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Per non dirlo a nessuno
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Per non dirlo a nessuno
E-book132 pagine1 ora

Per non dirlo a nessuno

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Info su questo ebook

Narrativa - romanzo breve (80 pagine) - Un bambino solo di fronte alle proprie paure. Paure reali, concrete, fatte di lacrime e costrizione in una scuola-prigione animata da suore minacciose, carceriere di sogni e armate di mani pesanti con le quali ferire, spezzare, picchiare…


Che può fare un bambino? Cosa può pensare, quando la violenza entra nella sua vita mascherata da bontà e autorevolezza? O quando la distrazione dei grandi impone un “non dirlo a nessuno” così assoluto e testardo?

In questo vuoto annaspa raccontandoci le disgrazie di quel tempo, i maltrattamenti perpetrati dalla “madre”, i dialoghi con la morte e il ripetersi angosciante della paura, le azioni forti e terrificanti per il non poter urlare al mondo il proprio dolore.

Una lotta contro mostri e incubi che trova rifugio in giornate rabbiose, talvolta disperate. Ma anche giornate con la luce dell’infanzia appiccicata addosso, con tutta la sua gioia e incoscienza, con una spontanea e irriverente capacità di leggere i fatti drammatici tipica di quell’età.

Un bambino che riuscirà, nonostante tutto, a trattenere la bellezza che è dentro di lui; la tratterrà con giochi di anguille nel fosso davanti a casa, con la fortezza del suo gigantesco mondo interiore; ma lo farà gridando la rabbia che lo divora e lo incattivisce, che lo rende assassino. A dispetto di chi l’avrebbe soffocata, salva la sua parte più autentica attraverso le stagioni, la natura, gli odori, il sesso, a cavallo della sua fervida mente, con il suo coraggio. E ogni stagione lo troverà ancora integro di fronte alle brutture, mentre lui gioca, sogna, si ribella.

Questo è un libro voluto per raccontare il dolore del “non dirlo a nessuno”.


Federico Barsanti, attore e regista, guida di Strategia Poetica, tiene corsi di recitazione presso la sua scuola in Toscana. È autore del libro Signora Porzia, Ricette per la Felicità ispirato al suo omonimo personaggio teatrale in tour in Italia ed Europa e di Noi sventratori d'organi, raccolta di poesie. Ha partecipato come attore in vari video-clip e cortometraggi tra cui per Rai-Hbo, per SumatraVideo, protagonista nei cortometraggi DispenserRicette dell’orto di PorziaThe rebels; protagonista del video clip Non sparate al giornalista del cantautore Luca Bassanese per Aida Records. Per TripodPhoto Productions è stato voice-over in documentari scientifici e divulgativi.

LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2020
ISBN9788825411249
Per non dirlo a nessuno

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    Anteprima del libro

    Per non dirlo a nessuno - Federico Barsanti

    divulgativi.

    A mia madre e a mio padre, Mariarosa e Amedeo

    Ai miei fratelli, Susanna e Riccardo

    Chi commette un'ingiustizia

    è sempre più infelice

    di quello che la subisce.

    Platone

    Una vocazione può essere rimandata,

    elusa, a tratti perduta di vista. Oppure

    può possederci totalmente. Non importa,

    alla fine verrà fuori. Il daimon non ci abbandona.

    James Hillman

    Trascorrendo

    la vita

    essendo effetto

    di lei.

    Passeggiando

    sul tempo del mio corso

    come il buon fiume

    scorre l’acqua

    tra i sassi suoi.

    Abbandono.

    I

    Il Gitano suona fogli ammucchiati su una strada che porta chissà dove.

    La pioggia punzecchia il viso ed è allegro ridurre sempre più la vista, macchiata come vetri bagnati. L’uomo, tra i trenta e i sessanta, muove la fisarmonica e siede su un mucchio di giornali, mentre la gente corre verso un riparo.

    Ha da qualche ora buttato il sedere a terra e ride suonando musica. Musica mediterranea, strappata dalle radici del sud Europa.

    Canta, lo strimpellatore, e nessuno bada ai capelli crespi e alle mani giovani. Io mi fermo sopra la sua testa, sul muro di cinta della ferrovia, senza che si accorga. Arrotolo una sigaretta battendo il tempo alle note che s’infilano tra i binari, pensando alla paura della morte che spesso ci accompagna. Canta, il gitano, canta senza muovere le labbra.

    Grandi cumuli di immondizia affiancano le strade del paese: la nettezza urbana non ritira niente a causa di un guasto all’inceneritore. Un’incredibile varietà di colori fiancheggia il passaggio. Nella fine del giorno trovo vecchie cose che mi seducono senza pietà e vedo la morte avvicinarsi come un ragazzino che va sbadato. Sono le ore verso sera, e i raggi passano da qualche spiraglio all’orizzonte.

    Al bar della stazione ci sono i soliti, a giocarsi due parole sulla politica italianamericancecoslovena, a mestare le carte e a prendersi in giro malamente. Sembra che i tavoli ne abbiano piene le scatole di ospitare gomiti e culi di bottiglie; anzi è proprio così, non ne possono più di accogliere ed essere lasciati di continuo.

    Il gitano sembra aver trovato qualcuno: è un vecchio che batte il tempo con delle asticelle di ferro su un bidone. La musica si è fatta cupa, ora, densa di presagi, di gallerie scavate sotto case brulicanti di mistero; il mondo sotterrano di un poeta musicista che urla la morte della terra. Lo fa in tedesco, e io non capisco che alcune parole.

    Ma non c’è bisogno di traduzione. Suoni freschi come l’aria della sera, con le prime luci che si accendono sulla strada, dietro le finestre, nelle cucine di pentole sui fornelli.

    Ci siamo dati appuntamento al vecchio muro della ferrovia, ognuno con la propria mercanzia e il tempo infilato nella tasca dei calzoni.

    Non piove più. Un gruppo di ragazzini si è avvicinato ad ascoltare; questo angolo del paese offre oggi un buon motivo per stravaccarsi a pensare, a scrivere, a dormire…

    Avrei voluto imparare a scrivere, ma da ragazzino non volevo saperne di stare sui quaderni; avrei voluto imparare a leggere, ma questo mi nauseava ancor più. C’erano troppe cose che non mi lasciavano il tempo di trovare la voglia e non c’era nessuno che aveva la pazienza di farmi imparare. Andavo anch’io a scuola, come vanno di certo questi bambini dagli occhi luccicanti di guai. Andavo tutte le mattine a prendermi la mia razione di botte e abitavo là fino alle quattro del pomeriggio.

    Sono contento che questi ragazzini si siano fermati qui; otto malandrini dalle facce incantate, con le mani lungo i calzoni sudici, e un miglio di idee in testa da rivoltare mezzo paese. Mi piacerebbe entrare nelle loro teste, provare anche per un solo istante. Rivedere il cortile della scuola, le persiane, le ragazzine, i fossi, le pinete, le suore alte due metri, i temporali…

    Chissà se esiste un modo per farlo, come chiudere le mani e saltare sul muretto tre volte, incrociare gli occhi a testa in giù, fare il giro della piazza nudo… Cominciare una storia dalla metà. E dov’è, la metà di un ricordo?

    Il circo

    di bambini

    stracciati

    annuncia

    i pellegrini

    dai piedi fasciati.

    Circo

    nel mezzo al parco.

    Sul fondale

    del fosso

    il cortile

    schiamazza

    da finestre

    vestite a Natale

    dove il cinema

    ostile

    s’ammazza

    giorno dopo giorno.

    II

    Sulla fine del pomeriggio io ed Enrico ci battemmo, dietro due grossi mucchi di macerie che gli operai avevano ammassato in fondo al parco della scuola: ristrutturavano il vecchio cinema pieno di muffe, dove un paio di volte all’anno ci portavano ad assistere alla proiezione di un film; l’ultimo era stato quello sulla vita di Gesù Cristo.

    Tra me ed Enrico fu una faccenda vera, un’avventura tra ragazzini vogliosi di fare quello che gli passa per la testa. Da un mucchio all’altro scaraventavamo sassi e sassetti a tutta forza, fingendo forse di essere nella guerra che vedevamo alla televisione o sulle fotografie nei libri. Ma forse volevamo solo vivere il pomeriggio che ci portava fuori dalla prigione del convento, la rabbia.

    Il convento era di suore vestite da monache venditrici di liquirizie e insegnamenti. Donne, come capii essere molto tempo dopo. Esseri umani: erano, sono e saranno. Traditrici bastarde!, mi urlavo dentro tra i lecci e lo spiazzo coperto di asfalto, traditrici

    Il pomeriggio sbraitava sulla via d’uscita, ma io ed Enrico ci eravamo nascosti a tirarci sassi in faccia, a imbiancarci i grembiuli e le mani, e, dopo una lunga battaglia, un sasso scagliato dalla mia mano andò a colpire il mio amico sotto l’occhio sinistro.

    Zampilli di sangue quanti non ne avevo mai visti sgorgavano dal volto di Enrico. Zampilli di botte e castighi coprirono il mio pensiero all’istante, e fui incapace di soccorrere il mio compagno.

    Il terrore. Enrico scompariva dietro il mucchio di pietre con le mani sul viso e un lamento che si alzava sempre più fastidioso nell’aria, mentre le campane suonavano e i cancelli della scuola venivano aperti come ogni volta.

    L’omino con la barba entrò a vendere i dolciumi con il suo carretto. Quest’uomo mi faceva ogni volta pensare ai paesi delle giostre volanti, ai pomeriggi estivi trascorsi sul litorale di questi paesi che per alcune settimane si fermavano sospesi. Ma mi rendevo conto che egli non aveva niente a che fare con loro, perché avevo sempre sentito dire che i giostrai vivono nelle roulotte, mentre io sapevo bene dove questo vecchietto abitava.

    Entrò in sella alla bici-carretta, e io provai subito il desiderio profondo di essere lui, o un bombolone, o il cassettino delle monetine. Mi sentivo solo, gettato nella sventura di aver colpito il mio compagno, e intrappolato in ciò che di lì a poco sarebbe avvenuto.

    E cosa potevano, tutti i carretti di dolciumi, i lecci del parco o i ragazzini miei compagni di scuola? Dovevo sbrigarmela da solo e aspettare quello che qualcun altro avrebbe deciso di me, senza ascoltarmi. Che poi, che cosa avrei avuto da dire? Soltanto che l’omino, con il suo carretto, era tanto buono con me perché me lo sentivo e il suo aiuto era vero? A una domanda soltanto avrei dovuto rispondere di lì a poco, e una sola risposta ci sarebbe stata. Chi aveva colpito?

    Andò così. Arrivarono le gendarmi della scuola, alcuni a soccorrere il ferito e altri in breve giunsero da me con passi svelti, prendendo subito a tirarmi di qua e di là, chiedendo a gran voce se mi rendessi conto di quello che avevo fatto. Io sapevo soltanto che le avrei prese di

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