La Grande Maria
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Anteprima del libro
La Grande Maria - Angelo Poggio
MASTERS
…E anche quella volta, seppure avessi promesso solennemente a me stesso di controllare la macchina prima di partire, non me ne occupai assolutamente.
No, non sono il viaggiatore scrupoloso che prepara le partenze nei minimi particolari.
Sarà che inconsciamente voglio nascondere a me stesso il fatto che parto. In fondo non mi è mai piaciuto partire.
Da bambino, quando tutta la famiglia era in preda all’eccitazione della partenza per le vacanze, a me prendeva la nausea. Sinceramente non riesco a ricordare perché mi sfinivo tra i conati di vomito. D’altronde, a ripensarci, mi pareva anche inutile l’entusiasmo degli altri visto che si andava sempre nello stesso posto, con la vecchia auto, per le medesime strade, e avremmo trovate immancabilmente le stesse persone.
A meno che, nel frattempo, qualche vecchio non avesse reso l’anima al Creatore.
L’incontro tra chi non si vede da parecchio tempo è sempre un’incognita. Si ha il timore di chiedere come sta questo, come sta quello, sempre pronti a sorridere o fare quella faccia di circostanza tra il tragico e il <
Quando ci si imbatte in un conoscente non più giovanissimo e si domanda: <<..e tuo padre come sta?>>, i casi son due, o è vivo o ci ha lasciati. Nel secondo caso ci si pente immediatamente di aver posto la questione e, pur non fregandocene nulla, si resta inebetiti non sapendo più come continuare.
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Domanda idiota, perché in base all’età si deve poi trovare un’adeguata conclusione.
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In fondo sulla morte si deve saper ironizzare, basta mantenere il dovuto rispetto.
Nella grande maggioranza dei casi si ha il primo contatto con la nera falciatrice quando i nonni smettono di respirare. Ricordo ancora quando mi trovai di fronte al cadavere del padre di mio padre già disposto in una cassa di legno apparentemente massiccio, nella sala di una casa di campagna, la stessa che alcuni giorni prima ci aveva visto tutti alzare il calice per il suo novantesimo compleanno.
I numerosi <uno
non sarebbe mai stato affiancato.
Mia nonna si avvicinò e, sottovoce, quasi col timore di essere udita da altri, mi rivolse alcune parole che ancor oggi a tanti anni di distanza, vagano indelebili nella mia mente:
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Mica lo avevo ammazzato io! Eppure quella frase mi suonò come un’accusa. Mi guardai intorno cercando inutilmente comprensione negli sguardi degli astanti, ma nessuno aveva udito nulla. Cercai di rimediare in qualche modo ad un’eventuale mia responsabilità e, non trovando di meglio, mi misi a smoccolare i ceri piazzati ai quattro angoli del catafalco. I parenti che si presentavano mestamente mentre trascorrevano le ore, indossavano tutti il vestito della festa ed ognuno si chinava con reverenza a baciare la novella vedova bisbigliandole nelle orecchie chissà quali parole di conforto. Notai che ognuno atteggiava la bocca ad una specie di sorriso che, in seguito, ho appurato si stampa quasi meccanicamente sul viso di chi fa le condoglianze ed è ricambiato da chi le riceve. Se uno annegasse nella vasca da bagno, son certo che nel raccontare l’accaduto, il parente, userebbe parole del tipo <<è entrato nella vasca, è andato sotto, vi è rimasto troppo e (sorriso di circostanza) non è più riemerso>>.
Poi, come sempre accade quando tanta gente è convenuta nello stesso posto, si formarono gruppetti e tutti parlavano di altri morti visto che quello era l’argomento del giorno.
Tra questi episodi, quello che maggiormente attirava l’attenzione e la curiosità, era un fatto accaduto alcuni giorni prima in una cascina poco distante da quella dei nonni. Ad una donna di circa sessant’anni e di centotrenta chili si era fermato il cuore. Le case di campagna solitamente sono disposte su due o più piani e le camere da letto stanno sempre ai piani superiori.
Ora, se al quintale abbondante della defunta si aggiungono i circa sessanta chili di una bara zincata, risulta che si deve trasportare un fardello di quasi duecento chili per un’impervia e stretta scala. E’ impossibile coinvolgere quattro persone, non avrebbero lo spazio necessario per muoversi. Fortuna volle che tra il vicinato convenuto per il rosario e l’estremo saluto, vi fosse un omaccione di due metri d’altezza, con mani che parevano vanghe e una circonferenza toracica inferiore solo al suo girovita di proporzioni insolite da impedire a chiunque di poterlo abbracciare per intero.
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