A tavola con Maradona: Da Napoli a Buenos Aires, ricette e azioni straordinarie del pibe de oro
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Recensioni su A tavola con Maradona
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Anteprima del libro
A tavola con Maradona - Fabrizio Mangoni
Introduzione
Non si mangia mai da soli ma sempre alla tavola dell’Altro,
recita un celebre aforisma dello psicoanalista francese Jacques Lacan.
La tavola di Maradona è stata popolata, nella sua vita, da molti Altri.
Altri che, in questo libro, assumono la forma di ricordi, fantasmi, metafore, cibi provenienti da mondi diversi. Una tavola ricca, reale e immaginaria.
Un racconto che, alternando fantasia e realtà, toni leggeri e temi più seri, vuole essere un omaggio affettuoso al campione argentino di cui gli autori sono stati grandi estimatori.
Talvolta si racconta di ricette reali amate da Maradona, altre volte le pietanze diventano metafore delle azioni più straordinarie del pibe de oro, i cibi si fondono con i goal. Le vittorie diventano piatti da sogno.
Tre grandi cene sono il cuore del libro: la prima, in cui nasce l’idea del Te Diegum, un omaggio al campione che farà il giro del mondo; la seconda, in cui si gustano alcuni piatti tipici della gastronomia argentina mentre si svolge un dialogo immaginario tra el pibe e alcuni commensali, personaggi di diverse epoche storiche a cui, direttamente o indirettamente, Maradona è stato accostato; e infine una terza, che si svolge in terra di Partenope, dove non poteva mancare l’incontro tra il nostro, la Pasta e la Pizza.
Lo stesso Maradona, in conclusione, diventa cibo, per la precisione un dolce che ne rappresenta i tratti geniali.
Sullo sfondo il gemellaggio tra le due patrie di Diego, Napoli e Buenos Aires, le due città magiche, malinconiche e appassionate, tragiche ed esaltanti, come le tante vite di Diego Armando Maradona.
Il goal del secolo e la ricetta dell’imperatore
Città del Messico, 2277 metri sopra il livello del mare.
22 giugno 1986, ore 13:09 (ora locale), Stadio Azteca, 115.000 spettatori.
Sta per andare in scena un sogno. Un sogno evocato quindici anni prima da Pier Paolo Pasolini.
Si gioca Argentina-Inghilterra, valevole per i quarti di finale della Coppa del Mondo. Il secondo tempo è iniziato da dieci minuti, sono le 13:10 quando Maradona riceve la palla nella sua metà campo.
Dieci secondi dopo, manda la palla nella rete dell’Inghilterra. In dieci secondi el pibe fa qualche passo verso la sua porta, poi con una giravolta improvvisa si dirige verso quella avversaria: scarta in progressione uno, due, tre, quattro difensori e infine il portiere della Nazionale inglese prima di depositare in rete il pallone.
In dieci secondi percorre almeno 60 metri, mantenendo il perfetto controllo del pallone e superando in dribbling buona parte dei difensori della squadra avversaria.
Ma non basta, in più di un momento della sua inarrestabile corsa, alza la testa e pensa! Provate a immaginarvi la scena: Diego sta correndo a 2277 metri sopra il livello del mare, rincorso da mezza squadra inglese, il pallone che gli deve rimanere incollato al piede. Si chiede se sia il caso di passare la palla a un compagno ma sono tutti marcati, e allora prosegue fino a quando si trova innanzi a Shilton, il portiere inglese, con il terzino Butcher (macellaio
, nomen omen) che disperatamente lo insegue e sta per travolgerlo.
In questa situazione – è lui stesso a raccontarlo – in un decimo di secondo, gli viene in mente il rimprovero che gli aveva fatto il fratello minore in occasione di una partita di qualche anno prima, sempre contro l’Inghilterra, in cui Maradona era arrivato solo davanti al portiere inglese nella stessa identica posizione in cui si trova adesso, ovverosia spostato sulla destra. Aveva toccato il pallone con l’esterno sinistro, verso il palo alla destra del portiere, superandolo ma spedendo la palla di pochissimi centimetri fuori. Ne era nata una discussione, perché il fratello gli aveva rimproverato di non aver superato in dribbling il portiere sull’altro lato e tirato di destro.
Maradona quindi arriva solo davanti a Shilton e decide di fare quanto consigliato anni prima dal fratello: lo scarta sulla destra e tira ma non con il piede destro, su cui sente che sta per rovinargli sopra il mastino Butcher, ma con il sinistro, anticipando l’entrata del difensore!
L’azione ha successo: il pallone se ne va verso la porta e Butcher riesce solo a falciare Diego, senza spostare il pallone.
Il goal più bello del mondo acquisisce quindi un’aura quasi soprannaturale, che, tra lacrime e urla, fa esclamare a Victor Hugo Morales, il cronista della partita: Grazie, grazie, grazie, aquilone cosmico, da quale pianeta sei venuto?!
. Se a questo goal è stata assegnata la palma di più bello del secolo, tocca indubbiamente a Enrique, il compagno di squadra che aveva passato a Diego la palla a 60 metri dalla porta inglese, il primato di battuta del secolo in campo sportivo. Negli spogliatoi, ubriachi di gioia e non solo, Enrique si avvicina a Maradona e gli dice: Con l’assist che ti ho fatto, non potevi sbagliare!
.
In un celebre racconto del 1971, Pier Paolo Pasolini parlava del calcio come di un possibile linguaggio composto non da fonemi, ma da podemi: un sistema di segni in cui i giocatori compongono parole calcistiche
.
Possono esprimersi con un linguaggio poetico o in prosa:
Bulgarelli gioca un calcio in prosa: è un prosatore realista. Così come Rivera è un prosatore poetico, Riva un poeta realista, Corso è un poeta un