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Prima o poi torno
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Prima o poi torno
E-book185 pagine3 ore

Prima o poi torno

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Info su questo ebook

rima o poi torno è una raccolta di racconti con protagonisti giovani italiani emigrati a Bruxelles, storie di vita di “cervelli in fuga”, che vivono e lavorano nella capitale europea.
Il filo conduttore dei racconti è il desiderio, comune a molti di loro, di tornare alle proprie radici, nonostante l’Italia sia ancora incapace di trattenerli come “teste pensanti”.
L’obiettivo dell’autrice è quello di dare una speranza ai suoi coetanei, mostrando che all’estero, se si ha talento, ce la si può fare. Basta essere determinati e credere in un sogno.
Allo stesso tempo, il libro descrive la realtà di Bruxelles, con cui la maggior parte degli italiani ha un rapporto “conflittuale”, essendo una città di passaggio, con dinamiche a sé, rispetto a quelle che in genere contraddistinguono le altre capitali d’Europa.
Nel libro si riscontra una forte componente autobiografica. La visione dell’autrice di Bruxelles fa da sfondo a tutte le storie, che nascono da lunghe interviste con i personaggi protagonisti.
Cronaca, racconto e autobiografia si intrecciano fino a creare una sorta di “reportage narrativo”.
All’interno del libro si ritrova l’amore dell’autrice per i grandi cantautori italiani, tanto che a ogni personaggio, all’inizio e alla fine di ciascun racconto, sono dedicate due canzoni.
LinguaItaliano
Data di uscita9 set 2015
ISBN9788868810726
Prima o poi torno

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    Prima o poi torno - Federica Gramegna

    Federica Gramegna

    Prima o poi torno

    Èchos 26

    © 2013 Edizioni Ensemble, Roma

    Edizione digitale settembre 2015 

    ISBN 978-88-6881-072-6

    www.edizioniensemble.com direzione@edizioniensemble.com

    Edizioni Ensemble

    ISBN: 978-88-6881-072-6

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    ​Preludio

    A Bruxelles

    Collana Echos

    Federica Gramegna

    Prima o poi torno

    A mia madre,

    che con i suoi insegnamenti mi ha permesso di

    realizzare il sogno più grande.

    E ai miei due angeli che, a un cielo di distanza, vedo

    sorridermi da dietro una nuvola.

    ​Preludio

    Una valigia color cartone, il manico è rigido e tu lo tieni stretto. Ti avvolge, come la pioggia che si prepara a scendere da nuvole grasse, poco rassicuranti.

    Aspetti un taxi, i clacson ti assordano, la folla attorno a te di te non si accorge. Eppure sono loro. Le strade rumorose che hai percorso distratto prima di arrivare a scuola. I tragitti fatti mano nella mano con la tua migliore amica. L’ambulante all’angolo con il volto sfigurato dall’attesa. Le campane di mezzogiorno che hanno orchestrato il tuo primo bacio. Il tuo vicino in bici, rumoroso ma affidabile. I volti e gli amori vissuti, o troppo tardi conosciuti. Lui che avrebbe voluto essere tuo amico, ma non ne ha avuto il tempo.

    L’orologio segna le quattro, vedi il taxi in lontananza e intanto ti domandi perché sei uscito così in fretta. Forse un trillo di telefono, pochi minuti fa, avrebbe reso una persona felice o te molto più triste.

    Ma è tardi, sei già dentro. All’aeroporto, grazie.

    L’ultima parola la pronunci piano, quasi sottotono. Poi volti la testa verso il finestrino.

    Piccole gocce tintinnano lungo il vetro. Cadono lente, preludio di quel che ti aspetta. Come il tuo sorriso, ora.

    Istantanee della tua vita battono tamburi, a ritmo di violini, in una lacrima di zucchero e cartone.

    È anche questo la tua generazione. 

    A Bruxelles

    Cara Bruxelles,

    così uniti credo tu ci abbia visto tante altre volte. nei vicoli della Grand Place, a mangiare una gauffre calda con cioccolata e miele; al Sablon, con le mani piene di cioccolatini firmati Marcolini; nel quartiere très chic di Avenue Louise, a fare shopping, prima di riprendere il tram verso casa; in Place du Luxembourg, per gli amici Place Lux, con una birra in una mano e nell’altra il cellulare a urlare a gran voce Ci sei?; in Place Jourdan, da Mamma Roma, a tirare le somme sulla pizza in Belgio; a saint Géry, che per arrivarci segui il mappamondo, e infine nelle nostre case: Rue du Cornet 46, Avenue de Tervueren 143, Rue du berceau 11, Rue Franklin 6 e tante altre ancora…

    Luoghi cult che ci hanno visti ridere, domandare, chiedere di noi, di loro, dei presenti e degli assenti. Perché? Perché non si sa mai.

    Nelle nostre case si mangia tanto e all’italiana. niente cozze e patatine fritte, ma l’amalgama internazionale di spagnoli, greci e francesi non manca mai. E i miei connazionali dove sono?, ti starai chiedendo insoddisfatta. Ci dispiace, ne conosciamo pochi, anche se ci abbiamo provato, credici.

    noi italiani facciamo comunella, si sa, e intanto fuori tu non ci risparmi la pioggia. Certo che con questo clima è difficile resistere alla tentazione, ma poltrire a casa è assolutamente vietato dalle regole del gioco. Quello frenetico, di squadra, che qui ti prende e ti fa conoscere, avanzando pretese.

    stasera però siamo tra di noi, possiamo anche fare a meno di giocare. Per stare bene ci basta solo una chitarra che ripercorra la cultura e la canzone della nostra bella Italia. Riparati tutti sotto la stessa tettoia, insieme, alcuni per coraggio, altri per paura. Guardaci ora, Bruxelles, e ascoltaci. Al diavolo le discoteche. Quello che abbiamo da dirti parla di te, di noi dentro te. Grazie per averci lasciato entrare. Il badge che ci rilasci è speciale, ma ce lo giocheremo poi. Ora parliamone. A tu per tu, o meglio, in tre per te.

    Lei ora può solo origliare. Pensarvi insieme mi fa palpitare.

    E allora è giunto il momento di iniziare a raccontarsi. Tu continua pure a incidere i minuti al ritmo frusciante del vento, ma lascia che ci si narri tutti, nello spazio di poche pagine che dedichiamo anche a te, crocevia di stranieri passanti, forieri di speranze, con l’ombrello aperto sul mondo ad aspettare che piova, per guardarti dentro e riscoprirsi se stessi, lontani, eppure vicini, a un tempo passato quando tu ancora non ci conoscevi.

    Poi un giorno, disegnando un labirinto di passi tuoi per quei selciati alieni, ti accorgi con la forza dell’istinto che non son tuoi e tu non gli appartieni e tutto è invece la dimostrazione di quel poco che a vivere ci è dato e l’Argentina è solo l’espressione di un’equazione senza risultato, come i posti in cui non si vivrà, come la gente che non incontreremo, tutta la gente che non ci amerà, quello che non facciamo e non faremo.

    Francesco Guccini, Argentina

    Questa è una storia che inizia da lontano, da un pezzo di terra verde che confonde lacrime e sapere. Il nostro, quello dei padri e di chi ancora si fermerà ad ascoltare, ora in silenzio, ora domandando, il racconto di un destino, di una generazione tutta da narrare.

    Anche quando il riflesso della luna smaschererà gli anni, poggiando la luce sui loro volti solcati dai ricordi. E allora non si farà mai notte.

    Al chiarore della luna, un eterno fanciullo balla audace il suo ultimo tango.

    Maximo ha gli occhi del bambino che è stato. non ha fretta di dire il presente, alcune frasi sono sgrammaticate, l’accento rivela subito la sua origine, finché una nenia aggraziata non si leva a cantare l’Italia. Quella della domenica mattina trascorsa in famiglia a casa dei nonni paterni, che fa di Dante il portabandiera della nostra lingua. La sfida, per il piccolo Maximo, è imparare l’italiano per leggere la Divina Commedia, che inizia a sfogliare a soli quattro anni.

    La lettura dei gironi danteschi, in braccio al nonno, si alterna ai racconti di una Roma che sulle sue carrozze, all’ombra dei pini, lungo il Tevere in ascolto, porta a spasso le belle ciumachelle che salutano i soldati con un goodbye my darling. Le stesse fanciulle che la sera rimangono affacciate, con il cuore in attesa, sui balconi in fiore. È il popolo delle dolci ninarelle, dei cantori e degli uomini in doppio petto che con audacia sanno di dover ricostruire il Paese sulle rovine del passato, infondendo speranza, senza mai dimenticare lo stornello e la canzone. La cultura italiana del dopoguerra, quella Roma forestiera e cittadina, artista e contadina, le cui origini di popolarità e sfarzo narrano al contempo una storia vecchia di mille anni, ma fresca di poche ore, quelle che succedono allo sbarco degli americani.

    Qualcuno glielo avrebbe dovuto dire che bastavano la salute e un paio di scarpe nuove e poi avremmo girato il mondo accompagnandoci da noi, senza troppi fronzoli. D’altronde il thank you filoamericano poco si intona con quel grazzie, pronunciato alla romana, più facile da rimare, da arpeggiare, e per Maximo – che ascolta con la testa appoggiata alla spalla del nonno – da amare e portare in sogno fino all’alba dei giorni venturi.

    L’Italia è lontana. La separano dall’Argentina i pascoli e i passi delle donne che incedono fiere sulle orme dei loro figli. Come quelli della mamma e della nonna paterna di Maximo che accompagnano la sua crescita con racconti diversi, ognuno popolato dalla presenza del bel Paese, l’una argentina ma di genitori italiani, l’altra italiana da generazioni.

    È soprattutto grazie alle loro storie che agli occhi di Maximo l’Italia diventa speciale, proprio perché distante, tanto che per lui, ogni giorno che passa, è sempre più difficile capire le ragioni che hanno spinto i suoi genitori, e ancor prima i suoi nonni, a trasferirsi in Argentina. In realtà, non sa che il viaggio della sua famiglia sarebbe dovuto durare giusto il passaggio di qualche stagione. Invece di anni ne passano. In mezzo ci passa quasi tutta una vita. E a furia di ricordare, non ci si accorge che sta suonando la campana. A festa. Forse è ora di tornare. Ma dove, in quali luoghi? Innanzitutto, lungo il tragitto Brescia-Roma. Un itinerario divenuto mitico, nell’immaginario di Maximo, in quanto percorso dal nonno in bicicletta, in seguito all’8 settembre del 1943. Una storia leggendaria, che narra di spari di cannoni lasciati oramai a tacere alla spalle di una strada fangosa e impolverata. suo nonno sì che è saggio. ne sa di tutto, da Dante ai fumetti, e poi ha pedalato tanto, lui. Un giullare sempre pronto a recitare, oggi una poesia domani un consiglio, per il nipote che gli cresce accanto con lo sguardo di chi presto avrebbe avuto negli occhi la coltre della malinconia.

    saggio, e altrettanto cocciuto, al punto che il giorno in cui Maximo subisce a cinque anni il suo primo intervento al cuore, decide che suo nipote deve conoscere l’Italia e che questa speranza non sarebbe stata ricordata solo come il consiglio di un buon vecchio, ma come un insegnamento di vita, di quelli che ti porti sempre dietro, anche quando pensi siano ormai superati perché non hai più l’età per certi sentimentalismi.

    Passano pochi mesi e quella frase perentoria – è il lontano 1986 – si traduce in realtà, cambiando per sempre il futuro del nostro protagonista.

    La prima volta che Maximo vide Roma gli sembrò troppo grande per lui, un’immensa collina di luci e fontane. Mentre immaginava i gladiatori lottare nel Colosseo, e lungo i fori imperiali cresceva l’orgoglio delle sue origini, si chiedeva cosa fosse quel pulsare forte nel petto, quel sorriso che, camminando sui sampietrini della città eterna, non va mai via. Lo capirà poi.

    La testa sempre in alto a guardare le finestre dei sontuosi palazzi romani che si nutrono delle voci del popolo. Certo l’architettura è assai diversa da quella delle case in Argentina, ma a Maximo lo spirito sembra lo stesso. I trasteverini, davanti alla chiesa di santa Maria in Trastevere, accordano chitarre e vendono souvenir, dispensando a tutti un sorriso. In fondo, se avessero anche loro le nacchere, sarebbe come a casa.

    In Argentina, però, non avrebbe avuto la Rossa, una Ferrari da collezione che gli regala uno dei nipoti di suo padre, Massimo, insieme ad altri modellini di macchine antiche. Una più bella dell’altra, che ti viene voglia di imparare a guidarle, quando devi ancora capire come funziona un motore. Tanto ci sono i pedali a portarti al di là della sponda. Tra i due cugini, che si incontrano per la prima volta a Roma, ci sono ben tredici anni di differenza, ma a unirli è la passione per le automobili. Maximo non sapeva che quel ragazzo, all’epoca maggiorenne, avrebbe voluto intraprendere in futuro la sua stessa carriera, studiando Economia e Commercio, per poi andare a lavorare all’estero, magari proprio a Bruxelles. Peccato, però, che il motore, dopo averne capito il funzionamento, possa rivelarsi astuto fino a ribellarsi e non rispondere più ai comandi. nemmeno a quelli di un bravo oratore, quale sarebbe diventato Massimo se il motore non si fosse spento di botto nel 1990. In uno scontro di macchine, che bruciò il suo destino su un cemento di sogni infranti.

    Durante il viaggio di ritorno in Argentina, Maximo ha la sensazione di aver dimenticato qualcosa laggiù, non un fumetto, non un giocattolo. non conosce il termine esatto per definire quel che si è lasciato indietro, ma qualsiasi cosa essa sia, sente che un giorno viaggerà per riprendersela. E la metterà nel suo zaino. È sicuro che il padre gliene prenderà uno più grande, una volta cresciuto. serve tanto spazio, di tempo ce ne sarà da aspettare, ma dopo averla presa la terrà al caldo, sulle sue spalle. Probabilmente per sempre.

    L’occasione per tornare indietro, e capire, arriva solo al suo diciottesimo compleanno. Il nonno gli aveva promesso che come regalo per la maggiore età lo avrebbe portato lungo l’itinerario Brescia-Roma, per ripercorrerlo insieme in bici, proprio come aveva fatto lui ai vecchi tempi. Maximo aveva trascorso intere giornate a prefigurare il cammino, in compagnia del suo zaino, depositario di ogni memoria. Certo, sarebbe stata dura, forse il nonno si sarebbe dovuto allenare un po’, ma non si poteva dire che non fosse in gamba. Alla sua età aveva ancora la forza di litigare con la moglie. Questo viaggio, in confronto alle loro accese discussioni, sarà una passeggiata, pensava. La resistenza c’era e il fiato pure. Eccome.

    E invece, tutto a un tratto, il nonno torna in Italia, ma senza di lui. Maximo non immaginava, al ritorno da una gita scolastica di pochi giorni, che ad attenderlo ci sarebbe stata solo una poltrona vuota, la stessa su cui si era sempre seduto da bambino per ascoltare, più da vicino, i suoi sapienti racconti.

    I genitori non sanno cosa dirgli e prendono tempo. non hanno certo la stoffa da romanzieri del vecchio saggio che ha cresciuto loro figlio.

    Ma Maximo non ha bisogno di troppe parole, lo intuisce da sé dopo un momento di profondo silenzio. Il nonno non sarebbe più tornato e quel lungo tragitto, da Brescia a Roma, lo avrebbe dovuto affrontare da solo con uno zaino che ora, a metterci le ceneri di famiglia, si sarebbe riempito di rabbia e frustrazione, o forse solo di immatura incomprensione.

    Maximo capisce che i genitori non gli hanno detto tutta la verità. Perché il nonno, la persona che lo avrebbe dovuto portare in Italia a fargli conoscere le meraviglie del suo Paese, era morto proprio lì senza mantenere la promessa? Perché era partito sapendo che qualcosa sarebbe potuto accadere? Quante domande nella testa del piccolo Maximo. E purtroppo, accanto a loro, ben poche e confuse risposte. Il nonno soffriva di cuore e le complicazioni, si sa, lontano da casa sono sempre più difficili da sopportare. Eppure lui era così saggio, possibile che non conoscesse i rischi della malattia?

    L’Italia lo aveva fottuto, proprio lui che l’aveva amata tanto.

    Ma allora perché Maximo avrebbe dovuto esaudire il desiderio del nonno e tornare a Roma? In fondo, avrebbe potuto piangerlo anche in Argentina, pur senza una tomba su cui chinarsi. D’altronde, tra le mandrie al pascolo, è tutto un incedere di passi dalla memoria lunga. Lavorano la terra che il sole brucia di nostalgia. A cavallo dei suoi raggi, un’intera generazione non conta più gli anni al passato e per ogni figlio portato in grembo vi è l’idea che qualcuno, dopo di loro, ritroverà la pace. La fortuna, quella per cui si era partiti allora, l’hanno già fatta. Dalla vita non possono pretendere altro.

    Maximo, invece, aveva ancora l’età per chiedere. E chiedeva solo di non dover scegliere. Tra un ritorno, che avrebbe significato ammettere la morte del nonno, e uno zaino da riporre per sempre nell’armadio, insieme a tutti i souvenir e alla palla di vetro con Roma in miniatura, che avrebbe obliato di colpo il suo sogno più grande. sarebbe stato come farlo morire due volte, ma accettare, dentro di sé, l’eternità dell’affetto. Che decisione grande da prendere. E Maximo è ancora troppo piccolo. In quel momento non poteva che lasciar riposare la mente e andare a

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