Dillo con la Voce. Metodo Psicopedagogico. Insegnare ai bambini ad esprimere emozioni
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Info su questo ebook
Sostiene il riconoscimento, la legittimazione e la condivisione delle emozioni tra bambini-bambini, bambini-adulti, adulti-adulti. Permette agli adulti (genitori, insegnanti, educatori, terapisti e terapeuti) di utilizzare modalità di individuazione, comprensione, legittimazione, rielaborazione degli aspetti emotivi indicando nelle parole una modalità funzionale per esprimere emozioni, stati d'animo, sentimenti. La funzionalità è bi-direzionale: il bambino apprende dall’adulto come esprimersi con le parole e gode della possibilità di essere compreso, così come l’adulto gode della possibilità di comprendere con più facilità il mondo interno del piccolo, senza chiedere a sé stesso continui sforzi interpretativi necessari laddove la comunicazione è prettamente comportamentale e non verbale. Utilizzato nei diversi contesti (famiglia, scuola, extrascuola, terapia), si configura come premessa anche nelle situazioni di conflitto, affinché la parola sia il mezzo per esprimere e condividere pensieri ed emozioni.
L'autrice
Ivana Simonelli (Bergamo 1971), psicologa clinica e psicoterapeuta, psicopedagogista e formatrice. Docente master di area clinica ed evolutiva. Collabora con l’Università degli Studi di Bergamo in qualità di consulente psicopedagogica e cultrice della Materia “Psicologia dell’Educazione”. Relatrice a diversi convegni inerenti tematiche psico-pedagogiche. Propone percorsi formativi rivolti a dirigenti e coordinatori scolastici, docenti, educatori, genitori inerenti le tematiche delle fasi evolutive specifiche (prima infanzia, infanzia, adolescenza) e i disturbi specifici dell’apprendimento. Ha collaborato con la Biblioteca di documentazione pedagogica del MIUR e l’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Consulente e supervisore di enti territoriali e di diverse scuole di ogni ordine e grado. Si occupa di consulenza psicologica e psicoterapia a favore di bambini, adolescenti, adulti.
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Recensioni su Dillo con la Voce. Metodo Psicopedagogico. Insegnare ai bambini ad esprimere emozioni
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Anteprima del libro
Dillo con la Voce. Metodo Psicopedagogico. Insegnare ai bambini ad esprimere emozioni - Ivana Simonelli
Ravelli
Ringraziamenti
Il mio profondo grazie alla dr.ssa Cleopatra D'Ambrosio, che ha costantemente ascoltato e accolto i miei pensieri e le mie emozioni. Ha reso possibile l'elaborazione introspettiva del Metodo Dillo con la Voce e la scrittura di questo libro.
Grazie al Prof. Walter Fornasa, che rimane in me, con la sua voce, il suo sguardo e la sua forza. Mi ha permesso di esplorare e interiorizzare la Psicologia Evolutiva e dell'Educazione condividendo l'avanguardia delle sue teorizzazioni. I miei intensi ringraziamenti a tutte e tutti coloro che, in questi anni, hanno condiviso spazi e tempi di studio, formazione, sperimentazione e applicazione del Metodo Dillo con la Voce.
Ringrazio le colleghe, i colleghi, le collaboratrici e i collaboratori che hanno portato il Metodo nella pratica clinica e terapeutica. Ringrazio Enti e Amministrazioni, Dirigenti Scolastici, Coordinatori, Coordinatrici, che hanno promosso la formazione di educatori, insegnanti, genitori.
Ringrazio sentitamente educatori, educatrici e insegnanti dei nidi, scuole dell'infanzia, scuole primarie e secondarie che hanno condiviso fatiche e bellezze della sperimentazione, hanno prestato la loro professionalità partecipando al percorso formativo permanentemente in atto, hanno elaborato strumenti, hanno reso il Metodo trasversale all'attività educativa e didattica, hanno messo a disposizione vissuti ed emozioni, esplicitandoli ed esponendosi anche direttamente in reciproca fiducia. Ringrazio tutti i genitori e i famigliari delle bambine e dei bambini che hanno affrontato con determinazione un percorso di crescita personale con l'intento di incontrare il mondo emotivo dei loro piccoli. Ringrazio con profonda commozione le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi che mi hanno portato con la loro voce ciò che di più caro e prezioso hanno potuto esprimere: i loro pensieri e le loro emozioni. Tutte e tutti loro sono nella mia mente e nel mio cuore.
Prefazione di Cleopatra D'Ambrosio
Le emozioni sono fenomeni biologicamente innati, geneticamente programmati, funzionali alla sopravvivenza della specie e basilari per la salute fisica e psichica della persona. Sono i sensori interni che permettono di orientarci nel mondo: nascono nel nostro corpo, arrivano in un preciso momento e ci segnalano se una situazione ci piace o meno.
Averill (1982)[1] spiega che: Le emozioni sono sindromi la cui coerenza è determinata da processi evolutivi non tanto biologici, quanto sociali
. Infatti, il bambino non apprende in autonomia a riconoscere le sue emozioni, decodificare cosa gli succede, ma ha bisogno di qualcuno capace di dar loro un nome. In tal modo alla percezione dello stimolo fisiologico che chiamiamo emozione, piano piano si affianca una rappresentazione mentale della stessa. Il riconoscimento delle emozioni ha bisogno di essere appreso durante la crescita, proprio come accade per il linguaggio: il bambino nasce con la predisposizione per i suoni e impara a parlare quella o quelle determinate lingue che sente nel suo ambiente sociale.
In sintesi possiamo dire che la cultura, entro la quale il piccolo si muove, trasmette specifiche modalità di gestione delle emozioni. Il bambino eredita un codice di comportamento che, da una parte gli permette di interpretare gli stati emotivi propri e altrui e dall'altra gli insegna come e se esternare il suo sentire.
Ogni società tratta in modo diverso i temi emozionali: se durante l'infanzia, determinati sentimenti vengono apertamente o nascostamente scoraggiati, il bambino non potrà far altro che escluderli. In tal modo numerose emozioni inizieranno ad essere cancellate dal repertorio delle relazioni intime e così il bambino apprenderà anche ciò che per gli adulti non è consapevole o razionale o voluto. Dato che l'apprendimento del linguaggio e del riconoscimento delle emozioni è una funzione sociale, quando il bambino vive in situazioni socio-ambientali favorevoli impara a riconoscere le proprie emozioni, capisce cosa prova emotivamente e sa denominare i suoi stati interni.
Il bambino è dipendente dagli adulti che lo curano e che fungono da modello di riferimento. Egli li guarda, ascolta attentamente tutto ciò che loro fanno e dicono, ne osserva i comportamenti. Inizia a parlare e a svolgere la maggior parte delle azioni di base della vita imitando i grandi, nel tentativo di capire come si fa a..., come funziona e come si affronta il mondo; egli riproduce fedelmente il modello che gli è stato presentato usando nelle situazioni le stesse parole, lo stesso linguaggio non verbale, lo stesso atteggiamento emotivo.
Dobbiamo accettare la tesi che l'esperienza affettiva costituisce il fondamento della mente umana e che i processi cognitivi, percettivi e d'apprendimento contribuiscono a determinare sia il tipo di risposta socio-emotiva particolare che sarà elicitata in un determinato contesto-stimolo, sia il modo in cui tale risposta si manifesterà da un punto di vista comportamentale. Gli affetti e i fattori cognitivi sono perciò in continua interazione reciproca.
Prendiamo come esempio una situazione abbastanza frequente per mostrare uno dei tanti modi in cui l'adulto può reagire allo stress. È ora di cena, i genitori sono stanchi, hanno una lunga giornata di lavoro alle spalle e vorrebbero un po' di calma; i due fratelli, invece, iniziano a litigare. La tensione sale e dopo un paio di smettetela, adesso basta!, a tavola si mangia, non si litiga! il papà si arrabbia, perde la calma e, alzando la voce, punisce i figli mandandoli a letto, anche se non hanno finito la cena.
Possiamo dire che il genitore reagisce ad una manifestazione comportamentale del bambino con una modalità consimile: i bambini manifestano rabbia, gelosia, rivalità, bisogno d'attenzione utilizzando calci e pugni, e l'adulto alza la voce e manifesta la sua insofferenza con gesti e comportamenti che trovano l'epilogo nella punizione.
Ciò che i bambini implicati capiscono è che:
non si litiga davanti al genitore (nella cameretta sarà libero di pestare suo fratello);
chi è più potente impone, punisce e svilisce l'altro. Il bambino immagazzinerà il modello forte/debole, vittima/carnefice e lo userà con gli amichetti quando si presenteranno occasioni di tensione;
alzare la voce, e a volte anche le mani, è lecito nelle situazioni di tensione: quando si è arrabbiati si fa così; è normale urlare e picchiare dato che anche i grandi lo fanno con me;
le emozioni non vanno verbalizzate: il papà non dice sono stanco, ho bisogno di silenzio, mi mette ansia il vostro litigio e i bambini non dicono voglio essere io il più bravo, mi dispiace che mio fratello mi faccia i dispetti.
È provato che i bambini che hanno genitori capaci di parlare dei loro sentimenti e riflettere sui propri stati mentali sviluppano un attaccamento sicuro (Fonagy, 2001), crescono con una buona autostima e con maggior sicurezza e fiducia in sé e nel mondo. Viceversa, quando l'adulto non riesce a mostrare empatia con una particolare gamma d'emozioni ed espressioni del bambino, quali rabbia, pianto, bisogno d'essere cullato, questi comincia ad evitare di