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Se l’ho capito io, lo puoi capire anche tu!: II edizione
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E-book221 pagine3 ore

Se l’ho capito io, lo puoi capire anche tu!: II edizione

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Info su questo ebook

Come va vissuta la fede religiosa in Gesù Cristo? Quali sono stati i suoi autentici insegnamenti? Cosa dobbiamo intendere per “anima” e per altri concetti come “eternità” o “resurrezione”? 
In questo saggio ispirato dal pensiero del filosofo armeno Gurdjieff, Osvaldo David dà la dimostrazione che una fede ragionata porta il cristiano verso una Quarta Via, capace di restituire una molteplicità di sensi del proprio essere credenti e cristiani. Interpretazioni troppo dogmatiche e assenza di spirito critico hanno privato a lungo il credente del gusto di leggere e comprendere a fondo le Sacre Scritture, dal Vecchio al Nuovo Testamento. 
Se l’ho capito io, lo puoi capire anche tu! è un libro colto ma di facile lettura, rivolto a tutti coloro che desiderano indagare filosoficamente e storicamente i contenuti del messaggio evangelico, giunto fino a noi dopo una serie di trasposizioni e mal interpretazioni, frutto anche delle diatribe tra i vescovi che hanno acceso i primi secoli della nuova religione cristiana. Un volume prezioso che sorprenderà per alcune tesi – tra cui quella della reincarnazione – e arricchirà la mente e lo spirito.

Osvaldo David è nato a Monterotondo (Roma) nel 1945. È padre di quattro figli e nonno di otto nipoti. È stato medico di famiglia per quarant’anni, poi la quiete del pensionamento lo ha indotto a mettere per iscritto il succo delle esperienze di una vita dedicata sia alla conoscenza e alla cura del corpo fisico delle innumerevoli persone assistite sia alla ricerca e alla comprensione dell’invisibile componente spirituale che, al di là della morte fisica, sente unirlo per sempre a moltissime di esse. È autore di Se io fossi Dio... (2017) e di Il Mandante, il Messaggero e la buona notizia! (2019). 
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2023
ISBN9788830687738
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    Anteprima del libro

    Se l’ho capito io, lo puoi capire anche tu! - Osvaldo David

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    L’UOMO NASCE SENZ’ANIMA?

    Nella prima metà del secolo scorso un famoso filosofo armeno, Georges Ivanovič Gurdjieff, scrittore, musicista di danze, mistico e profondo maestro di esoterismo ove in senso lato, con questo termine, s’intendano le dottrine spirituali che nascondono – almeno in parte – un significato segreto che è riservato agli iniziati, diffuse il suo pensiero tramite numerosi testi da cui emergeva un insegnamento fondamentale diretto alla coscienza dell’umanità intera. Egli sosteneva che la vita quotidiana è ordinariamente vissuta da ogni uomo in uno stato di veglia in cui la coscienza di sé è solo apparente, perché la condizione di consapevolezza è in realtà più simile allo stato di coscienza che l’uomo ha quando sogna nel sonno; inoltre, per superare tale stato misconosciuto di sonno ipnotico nella veglia, elaborò uno specifico metodo per giungere a un livello superiore di coscienza che permettesse il "ricordo di sé".

    Il filosofo usava dire: «[...] La condizione fondamentale dell’uomo è il sonno; l’uomo è addormentato, la sua coscienza è ipnotizzata, confusa; egli non sa chi è, non sa perché agisce, è una specie di macchina, un automa, cui tutto "succede". [...]».

    Gurdjieff affermò che l’uomo non nasce con un’anima, ma che deve crearla durante l’arco della sua vita, altrimenti "morirà come un cane ovvero senz’anima, in quanto considerava quest’ultima come una forma di coscienza superiore, distinta dalla coscienza ordinaria degli esseri umani ritenuta una forma di sonno; lo scrittore sostenne che gli stati superiori" sono alla portata di ogni uomo, e raggiungibili da chiunque perseveri nel proprio sviluppo interiore attraverso uno dei tre percorsi che trovano le fondamenta nelle tradizioni spirituali esistenti da millenni, per i quali propose una sua personale classificazione:

    Una prima via, la Via del fachiro, ispirata dall’antichissima filosofia induista e basata su un lavoro incentrato sul proprio corpo fisico e, in senso ampio, sul proprio volere.

    Una seconda, la Via del monaco, che ha le sue fondamenta nella dottrina cristiana e si basa principalmente sul sentimento o, in senso ampio, sul proprio sentire totale.

    Una terza, la Via dello yogi, di derivazione dall’induismo e dal buddhismo, basata soprattutto su un lavoro incentrato sulla mente; in senso ampio, sul proprio pensare.

    Secondo lo stesso Gurdjieff, queste vie tradizionali per lo sviluppo interiore risulterebbero però inadatte alla pratica dell’uomo occidentale, in quanto richiedono l’abbandono della vita ordinaria per dedicarsi interamente a esse. Sostenne perciò la necessità e l’utilità per esso di mettere in atto una Quarta via, consistente praticamente in un "lavoro su di sé" che pone l’accento sull’armonizzazione dell’uomo in tutte le sue parti costituenti, permettendogli così di poter continuare la propria vita quotidiana senza interruzioni né cambiamenti.

    La particolarità della Quarta Via, poi definita la Via dell’uomo astuto da P.D. Ouspensky, allievo notissimo del maestro armeno, consiste nell’essere praticabile nella vita di tutti i giorni, perché propone l’apprendimento di un sapere antichissimo tramandato per millenni solo per via orale, mediante il quale l’uomo addormentato può risvegliarsi dal suo torpore profondo, iniziare a conoscere se stesso, e fare l’esperienza del primo contatto con le "zone luminose interiori" inesplorate e sacre, attraverso il raggiungimento di una nuova qualità dell’Essere.

    Per spiegarla e diffonderne la pratica, Ouspensky scrisse così:

    «La Quarta Via è diversa dalle altre tre vie, perché la richiesta principale che viene fatta ad un uomo è quella di comprendere. Un uomo non deve fare nulla che non abbia compreso. Più un uomo comprende che cosa sta facendo, maggiori saranno i risultati dei suoi sforzi. Questo è un principio fondamentale della Quarta Via. Il risultato del lavoro è proporzionale alla consapevolezza del lavoro. Nessuna fede è richiesta nella Quarta Via; al contrario la fede di ogni tipo è opposta alla Quarta Via, nella Quarta Via un uomo deve soddisfare se stesso con la verità di quello che è detto, e fino a che non è soddisfatto non deve fare nulla».

    Dunque, in alternativa alle tre vie tradizionali, la Via dell’uomo astuto rappresenterebbe il miglior percorso a disposizione di ogni individuo indaffarato in un modello di vita del tipo occidentale, percorribile perciò da chi voglia vivere la quotidianità di ogni giorno con piena consapevolezza di quello che sta facendo nel suo presente, la cui esperienza si ripercuote inevitabilmente sulla qualità del suo futuro. La Quarta Via si snoderebbe quotidianamente senza intralciare il modo personale di ciascun individuo di vivere secondo i propri desideri; difatti, basterebbe solo fare attenzione a poggiare i piedi non sull’ingannevole sabbia della menzogna o della convenienza, accettate per ignavia o per interesse, ma sulle verità rivelate fin dagli albori della civiltà umana da menti sì ignote, ma certamente illuminate e veggenti.

    Dipenderebbe quindi dal singolo individuo la ricerca da mettere in atto per comprendere quali siano le leggi che reggono e governano la Realtà universale, rifiutando d’impostare i propri comportamenti su insegnamenti incerti e tenendo presente che, per ottenere un buon risultato, bisogna comportarsi senza farsi guidare fideisticamente dalle tradizioni religiose a cui abbiamo donato la nostra fede incondizionata, la quale troppo spesso scaturisce da un sentimento così forte da essere incapace di sentire la ragione, come di solito avviene nella Via del monaco.

    Ebbene, proprio ciò sottintende Ouspensky quando, per spiegare il pensiero del grande maestro Gurdjieff, afferma che la fede di ogni tipo è contraria alla Quarta Via, perché accade quasi sempre che agire, credendo fortemente in verità non passate al setaccio della ragione, rappresenti un impedimento per la crescita spirituale dell’individuo. È appunto per questo motivo che lo scrittore conclude la sua precedente spiegazione affermando che «nella Quarta Via un uomo deve soddisfare se stesso con la verità di quello che è detto, e fino a che non è soddisfatto non deve fare nulla».

    In conclusione, riprendendo il pensiero del famoso filosofo armeno, l’uomo deve svegliarsi dal sonno ipnotico che domina il suo stato di veglia durante la vita quotidiana e, per non vivere in uno stato di coscienza sognante (simile a quella degli animali), deve impegnarsi lungo la Via più idonea al proprio sé tra le quattro da scegliere, in modo che possa conseguire livelli crescenti di spiritualità che lo aiuteranno a creare – a poco a poco – la sua anima, altrimenti "morirà come un cane. La spiritualità intesa da Gurdjieff non ha comunque nulla a che fare con ciò in cui crede comunemente il cristiano cattolico, ma è ritenuta una luminosità dello stato di coscienza" la quale, apportando chiara luce nell’agire quotidiano, determina come l’uomo viva nel mondo e come interagisca con gli altri, il che vuole dire in sostanza che essa è determinante per dare valore e significato all’esistenza umana.

    Mi sembra un insegnamento giusto e di grande valore etico; personalmente però, essendo cattolico per motivi di nascita e di famiglia, ma soprattutto cristiano per radicata e profonda convinzione intima, ho incontrato difficoltà insuperabili nel tentativo di accantonare, pur solo temporaneamente, la dottrina del mio Gesù Cristo per provare a seguire la Quarta Via, ossia per far ciò che è consigliato agli indaffarati uomini occidentali. Mi chiedevo: "Ma... se io ho un’anima dalla nascita, come credo da buon cristiano, a che mi serve la Quarta Via?".

    Confesso di non essere riuscito ad accettare questa diversa ipotesi d’esistenza che mi ritiene creato simile a un animale senza l’anima immortale, e perciò privo della possibilità di sopravvivere alla morte del corpo fisico; d’altra parte, sono però convinto che innumerevoli cristiani e non, pur sapendo di essere creature fatte a immagine e somiglianza del Creatore, non abbiano idea di quanto sia complessa la loro struttura vivente né dell’intimo mistero che li rende totalmente differenti dalle creature del regno animale. Finché un giorno... mentre riflettevo sulla metafora della carrozza utilizzata sapientemente da Gurdjieff per spiegare in modo comprensibile agli allievi la condizione sognante dello stato di veglia dell’uomo, ho immaginato di prendere in prestito il suggestivo disegno per chiarire a me stesso il racconto della Bibbia, infantile nella forma ma non nel contenuto, in cui viene descritta la doppia struttura di Adamo, il primo uomo, l’unico essere vivente creato da Dio differentemente da ogni altro animale con lo scopo di dargli l’opportunità di conseguire un destino ben diverso.                     

    LA METAFORA DELLA CARROZZA

    Ecco subito l’immagine suggestiva con cui mi piace rappresentare l’essere umano in toto, colui che fortemente credo costituito di due componenti, una materiale e l’altra spirituale.

    In alto a sinistra del disegno, il termine femminile ANIMA deriva dal maschile latino animus = interiorità mutevole che deriva dall’antico greco ànemos = aria, vento.

    Per evitare malintesi tra l’ANIMA e la COSCIENZA, sempre in agguato nel tipo di idee che ho da esporre, sostituisco entrambi questi termini con la parola ebraica ruach = aria, vento, soffio e, in senso ampio, SPIRITO.

    Quindi, con il termine SPIRITO viene indicato il passeggero proprietario del mezzo di trasporto per distinguerlo dalle varie altre componenti del veicolo, tenendo presente il fatto che con Spirito si deve intendere la natura del soffio o alito vitale insufflato dal Creatore biblico nel corpo di Adamo. Così facendo, il disegno risulterà utilissimo non solo per farci comprendere la misteriosa struttura della creatura terrena prediletta da Dio, ma anche – e soprattutto – per arrivare a capire la complessa interazione che s’innesca tra la carrozza di natura materiale e il passeggero-proprietario di natura spirituale o – per dirlo con le parole del primo libro della Bibbia – tra il corpo di fango di Adamo e il soffio di Spirito che Dio insufflò nelle sue narici in modo da vivificarlo dopo averlo plasmato in esemplare unico.

    Guardando il disegno, si può dire che il trasportato, definibile uno Spirito in viaggio nel Mondo della vita mortale, appare come un Essere del Mondo immortale che utilizza il corpo di materia come veicolo necessario per poter affrontare un’esperienza cosciente della vita materiale. Facciamo una prima veloce conoscenza delle varie parti del mezzo da trasporto:

    1) LA CARROZZA propriamente detta: escludendo per ora la figura del cocchiere e i cavalli, essa simboleggia il corpo fisico dell’uomo terreno, rappresenta cioè una parte dell’uomo in toto, così come nel disegno appare una componente dell’intero veicolo. Di solito l’uomo, sbagliando, in essa identifica tutto Sé stesso, mentre in realtà dovrebbe intuire che spetta al proprietario la legittima autorità di decidere l’uso e la direzione del mezzo di trasporto.

    2) IL COCCHIERE è indicato come la mente: in esso si vuole vedere la capacità di portare a destinazione con destrezza il proprietario, tenendo sotto controllo la forza selvaggia dei quattro cavalli. Appare in effetti scontato che sia compito della mente, con cui noi intendiamo il pensare elaborato dal cervello umano, di guidare in modo accorto il mezzo di trasporto attraverso le possibili difficoltà di qualsiasi percorso di marcia, risultando però chiaro che la destinazione finale dev’essere quella indicata al cocchiere dal proprietario del veicolo.

    3) UNA QUADRIGA DI QUATTRO CAVALLI: essa è simbolo del sentire umano in senso ampio, ove i cavalli rappresentano le emozioni riunite in gruppi per affinità perché si sa che, nel corso di ogni vita umana, esse sono sempre in quantità incalcolabile e di genere assai differente l’una dall’altra, perfino da una persona all’altra. Considerando che il sentire di ogni singolo essere umano costituisce un mondo personale e complicatissimo, generato da innumerevoli emozioni che scaturiscono sia per impulsi di natura prettamente fisica sia in seguito a stimoli provenienti da un’interiore sensibilità spirituale, se ne possono prendere in considerazione quattro grandi gruppi:

    Le belle emozioni affettive e/o sentimentali.

    Le opposte emozioni di egoismo-paura-odio-invidia-rancore e così via.

    Le emozioni d’amore verso la natura, le arti o gli ideali.

    Le emozioni legate a qualsiasi necessità dell’organismo, pulsioni sessuali comprese.

    Mi piace concludere la presentazione della metafora della carrozza, sulla quale avremo tanto da riflettere, per ricordare un piccolo dettaglio che di solito sfugge al comune sapere, ma che è comunque interessante richiamare alla mente per comprendere il senso largo con il quale si può intendere il termine emozione; esso, composto da e + mozione, indica moto, movimento, spostamento da un punto a un altro. Avere un’emozione vuole perciò indicare il verificarsi nell’intimo dell’uomo di uno spostamento, di solito inaspettato e temporaneo, dal comune equilibrio psichico e affettivo che rappresenta la quotidianità di ciascun individuo.

    Nel verificarsi del fenomeno emotivo, il moto è del tutto virtuale poiché non avviene nello spazio, bensì nel sentire o nel pensare dell’uomo, consistendo in una repentina reazione di cambiamento che il suo animo contrappone a una gamma ampiamente variegata di percezioni o di rappresentazioni mentali che giungano a turbare la propria stabilità interiore. In sostanza, provare un’emozione significa avere un inaspettato e repentino turbamento della comune interiorità quotidiana, in cui l’agire umano compie atti automatici e ripetitivi.

    Ho iniziato a parlare della metafora della carrozza di Gurdjieff attraverso narrazioni della Bibbia, suggerendo che il proprietario vada individuato nel soffio dello Spirito insufflato dal Creatore nel corpo fisico di Adamo.

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