Gurdjieff: Vita ed opere di un uomo straordinario
Di LUIGI MAGGI
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Anteprima del libro
Gurdjieff - LUIGI MAGGI
PREFAZIONE
La prima volta che sono entrato in contatto con l’opera di Luigi Maggi è stato attraverso la fotocopia di un suo scritto intitolato Gurdjieff, le sue tecniche e la conoscenza di sé. Era il 1989 e io andavo a caccia di libri su Gurdjieff perché stavo preparando la mia tesi di laurea proprio sul maestro caucasico. Il libro di Maggi, che trovai subito molto interessante, mi colpì soprattutto per la sua indipendenza.
Mi spiego meglio. In quei giorni, per le mie ricerche, mi trovavo ad avere a che fare con molti rappresentanti italiani ‘ortodossi’ dell’insegnamento di Gurdjieff che, secondo me, stavano facendo col maestro caucasico qualcosa di analogo a quello che la Chiesa ha fatto con Gesù, trasformandone l’insegnamento da cosa viva e mutevole a dogma. Leggere un libro che, come quello di Maggi, era frutto di una ricerca indipendente e usciva dai canoni del ‘gurdjieffianesimo’ ufficiale fu dunque per me una vera e propria boccata d’aria fresca, di cui avevo decisamente bisogno. Tanto più che si trattava del libro di un autore italiano su Gurdjieff, il che era, ed è ancora, una rarità. Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare proprio che Luigi Maggi sia stato il primo italiano a scrivere un libro sul maestro caucasico. E io credo di essere stato il secondo.
Già, perché negli anni a venire, di pari passo con l’approfondirsi della mia ricerca, la mia tesi di laurea si sarebbe trasformata in un libro intitolato G.I. Gurdjieff: Danze Sacre per il Ben-Essere, pubblicato lo scorso anno da Venexia Editrice.
Proprio questo libro ha costituito l’occasione del mio breve incontro con Luigi Maggi che poi, poco tempo prima della sua prematura scomparsa, mi telefonò per onorarmi con il suo apprezzamento per la mia opera e per chiedermi se mi sarebbe piaciuto scrivere la prefazione per la nuova edizione del suo secondo libro su Gurdjieff, quello che vi state apprestando a leggere (o a rileggere).
Io naturalmente ho accettato molto volentieri e mi sono messo subito a rileggere Gurdjieff – Vita ed opere di un uomo straordinario. Ho così potuto apprezzare ancora meglio l’acutezza, la profondità e, ancora una volta, l’indipendenza (nel senso spiegato precedentemente) della scrupolosa analisi compiuta da Maggi soprattutto sull’opera letteraria di Gurdjieff, che ovviamente offre spunti in abbondanza per comprenderne l’insegnamento. D’altronde, sono d’accordo con l’impostazione di questo libro: dato che gran parte della vita di Gurdjieff è ancora avvolta nel mistero e che i testi in cui è stata ‘canonizzata’ la dottrina della Quarta Via (come il celebre Frammenti di un insegnamento sconosciuto di P.D. Ouspensky) sono stati scritti da altri, la cosa migliore da fare per cercare di scoprire quale sia il vero messaggio lasciato da Gurdjieff al mondo consiste nel leggere e analizzare attentamente le tre serie dei suoi scritti. Proprio come fa qui Maggi che, verso la fine della sua acuta e illuminante analisi, arriva a concludere che l’opera di Gurdjieff va interpretata anche in senso utopico, come apertura verso il futuro. Offre un messaggio di speranza e di creatività per tutti, non per pochi
. Ecco perché è importante che il maggior numero possibile di persone impari a conoscerne le opere, come sono certo che Maggi desiderasse. In questo senso, secondo me, questo suo libro getta un piccolo ponte verso un futuro migliore.
Giampiero Cara,
maggio 2005
1
DOVERE PARTKDOLG DOVERE IN TRIPLICE LINGUA
…Sappi che i tuoi beniamini contemporanei utilizzano spesso… una nozione che esprimono con queste parole: Siamo fatti a immagine di Dio
. Quei disgraziati neppure sospettano che, di tutte le conoscenze sulle verità cosmiche possedute da loro, questa è l’unica giusta. Essi effettivamente sono fatti a immagine di Dio, ma non del dio inventato dalla loro striminzita immaginazione.
(Da G.I. Gurdjieff, I racconti di Belzebù al suo piccolo nipote, Ed. L’Ottava, vol. II, pag. 212.)
Gurdjieff: chi era costui? Questa la domanda che potrebbe sorgere spontanea nell’uomo di media cultura, ora che anche in Italia sono stati pubblicati i tre libri che racchiudono l’opera svolta nel mondo da questa figura, certo originalissima, di pioniere ed esploratore dello spirito, che scrittore non era, almeno non di professione.
Una simile curiosità sarebbe più che giustificata e, poiché su questo incredibile personaggio sono state scritte migliaia di pagine, in lingua inglese e francese, non dovrebbe essere molto difficile dare una risposta a tale legittimo interrogativo.
Chi fosse preso dalla curiosità potrebbe consultare una qualsiasi enciclopedia, come si fa normalmente quando si vuol sapere qualcosa di più o di nuovo su un argomento sconosciuto. Ma nel nostro caso questo tentativo si rivelerebbe del tutto inutile, almeno per quanto riguarda il lettore italiano, che dovrebbe necessariamente ricorrere all’Encyclopedia Britannica. Qui riuscirebbe a trovare la voce Gurdjieff, e non senza sorpresa. Perché, infatti – ci si potrebbe chiedere – questo personaggio è stato inserito nel corpus della cultura inglese se di tutta la sua vita avventurosa e travagliata, dedita alla ricerca e alla diffusione di verità sulla natura dell’uomo, ben poco tempo è stato speso in un paese che nemmeno dimostrò mai di gradirlo come ospite?
Nonostante le autorità inglesi lo sospettassero di essere stato una spia zarista negli anni che precedettero la rivoluzione bolscevica, proprio a un libro scritto in lingua inglese è dovuta la sua notorietà nel campo della cultura in generale, e in particolare la fama postuma delle sue opere presso il pubblico dei lettori occidentali. Il libro è opera di Piotr Demianovich Ouspensky, un intellettuale di lingua russa come Gurdjieff ma che, a differenza di lui, visse a Londra, dove si era ritirato nella seconda parte della sua vita in seguito agli avvenimenti che avevano sconvolto la Russia.
In realtà Gurdjieff padroneggiava meglio la lingua turca che il russo e in effetti, allo stato attuale delle conoscenze, non si sa se egli sia nato all’interno dei confini geografici dell’impero russo oppure di quelli dell’impero ottomano.
Il libro di Ouspensky, intitolato Frammenti di un insegnamento sconosciuto, è stato pubblicato in inglese nel 1950, contemporaneamente al primo libro di Gurdjieff, I racconti di Belzebù al suo piccolo nipote, uscito un anno dopo la sua morte. Gurdjieff stesso ne aveva autorizzato la pubblicazione recandosi per la nona e ultima volta in America, alla veneranda età di 82 anni, nel 1948, attraversando l’Atlantico per farsi consegnare dalla vedova di Ouspensky il manoscritto che aveva avuto già trent’anni prima la sua autorizzazione.
Non occorre in questa sede sollevare la vexata quaestio del tormentato rapporto tra Gurdjieff e Ouspensky, i cui nomi vengono spesso accostati come se fossero allo stesso livello, anziché essere collocati, in quanto maestro e allievo, su due piani differenti. C’è chi li ha considerati il Socrate e il Platone dell’esoterismo odierno, anche se non risulta del tutto chiaro come siano distribuiti i due ruoli. È doveroso in ogni caso accennare in breve alla storia di questo strano sodalizio, iniziato a San Pietroburgo poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale e interrotto poi nel momento in cui Ouspensky, giornalista, matematico, ricercatore e studioso di esoterismo, si distacca definitivamente, più o meno all’inizio della rivoluzione in Russia, da colui che finisce per considerare un filosofo in grado di fornirgli una visione unitaria e sistematica del mondo, della natura e dell’uomo, finendo per tradirlo come maestro e tradendo così se stesso.
L’equivoco di una equiparazione tra i due è dovuta anche a un libro di interviste del 1935, God is my adventure, divenuto in breve un best seller, il cui autore, Rom Landau, dedica loro appunto un capitolo a parte.
Ouspensky era nato a Mosca nel 1878. Insoddisfatto della scienza, affascinato però dall’idea della quarta dimensione e dall’idea dell’eterna ricorrenza di tutte le cose (a 16 anni aveva scoperto Nietschze), nel 1907 ebbe modo di leggere i testi teosofici della Blavatsky, di Olcott, della Besant, di Sinnett, che in Russia erano proibiti, e ne fu profondamente influenzato.
Dopo avere pubblicato il Tertium organum e dopo avere compiuto un viaggio in India alla ricerca del miracoloso, ritornò in Russia subito dopo l’inizio della guerra e nella primavera del 1915 conobbe Gurdjieff, dal quale rimase fortemente impressionato.
Il sottotitolo di Frammenti di un insegnamento sconosciuto è La testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di Gurdjieff. In realtà il titolo sarebbe In cerca del miracoloso, che però sembrò fuorviante agli editori. Il libro è composto dagli appunti presi dagli allievi, ai quali veniva imposto il segreto e il divieto di pubblicazione, almeno fino al periodo in cui Gurdjieff da Mosca e San Pietroburgo si recò nel Caucaso, subito prima della rivoluzione, per ricongiungersi con la famiglia e iniziare la sua attività sperimentale di maestro. Qui Ouspensky lo raggiunse nel suo paese natale, per poi seguirlo, alla fine dell’estate del 1917, a Essentuki, un luogo ricco di acque minerali, nel nord del Caucaso, e a settembre a Tuapse sul Mar Nero. Fece infine ritorno a San Pietroburgo per l’ultima volta nel 1917, una settimana prima che il governo provvisorio fosse rovesciato dai bolscevichi; ripartì per il Caucaso, dove rimase poco più di due anni e si trasferì infine a Costantinopoli e di lì in Europa e in Inghilterra.
La prima rottura con Gurdjieff risale all’estate del 1918, quella definitiva al gennaio 1924, dopo che Gurdjieff aveva effettuato due brevi visite a Londra senza riuscire a ottenere il permesso di soggiorno.
Dopo l’allontanamento dal maestro, Ouspensky continuò per conto proprio un lavoro di interpretazione riduttiva in senso filosofico del cosiddetto ‘Sistema’. Durante la seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti d’America, dove morì il 2 ottobre 1947.
Gli appunti di Ouspensky costituiscono un documento estremamente raro e prezioso. L’allievo descrive l’insegnamento e l’attività del maestro meglio del maestro stesso. Il libro (d’ora in avanti abbreviato in Frammenti) è perciò più adatto come introduzione alle dottrine di Gurdjieff rispetto a Belzebù (come lo chiameremo da adesso in poi), il primo dei tre libri di Gurdjieff.
A una prima lettura il paragone risulta a tutto vantaggio di Ouspensky: è anzi impossibile affrontare il Belzebù senza aver prima letto i Frammenti. Ed è bene che sia così, proprio in funzione della futura comprensione del libro di Gurdjieff, che richiede una condizione indispensabile, quella di essere realmente filosofi.
Inutile chiedersi quale dei due libri costituisca la sintesi dell’insegnamento di Gurdjieff. Occorre però partire dai Frammenti, ideale come approccio alle sue idee. Questo non significa che il libro sia adatto a tutti. Lo è solo per coloro che sanno che un sistema filosofico è una visione del mondo su base emozionale. Bisogna partire dalla consapevolezza che la comprensione delle cose, secondo Gurdjieff, presuppone almeno tre modalità. La definizione gurdjieffiana dell’uomo come essere tricerebrale, dotato di un centro intellettuale, emozionale e motorio, rimanda alla seguente questione: capire con la mente pensante non è la stessa cosa che capire con il sentimento o con la sensazione corporea oppure con tutti e tre messi assieme. Capire con due cervelli (o centri o menti) è meglio che con uno.
Ouspensky forse voleva capire più con una mente che con due o tre messe assieme. È una fortuna però che tale premessa abbia partorito un libro come i Frammenti. È da qui che bisogna cominciare. E questo è anche il consiglio implicito che la voce dell’Encyclopedia Britannica ci fornisce. Leggiamola.
"G.I. Gurdjieff, nato nel 1872 (?) ad Alessandropoli in Armenia, allora territorio dell’Impero Russo, è morto a Neuilly presso Parigi il 29 ottobre 1949. Mistico e filosofo greco-armeno, fondò un movimento influente di carattere semireligioso.
I particolari della sua gioventù sono poco noti. Si dice che abbia impiegato gli anni dell’età adulta in viaggi nel Nord Africa, in Medio Oriente, in India e nell’Asia centrale, dove apprese conoscenze di carattere spirituale attinte a differenti tradizioni. Nel 1913 circa si diresse a Mosca e cominciò a insegnare in questa città e a Pietrogrado, per tornare poi nel Caucaso nel 1917 allo scoppiare della rivoluzione russa. Raggiunto da alcuni seguaci, fondò l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo a Tiflis (ora Tblisi) nel 1919. L’Istituto venne ricostituito a Fontainebleau nel 1922. I suoi membri, molti dei quali provenivano da un background prevalentemente socio-culturale, vivevano una vita quasi monastica, fatta eccezione per qualche banchetto, in cui Gurdjieff li impegnava in dialoghi di autoapprofondimento di stile socratico e durante i quali venivano letti ad alta voce capitoli del Belzebù. Facevano parte di questo regime anche esercizi e danze rituali spesso accompagnate da musiche composte da lui e da un suo collaboratore. Vennero tenute rappresentazioni spettacolari in pubblico a Parigi nel 1923 e in quattro città degli Stati Uniti l’anno successivo, suscitando particolare interesse per il ‘lavoro’. Un discepolo di nome P.D. Ouspensky ne introdusse l’insegnamento presso i lettori occidentali in una forma maggiormente accessibile dal punto di vista culturale. L’asserzione fondamentale di Gurdjieff era che la vita umana ordinariamente vissuta è simile al sonno: trascendere lo stato di sonno richiede lavoro, ma quando tale stato viene raggiunto un individuo acquisisce notevoli livelli di vitalità e di consapevolezza. Il centro di Fontainebleau fu chiuso nel 1933, ma Gurdjieff continuò a insegnare a Parigi fino alla fine dei suoi giorni".
Come si può vedere, dunque, il cenno fatto a Ouspensky riguarda l’attività di divulgazione delle idee di Gurdjieff. Non viene fatta però la minima allusione alla storia del rapporto fra i due, che culminò nella rottura avvenuta prima che Gurdjieff si stabilisse in Francia per fondarvi l’Istituto. Da allora Ouspensky visse a Londra fino al sopraggiungere della seconda guerra mondiale, conducendo dei gruppi autonomi d’insegnamento basati più che altro sulla ripetizione di determinati concetti. Ai loro membri venne in seguito fatto divieto di leggere il Belzebù e addirittura di pronunciare il nome di Gurdjieff.
Prima io odiare Ouspensky, ora io amare lui. Questo molto esatto, egli dire ciò che io dire
(1).
Queste parole di Gurdjieff, espresse nel suo inglese da Terzo Mondo, rivelano la sua soddisfazione ma anche la sua preoccupazione circa le sorti del Belzebù. Fu questo stato d’animo che lo spinse, un anno prima di morire, a recarsi oltremare dalla vedova di Ouspensky per verificare se fosse il caso di concederle il permesso di pubblicazione del manoscritto dei Frammenti.
Dunque quest’uomo, greco di origine da parte di padre e armeno da parte di madre, creò un movimento che si diffuse in Europa e in America negli anni Venti, dopo aver operato nell’Asia centrale negli anni immediatamente precedenti la guerra mondiale. P.D. Ouspensky ne fu il diffusore in Inghilterra, nonostante il disconoscimento da parte sua delle attività di Gurdjieff in Francia. La sua voce ebbe una risonanza mondiale. Ouspensky scrisse un libro per spiegare il sistema di pensiero di Gurdjieff. Per tutta la vita quest’ultimo si diede da fare affinché questo libro, che l’aveva reso famoso, non uscisse prima del Belzebù.
Ma chiediamoci ora: qual era il carattere precipuo di tale movimento? Perché l’Encyclopedia Britannica lo definisce quasi religioso? Questo costituisce il primo spunto da cogliere, a parte il riferimento alla figura di Ouspensky quale divulgatore culturale del messaggio, per comprendere la vita e le opere di colui che a ragione può essere considerato maestro della nuova coscienza e costruttore del ponte gettato tra Oriente e Occidente dalle misteriose guide dell’umanità che gli affidarono l’incarico.
Gurdjieff era infatti un uomo di frontiera. Apparteneva tanto alla civiltà islamica del Medio Oriente quanto alla civiltà dell’Europa Orientale. Era nato nel punto di confine tra due culture e due religioni quali il cristianesimo slavo ortodosso e l’islamismo. La seconda parte della sua vita si svolse nell’Europa Occidentale. Chi lo inviò in Occidente e a quale scopo? Non è certo questo l’unico mistero della sua vita.
All’interrogativo posto si può dare una risposta di questo genere. Gurdjieff viene definito filosofo mistico. Che avesse una mente filosofica è fuor di dubbio, se si intende con questo termine un pensiero teso ad abbracciare i complessi rapporti tra uomo, natura e cosmo. In realtà era più filosofo Ouspensky, che si limitava alla teoria. Gurdjieff, invece, pur essendo dotato di un talento filosofico eccezionale, aveva anche una mentalità tecnico-pratica che lo rendeva capace di fare di tutto e soprattutto di aggiustare di tutto, senza farsi scrupolo peraltro di ricorrere all’imbroglio pur di raggiungere i suoi scopi, come egli stesso racconta nell’ultimo capitolo di Incontri con uomini straordinari a proposito del Laboratorio Universale Ambulante che fabbrica, trasforma e ripara tutto
.
‘Mistico’, poi, è un termine che oggi viene usato in tono quasi ingiurioso, per indicare idee fumose, confuse o di difficile comprensione. Eppure il mistico è≠ più vicino alla religione rispetto al filosofo, che può benissimo escludere Dio dalla sua ricerca. Mistico, a parte le considerazioni sulle origini misteriche dell’esperienza, è colui che privilegia l’amore rispetto alla conoscenza nella sua ricerca dell’unione con Dio e con il Tutto. In questo senso il misticismo abbonda sia nel cristianesimo sia nell’induismo sia nel sufismo e dunque la definizione è maggiormente aderente alla realtà, poiché negli scritti di Gurdjieff compaiono precisi riferimenti a temi teologici. Anzi, la figura principale del Belzebù è proprio il profeta Ashyata Sheyimash e un profeta è certo un creatore di movimenti religiosi. Se è vero che Gurdjieff abbia fondato un movimento esteso in tutto il mondo lo si vedrà in seguito. In realtà egli per tutta la vita si adoperò per realizzare a più riprese un progetto preciso e definito.
Perché dunque ‘quasi religioso’? Perché quest’attenuante? Chi conosce bene la storia di tale movimento potrebbe essere indotto a pensare che l’uso da parte del maestro di strani metodi, basati da un lato sulla disciplina, dall’altro sul segreto o addirittura su una specie di timore reverenziale, se non di vera e propria paura, da parte degli adepti possa spiegare tale espressione. Ma non si tratta di questo. L’espressione è dovuta a una aporia, a una problematica difficilmente risolvibile contenuta nello stesso insegnamento. Il dubbio è il seguente: Gurdjieff insegnava all’uomo la ricerca di Dio, o in ogni caso del divino nell’uomo, oppure insegnava all’uomo la ricerca del proprio Sé vero e profondo?
Ora, per compiere un passo ulteriore non rimane che cogliere un secondo spunto laddove si dice che l’asserzione fondamentale dell’insegnamento consiste nell’affermazione che la vita è sonno. Dunque è sogno. La nostra vita è come un sogno. Gli eventi dei sogni non siamo noi a sceglierli né a inventarli. E lo stesso accade per la nostra vita. Non possiamo svegliarci spontaneamente da questo sogno, a meno che esso non diventi insopportabile o intervenga qualcuno a scuoterci(2).
Queste parole riassumono la visione gurdjieffiana dell’uomo addormentato e fanno allo stesso tempo chiarezza sul compito che l’insegnante si assume nei confronti dell’allievo, che consiste nel risveglio della coscienza. L’uomo dorme. Può risvegliarsi? In questi termini viene presentata la dottrina della coscienza. È evidente a tutti che non si tratta di sonno fisiologico, non è il corpo fisico che dorme, bensì la coscienza che normalmente, in quanto coscienza di veglia, cessa di funzionare quando ci addormentiamo.
Nei Frammenti vengono descritti quattro livelli di coscienza.
Il primo, il sonno, è lo stato passivo nel quale gli uomini trascorrono un terzo, e spesso addirittura la metà, della loro vita.
Il secondo, nel quale passano l’altra metà della loro vita, è quello stato in cui camminano per le strade, scrivono libri, discutono di argomenti sublimi, si occupano di politica, si ammazzano a vicenda: è uno stato che considerano attivo e chiamano ‘coscienza lucida’ o ‘stato di veglia della coscienza’. Queste espressioni suonano ridicole se si confronta quella che dovrebbe essere una ‘coscienza lucida’ con quello che è in realtà lo stato nel quale l’uomo vive e agisce.
Il terzo stato di coscienza è il ricordo di sé o coscienza di sé, coscienza del proprio essere. È generalmente ammesso che noi possediamo questo stato di coscienza, ma in realtà la scienza e la filosofia non hanno compreso che noi non possediamo questo stato di coscienza e che il nostro desiderio è incapace di crearlo in noi, per quanto ferma possa essere la nostra decisione.
Il quarto stato di coscienza è la coscienza obiettiva. In questo stato, l’uomo può vedere le cose come sono. Talvolta, negli stati inferiori di coscienza, egli può avere dei barlumi di questa coscienza superiore. Le religioni di tutti i popoli contengono testimonianze sulla possibilità di raggiungere questo stato di coscienza, che viene definito ‘illuminazione’ ma che non può essere descritto a parole. In realtà l’unica strada giusta verso la coscienza obiettiva passa attraverso lo sviluppo della coscienza di sé. Un uomo comune, artificialmente portato in uno stato di coscienza obiettiva e poi riportato nel suo stato abituale, non ricorderà nulla e penserà semplicemente di aver perso conoscenza per un certo lasso di tempo. Ma, nello stato di coscienza di sé, l’uomo può avere degli sprazzi di coscienza obiettiva e conservarne poi il ricordo.
Il quarto stato di coscienza è uno stato del tutto diverso dal precedente; esso è il risultato di una crescita interiore e di un lungo e difficile lavoro su di sé.
Il terzo stato di coscienza, invece, costituisce il diritto naturale dell’uomo quale egli è e, se l’uomo non lo possiede, è unicamente perché le sue condizioni di vita sono anormali. Senza esagerare, si può dire che attualmente il terzo stato di coscienza non appare nell’uomo se non che a tratti molto brevi e molto rari e che non e possibile renderlo più o meno permanente senza un allenamento speciale.
Per la maggior parte delle persone, anche se colte e ragionevoli, il principale ostacolo sulla via dell’acquisizione della coscienza di sé è la convinzione di possederla. In altri termini, sono del tutto convinte di avere già la coscienza di sé e di possedere tutto ciò che accompagna questo stato: l’individualità, nel senso di un ‘Io’ permanente e immutabile, la volontà, la capacita di fare, e così via. Ora, è evidente che un uomo non avrà interesse ad acquisire con un lungo e difficile lavoro una cosa che, a parer suo, possiede già. Al contrario, se gliene parlate, penserà che siete pazzo, o che tentiate di approfittare della sua credulità per vostro vantaggio personale…"(3).
Dunque, cogliendo nella voce dell’Encyclopedia Britannica questi due spunti, il carattere semireligioso dell’insegnamento e il sonno della coscienza, possiamo senz’altro arrivare a una prima approssimativa conclusione sul carattere dell’insegnamento di Gurdjieff, mettendo in relazione il tema teologico con quello psicologico, Dio con l’Io. Ma prima, sempre al fine di comprendere se quest’insegnamento sia stato solo parzialmente o totalmente religioso, facciamo un esperimento.
Si tratta di una proposta. Chi vive in Europa, in particolare in Italia, potrebbe essere tentato di entrare ogni tanto in una chiesa, magari una chiesetta di montagna in cui godersi un po’ di fresco o assorbire l’atmosfera di raccoglimento, indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose. Naturalmente l’invito può essere esteso ai praticanti