Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tra Acque Profonde e Anime Antiche: Quando il Passato Incontra il Futuro
Tra Acque Profonde e Anime Antiche: Quando il Passato Incontra il Futuro
Tra Acque Profonde e Anime Antiche: Quando il Passato Incontra il Futuro
E-book406 pagine4 ore

Tra Acque Profonde e Anime Antiche: Quando il Passato Incontra il Futuro

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Melissa è nata in America dove ha sempre vissuto. Un giorno di agosto è in barca con al sua famiglia per una delle solite escursioni. Un cambio di tempo improvviso trasforma la splendida giornata in una tragedia in cui perdono la vita i genitori e il fratello più grande a cui lei era molto legata. 
Si salvano solo lei e il fratello minore, Jacob. 
La tragica morte comporta in Melissa un cambio di personalità e soprattutto voler cancellare l'accaduto che le ha cambiato per sempre l'esistenza.
Prende la decisione di  trasferirsi presso degli zii a Richmond, lontana dalla sua casa abbandonando anche il fratello minore.
Passati anni per una richiesta quasi coattiva del nonno torna a Jacksonville. 
Tornata capisce quasi da subito che il fratello ama il mare. Anche se ha subito la perdita della sua famiglia proprio come lei, ne è affascinato e diventa sua insaputa un serfista professionista.
Scopre che uno strano tipo alloggia in casa sua.
È il migliore amico di suo fratello e si chiama Kaly.
Scoprirà con il tempo che lo sconosciuto non è un essere umano bensì un uomo-pesce. 
Kaly fa sapere a Melissa che lei è un’anima antica, denominata nella sua lingua SENT ART, una guaritrice di alto livello. 
Jacob andrà per una gara alle Hawaii.
Melissa partirà per stargli acconto e proprio su quell'isola incontrerà il fratello maggiore di Kaly, Julien. Julien è cieco per colpa di un incidente avvenuto per salvare una ragazza da uno squalo bianco e non entra più in acqua da quasi dieci anni. Melissa conoscendo Julien si renderà conto che qualcosa lo lega a lui. Qualcosa che sconvolgerà per sempre la sua esistenza.
Melissa avrà dei flashback sul giorno della tragedia. 
L’amore è inspiegabile. E il mare ha profondi segreti di cui nessuno ne è a conoscenza. 
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita23 nov 2023
ISBN9791254893807
Tra Acque Profonde e Anime Antiche: Quando il Passato Incontra il Futuro

Correlato a Tra Acque Profonde e Anime Antiche

Ebook correlati

Corpo, mente e spirito per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Tra Acque Profonde e Anime Antiche

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tra Acque Profonde e Anime Antiche - Cassandra Kay

    Prefazione

    Per molte persone sognare è un dono.

    C’è chi vive di sogni, c’è chi riesce a farlo anche ad occhi aperti.

    C’è chi vede la propria vita proiettata verso un futuro già da bambini.

    C’è chi non vede l’ora che arrivi la notte per sognare, ci sono persone che riescono ad avere delle connessioni nel sonno e questo rende il sogno molto affascinante e realistico.

    Sognare per me, al contrario rappresentava la morte.

    Non la vita o un futuro, solo la distruzione delle mie protezioni.

    La paura dal profondo del cuore, un dolore talmente forte da sbilanciare completamente la mia anima.

    Avevo paura di sognare, di rimanervi intrappolata e non avere la forza di svegliarmi.

    Per questo mi ero promessa che non sarei più tornare a Jacksonville, sapevo che la mia paura sarebbe tornata più forte di prima.

    Esservi lontana poteva darmi l’illusione di una tranquillità.

    Se fossi rimasta a Jacksonville avrei pericolosamente aperto tutto quello che tenevo ben chiuso in una parte della mia testa e cuore.

    Per anni ero riuscita nell’intento, cancellare quella città maledetta.

    Poi all’improvviso qualcosa accadde.

    Il ritorno

    Risultati immagini per disegni di tartarughe marine

    5 Luglio 2019 ore 03:40

    Stazione di Richmond. 

    Ogni qualvolta decidevo di tornare a casa trovavo sempre una scusa per non farlo.

    La mia assenza dalla mia città natale era da forse quattro o cinque anni.

    Guardai il grande orologio al centro della sala, era quasi l’ora della partenza.

    La grande bandiera americana al centro della sala, c’erano persino persone che facevano il saluto militare in modo rispettoso.

    Respirai e mi feci coraggio.

    Cominciai a scendere le scale.

    Ecco il mio treno.

    Mi sistemai il bagaglio e le varie buste con dei piccoli pensierini.

    Tornare a casa a mani vuote dopo tutto questo tempo non era un buon biglietto da visita.

    Il regalo più difficile da scegliere è stato quello di mio nonno Antonio, o meglio Antoniuccio soprannominato da tutti noi.

    Il suo regalo è stato fra i più difficili da scegliere.

    Essendo un veterano della marina ne sapeva più lui di Carlo in Francia.

    Lui e i suoi detti.

    Aveva la fissa di accostarne uno per ogni circostanza.

    Eh si, le mie origini per sono per metà Americane e Italiane.

    La bellezza italiana è molto apprezzata da noi americani. Soprattutto nel nostro stato, la Florida.

    Eccomi riflessa nel vetro, capelli sempre arruffati, occhiaie lunghe come calamari, colorito bianco da far pena.

    Un mostro, altro che bellezza italiana.

    Se mio nonno fosse qui, le sue parole sarebbero state non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace, pensai.

    Comunque, mi sistemai per il viaggio mi aspettavano molte ore di treno prima di tornare a casa. 

    Presi il mio mp3 e mi accovacciai sulla poltrona.

    Il treno era pieno zeppo, sicuramente per via dell’estate tutti andavano al mare.

    Chiusi gli occhi sulle note di Enrique Iglesias, adoravo la musica latina, mi addormentai senza accorgermene.

    Iniziai a sognare un prato fiorito, mi sembrava di averlo già visto, per lo più i fiori erano tutte margherite di vari colori. Più avanzavo verso una strada fiorita più i fiori sparivano, sentivo un senso di felicità e leggerezza poi ad un tratto mi fermai, sentii in lontananza una voce che mi chiamava.

    Provai ad avvicinarmi per vedere il viso della persona che mi stava chiamando con tanta insistenza, ma i fiori all’improvviso si intrecciarono sui miei piedi ostacolandomi.

    Poi un dolore al braccio mi fece sobbalzare svegliandomi di soprassalto.

    , mi chiese qualcuno con voce frettolosa.

    Ci misi qualche secondo per metterlo a fuoco e ricordarmi che ero in treno.

    Era un signore di bell’aspetto, molto curato.

    , risposi cordialmente.

    Appena che si sedette mi arrivò una vampata di alcol terrificante.

    L’odore era così sgradevole che cercai qualcosa dentro la borsa da passarmi sotto il naso.

    Voleva intossicarmi.

    Lo guardai con attenzione, come poteva un uomo di così bell’aspetto, con vestiti firmati e costosi puzzare tremendamente come una distilleria.

    L’abito non fa il monaco avrebbe detto mio nonno.

    Vidi che i posti accanto a me erano tutti occupati.

    Ma per quanto avevo dormito?

    , chiesi ad un passante.

    disse ridacchiando.

    Cosa c’era da ridere?

    Mi guardai nello specchietto che tenevo nella borsa.

    Era chiaro perché rideva.

    Avevo gli occhi rossi e gonfi i capelli arruffati tutti da un lato, praticamente uno zombie.

    Ma come era possibile diventare così orrendi. Ci fosse stata quella fissata della mia amica Marlen mi avrebbe riempito di trucco e chissà cos’altro dalla sua borsetta da Mary Poppins.

    Se usciva una novità lei era la prima ad averla, beh sicuramente il fatto di avere un papà benestante era ciò che le faceva fare la differenza.

    In questi anni ero riuscita a rimanere in contatto con loro tramite ilsanto skype, le nostre conversazioni improntate quasi esclusivamente su rossetti e smalti. Per non parlare delle sue conquiste.

    Essere arrivati alla stazione di Savannah significava che avevo dormito quasi per tutto il viaggio senza svegliarmi mai.

    Possibile?

    Sicuramente erano state le ottime pasticche che mi aveva prescritto il mio psicologo, il grande PM, mi aveva anche assicurata che non mi avrebbero dato l’opportunità di sognare, su questo punto non avevano funzionato.

    Ma era possibile aver dormito tutto questo tempo? Controllai di non aver subito furti.

    Sicuramente non avrei più chiuso occhio dopo una dormita così.

    O almeno questa era la mia convinzione.

    Ma l’orario e l’andatura del treno invece conciliavano il sonno, era piacevole questo movimento appena ondulatorio, forse dipendeva dalle troppe ore di sonno perse nei giorni precedenti per l’ansia di tornare a casa.

    Tutti sembravano dormire tranquilli, il mio vicino emanava vampate indescrivibili.

    Il suo sonno era sereno, respirava con la bocca aperta, sembrava una distilleria vivente.

    Avevo provato con qualche colpetto sulle braccia per svegliarlo, pareva funzionasse almeno per la prima decina di minuti, dopo tornava a russare con la bocca spalancata. Non avevo il coraggio di odorare la mia camicia, puzzavo come una bottega di vino andata a male.

    Già fantasticavo su come mi sarei buttata sotto la doccia appena arrivata a destinazione. Lode ai pensieri positivi di mia nonna pensai. Il problema è che io non riuscivo con questi giochetti mentali.

    Forse la situazione era buffa e ciò mi faceva ridere. Ripensai al sogno, ma più mi sforzavo più non ricordavo il viso della persona che mi chiamava.

    L’oscillare del treno mi fece rilassare così tanto che mi senti senza forze, così stanca e con le palpebre pesanti, non riuscivo a trovare la forza per tenerle aperte. Neanche i colpetti sulle guance funzionavano.

    Forse avevo esagerato con le pasticche del dottore.

    Mi aveva detto, mi raccomando solo una prima di dormire.

    Invece io cocciuta quella mattina ne avevo prese due.

    Di botto chiusi gli occhi e ricominciai a sognare, proprio da dove ero stata interrotta.

    Quella voce da lontano, il volto nascosto dalla luce, sentì dei brividi provenire dai piedi.

    Li guardai, vi era l’acqua, le margherite affondavano sempre di più, sentivo le gambe bloccate non riuscivo a muovermi.

    Mi dimenavo come una matta, chiedevo aiuto, mi sentivo soffocare, l’acqua arrivò fino alla bocca e poi il nulla, stavo per morire e non ero in grado di fare nulla.

    Qualcuno prese la mia mano, con forza tirandomi fuori dall’acqua e disse

    < E’ tutto finito.>

    Mi svegliai all’improvviso e gridai.

    Vidi che tutti mi guardavano costernati.

    La gaffe del momento.

    Guardandoli bene, dovevo averli proprio spaventati tutti con il mio urlo.

    Mi guardavano sbigottiti, cercai di abbozzare un sorriso lieve.

    Ma non funzionò come immaginavo.

    Guardai fuori per vedere che fermata fosse.

    Mancava solo una fermata all’arrivo.

    Non sapevo neanche chi avrei trovato ad aspettarmi in stazione!

    Ecco di nuovo un’altra alitata, dura la situazione, con questa puzza sgradevole.

    Tirai fuori il cellulare e iniziai a sistemare le foto degli ultimi acquisti fatti per farli vedere una volta arrivata a casa.

    Con quelle arpie di zie che mi ritrovavo, sempre pronte nello spettegolare, perché non esci? Perché non fai acquisti? Perché sei ancora zitella … e bla bla bla.

    Apparve una foto di mio nonno, era l’unica che avevo di lui giovane, quando era ancora in marina.

    Un marinaio, della flotta san Marco mandato in America per una missione.

    Non gli ho mai chiesto quale fosse lo scopo, però sapevo con certezza che pochi mesi dopo l’arrivo, conobbe mia nonna Claire e se ne innamorò praticamente da subito.

    Il tanto chiacchierato colpo di fulmine .

    Più guardavo la sua foto più ne ero affascinata.

    Mio nonno in divisa era bellissimo, era facile capire perché tutte avessero perso la testa per lui, nonna compresa.

    Dai suoi racconti, tutte le ragazze della nostra cittadina facevano follie per un appuntamento con lui.

    Come dar loro torto, alto un metro e novantacinque, capelli scuri, occhi scuri e grandi, carnagione olivastra, lo definivano il sosia di un attore chiamato Rodolfo Valentino o almeno così mi sembrava di ricordare.

    Lui era il secondo medico della sua flotta.

    Rimase per tre anni in missione.

    Poi ci fu la partenza per il rientro in Italia.

    La mia nonnina, quando raccontava questa storia, le uscivano ancora le lacrime.

    Mio nonno Le fece una richiesta, di aspettarlo e di non dubitare mai del suo amore per lei.

    Le brutte megere invidiose della città invece le ripetevano di dimenticarlo, perché i marinai erano famosi per le loro promesse mai mantenute.

    Ma Lei da buona testarda non ascoltò nessuno.

    Mi ricordo che mi riferì che passarono due anni dal giorno della sua partenza.

    Immaginai sempre quel giorno caldo e afoso, tutti intenti nella pesca, compresa mia nonna.

    Le barche dei pescatori fuori in mare.

    Un uomo sulla riva, il vento gli accarezza i capelli, indossa una canottiera bianca con pantaloni lunghi, arrotolati fino al ginocchio.

    Già da qualche ora immobile, sotto il sole ad aspettare il rientro delle barche da pesca sotto il sole bollente.

    Le barche dopo una ventina di minuti che era fermo lì in riva iniziarono ad intravedersi, tutti stremati per giornata di pesca.

    Mia nonna avvicinandosi vide un uomo immobile, in piedi vicino al bagnasciuga che li fissava.

    Le ci vollero pochi secondi per capire che era lui, era tornato finalmente da lei.

    Non so quante volte ho sognato la scena dell’incontro, sotto gli sguardi sbigottiti di tutti e lo stupore delle malelingue.

    E fu così che vissero felici e contenti.

    Sospirando , sussurrai ad alta voce.

    Nonna Claire, così dolce e credente, così innamorata di mio nonno, oggi si può definire un matrimonio di un’altra dimensione.

    Io con i miei ventidue anni suonati, non sapevo proprio definire la parola AMORE.

    Tempo fa credetti anche io in qualcuno che non ebbe pietà per il mio cuore, me lo distrusse con bugie e falsità.

    Il mio primo amore adolescenziale. Altro che grande amore solo bugie.

    Il mio ottimismo si era perso da qualche parte, come la mia fede.

    Ricordo lo sguardo di mia nonna quando le confermai di non essere più una credente.

    Al contrario disprezzavo qualsiasi tipo di fede e tutto quello che vi era di contorno.

    Adoravo mia nonna, ancora oggi era una donna bellissima, io invece più mi guardavo e più mi definivo una persona insipida, pallida, musona e solitaria. Insomma non suscitavo molto interesse. Pur essendo gli anni più belli quando sboccia la bellezza tra l’adolescente e il tramutarsi in donna.

    Magari con delle gambe lunghe come le mie altre avrebbero fatto stragi, invece nessuno mi notava ugualmente.

    Per non parlare dei miei occhi grandi, color della pece, a scuola mi chiamavano sempre occhi da cerbiatta, ma neanche questa cosa aiutò molto per essere definita una bonazza.

    Eppure dai racconti di mio nonno nella loro famiglia queste erano caratteristiche di gran vanto. Tutte le donne della famiglia Alimonti, erano bellissime donne.

    Mentre ricordavo e fantasticavo sulla storia dei miei nonni, passò l’ ultima fermata.

    Ecco la stazione di Jacksonville.

    Di solito, alla mia età, si adorano le chiusure estive per godersi le vacanze.

    Io ero fatta a modo mio, odiavo le vacanze, odiavo la spiaggia, il non fare nulla mi innervosiva parecchio e tutte le persone che si intrufolavano come turisti nella nostra città mi disturbavano.

    Ma la cosa che più odiavo era quella massa d’acqua chiamata MARE.

    Solo la vista da lontano mi provocava un odio senza fine, una specie di orticaria multipla.

    Mi promisi che mai più avrei bagnato un solo dito in quella odiosa massa d’acqua. Anche il solo nome mi dava fastidio pronunciare.

    Erano cinque anni che non mi accostavo alla riva e avrei continuato così per sempre.

    Questo volevo e per nulla al mondo avrei cambiato idea.

    La spia rossa si illuminò, indicando l’arrivo alla prossima fermata. Dovevo scendere.

    Presi lo zaino, il trolley i regali.

    Scesi di corsa, l’aria afosa era spaventosa, anche se passavano gli anni non cambiava.

    Eccola la cittadina di Jacksonville rinomata per il pesce, per la costa e per i surfisti.

    Neanche l’ombra di una nuvola passante.

    Non potevo farci nulla il mio disgusto per questa città cresceva ogni volta che vi mettevo piede.

    Se non fosse per la promessa fatta a mia nonna non ci avrei messo più piede.

    La stazione era colma di turisti con valigie e buste. Correvano come per paura di perdersi anche un solo secondo d’estate.

    Mi accostai vicino alla fermata degli autobus in attesa del mio passaggio.

    Aspettai, aspettai, passavano i minuti ma nessuno arrivava per me.

    Passò più di mezz’ora, anche un altro treno arrivò.

    Il caldo era insopportabile.

    Rimasi solo con la canottiera ma il caldo era soffocante.

    Presi un cappellino dalla borsa per non prendere un’insolazione.

    La temperatura sul mio cellulare dava circa 38 gradi ed era solo mattina.

    Insopportabile.

    Odiavo Jacksonville.

    Sentii urlare il mio nome.

    Finalmente qualcuno si era ricordato di me.

    La mia amica del liceo.

    disse stritolandomi.

    , dissi abbozzandole un sorriso.

    La sua espressione era carina, sembrava sinceramente contenta di vedermi.

    Non ci potevo fare nulla se ero diventata così scettica e fredda anche con le mie vecchie amicizie.

    Marlen si strofinò il naso. disse prendendo una mia borsa.

    .

    , disse abbracciandomi nuovamente.

    , chiese.

    , le risposi seccamente.

    Mi fece salire su una BMW cabrio bianca nuova di zecca.

    Accese lo stereo ad altro volume.

    cercai di dirle senza sembrare sarcastica.

    .

    , rispose convinta.

    , mi chiese.

    , le dissi sorridendo.

    Misi gli occhiali per non farmi riconoscere, almeno questo era il mio intento e ci speravo.

    Anche se non avevamo più sedici anni, con Marlen gli anni non contavano rimaneva sempre la stessa svampita.

    Passammo per il centro, anche se era immensa a me sembrava sempre la stessa.

    La vecchia gelateria sempre con lo stesso ombrellone.

    Il Ponte blu, gli stessi negozi commerciali nulla mi entusiasmava di questa città.

    Finalmente arrivammo verso la costa era sempre trafficata da turisti, ma era meno incasinata e frenetica.

    Stavamo affiancando il posto preferito di mio fratello Mike, la spiaggia Sunrise uno dei posti dove veniva sempre a surfare.

    Noi stavamo proprio vicino al Nepture Beach zona da periferia era separata dal caos della città.

    La nostra casa era stata costruita interamente da mio padre si affacciava sul mare.

    Jacksonville, ogni albero, ogni strada sembrava essere rimasto tutto uguale a prima che partissi. Gli anni passavano e questa cittadina non cambiava di una virgola almeno per me.

    Forse la sua bellezza era proprio questa, il suo lato incontaminato da tutto il resto del mondo.

    Qui c’era la mia casa, i miei ricordi da bambina mi bastava sentire il profumo di un fiore o di un’essenza e tutto riconduceva ad un ricordo della mia infanzia.

    , mi chiese Marlen sfoggiando un sorriso enorme.

    , le risposi.

    , disse stritolandomi una mano, con le sue unghie lunghissime.

    , disse.

    Eccola che partiva con le domande a raffica.

    , le chiesi con garbo per non intaccare la sua sensibilità.

    .

    , disse abbassando il pedale.

    , tagliai corto per paura di distrarla.

    , risposi frettolosa, stavo per morire senza aver rivisto la mia famiglia.

    Marlen rideva come una matta.

    .

    Marlen era sempre stata così.

    Fin dalle scuole superiori molto sognatrice, il suo alter ego la portava fuori dalla nostra cittadina, tempo fa provò ad andare a studiare in un’università fuori da Jacksonville, ma senza successo.

    Abituata com’era a non fare mai la fila in nessun posto perché il padre era il direttore della banca più grande della città tornò a casa dopo appena sei mesi.

    , risposi pungolandola, abbassando un po’ il volume dello stereo.

    , rispose di getto.

    La musica era l’unico suono che sentivo all’improvviso perché lei si ammutolì.

    Era sempre così ogni volta che usciva di mezzo la parola mare tutti che provavano compassione per me.

    Toccava sempre alla sottoscritta cambiare gli argomenti.

    le chiesi abbozzando un sorriso.

    Sfrecciava come una matta, sotto i 150 km orari non andava, non sapevo più come tenermi in macchina.

    Il lato frivolo di Marlen mi aveva sempre affascinata.

    Quel passare da un ragazzo all’altro senza preoccuparsi dei come o perché.

    ll non dover dare spiegazioni e viversi le storie con molta libertà.

    Fin dai tempi della scuola aveva avuto sempre successo con i ragazzi, anche per la nomina che si era messa addosso.

    Ma era una ragazza con un gran cuore.

    Gli anni passavano ma lei era sempre uguale a parte il colore dei capelli che li cambiava spesso. Ora rossa, prima bionda.

    < Allora chi è questo numero uno?> le chiesi per dimostrarle che ero interessata al suo racconto.

    ; rispose mordendosi le labbra subito dopo, come per chiudersi la bocca.

    .

    , rispose.

    Quando si mordicchiava il labbro superiore era perché aveva combinato qualche guaio.

    Il suo problema è che io la conoscevo troppo bene, fin troppo bene.

    .

    Mi guardai nello specchietto retrovisore, tutto vero avevo delle occhiaie che sembravano due sacche. Tutti i capelli in disordine grazie alla sua cabrio e puzzavo di alcol una miscela di seduzione da vera vip.

    Però non riuscivo a capire il mio stato di ansia dopo che avevo sentito pronunciare il nome del mio fratellino.

    Quello stato lo conoscevo fin troppo bene e mi chiudeva ogni briciolo di pensiero positivo che vi era rimasto in me.

    Dovevo capire.

    < E cosa farebbe questo tuo ragazzo?> le chiesi.

    < Non è il mio ragazzo lo conosco appena! Non è di queste parti, almeno credo>disse.

    < Se tu lo conosci appena, mi puoi spiegare come mio fratello lo conosce?>, chiesi prontamente.

    La vidi sospirare.

    .

    , continuò.

    < Ma di che stai parlando?>, le chiesi alzando la voce per sovrastare la musica.

    , disse.

    le dissi ringhiando.

    .

    .

    Cercai di rimanere calma, molto calma, di respirare profondamente prima di trasformarmi in una belva umana.

    Questo stava a significare che mio fratello mi aveva tenuto nascosto i suoi allenamenti e che l’entrata nella squadra di baseball era tutta una buffonata!

    Non potevo tollerare questa mancanza di rispetto neanche da parte del mio fratellino.

    Sono la sorella maggiore se lui sbagliava era mio compito fargli capire l’errore.

    , le chiesi.

    , disse cercando di calmarmi, sapeva di averla fatta grossa.

    , le dissi in maniera acida.

    Questo era il mio piccolo problema comportamentale, appena c’era qualcosa che non mi risultava diventavo insopportabilmente aggressiva, anche manesca a volte.

    Neanche mi guardò, sentii solo l’acceleratore affondare, i capelli erano diventati come una stoppa, ma tanto per quello che dovevo fare andavano più che bene.

    Mi facevano sembrare ancora più cattiva.

    Non aspettai neanche che Marlen parcheggiasse.

    Scattai fuori dalla macchina come una molla.

    Sentivo Mel che urlava chiedendomi di aspettarla, ma non ne importava nulla.

    Mi guardai attorno, a qualsiasi ora la playa era sempre affollata!

    Chiesi a qualcuno dove vi erano i surfisti che si allenavano, nessuno mi sapeva dare una indicazione precisa.

    Questi stupidi turisti mi venne da pensare.

    Puoi mancare per anni ma certe cose non cambiano mai.

    Poi sentì della musica molto forte e delle grida che incitavano.

    Mi tolsi le scarpe e i calzini, la sabbia che vi entrava era fastidiosa, iniziai a correre più velocemente possibile.

    Che fastidio con i piedi sudati che mi ritrovavo.

    Una mega folla vicino alla riva non mi permetteva di guardare.

    Iniziai a farmi largo tra le persone, presi anche dei calci piuttosto forti ma dovevo passare a tutti i costi.

    Mi trovai inaspettatamente sulla sabbia bagnata, ero praticamente a neanche un metro dall’acqua.

    Rimasi bloccata, non riuscivo a muovere le gambe mi guardai intorno quasi per cercare aiuto.

    Dove stava quella scema di Marlen mi domandai.

    Mi aggrappai alla prima persona che mi trovai affianco.

    , chiesi con voce tremante.

    Ecco il suo potere, maledetto mare come lo odiavo.

    Mi bloccava in pochi secondi, nefasto solo alla sua vista mi tremavano le gambe.

    Un ragazzo mi aiutò a muovermi, trascinandomi verso l’interno della playa e proprio in quel momento sentì la sua risata inconfondibile almeno per me.

    Vidi un gazebo la sua voce proveniva da li.

    , gridai.

    Con tutta quella gente e con la musica alta, il mio grido non si poteva che perdere, continuavo a chiamarlo.

    Gridavo disperatamente con tutta l’aria che avevo nei polmoni.

    Lo vidi arrivare come una freccia, mi aveva sentito.

    Aprì le braccia, eccolo il mio adorato Jake.

    Mi abbracciò così forte che mi sentivo stritolare, le sue braccia erano così forti e rassicuranti.

    Per come mi avvolgeva, sembravo un pupazzetto nelle sue braccia.

    , dissi sorridendogli.

    In quel preciso istante mi resi conto di quanto fosse cresciuto, il mio piccolo Jake.

    Era diventato alto, le sue braccia erano forti, si era fatto crescere i capelli gli arrivavano fino al collo.

    , disse guardandomi spaventato.

    Mi sentivo felice ma con un nodo alla gola.

    , gli dissi alterata.

    Mi sciolsi dal suo abbraccio, per fargli capire che non scherzavo.

    , rispose titubante.

    Un’ombra sovrastante alle mie spalle mi fece sobbalzare.

    Un energumeno mi copriva dal sole.

    , disse la specie di energumeno.

    Presi per mano Jacob senza voltarmi e cercai di trascinarlo via.

    Ad un

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1