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L’avvenire di un’illusione - Il disagio della civiltà
L’avvenire di un’illusione - Il disagio della civiltà
L’avvenire di un’illusione - Il disagio della civiltà
E-book243 pagine5 ore

L’avvenire di un’illusione - Il disagio della civiltà

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A cura di Roberto Finelli e Paolo Vinci
Traduzione di Sossio Giametta
Edizioni integrali

L’avvenire di un’illusione rappresenta un essenziale contributo all’approfondimento della natura della credenza religiosa. La psicoanalisi si ritiene in grado di legare la religione alla natura del desiderio umano, al suo strutturale restare inappagato. Si svela la genesi psichica delle rappresentazioni religiose in un confronto con il modo di procedere dei sogni, che mette in luce come esse nascondano, ma anche rivelino i processi più profondi dell’animo umano. Il disagio della civiltà è un’opera di grande respiro culturale che apre la psicoanalisi alle tematiche legate alla situazione dell’uomo contemporaneo e al suo destino. Freud indaga il rapporto dell’individuo con la società da un punto di vista decisivo, volto a mettere in luce la necessaria limitazione delle possibilità di gratificazione del singolo. Il desiderio umano non può sfuggire alle imposizioni e alle restrizioni dell’ordine sociale, con conseguenze fatali sulla psiche degli individui.

«Quando per tutto un tempo si è vissuto nell’ambito di una certa civiltà e ci si è spesso sforzati di indagare quali ne fossero le origini e le vie di sviluppo, si prova infine anche la tentazione di volgere lo sguardo nell’altra direzione e di porre la questione: a quale destino ulteriore questa civiltà va incontro e quali trasformazioni è ancora destinata a subire?»


Sigmund Freud
padre della psicoanalisi, nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856. Autore di opere di capitale importanza (tra le quali citeremo soltanto L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana, Al di là del principio del piacere), insegnò all’università di Vienna dal 1920 fino al 1938, quando fu costretto dai nazisti ad abbandonare l’Austria. Morì l’anno seguente a Londra, dove si era rifugiato insieme con la famiglia. Di Freud la Newton Compton ha pubblicato molti saggi in volumi singoli e la raccolta Opere 1886/1921.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854124721
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Recensioni su L’avvenire di un’illusione - Il disagio della civiltà

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3.5/5

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    5/5
    Stupendo come sempre sono i libri di Freud. Molto istruttivo
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    Freud, in most modern opinions, oscillates wildly between being beautifully right and spectacularly wrong. This book contains some of his most piercing insights and acerbic wit.

    Freud analyzes the old dinosaur of religion as he saw it, finding it to serve as a type of cure for a childlike helplessness in the world. He delves briefly into his idea of a 'father complex', but this idea is well applied here - modern theorists have built off of his ideas here to an astonishing degree.

    He also re-examines the role of religion in modern life, saying that it is very appealing to those who are most downtrodden in society - again, a statement that history has gratified. However, Freud also says that having a society totally reliant on atheism would also be a fault, too.

    A profoundly interesting book, and one of the great ideas in history is here - one with which many still grapple.
  • Valutazione: 3 su 5 stelle
    3/5
    But surely infantilism is destined to be surmounted. Men cannot remain children for ever; they must in the end go out into 'hostile life'. We may call this 'education to reality. Need I confess to you that the whole purpose of my book is to point out the necessity for this forward step?

    This isn't exactly theory, but more a prose poem or maybe agitprop. Freud deftly employs a dialogue method aiming for some persuasive measure, though accepting that his words aren't likely to influence the unwilling. He does paraphrase his opponents well. While remaining a plea, the text is an eloquent one. His style is adroit and drenched in wit (see Freud's thoughts on Prohibition). There is much to be said about a sociology of the murderous: denizens who would overthrow the yoke of civilization at the first opportunity. Here's to austerity measures and prayer in schools.
  • Valutazione: 4 su 5 stelle
    4/5
    interesting perspective on the illusion of religion from the king and creator of psycho-analysis. this is an extremely short read, and one that i will have to re-read again to get a firmer understanding of his analysis.his scientific tactic of breaking down the creation and dissemination of religious ideas over centuries, using psycho-analysis, is quite fascinating and frankly, hard to rationally argue. it really only leaves ones' 'faith' to believe in the absurdities of religious doctrine, or as he puts it, '[the church] maintains that religious doctrines are outside the jurisdiction of reason - are above reason. Their truth must be felt inwardly, and they need not be comprehended.' which begs the next statement that i thoroughly enjoy because it creates a nasty, yet accurate slippery slope, 'Am I to be obliged to believe in every absurdity? And if not, why this one in particular?'moreover, he discusses the formation of religion from both the achievement and shortcomings of civilization. and answers how the world would handle the non-existence of it, as a civilization.its nice to read a purely scientific analysis of religion. not opinion, but analysis using the same method he used to make modern psychology what it is today.but i guess this is a moot point when we as humans are not capable of understanding divine power and wisdom.
  • Valutazione: 2 su 5 stelle
    2/5
    Perhaps relevant in his times, but utter BS today. Our life is, essentially, a dream. If you are pessimistic enough to call any religion a collective illusion or neurosis, then you should have the courage and intellectual honesty to call your entire life, religious or non religious, an illusion and a neurosis.
    One more intellectual to load on the "Ooops, I missed the point" wagon. On to the next one! Oh, nice to meet you, prof. Dawkins...
  • Valutazione: 1 su 5 stelle
    1/5
    i find freud to be pretty insufferable and full of himself. even if he has good points i am so annoyed by his writing style that i can't get to them.
  • Valutazione: 5 su 5 stelle
    5/5
    Freud brings up a number of interesting arguments. Perhaps not everyone will agree, but I think this book has an interesting take on the mechanics of religious faith, and offers one possible explanation for its manifestation.

Anteprima del libro

L’avvenire di un’illusione - Il disagio della civiltà - Sigmund Freud

122

Indice

Freud: desiderio e riconoscimento. Introduzione di Paolo Vinci

Nota biobibliografica

L’AVVENIRE DI UN’ILLUSIONE (1927)

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

9.

10.

IL DISAGIO DELLA CIVILTÀ (1930)

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

Lessico dei principali termini freudiani

Elenco delle opere di Sigmund Freud

Titoli originali: Die Zukunft einer Illusion;

Das Unbehagen in der Kultur

Traduzione di Sossio Giametta

Prima edizione ebook: novembre 2010

© 2010 Newton Compton editori s.r.l.

Roma, Casella postale 6214

ISBN 978-88-541-2472-1

www.newtoncompton.com

Edizione elettronica realizzata da Gag srl

Sigmund Freud

L’avvenire di un’illusione

Il disagio della civiltà

A cura di Roberto Finelli e Paolo Vinci

Traduzione di Sossio Giametta

Edizioni integrali

Newton Compton editori

Freud: desiderio e riconoscimento

Raccogliere in un unico volume L’avvenire di un’illusione e Il disagio della civiltà presenta l’indubbio vantaggio di favorire una immediata percezione del profondo legame che intercorre fra questi due testi freudiani. In particolare la questione della religione sembra transitare dall’uno all’altro, svolgendo una funzione di apertura nei riguardi della problematica della Kultur e del destino dell’individuo al suo interno¹ .

Non nascondo che di fronte a questi ormai storici contributi di Freud su tematiche almeno a prima vista non direttamente psicoanalitiche potrebbe apparire giustificata la spontanea sensazione di leggere considerazioni abbastanza note ed eccessivamente condizionate da un ambiente culturale ormai lontano. Freud stesso, del resto, ammette che gran parte del suo discorso si muove volutamente sul piano del senso comune e rispecchia opinioni diffuse in quei settori che vedono nella ricerca scientifica la fonte di una adeguata concezione del mondo. In generale, poi, lo spirito del tempo non può non apparirci oggi profondamente cambiato, basti pensare agli accenni all’Unione Sovietica e al ruolo dei movimenti rivoluzionari, così rilevante negli anni Venti del secolo scorso.

Quel che balza agli occhi è, da un lato, un eccesso di ottimismo nel considerare il futuro della religione in termini di inesorabile declino e, dall’altro, una sopravvalutazione dell’ostilità verso la civiltà, una convinzione palesemente legata all’incremento dell’antagonismo strutturale dell’individuo verso la società, dovuto alla estrema acutezza della crisi economica e politica. Oggi conosciamo un disagio ben diverso da quello vissuto negli anni che conducevano alla seconda guerra mondiale e assistiamo a un rilancio del bisogno di religione che non assume solo forme integraliste, ma anche i contorni della ricerca di valori e orientamenti stabili, capaci di fornire risposte alla disgregazione e all’estraneità così fortemente avvertite nelle attuali forme di convivenza fra gli uomini² .

La visione che Freud ci presenta può sembrarci troppo ingenuamente illuministica, nutrita in misura eccessiva dalla fede nel progresso scientifico e nella sua capacità di far uscire il genere umano da quello stadio di minorità nel quale risultava spontaneo affidarsi e sottomettersi a potenze superiori di ordine ultraterreno³ . Quel che però, a mio parere, può rendere ancor oggi estremamente proficua la lettura dei testi freudiani dedicati alla religione e alla civiltà è il loro contenere un nucleo profondo strettamente psicoanalitico, al quale, in ultima istanza, è affidata la loro originalità e la loro pregnanza. Fare i conti con questo strato del discorso freudiano può essere allora di indubbia validità al fine del valutare quali siano i fondamenti del condivisibile sforzo, messo in atto dalla psicoanalisi contemporanea, di uscire dalla stanza di consultazione per confrontarsi, sulla base della specificità della propria prospettiva critica, con i drammatici problemi della società contemporanea⁴ .

1. «L’avvenire di un’illusione»

La domanda comune, che crea una connessione immanente fra i due testi freudiani che vengono qui presentati, riguarda il futuro della civiltà e il ruolo che in essa viene a svolgere la religione, quale strumento psichico più valido per ridurre le tensioni che rischiano di minare alla radice la nostra convivenza. L’apporto propriamente psicoanalitico delle considerazioni di Freud va individuato nella ricostruzione genetico-critica del sorgere delle rappresentazioni religiose. Esse seguono un modello che è nello stesso tempo filogenetico e infantile, rispecchiando, per un verso, qualcosa di primordiale, che può essere studiato sulla base dei dati culturali che ci sono tramandati, e per un altro, legandosi alle esperienze originarie del singolo essere umano.

Freud dichiara esplicitamente di muoversi sul filo sottile di una analogia, ma la debolezza del punto di partenza appare presto compensata dall’incisività critica dei suoi ragionamenti. Le forme di religiosità più arcaiche sono ricondotte a una trasformazione delle forze della natura in termini paterni. Il bisogno di protezione è dunque la motivazione essenziale delle configurazioni religiose: nell’infanzia dell’umanità e di ogni singolo uomo si annida un vissuto di radicale impotenza, il quale produce il bisogno di affidarsi alla figura paterna. Quando nell’ebraismo la molteplicità degli attributi divini viene a concentrarsi in un unico Dio, il nucleo paterno, sempre presente nella dimensione religiosa, diviene completamente esplicito.

La religione si alimenta, dunque, nel perdurare di qualcosa di arcaico ed infantile che, se risultava dominante nel passato tanto dell’umanità quanto dell’individuo, ormai dovrebbe giacere alle nostre spalle. La ragione di tale persistenza va individuata in un meccanismo strutturale della civiltà, in una carenza che essa, nonostante i suoi indiscutibili progressi, non riesce a superare. Se il compito della civiltà sta nell’aiutare il singolo nella sua lotta contro le forze naturali soverchianti, non si può non riconoscere, tuttavia, l’esistenza nell’individuo di un’area di vulnerabilità in virtù della quale la domanda di aiuto continua a rivolgersi alla religione, dandole così il carattere di valore più alto della civiltà e di piena conformità con il suo scopo ultimo.

Inquadrata nei termini più generali la questione del riprodursi delle rappresentazioni religiose, Freud può approfondire il loro significato alla luce del metodo psicoanalitico, facendo dispiegare alla spiegazione genetico-critica tutte le sue potenzialità. Primo risultato di questo lavoro è l’individuazione dell’affetto d’angoscia come più originaria reazione al pericolo, mettendo così a fuoco una realtà psichica decisiva che, per quanto risulti indissolubilmente intrecciata alla situazione infantile, può tuttavia accompagnarci per tutta la vita. La religione viene così ricondotta al nesso fra l’angoscia e la strutturale impotenza dell’uomo, rispetto al quale le sue narrazioni, le sue immagini e i suoi simboli offrono una risposta che non può non riguardarci e coinvolgerci in massimo grado.

Freud stigmatizza però il fatto che i contenuti religiosi si caratterizzino tanto per la richiesta di un atto di fede quanto per l’interdizione di ogni domanda di convalida, così da collocarsi fuori dal territorio della ragione, imponendoci una inaccettabile rinuncia alla comprensione intellettuale. Ciò non toglie che l’influenza della religione sia talmente evidente da riproporre con urgenza l’interrogativo sulle ragioni della sua forza ed efficacia. La risposta freudiana in proposito costituisce il centro della sua argomentazione: la potenza delle rappresentazioni religiose è direttamente legata alla loro «genesi psichica», al loro nesso con una costellazione di desideri profondi, che sorgono da una inadeguatezza costitutiva della nostra forma di vita e che quindi non possono che restare insoddisfatti. La domanda sulle origini dell’universo, il bisogno di protezione, il desiderio di una giustizia finale che premi e punisca in modo infallibile si impongono con un’urgenza direttamente proporzionale all’impossibilità di trovare soddisfacimento. Le produzioni religiose hanno dunque lo statuto dell’illusione, sono delle realtà psichiche connesse all’appagamento allucinatorio del desiderio, sono formazioni mentali inesorabilmente al di là dell’alternativa fra verità ed errore, prive di qualsiasi pretesa di corrispondenza e di adeguamento alla realtà.

Per mettere ordine a quanto abbiamo fino a questo punto ricostruito, vorrei affermare che l’asse specificamente psicoanalitico dell’approccio freudiano alla religione è costituito dalla questione del padre e dall’ambivalenza emotiva di timore e richiesta di protezione che la caratterizza. Si deve, allora, cogliere una precisa continuità fra la condizione esistenziale di impotenza, con la sua pressante domanda di aiuto, e la figura paterna, oggetto simultaneamente di amore e di odio. È questo nesso fra l’impotenza infantile e il rinvio alla dimensione paterna a dare spessore al tema dell’angoscia e del suo nascere dal timore nei confronti di un pericolo, che ha il carattere dominante di una minaccia di punizione. In questo senso le rappresentazioni religiose risultano più complesse di semplici appagamenti allucinatori del desiderio: proprio il loro intimo collegamento con l’ordine paterno fa sì che esse scaturiscano dal conflitto fra la spinta del desiderio e qualcosa che gli si oppone, e che quindi possano essere intese come «manifestazioni» che dissimulano e rivelano nello stesso tempo. Diventa allora possibile illuminare l’affinità fra i contenuti religiosi e le altre produzioni dell’inconscio, cogliendo il loro statuto di formazioni di compromesso, che le rende omogenee ai sintomi e più in generale ai sogni. Per tale ubbidienza alle leggi dell’inconscio le rappresentazioni religiose possono essere oggetto del lavoro ermeneutico della psicoanalisi, la quale può così fornire nei loro confronti il suo specifico contributo interpretativo⁵ .

Capiamo così perché Freud può definire la religione «la nevrosi ossessiva universale dell’umanità», mettendo in gioco il rapporto fra Dio, padre primigenio, e un’istanza di divieto che, provocando una rinuncia pulsionale, fa sì che le produzioni immaginative religiose vengano a caratterizzarsi per il loro essere deformate dalla censura e per il possedere una carica affettiva così intensa da renderle estremamente potenti e tenaci.

Il conforto assicurato dalla religione deriva, allora, dal trasferire altrove il complesso paterno, così da dargli una dislocazione collettiva che, per quanto ancora emotivamente intonata, non ha la stessa diretta incidenza che la figura del proprio padre ha per ogni singolo individuo. In questo modo, la nevrosi religiosa fornisce un aiuto e un sostegno nei riguardi della nevrosi individuale, secondo il classico meccanismo dell’esteriorizzazione del conflitto, tipico delle formazioni sintomatiche.

Freud individua, però, proprio in questo nucleo nevrotico infantile della religione, la possibilità del suo superamento. Egli fa appello alla «speranza» di una crescita dell’umanità, che vada al di là del suo tratto infantile solo apparentemente irriducibile. Pur esprimendo in molte occasioni la lucida consapevolezza su quanto sia debole e limitato il nostro orizzonte di coscienza, Freud recupera il compito di immettere la critica intellettuale alla religione all’interno della più ampia missione della psicoanalisi, la quale si caratterizza per l’affidare alle forze intellettuali il fine di rendere la vita più sopportabile e la società meno oppressiva.

Quest’ultimo punto mi appare particolarmente degno di essere sottolineato, esso esprime il tentativo della psicoanalisi di essere un’arma critica capace di mettere in questione i «fondamenti affettivi» dell’ubbidienza. Se la religione aiuta ad addomesticare le pulsioni potenzialmente dirompenti nei confronti della società, l’indicazione freudiana, prospettando un possibile trascendimento della dimensione immaginativa religiosa, va nella direzione opposta. Freud attua una esplicita presa di distanza nei confronti di qualsivoglia forma, più o meno mascherata, di teologia politica, operando una chiara denuncia demistificante di ogni legittimazione religiosa di ordinamenti e norme di natura civile. Tagliare ad essi il surplus di giustificazione religiosa aiuterebbe a ricondurli nell’alveo di ciò che è affidato esclusivamente alla ragione argomentativa e quindi al dibattito pubblico. In questa prospettiva il moderato ottimismo freudiano, che conta sulla «voce dell’intelletto» e sulla nostra capacità di apprendere dall’esperienza, perde ogni carattere astrattamente illuministico. La sua «fiducia primaria» nei confronti del tenace e oscuro lavoro quotidiano della ricerca scientifica, la certezza della congruenza fra la nostra volontà di sapere e la realtà, non solo ci assicurano che la scienza non è un’illusione, ma ci aiutano a tener ferma la consapevolezza che nella trasformazione del mondo l’uomo deve e può contare solo sulle «sue forces propres»⁶ .

2. «Il disagio della civiltà»

Questa famosa opera freudiana del 1929 appare incentrata sul rapporto dell’individuo con la civiltà, intesa come l’insieme, prodottosi storicamente, delle realizzazioni e delle forme di convivenza umane. È la religione, però, in continuità ideale con L’avvenire di un’illusione, a costituire la prima questione che troviamo affrontata. Viene infatti ricordata la tesi dello scrittore Romain Rolland sul sentimento «oceanico», vale a dire sull’immedesimazione col mondo, come matrice di una religiosità dotata di caratteristiche diverse da quelle sottolineate dalla critica psicoanalitica.

Freud esprime, però, forti dubbi sul fatto che tale sentimento di unità verso il tutto possa essere considerato come la motivazione essenziale della religiosità, in quanto non gli attribuisce la forza propulsiva necessaria per dar vita alle rappresentazioni religiose, le quali, come viene ribadito, vanno ricondotte all’impotenza infantile e alla «nostalgia del padre» da essa suscitata. È possibile però, partendo dal sentimento oceanico, dirigersi verso quel nucleo tematico che sarà il vero e proprio oggetto del Disagio della civiltà.

Se l’Io è il contrassegno della nostra autonomia rispetto al resto della realtà, tanto che sul senso dell’Io viene a fondarsi la nostra sicurezza emotiva, Freud ci ricorda tuttavia che è anche vero che in origine l’Io veniva a porsi come inclusivo di tutto, in un’intima comunione fra sé e l’altro da sé. Quindi, la separazione dell’Io si compie solo a un certo punto della nostra evoluzione, tanto che il senso della unità con il mondo può regressivamente ripresentarsi in forme patologiche di perdita del confine e del limite, le quali offrono un’ulteriore testimonianza del carattere conservativo della psiche, i cui contenuti, una volta formati, non vengono mai completamente meno e possono in ogni momento riattivarsi e farsi valere.

Freud con questo discorso vuole condurci verso l’ambito problematico che più gli sta a cuore e, quindi, se attraversa la questione della religione come aiuto nel sopportare la nostra impotenza e conforto nei riguardi della durezza dell’esistenza, lo fa avendo di mira cosa dobbiamo intendere come scopo della vita proprio di ogni individuo, qualcosa che esteriormente si esprime nella ricerca della felicità, intesa come assenza del dolore e più o meno temporaneo sentimento di soddisfazione. Ciò che presiede a tale ricerca della felicità è il programma del principio del piacere, il quale ha un’intrinseca natura conflittuale verso gli ordinamenti culturali e sociali della nostra civiltà. Se è sempre possibile, infatti, uno «spostamento della libido» nella direzione di quelle che possiamo considerare le più alte produzioni spirituali dell’uomo, come ad esempio l’arte, è pur vero, però, che lo stesso atteggiamento estetico non può che costituire un’evasione di carattere temporaneo rispetto all’inesorabile forza dei nostri desideri più profondi.

Quel che è, allora, da assumere come un punto fermo è che il mondo non corrisponde alle nostre attese di essere felici e che questa esigenza umana, troppo umana ha un’economia assolutamente individuale, che costituisce la misura della nostra indipendenza dalla realtà esterna, la matrice del gioco di forze che instauriamo con essa. Da questo punto di vista va riaffermato che la religione occulta la verità del destino dell’uomo, venendo a prospettarci una modalità precostituita e uguale per tutti di salvezza. L’attenuazione che essa ci propone del nostro disagio è ottenuta a prezzi eccessivi: attraverso la sottrazione di valore alla vita terrena e la produzione di un’immagine del mondo illusoria e in contrasto con l’intelligenza critica. Ciò di cui dobbiamo prendere atto è che al nostro strutturale soccombere nei confronti della preponderanza delle forze esterne si aggiunge un ulteriore importo di sofferenza dovuto alla civiltà, qualcosa che l’uomo ha costruito con l’intento di difendersi e sostenersi.

La nostra è dunque un’onnipotenza sradicata, un innalzamento dell’uomo a Dio-protesi, costituito da tutte le realizzazioni tecniche e scientifiche che, sul piano dell’esistenza del singolo, però, non intaccano l’insicurezza e il senso di non appagamento. Freud può, allora, affermare con enfasi che la sofferenza psichica dell’uomo è largamente dipendente dalla civiltà, così da costringerci ad ammettere l’esistenza di un conflitto inevitabile fra il singolo e la sua comunità di appartenenza. Il disagio degli individui è dunque direttamente proporzionale ai divieti che vengono loro imposti, alle limitazioni della loro libertà. Rinuncia pulsionale e repressione delle più potenti spinte libidiche ci vengono imposte, ma nel sottometterci diventa inevitabile maturare un sentimento particolarmente forte di ostilità verso gli ordinamenti della civiltà. Alla centralità dell’erotismo e della sessualità si oppone una molteplicità di restrizioni e interdetti che pretendono di imporre a tutti un modello uniforme di vita sessuale, incentrato sul legame esclusivo e sul rifiuto della sessualità come piacere fine a se stesso, una uguaglianza che misconosce le differenze e sottrae un gran numero di persone al godimento sessuale. Questa è una situazione intrinsecamente patogena in cui i soddisfacimenti sostitutivi, costituiti dai sintomi, non sono che instabili forme di compromesso che non evitano la sofferenza per il singolo e i rischi per la società.

A questo punto, ricordando la svolta nel suo pensiero prodottasi negli anni Venti, Freud ci prospetta una «ostilità primaria», l’esistenza di pulsioni aggressive come elemento di maggior minaccia nei confronti del legame sociale⁷ . Una parte della pulsione di morte verrebbe a dirigersi verso il mondo esterno assumendo i tratti della aggressività e della distruttività. Siamo davanti a un conflitto di grande portata: ponendosi al servizio dell’Eros, la pulsione di morte, una «disposizione pulsionale originaria e indipendente», si rivolge verso l’esterno ma, sulla base dei contraccolpi provenienti dalla realtà, può anche ritornare verso l’interno, assumendo il carattere dell’autodistruzione.

Questa situazione pone dei compiti precisi tanto all’individuo, quanto alla società. Quest’ultima non può non difendersi dalle spinte aggressive, mentre l’individuo deve attrezzarsi per tentare di neutralizzarle in se stesso. Per approfondire questa dinamica interna è necessario ricorrere all’istanza psichica del Super-io e far vedere la sua profonda sintonia con le forze esterne. Si mostra così come venga a interiorizzarsi una parte della aggressività e come alla contrapposizione fra il soggetto e il mondo corrisponda una tensione interna alla psiche

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