagnolo Iker Casillas ha detto basta e, parlando con l’arbitro di linea, ha urlato: Salvate l’onore dell’Italia
. Già, l’onore: stavolta lo Stellone non è bastato, la scaramanzia e le coincidenze storiche neppure. In molti avevano richiamato le analogie con le finali dei campionati mondiali di Madrid nel 1982 e di Berlino nel 2006. Soprattutto gli imbrogli sulle scommesse, da cui l’Italia del calcio aveva saputo sollevarsi sopra tutto e contro tutti. L’aveva fatto in Spagna con Enzo Bearzot che si affidò a Paolo Rossi, riuscì in Germania a Marcello Lippi che sfruttò le due settimane più straordinarie della carriera di Marco Materazzi, un difensore che, senza l’infortunio di Alessandro Nesta, probabilmente non sarebbe neppure sceso in campo nel Mondiale tedesco.
Cesare Prandelli sembrava sulla buona strada, anche lui aveva costruito un gruppo contro
e, dopo le difficoltà della prima fase, battendo la Germania 2-1 era riuscito a richiamare i ricordi dei brividi spagnoli contro Argentina e Brasile e quelli tedeschi nella semifinale contro i padroni di casa.
Invece, nella tiepida serata di Kiev, il primo luglio, lo Stellone non è bastato a risollevare le sorti del calcio italiano nella finale di Euro 2012: è stata la più pesante sconfitta degli Azzurri, solo in parte mitigata dal fatto che di fronte c’era la Spagna, campione d’Europa e del Mondo in carica, unica squadra a vincere tre manifestazioni di vertice consecutivamente. Bravi gli spagnoli – più forti – deludenti gli italiani. Una Caporetto senza nessun Piave sul cui argine puntare i piedi; il Dnepr, il fiume di Kiev, è risultato troppo largo per arginare gli avversari.
Così, dopo un’estate di delusioni europee e di alti e bassi olimpici – peraltro la squadra azzurra non è riuscita neppure a qualificarsi nel calcio per i Giochi di Londra – il campionato di calcio 2012-13 si annuncia come uno dei più modesti degli ultimi anni, con campioni in uscita e molti giovani mandati allo sbaraglio. Magari qualcuno sfrutterà l’occasione e cambierà l’esito della sua carriera, ma per ora le premesse sono sconfortanti. Solo la Juventus – forte di uno stadio proprio – sembra avere un chiaro progetto davanti. Milan e Inter hanno vissuto tempi migliori, la Roma dopo il progetto
firmato da Luis Enrique si è affidata a quella vecchia volpe di Zdenek Zeman, fresco vincitore della Serie B col Pescara. Le altre seguono in ordine sparso. Conti disastrati, vivai malcurati e una certa propensione a infrangere le regole sembrano essere le cifre comuni dell’allegra pattuglia del calcio italiano. Quanto durerà?
La Grandeur degli anni Novanta
C’erano una volta le Sette sorelle del calcio. Ve le ricordate? Si era tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, dopo l’epoca di Tangentopoli e l’esplosione del calcio totale. Milan, Inter, Juventus, Parma, Roma, Lazio e Fiorentina, praticamente un campionato a parte. Nulla pareva poter sfuggire alla rete di queste sette squadre italiane. Rispetto ad allora, oggi colpisce la presenza del Parma, ma i soldi di Calisto Tanzi e del suo impero fondato sul latte e sui bilanci truccati si riversavano all’epoca anche sullo stadio Tardini. Il campionato era roba loro, così come molti confronti a livello europeo. Per non dire dei grandi campioni. In Italia si giocava il campionato più bello del mondo
perché non c’era un campione che sapesse resistere ai denari delle squadre italiane. Arrivavano tutti qui. Per la gioia dei tifosi e degli sponsor, degli stessi calciatori e di qualche presidente. Perché, se taluni hanno speso molto non raccogliendo in proporzione, c’è chi, come Silvio Berlusconi, ha saputo fare del calcio un elemento di crescita sociale e di promozione industriale e personale. Il Milan di Sacchi e Capello in quegli anni Novanta rappresentava la proiezione pubblica di un imprenditore privato, che solamente dopo sarebbe sceso in campo
arrivando in politica fino ai massimi livelli istituzionali. Ma molto di quel tutto nacque in un campo di calcio. Chi c’era assicura che la scintilla scoccò con il Mundialito per club, un’invenzione di spettacolo – organizzato da Canale 5 tra il 1981 e il 1987 – che fece intuire a tutti le potenzialità del mix calcio-spettacolo-televisione. Fu la prova generale. Berlusconi non aspettava che la conferma alla sua intuizione e nulla fu più come prima.
Di quelle Sette sorelle è rimasto ben poco in quest’epoca dominata dallo spread e dalla recessione. Vuoi perché è passato un considerevole arco di tempo, vuoi perché la crisi economica ha fiaccato gli entusiasmi e svuotato le tasche anche dei presidenti più ricchi. Mentre le Sette sorelle originali, ovvero le grandi società petrolifere mondiali, hanno saputo reinventarsi e in qualche caso unirsi, le Sette sorelle del calcio italiano vivono una crisi profonda, non decisiva ma certamente complessa. Cosa sarà di loro nei prossimi anni?
I conti delle tre maggiori squadre italiane per numero di scudetti vinti (Juventus, Inter e Milan) [Figura 1 Albo d’oro del campionato italiano di calcio] mettono i brividi. Tra il 2007 e il 2011, bilanci alla mano [Figura 2 Bilanci delle società di calcio italiane 2011], queste tre squadre hanno perso 1.032,2 milioni di euro. In cinque anni una sola squadra ha chiuso un bilancio in utile, la Juventus nel 2009, con 6,6 milioni. L’Inter è la regina delle perdite a bilancio: 206,8 milioni nel 2007; 148,3 milioni l’anno successivo, 154,4 milioni nel 2009. Il Milan in cinque anni ha perso 245,4 milioni di euro. Chiamatelo, se volete, mecenatismo all’italiana o meglio padronismo, ma senza Moratti, Berlusconi e Agnelli il calcio italiano avrebbe chiuso. Anche per colpa loro, sia chiaro, perché sono stati proprio