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Tutte le cicatrici del mio cuore. La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi
Tutte le cicatrici del mio cuore. La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi
Tutte le cicatrici del mio cuore. La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi
E-book160 pagine2 ore

Tutte le cicatrici del mio cuore. La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi

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Info su questo ebook

La vita può essere qualcosa di estremamente semplice che il più delle volte diamo per scontato. La viviamo in maniera spontanea, quasi senza pensarci, come quando ci alziamo al mattino, come quando respiriamo o mettiamo un passo dietro l’altro per raggiungere una meta. La viviamo in maniera un po’ meccanica, ne godiamo anche, ma senza soffermarci sul valore profondo racchiuso in ogni nostro singolo e piccolo atto. Poi capita che la vita ci metta di fronte a un drammatico imprevisto che nel nostro tran tran quotidiano non avevamo considerato. Chi lo ha vissuto in prima persona lo sa. È proprio in quel momento che cominciamo a confrontarci con noi stessi e con la nostra esistenza. È a partire dalle difficoltà più dure e più ostiche che – se la vogliamo cogliere – si apre la possibilità di vivere in maniera più intensa e soddisfacente.
Questa è la storia di una giovane donna che fin dalla più tenera età ha dovuto affrontare enormi difficoltà di salute, tali da mettere in discussione la sua stessa vita o la possibilità di donarla. È una storia dura, dolorosa, ma è anche la storia di una battaglia vinta, una battaglia per la vita, la propria e quella dei suoi amatissimi figli. È proprio lottando questa lunga battaglia che la protagonista ha riscoperto il senso più profondo della vita, l’Amore, la Fede e la Speranza come ingredienti fondamentali per la vera felicità. Questa è la sua storia, ma è anche la storia di tanti e tante di noi che, nostro malgrado, ci troviamo costretti a fronteggiare momenti difficili. Questo libro, tramite la vicenda concreta della protagonista, vuole donare speranza a tutti coloro che non vogliono arrendersi ai dolorosi imprevisti della vita. 

Moira Rigon, originaria del vicentino, è diplomata ragioniera e laureata in Mediazione linguistica all’Università di Padova. È madre di due splendidi figli e questa è la sua opera prima.
LinguaItaliano
Data di uscita16 gen 2024
ISBN9791220149433
Tutte le cicatrici del mio cuore. La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi

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    Tutte le cicatrici del mio cuore. La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi - Moira Rigon

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    Moira Rigon

    Tutte le cicatrici del mio cuore

    La mia lotta contro la cardiopatia congenita e l’endometriosi

    © 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-4625-8

    I edizione dicembre 2023

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Tutte le cicatrici del mio cuore

    La mia lotta contro la cardiopatia congenita e

    l’endometriosi

    Ci sono fiori che spuntano fuori dall’asfalto o dal cemento. Sono i fiori che amo di più: inaspettati, rari e belli. Fragili e forti. Sono quelli che hanno sfidato e vinto le avversità, che sorridono alla vita. Che dimostrano che la vita vince sempre. Sempre.

    (Agostino Degas)

    Premessa

    Stavo frugando nella borsa alla ricerca di qualcosa che ora neanche ricordo. Ero distratta da un pensiero che non riuscivo a riconoscere, come la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Mentre muovevo le mie dita impazienti tra un mazzo di chiavi, un’agendina, il portafogli, una caramella lì da chissà quanto tempo e il biglietto di una amica, sentii poco distante da me una voce che mi parlava riportandomi alla realtà.

    «Hai mai pensato di scrivere un libro sulla tua vita?», una domanda pronunciata con un tono morbido ma secco, che ebbe l’effetto di destarmi di colpo dai miei pensieri. A rivolgermela era una cardiologa che ormai ben conoscevo, e che ben conosceva me, del reparto di cardiologia pediatrica dell’ospedale universitario di Padova. Alzai lo sguardo e la fissai un po’ incredula, attonita direi. Trovai quelle parole fuori luogo, fuori tempo e male indirizzate. Ma non era così, si stava rivolgendo proprio a me.

    In effetti no. Non ci avevo mai pensato a scrivere un libro sulla mia vita. Era qualcosa che francamente non avevo mai contemplato prima di allora; era un’idea cui non avevo mai pensato né un desiderio che sembrava riguardarmi, almeno non fino a quel momento.

    Di certo non pensavo di avere una vita così straordinaria che valesse la pena di raccontare a chicchessia, tanto meno di scriverne e offrirla in pasto a un largo pubblico. E perché mai? D’altronde sono stata sempre una ragazza allegra sì ma riservata, figuriamoci se mi sarei voluta mettere a nudo di fronte a tutti, nero su bianco.

    La cardiologa continuava a osservarmi con i suoi occhi limpidi azzurro cielo, coglievo in lei come una impercettibile vena di dolcezza, la sua domanda non era né una provocazione né era stata gettata lì per caso e attendeva ancora una sua risposta. Il fatto che fosse stata proprio lei a rivolgermela, lei che di storie anche interessanti ne aveva sotto gli occhi tutti i giorni, mi fece effettivamente riflettere. Le dissi: «No, non ci ho mai pensato», lei mi sorrise e, quasi distrattamente, insistette: «Dovresti», poi passò a occuparsi di altro.

    Quella domanda mi rimase dentro e continuò a gironzolare tra i miei pensieri; rimase per un po’ lì latente e ogni tanto faceva capolino in maniera garbata ma irriverente. Sì, in effetti sì, forse avevo qualcosa da raccontare e, fino a quel momento, non mi ero resa conto che farlo potesse essere importante anche per me, per riordinare alcuni aspetti della mia vita, ma che al tempo stesso potesse essere altrettanto importante per altre persone. Sì, forse qualcosa di interessante da dire l’avevo anch’io.

    Ed è così che mi sono accinta a scrivere queste pagine. L’ho fatto con un po’ di pudore e qualche legittimo timore, poi, pian piano, l’inchiostro ha cominciato a fluire dalla mia bic blu, quasi da solo, quasi senza aver bisogno del mio impulso. Insomma, ho cominciato a scrivere e non mi sono più fermata. Ho scritto ovunque, su qualsiasi pezzo di carta mi capitasse sottomano, che fosse un appunto sul tovagliolino di un bar, qualche pagina dell’agenda, fogli sparsi sul tavolo del quotidiano, quelli che poi i miei figli avrebbero utilizzato per i loro disegni e i loro allegri scarabocchi. Ho rubato tempo a tutto, ogni ritaglio, anche solo qualche minuto, era il momento giusto per mettermi a scrivere. Più lo facevo, più capivo che ne valeva la pena, più lo facevo e più non volevo fare altro.

    Tutti quegli appunti, quei pensieri sparsi, quelle pagine fitte e piene di cancellature hanno ora trovato un ordine, ed è quello che avete tra le mani. Mi auguro possano essere utili a qualcuno che le leggerà, a me lo sono state sicuramente.

    Capitolo 1

    Prima di me… i miei genitori

    Il modo migliore che ho per parlare di me e della mia vicenda è fare come un passo indietro, cominciare dal principio e il primo pensiero va inevitabilmente ai miei genitori. Già, proprio a loro; sono convinta che mai e poi mai avrebbero pensato di dover affrontare così tante peripezie e di provare così tanto dolore per permettere alla loro prima figlia di sopravvivere. Sono certa che in alcuni momenti abbiano pensato che sarebbe stato un vero e proprio miracolo se mi fossi in qualche modo salvata.

    Quello stesso giorno in cui la cardiologa mi fece quella domanda che sulle prime trovai così assurda, proprio a lei avevo chiesto se nascessero ancora molti bambini e bambine con la mia stessa malformazione o qualcosa di simile. Mi guardò un po’ sconsolata: «Sì Moira – mi disse con un’aria professionale che però tradiva un certo coinvolgimento –, purtroppo sì; neanche pochi per altro, solo questa settimana e solo nel nostro ospedale ben sei…». Rimasi basita, mi sembrava assurdo che, ancora nel 2021, nascessero così tante creature con malformazioni così gravi. Possibile che non ci fosse un modo che permettesse ai genitori di saperlo prima della nascita? Come era possibile che non ci fosse alcuna prevenzione, un modo per sapere a cosa si andava incontro?

    Mi resi conto che le mie domande erano un po’ convulse, spinte dallo stupore e dall’incredulità. La dottoressa mi sorrise ancora e mi guardò con i suoi occhi azzurri, strizzandoli appena appena, in maniera impercettibile, quasi a sottolineare la perentorietà di quanto stava per affermare: «Se i tuoi genitori lo avessero saputo prima e se avessero saputo come sei diventata oggi, avrebbero mai rinunciato ad averti?». No, naturalmente non lo avrebbero fatto, ma allo stesso tempo sapevo con altrettanta certezza che la mia sopravvivenza è stata un’esperienza talmente sofferta, dolorosa e sfiancante, che di certo non la avrebbero augurata neanche al loro peggior nemico, se mai ne avessero avuto uno.

    In effetti, mi fa piacere ricordare che, nonostante questa consapevolezza, quando mia madre rimase incinta per la seconda volta, non volle in alcun modo sapere in anticipo se anche Jessica, la sua seconda bambina, avrebbe sofferto del mio medesimo problema.

    Ora che sono madre anch’io, a distanza di anni, ripensando a questa sua scelta così coraggiosa, le riconosco un grande atto di fede, una fede incondizionata, espressione di un amore infinito, capace di affrontare il tutto per tutto. Una forza d’animo incrollabile e un sentimento così pulito e così profondo che poté dimostrare nuovamente nel giugno del 1992, quando diventò mamma per la seconda volta, poco meno di un anno dopo la prima figlia. Non fece praticamente in tempo a mettere alla luce mia sorella che già dové compiere una scelta che più sofferta e coraggiosa non si poteva, ovvero abbandonare la nuova piccola venuta alle cure amorevoli di una nostra zia, la quale se ne occupò come fosse sua figlia.

    Fu una scelta obbligata e per molti versi straziante. Quando tornammo a prenderla dopo la mia lunga degenza in ospedale, inizialmente la piccolina ebbe un moto di rifiuto nei confronti della mia povera mamma. Jessica, piccina com’era, aveva infatti vissuto questo affido temporaneo come un vero e proprio abbandono. E credo che per mia madre quella fu l’ennesima ferita, l’ennesimo dolore da sopportare, l’ennesima cicatrice ben visibile sulla sua pelle. Col tempo e con tutto l’affetto che poté dimostrarle, la bimba fu presto riconquistata al suo amore, ma in quel momento nessuno lo poteva ancora sapere.

    Quando fummo entrambe più grandi, non ho mai avuto il coraggio di chiedere a mia sorella se per caso ricordasse qualcosa di quell’esperienza vissuta in così tenera età. D’altronde, la scienza sostiene che i ricordi dei bimbi iniziano a manifestarsi solo dal terzo anno di vita. Tuttavia, a me la vita ha insegnato, e continua tutt’oggi a insegnare, che non si deve mai dare nulla per scontato, nulla è certo per sempre o dato una volta per tutte, nemmeno ciò che è scientificamente provato; la scienza – come si sa – è per sua natura empirica e continua a perfezionarsi e a inverarsi grazie all’esperienza vissuta.

    Ma facendo un passo indietro a quando ancora non c’ero, chi erano i miei amati genitori, prima che arrivassi a scombussolargli completamente l’esistenza? Erano due persone comuni, due bravi cittadini come per fortuna ce ne sono tanti, due ex contadini che, come buona parte della loro generazione, erano passati dai campi alla fabbrica migliorando per quanto possibile il loro tenore di vita. Due onesti lavoratori, gente che si alzava presto la mattina e andava a faticare. Quello del contadino è uno dei lavori più faticosi che ci sia. Un vecchio detto dice che la terra è bassa, ed è proprio così, è qualcosa che spezza la schiena, che irrigidisce le mani e spezza le gambe. E la terra non solo è bassa, ma è sempre lì, che ci sia un sole infuocato, la pioggia battente o un gelo da fermare il sangue nelle vene.

    Fin da giovani, tutti e due davano una mano alle loro famiglie, contribuivano all’economia familiare sacrificando gli anni migliori della propria vita, qualcosa che per molti ragazzi di oggi, purtroppo o per fortuna, non è nemmeno immaginabile. Ma entrambi, appena ne ebbero l’occasione, si sottrassero a quella vita così dura, a quel lavoro estenuante, il cui ritmo era scandito solo dai cicli della natura. Appena ne ebbero l’opportunità, diventarono degli operai. Non è che in fabbrica fosse meno faticoso, ma di certo meno del lavoro di campagna.

    Mia mamma, inoltre, aveva e ha ancora oggi le mani d’oro. È letteralmente una maga del ricamo e del rammendo, l’ago e la macchina da cucire stanno a lei così come uno strumento musicale e lo spartito stanno a un violoncellista della Scala. Ancora oggi sono davvero tanti gli amici e i parenti che si rivolgono a lei per accorciare i pantaloni, oppure per stringerli in vita, per attaccare un bottone particolare, per rammendare qualche indumento strappato o, talvolta, per confezionare delle tende. È molto precisa, ordinata, e veloce; lo fa con piacere e passione e con una professionalità inusuale.

    Per lungo tempo le mancò il coraggio di staccarsi del tutto dalla sua famiglia di origine. Una famiglia che, da una parte, le aveva dato una qualche forma di affetto, magari non proprio quell’affetto che comunemente lo intendiamo oggi, fatto di baci, abbracci, carezze, e, dall’altra, l’aveva tacitamente insignita al ruolo di baby-sitter e allevatrice di tutti i suoi numerosi fratelli, che nelle famiglie contadine non mancavano mai.

    Essendo infatti la prima di ben nove figli, si ritrovò fin da piccola a dover lavare a mano miriadi di pannolini sporchi, sudare sotto il sole cocente per portare a termine il lavoro nei campi, attività che oggi fortunatamente viene svolta da macchinari all’avanguardia; è sempre stata una gran lavoratrice, ma prima ancora era una ragazza

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