Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Corsico aveva le montagne
Corsico aveva le montagne
Corsico aveva le montagne
E-book255 pagine3 ore

Corsico aveva le montagne

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

1998. Corsico, cittadina non priva di identità presso Milano. L'io narrante Stefano Pometo ritrova un vecchio conoscente dai tempi della scuola. Scopre che è diventato vicino di casa di Beatrice, nome capace tuttora di farlo trasalire, in una sontuosa dimora. Di lì a poco ricominciano le fugaci apparizioni di Eleonora, altra suggestione adolescenziale: le illusioni di diciotto anni prima, e le conseguenti delusioni, tornano così di prepotenza in cima ai pensieri di Stefano.Con Marin, così si chiama quella sorta di mentore, andrà incontro solo a discordie. Comunque, sulla scia di quest'amicizia di comodo, il caso finirà per concedergli il tanto agognato confronto con Beatrice. E molto più candido di un bambino Stefano le andrà a chiedere di una lusinga che, per lei, non c'era mai stata… Resterà soltanto il tempo, per Stefano, di vedersi umiliare in circostanze grottesche da Marin stesso e dal traditore di amicizie Giorgio.Invece l'altera Eleonora rimane sempre troppo distante. Dapprima Stefano spezza le catene della realtà fantasticando una sua conquista di lei culminata subito in una tragedia, appagando così la sua indole contemplativa e, a suo modo, artistica; poi viene a sapere che esiste un filo, tutt'altro che sottile, che lega questa Eleonora a Beatrice, Marin, Giorgio. Ma quando il caso lo porrà davvero di fronte a lei, Stefano si vedrà di nuovo annichilito dalla sua indifferenza e sarà posto di fronte alla tentazione di trovare, appunto nella tragedia, un riscatto...
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2024
ISBN9791222738680
Corsico aveva le montagne

Correlato a Corsico aveva le montagne

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su Corsico aveva le montagne

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Corsico aveva le montagne - Francesco Tonin

    Sommario

    Prefazione

    Giganti sotto il sole (1°)

    Un fatterello che non dimentico (2°)

    Torno su questo antico itinerario (3°)

    Preferivo guardare Rebecca (4°)

    In riva agli anni già vissuti (5°)

    Soffi di vento, battiti pulsanti (6°)

    Fendendo questa folla maligna (7°)

    Quinte teatrali, scenari di cartapesta (8°)

    Cose di marzo (9°)

    Loro tre, entrarono salutando (10°)

    Captain leads… Join the dance! (11°)

    Fosse ancora in tempo per fottersi… (12°)

    Lo spettacolo andò a incominciare (13°)

    Avvolto nelle mezzetinte ombrose (14°)

    Una strega saggia, un venerando sapiente… (15°)

    Ebbro dei giorni a venire (16°)

    È triste che tutto finisca così (17°)

    Quelle case popolari lungo la vigevanese (18°)

    Sbraita, sghignazza Marin (19°)

    I colori si mantengono a fatica vivi (20°)

    L’indomani all’inizio delle lezioni (21°)

    Sono stato ucciso proprio qui (22°)

    Non ritrovo gli attimi giocosi (23°)

    Una brutta giornata di sole (24°)

    Dopodiché, forse… (25°)

    Via, a passo svelto e furtivo (26°)

    Tra le vie di Milano, corso Vercelli… (27°)

    Via da questi giorni qualsiasi di fine secolo (28°)

    Solo questo mi concede (29°)

    Fuori fa freddo, la luce di oggi è livida (30°)

    La mia vita è tutta qui (31°)

    Gli onori di una parata trionfale (32°)

    Viale del tramonto (33°)

    Un mese dopo (34°)

    Postfazione

    Titolo | Corsico aveva le montagne

    Autore | Francesco Tonin

    ISBN | 9791222738680

    © 2023 - Tutti i diritti riservati all’Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Made by human

    Corsico aveva le montagne

    Francesco Tonin

    Prefazione

    In questo racconto lungo ambientato fra Corsico, Milano e dintorni, Francesco Tonin narra le vicende di un possibile suo alter ego letterario, Stefano Pometo. Pometo ama molto camminare a piedi e lungo queste sue estenuanti passeggiate osserva la varia umanità della sua città d'origine, Corsico appunto, passando in rassegna l'antropologia dei luoghi in oggetto fra gli anni '80 e '90. Viene fuori un ritratto sociologicamente sconsolante di una provincia grassa, anche appena fuori Milano può già essere provincia, in cui le differenze sociali sono scandite unicamente dal mito del denaro. I soldi sono la misura di tutto e lo status sociale che una volta a Milano era appannaggio di una borghesia illuminata anche intellettualmente, ha finito per divenire terreno di coltura delle varie mafie legalizzate, talvolta anche sotto le bandiere del cattolicesimo lombardo borghese, riguardando unicamente l'aspetto volgare del fare i danè. Cattolicesimo lombardo i cui più entusiasmanti esponenti, descritti spietatamente dal Pometo-Tonin, sono spesso dei sepolcri imbiancati che peccano dalla mattina alla sera sei giorni alla settimana mondandosi poi di domenica, come se bastasse a poter dare loro il diritto di giudicare gli altri...

    Ma non è solo questo ciò di cui ci parla Pometo, che per scelte non attribuibili alla propria volontà sbarca il lunario con lavori dignitosi, ma non inquadrabili nel pantheon della rispettabilità sociale. Si trova a frequentare tramite la scuola superiore, e anche dopo, questi figli della borghesia lombarda illudendosi di stabilire con loro un rapporto di amicizia sincero, solidale, ricco di scambi anche non necessariamente colti, anche solo semplicemente basati sullo scambio di conoscenze musicali legate al rock colto degli anni di cui stiamo parlando. Si infatua di alcune tra queste ragazze che appartengono ad un ceto medio borghese e che hanno come unico obbiettivo nella vita quello di sistemarsi ancora più in alto nella scala sociale, spinte da genitori avidi e avvizziti dalla vita, finendo poi però con l'implodere nelle proprie contraddizioni, per non voler al contempo rinunciare alle normali esperienze che la vita pone ad esse davanti. Oltre alle descrizioni su come erano i luoghi narrati, che a me hanno interessato perché io a Corsico (e dintorni) ci vivo, resi in un lessico ricco (l'espressione è tipica dell'autore), è stato interessante il mix, nei dialoghi che intervallano le dette descrizioni, con gerghi tipici del tempo e vulgate più di un parlato colloquiale giovanile, aspetti che hanno reso questo lavoro nel complesso secondo me molto interessante. Tanto che potrebbe benissimo candidarsi a diventare un racconto gaddiano su com'era l'ovest milanese, ma anche qualsiasi grassa provincia industriale anni '80 del nord del paese, ennesima testimonianza su come il capitalismo senza freni abbia alla fine corrotto tradizioni e istituzioni piegandole a becere logiche produttivistiche. Perché alla fine se la borghesia non ha cultura, non è nient'altro che feudalesimo di ritorno.

    Grazie Francesco Tonin, lunghe e tortuose sono le vie per la pubblicazione di un libro, ma speriamo che ti siano prodighe.

    Danilo Coppola

    Giganti sotto il sole (1°)

    Strizzo gli occhi per proteggerli da altra polvere, abbandono alle folate pungenti i capelli corti ma già arruffati. Rifugio nel bavero il mento che sborda fuori continuamente, e insisto a riaccomodarmi con una sgraziata ginnastica del collo.

    Cartacce e foglie morte mulinano senza tregua e io guardo soltanto in alto, per sfuggire la solita vista di falansteri, fabbrichette e case. La forza del föhn ha spazzato via tutto lo sporco dal cielo, così un azzurro lindo si insinua tra le bizze e le asperità di qualunque palazzaccio di Corsico.

    Seguo la retta via come ogni giorno, o cedo alla tentazione di dirottare il mio passo? Da qui a un paio di chilometri è già aperta campagna, gli spazi si dilatano e mi troverei al cospetto dei Giganti, visione onirica: le Alpi innevate e lucenti. Col sole di oggi appaiono un miraggio che dal Resegone si perde all’orizzonte chissà dove, in Piemonte. E poi i colli dell’Oltrepò sull’altro lato del cielo, che siano già scesi in pianura? Illudono di poterli raggiungere con una breve fuga. E il Duomo, la Torre Velasca, il Pirelli e gli altri grattacieli lasciano credere anche loro che si possa attraversare Milano da capo a capo, librandosi in volo.

    E durante questo viaggio possa pure fermarsi il mondo per sempre, in una sorta di dolcissima eutanasia.

    Diserto, mi ribello agli obblighi giornalieri? Balenano nitori siderali di una densità quasi corporea, varrebbe la pena averne il coraggio... 

    No, niente atti inconsulti. Ormai sono arrivato, pur sul filo del ritardo. Una ragazza e un ragazzo sostano fuori dal negozio dove lavoro, cento metri più avanti.

    Mi avvicino. Lui ha una chioma castana con il capriccio di ciocche scese sulla fronte e un volto vagamente efebico, con la barba curata. È vestito con un’eleganza inconsueta. Lei, figura snella e capelli mori lunghi sulle spalle, si è appena messa in disparte. Indossa un tailleur in tinta chiara e porta i tacchi alti. Belle gambe, le sue.

    Non mi scompongo davanti al loro aspetto impeccabile, che camuffa sorrisetti di sufficienza. Mi presento a viso aperto: con i miei capelli disordinati, la barba trascurata, gli abiti sciatti e gli occhi che continuo a stropicciare. Sono pur sempre cinque minuti che cammino sottovento.

    «Pometo, quanto tempo!» mi saluta questo qui con ostentazione. Lo guardo meglio.

    «Marin!» esclamo sorpreso, e scovo fulmineo nella memoria il riparto giusto. Marin Giovanni detto semplicemente Marin: quest’uomo ha frequentato la mia stessa scuola poco meno di vent’anni fa. Un individualista esagerato in ogni gesto, che agli sguardi e alle parole degli altri opponeva i suoi occhi da bambino, indisponenti e irritanti. In comune tra noi soltanto il dettaglio di essere appellati sempre e comunque per cognome.

    «Tu? Sei proprio tu? Ma… Come hai fatto a trovarmi?» Sembra assaporare la mia confusione facendo il misterioso. Mi parla di voci girate tra amici di amici, di qualcuno che chissà come sapeva del mio impiego. Estrae un floppy disk dalla tasca del giubbotto e una mazzetta di fogli scarabocchiati a penna, e quindi entriamo per visionare con comodo. Nemmeno due minuti, e già riemergono le tipiche boutades alle quali Marin ci aveva abituato.

    «Mi sono già preparato da solo le buste, la carta intestata e i biglietti da visita per la mia attività. Più altri biglietti da visita speciali, sai… Se devo imbonire qualche figa!»

     Scotti la mia ragazza, così l’ha presentata, corruccia i lineamenti. Giocoso rimprovero o forzato stupore? Non è dato capire. Marin si schermisce subito con brio e in dieci minuti concludiamo ogni dettaglio.

    «E dopo il dovere, il piacere! Ora possiamo parlare un po’ di noi» dice. Volentieri. Il mio titolare concede di rubacchiare qualche minuto in orario di lavoro, e torniamo fuori. Siamo in una piazza porticata di recente edificazione tutta per noi. Nessun’anima viva da qui fino alla chiesa al capo opposto, e piazza Duomo a Milano non è che sia molto più grande di questa. 

    Una vecchia cosuccia mi sovviene fulminea.

    «Giorgio diversi anni fa mi ha detto di averti visto con Max, l’Avvocato e Luini al matrimonio di Laura in via Palestro». Proprio a Giorgio vado a pensare, al Giorgio che ancora mi dava retta. Qualche anno dopo lo chiamo a voce alta, sicuro di farmi udire, e questo prosegue imperterrito. L’ultimo amico di scuola incontrato prima di chi mi sta di fronte aveva fatto finta di non vedermi, e gli concedo una citazione...

    «Ne sai più te di me» risponde. Più con sarcasmo che con garbo, mi piace poco.

    «Sono solo notizie avute da Giorgio per caso» replico in tono di scusa. «Sempre lui ti aveva visto anche in una chiesa di Caorle che facevi la comunione» insisto. La ragazza stiracchia un sorriso incredulo. Marin per una frazione di secondo pare colto in fallo, ma subito si riprende.

    «Sì, è possibile. Seguendo mio padre sono stato anche da quelle parti, dove sono riuscito a prendere uno straccio di diploma. Sai in quelle scuole di due anni in uno, dove se paghi ti promuovono!»

    «Ah, Marin, Marin... Ma torniamo a quella volta che Giorgio era di turno in via Palestro e ti ha visto al matrimonio di Laura. Mi ha incuriosito, quel fatto» riprendo il filo del discorso.

    Cosa voglio farmi ripetere ancora quel che so già... Giorgio aveva visto quelle persone dall’alto ed era sceso a salutarle, ma erano tutte di fretta. Max poi era vestito on the road pure alla cerimonia, dopo il rito doveva subito partire in vespa per la Francia: mi viene raccontato una volta di più. La ragazza disinibita e lo sballato anarcoide appena nominati non mi interessano granché, però sentir parlare di persone legate all’epoca della scuola è coinvolgente comunque.

    Non ci siamo mai detti né addio né arrivederci, io e Marin. Ci eravamo persi di vista lungo gli stessi corridoi, lasciando in sospeso questa confidenza arretrata che lui adesso ritrova per primo. A dieci minuti dall’impatto iniziale vien voglia anche a me di allentare il mio irrigidimento e magari di scioglierlo, in fondo io ero quello che immancabilmente rispondeva je n’ai pas compris alle domande dell’amichevole insegnante di francese, facendo ridere tutta la classe: rimanevo perplesso per quel moto di approvazione a un ritornello così monotono, il francese non lo capivo per davvero. E poi una volta avevo risposto allo stralunato ma geniale insegnante di matematica professore, ma non dica cazzate! Tutti avevano pensato a una sospensione, e invece la replica fu soltanto Pometo, sei tu che dici cazzate. E quando una ragazza sgraziata e poco agile intellettualmente aveva domandato professore, non ho capito una cosa io mi ero intromesso: Castellini, ma tu non hai mai capito un cazzo! tra lo sconcerto dell’insegnante e gli sghignazzi divertiti di tutti gli altri. Vien da chiedermi cosa aspetto a prorompere con le facezie di cui sono capace, per pareggiare il conto degli spunti briosi che stanno inframmezzando i nostri discorsi. Vorrei farlo, sono pronto. Ma do la precedenza a una fievole curiosità.

    «Abiti ancora di là dal ponte, nella villetta vicino alla stazione?» cambio discorso.

    «No, lì abita sempre mia madre. Ci ho vissuto per un breve periodo ma ora sto per conto mio, nella villa di Beatrice a Fagnano dove facevamo le feste. Le ricordi?»

    Ho mosso il piede sbagliato, ed ecco subito un passo falso.

    «Cosa, cosa?» Credevo non ci fosse più nessuno da nominare, e invece arriva questo colpo a tradimento. Beatrice, nome capace di farmi ancora trasalire insieme al nome di un luogo di uguale suggestione, la sua villa a Fagnano dove facevamo le feste: eccome se la ricordo, e Giorgio si è già rimesso in circolo. Mi elemosinava le notizie su Beatrice, intanto che l’amicizia tra noi due contraeva la sua malattia incurabile. Cosa mi toccherà sentirmi dire di lei adesso e con quale altro tono, con quale altro stile?

    «Sì. Appena tornato da queste parti, ho saputo che lei viveva sola in quella grande casa e voleva affittare almeno uno degli appartamenti a un referenziato. Io avevo bisogno urgentissimo di un alloggio, ero disperato. Fortuna che da lei ho trovato posto!» mi viene spiegato.

    Ha preso alloggio in una stupenda dimora patrizia, e farnetica di una disperata ricerca... Va là Marin, va là. Ancora qualche scarna curiosità da togliermi prima di passare ai saluti, la tirannia del tempo non concede altro. Tanto non finisce qui, Marin fa in tempo a dirmi che al prossimo evento a casa sua andrò anch’io. Lo promette di sua iniziativa e forse si concretizzerà un invito a mezzo telefono, così che potremo realizzare il nostro Grande freddo film a lui ignoto, e che in verità non ho visto nemmeno io. So però che racconta di vecchi amici che si rivedono dopo tanti anni, e glielo dico.

    «Sarebbe ancora presto… Nel futuro, potremo farlo».

    Così scopro che tra amici di scuola si stanno vedendo di continuo. Manco soltanto io, ma davvero mi chiamerà Marin per gettarmi l’osso di un invito a qualche sporadica rimpatriata?

    Marin e Beatrice si ritrovano a esser vicini di casa, il più imponderabile dei fatti. Dovessi incontrare di nuovo lei, una sepoltura vecchia di diciotto anni verrebbe così esumata. Per poi? Una Resurrezione, o un macabro disbrigo da operatori cimiteriali? O una squallida via di mezzo sperduta nel limbo tra le due estreme opzioni?

    Beatrice e Giorgio amici tuttora indissolubili con Giorgio che, ridendo di ogni ticchio e di ogni palpito di lei, compiva un virtuale tradimento; e io attizzato dalle maldicenze raccoglievo tutto quel fiele. Però lui cambiava poi maschera, a me invece le stesse identiche maldicenze si ritorcevano contro. E oggi Giorgio vede semmai Marin, che mi ha detto appunto di incrociarlo quando va, ogni tanto, a trovare la padrona di casa. Marin sì, io no.

    Dove facevamo le feste ha puntualizzato lui, quelle feste vissute da placido astante sempre quieto, come stessi sorseggiando una camomilla. Ballavano in massa, flirtavano, ognuno a proprio modo si sentiva partecipe di quei momenti. Ognuno fuorché l’avulso che se ne stava barricato nei suoi pensieri, l’avulso che manteneva a oltranza la testa fra le nuvole. Niente di grave né di stravagante: soltanto, laggiù in quella stupenda dimora patrizia, qualche granellino di sale si spargeva su certe mie piccolissime ferite, che già qualche anno addietro si erano aperte tra quei Pensieri e tra quelle Nuvole.

    In casa con l’unica compagnia di libri e giornali, le pagine di storia, di cronaca e di letteratura che più avidamente avevo mordicchiato erano state quelle che dicevano di sensi e di passioni inseguite e vissute con slancio, senza temere il pericolo che incombe su chi ha il coraggio di osare troppo. Recondita ambizione, poter aggiungere a quelle pagine, lette con soggezione e invidia, una scritta di mio pugno.

    A quali sinuose lusinghe ambivo. Derive decadenti addirittura compiaciute, di correre incontro alla fine in un crescendo di gesti e sentimenti sempre più gridati ed esasperati. E io a dondolare tra velleità ben alte sopra le nuvole, e la realtà inesorabile a schiacciarmi quaggiù...

    Un fatterello che non dimentico (2°)

    Col mio passo arrembante ho quasi gareggiato contro questa folla del sabato troppo beata. Non c’è posto nemmeno sotto i portici e mi sono messo a sgusciare tra un capannello e l’altro, pur di fare l’intruso.

    Ho in testa una soma di ricordi e di subbugli che scaricherei proprio qui in mezzo a tutti, come un mite asinello sovraccarico che anziché stramazzare al suolo si scrolla il peso di dosso. La ragazza di Marin annuiva a ogni nome da lui citato, dunque quelle amicizie che furono anche mie restano vive e vegete. Con le nuove fidanzate che si permettono di defraudarmi del posto che mi spetta: penso a loro, adesso. Ma queste parvenues sono leggere come una piuma, le pietre sono altre.

    Le ricordi? Soltanto le feste, o la villa compresa? Marin me l’aveva chiesto impudente e stamattina, aperti gli occhi in ora già tarda, ho voluto ribadirgli di sì lui contumace. Ancora un minuto, due, forse dieci ma non di più, che poi mi alzo... Gli occhi si sono invece chiusi e mi sono calato indietro negli anni fino a quel sabato grasso, bella giornata di sole invernale, nelle stanze di Beatrice: le ricordo, le ricordo Marin, tutt’e due. L’intera classe nostra convenuta di primo pomeriggio, tutti impegnati con gran fervore ad acconciarsi meticolosamente. Tranne me.

    Faticai a calarmi in quell’atmosfera, infatti: ma guarda che impedito, proprio Marin me lo diceva e ripeteva. Alla fine mi ero lasciato contagiare prestando il mio viso glabro e ossuto a un lievissimo trucco, rimanendo comunque coi miei vestiti. Poi, abbassate le tapparelle, alla luce naturale si sostituirono le tenebre singhiozzanti delle luci psichedeliche.

    E altro che dieci minuti massimo, ho poltrito quasi un’altra ora in più…

    Credevo forse di sfuggire ai miei genitori, bisbetici mai domi che, con la loro posa distratta e saccente, mettono in imbarazzo anche per gli scambi di parole più blandi? Mi sono seduto a mangiare a capo chino trovando un inusuale silenzio, invece. E dovevo ancora qualcosa, a Marin: la capostipite è già passata via per la mia piccola storia, quindi ecco la seconda delle feste che già scalpita.

    Mamma e padre rimangono zitti, che lo restino per carità. Mille grazie per questo silenzio di tomba: tanto, vado io a prendere le loro voci a mio piacimento giù negli anni, ci sono sceso e ci rimango. Vado a prenderle dove mi era toccato davvero ascoltarle, allorquando dovetti spiegare perché stavo fuori, ancora una volta, fin dal primo pomeriggio.

    Fanno una festa proprio il giorno che è morto il Signore? aveva detto mia mamma, giacché quella seconda festa a Fagnano fu di venerdì santo; e mi sentii tra due fuochi, che rievoco e riattizzo. Da una parte il rigore bigotto materno, dall’altra la disinvoltura agnostica di Beatrice. Ero ancora un po’ timorato della religione, prossimo a gettarmi nella vita vissuta. Mio padre si limitò a dire, bontà sua, ma è ricca? laconico e sconsolato, carico di tutto il peso di una situazione inedita da affrontare.

    Sì, Beatrice è ricca. Quella volta non avevo risposto. Adesso me lo lascio sfuggire dalle labiali, tanto i miei genitori non si accorgono di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1