Storia di me, Sam
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Anteprima del libro
Storia di me, Sam - Giovanna Sambugaro
COLLANA LIFEBOOKS
Tutti i diritti riservati Pubme Collana LifeBooks
Prima edizione maggio 2024
ISBN
Grafica di copertina: Optima Agency from Adobe Image
Impaginazione: LifeBooks
www.lifebooks.it
IG lifebooks_ed
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi eventi narrati sono il frutto della fantasia degli autori. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte ed eventi è da considerarsi puramente casuale.
Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’autore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941)
Giovanna Sambugaro
Storia di me, Sam
Questo lavoro è dedicato a me stessa,
all’ entusiasmo con cui l’ho realizzato,
alle cose semplici, ma profonde, al bisogno di
affrontare la vita con più leggerezza.
La storia che mio padre mi raccontava sempre riguardava un ragazzo di tredici anni e mezzo; insomma, quasi quattordici, per la precisione e sembrava una narrazione come tutte le altre, forse lo era e forse lo è. Comunque sia, mi piaceva molto stare a sentirla, era un’occasione perfetta per passare un po’ di tempo con lui.
Dove sono stato fino ai 3 anni?
Mi accorsi che le fotografie, che avrebbero dovuto farmi prima dei tre anni, mancavano. Non ero stupido, certo piccolino per la mia età, ma solo di aspetto, perché di cervello c’ero. Piano piano iniziai ad arricciare il naso, a chiedere perché, a emettere suoni tipo ahm
, ehm
, mi sedevo sopra il pavimento di roccia del cortile, con i gomiti sopra le ginocchia e mi chiedevo se due più due facesse sempre davvero solo quattro, provavo con le dita, con i sassi, con gli alberi e con le mosche che riuscivo a schiacciare, per non parlare delle oche, con quelle sì che andavo bene a contare, visto che giravano sempre in fila indiana, proprio come i miei pensieri. Dunque, le ballerine brave, bravissime a danzare sulle punte, a fare le piroette, dal corpo snodabile e vestite di un tutù di velo bianco. Il viso soave, dall’aria leggera e sorriso dolce non le vedevo, le immaginavo e basta. Già, quegli esseri angelici in realtà erano sagome e nebbia. Nebbia bianca e grigia, a questo punto mi viene da pensare di essere stato vittima di esserini dispettosi, che di nascosto ridacchiavano di me. Non si fecero mai vedere, nonostante lo spettacolo prendesse vita sotto la luce di quei riflettori che erano i miei occhi, quella luce che di solito abbaglia gli attori e i ballerini, non di certo il pubblico. Santo cielo, non mi schiariva le immagini.
La grappa, in genere, offusca di meno il cervello, a meno che non la si secchi del tutto. Nonna, grappa o no, voleva dare un colpo di scopa sulle chiappe di quelle belle ballerine; a lei piaceva essere pratica.
In terza media non arricciavo più il naso alla non ho capito molto
, avevo capito eccome. Ero nato da una pancia, una pancia senza volto né nome, semplicemente una pancia, che faceva parte di un corpo, che, una volta portato a termine il lavoro, aveva dato alla luce un bambino con i capelli rossi, i ciuffi non ancora ribelli (troppo corti per esserlo) e il corpicino smilzo.
Qui mi sbagliavo: non era un bambino, era un’ombra, nessuno aveva mai visto quella pancia, forse nessuno neanche sapeva se ci fosse un bambino dentro. Fu nonna a