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L'Ordine del Sole - L'Inizio della Fine
L'Ordine del Sole - L'Inizio della Fine
L'Ordine del Sole - L'Inizio della Fine
E-book469 pagine5 ore

L'Ordine del Sole - L'Inizio della Fine

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Info su questo ebook

La Dimora delle Ombre arriva in città e, con essa, tre sinistri uomini con un piano da mettere in atto. Diana, appena diciassettenne, si sentirà catturata dagli oscuri segreti della Dimora e dai suoi residenti, in particolare dal suo misterioso proprietario, per il quale prova un'intensa attrazione. 

Inoltre, nella sua scuola arriva una nuova alunna, che sembra essere legata in qualche modo al proprietario della Dimora, e poco a poco Diana si accorgerà che tutti nascondono qualcosa. Ma il segreto più pericoloso è proprio il suo, e quando lo scoprirà non potrà più essere al sicuro.

LinguaItaliano
Data di uscita13 giu 2015
ISBN9781507111734
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    Anteprima del libro

    L'Ordine del Sole - L'Inizio della Fine - Luna Marina Soler

    L’ORDINE DEL SOLE

    L’INIZIO DELLA FINE

    LUNA MARINA SOLER

    www.laordendelsol.com

    Vedo le ombre, ad esse mi avvicino,

    e lentamente seguo il loro cammino.

    Celano qualcosa, che cosa mi chiedo...

    Non trovo risposta; guardo avanti e procedo.

    Le vedo, le sento, sono intorno a me.

    Silenziose mi attraggono, mi richiamano a sé.

    È pericoloso, me lo sento dentro,

    ma non resisto e vado loro incontro.

    Cosa cerco in esse? Non ne sono sicura.

    Percepisco un tesoro in quell’atmosfera oscura.

    Desidero trovarlo e svelare il suo mistero,

    ma il cammino è lungo, ed insidioso il sentiero.

    Qualcuno mi segue! Sento il suo passo!

    Mi segue in silenzio, senza far chiasso.

    È la signora del posto che veglia sulla mia sorte.

    Colei che ora è la mia fedele compagna: la morte.

    Molti si introducono nel suo territorio,

    ma pochi lo fanno con il mio desiderio.

    Sono pochi coloro che vogliono svelare il suo arcano,

    e coloro che ad esso sopravvivono ancora meno.

    La notte era più buia che mai. La luna sembrava essere andata via ed aver portato con sé tutte le stelle. Nelle campagne non c’era anima viva ma, nella tarda notte, i tre uomini camminavano per le vie di una piccola città. I pochi lampioni presenti facevano luce sufficiente perché chiunque passasse da quelle parti si pentisse di essere uscito di casa, alla vista di quei sinistri personaggi. Non che fossero brutti, ma i loro volti, da specchi delle loro anime quali erano, mostravano che queste non erano esattamente candide.

    L’uomo più grande dei tre aveva gli occhi scuri come il cielo in quel momento, la pelle bianca come la neve e un’espressione crudele sul volto. L’uomo accanto a lui era più giovane, sulla venticinquina, con la pelle più colorita, anche lui con gli occhi scuri e un’espressione simile a quella del suo compagno. Il più giovane era quello che sembrava più umano, e senza dubbio era il più carino. Aveva i capelli castani, la pelle rosata con sfumature color cannella, occhi color ambra (anche se non si potevano apprezzare per la scarsa luce), era più alto dei suoi compagni e il suo viso mostrava amarezza.

    Fu lui a parlare:

    -Domani inizia la scuola, e ancora non sappiamo in quale va né dove vive. Per prima cosa, entrerò in tutte le scuole fino a trovarla, e lì distribuirò i volantini pubblicitari della Dimora.

    -Credi che sospetterà qualcosa?- chiese l’uomo più grande.

    -Forse penserà che ci sia qualcosa dietro, ma di sicuro non potrà mai immaginare cosa.

    -Quanto tempo ti ci vorrà?

    -Difficile dirlo, ma dopo tanti anni che ho aspettato questo momento, a dire il vero non mi fa differenza che siano settimane o mesi.

    -Sai che il tempo massimo è di sette mesi- ricordò prontamente l’altro uomo giovane.

    -Lo so, e non credo mi ci vorrà così tanto. Voi occupatevi del vostro lavoro, che io mi occuperò del mio- concluse il più giovane.

    Nessuno rispose, ormai avevano detto tutto; continuarono a camminare con passo tranquillo, entrando ora in una strada larga e molto più illuminata.

    1

    LA DIMORA DELLE OMBRE

    -Che strano sogno- pensai appena aperti gli occhi. Presi la sveglia dal comodino, e quando vidi che erano le sei e mezza riappoggiai la testa sul cuscino nel tentativo di riaddormentarmi, ma mi fu impossibile. I volti di quegli uomini non smettevano di scorrermi davanti agli occhi, specialmente quello del più giovane. Tentai di ricordare quello che dicevano, ma più mi svegliavo e meno lo ricordavo, e la lotta per riaddormentarmi finì per svegliarmi del tutto. Alla fine mi arresi, mi alzai dal letto sbadigliando e mi diressi verso il bagno.

    Quando mi guardai allo specchio, nei miei occhi azzurri vidi uno sguardo ancora assonnato ma allegro. Pensavo -Oggi è un giorno importante-, e sentivo che sarebbe stato speciale. Di solito non mi alzavo con un tale entusiasmo il primo giorno di scuola, ma ci sono giorni in cui una si alza di buon umore anche se deve andare a scuola.

    Tornai in camera mia, e mi misi ad ascoltare la musica con il lettore cd per svegliarmi completamente. Aprii le tende, raccolsi il mio Osito[1] (un grande orso di peluche con il quale dormivo, ma che durante la notte finiva sempre per cadere per terra), e aprii l’armadio per scegliere cosa mettermi. A metà settembre a Cartagena c’è ancora un calore estivo, ma quel giorno il cielo era nuvoloso, così decisi di mettermi dei jeans lunghi, una maglietta rosa a maniche corte e delle scarpe da ginnastica abbinate. Per concludere, mi misi della schiuma per definire i miei capelli ricci color biondo scuro.

    Quando mi guardai allo specchio, il risultato mi piacque. I capelli, lisci all’inizio e ben ricci nella parte finale, erano proprio come piacevano a me. Gli occhi mi brillavano dell’allegria che sentivo in quel momento, così che il loro colore azzurro appariva ancora più intenso del solito. Le labbra, invece, erano piuttosto secche, così gli diedi un po’ di colore. Per il naso, purtroppo, non potevo fare niente: era sempre stato più grande di quello che volevo. Ma stavo imparando a conviverci. Lo stesso con l’altezza: non mi piaceva essere un metro e settanta, troppo alta. E nemmeno mi piaceva avere il seno così piccolo e le gambe così lunghe. Ma nonostante tutto, quel giorno mi vedevo stupenda.

    Appena sentii dei rumori in cucina, uscii dalla mia stanza quasi ballando.

    -A cosa dobbiamo tanta euforia?- chiese mia madre sorridendo.

    -Oggi è il primo giorno del mio ultimo anno di scuola!

    -Da quando in qua festeggi il tuo primo giorno di scuola?

    -Festeggio che sono all’ultimo anno.

    Presi la mia tazza con Simba e Nala cuccioli... carinissimi! È da bambini? Può darsi, ma il mio Cola-cao mattutino era più buono in loro compagnia.

    -Mangia qualcosa- iniziò a lamentarsi mia madre -Non puoi solo bere un Cola-cao per colazione.

    -Mangerò qualcosa durante l’intervallo, ora non mi va altro, lo sai. Dobbiamo fare la stessa discussione tutte le mattine?

    Sandra, mia madre, era una donna di statura abbastanza bassa, un po’ grassottella, con gli occhi scuri, i capelli corti, lisci e neri, ed era un’infermiera. Dato che nel suo lavoro aveva assistito varie persone con lipotimia dovuta proprio al mangiare poco o niente a colazione, ogni mattina (e dico ogni mattina, senza eccezioni) iniziava a brontolare perché bevevo solo un Cola-cao; anche se poi mi rimpinzavo nel bar della scuola, lei vedeva solo che non mangiavo niente prima di uscire di casa.

    -Prima o poi ti prenderà qualcosa, vedrai- disse con il tono di una veggente che prevede una disgrazia -e da allora ti preparerò la tipica colazione americana, e povera te se non la mangerai tutta!

    -Ancora a discutere sulla colazione?

    Mio padre (un uomo alto, magro, con i capelli biondi e gli occhi castani scuri) era appena entrato in cucina. Grazie a Dio, visto che lui cambiava sempre l’argomento della conversazione.

    -E su cosa sennò?- risposi mentre scuotevo il mio Cola-cao -Lo sai che è il buongiorno personale della mamma.

    -Quando Diana si deciderà a darmi ascolto, cambierò il mio saluto mattutino- rispose lei mentre spalmava il burro su due toast, uno per papà e uno per me.

    -Dov’è Sac?- chiese mio padre cambiando discorso e bevendo un sorso di caffè.

    -Dove vuoi che sia?- risposi sarcastica mentre rifiutavo il toast con il burro -Davanti alla tv, come sempre.

    -Sac, spegni subito la televisione, che Pando sta per arrivare- gridò mio padre a mio fratello.

    Quest’ultimo andava sempre a scuola con la moto del suo amico Pando. Papà finì velocemente di bere il suo caffè e lasciò lì il toast con il burro.

    -Bell’esempio che sei!- esclamò mia madre risentita.

    -Toast!- esclamò Sac appena entrato in cucina -Stupendo, perché la tv mi ha fatto tornare la fame!

    -Chi troppo e chi troppo poco...- sospirò mia madre.

    Mio fratello era una perfetta combinazione dei miei genitori. Di papà aveva ereditato alcuni lineamenti del viso, gli occhi castani e l’altezza; e della mamma i capelli neri, la capacità di mangiare a qualsiasi ora, e altri lati del carattere. Il naso all’insù non ho idea di da chi possa averlo ereditato.

    -E dai, Mamma, consolati con Sac, che lui non dirà mai di no alla sua colazione (e nemmeno a quella degli altri)- esclamai in tono consolatorio con un sorriso giocoso -Io vado, che oggi voglio arrivare presto a scuola.

    -Tu presto?- rise mio fratello con la bocca piena di pane -Che fantasia!

    Ignorando il suo commento mi misi lo zaino in spalla e scesi nel garage per prendere la mia bicicletta. Appena uscii vidi che la strada era bagnata: doveva aver piovuto durante la notte. Pedalai con attenzione per tutto il tragitto, ma una volta superata l’Università la mia attenzione fu catturata da qualcosa che non avevo mai visto prima, così mi deconcentrai dal marciapiede. Una splendida dimora si imponeva maestosa sulla zona che di solito occupava il circo nei giorni in cui veniva in città.

    Sbattei le ciglia un paio di volte, abbastanza incredula di fronte a quello che vedevo. -Quando l’hanno costruita questa dimora?- pensai meravigliata -Se meno di tre mesi fa non c’era...

    Rimasi talmente perplessa nel guardarla, che senza accorgermene finii fuori dal marciapiede e caddi fragorosamente a terra. Guardai dolorante intorno a me, sperando che non ci fosse nessuno nei paraggi. Per fortuna ero sola, così mi sedetti cercando di valutare i danni. I pantaloni si erano sporcati di fango, avevo un piccolo graffio su una mano che sarebbe passato velocemente, e a parte il dolore che sentivo sul fondoschiena sembrava che non mi fossi fatta niente di grave.

    Guardai di nuovo la dimora, stavolta con rabbia, visto che per colpa sua sarei andata a scuola con i vestiti sporchi. Bel modo di iniziare l’anno, piena di fango! Ma la mia espressione di rabbia si trasformò presto in una di ammirazione: la dimora era stupenda, aveva un’aria gotica attraente e oscura. Il davanti era nero. Da dove mi trovavo vedevo, sull’entrata principale, delle enormi lettere rosse che formavano la scritta La Mansión de las Sombras[2]. Il nome mi sorprese, e capii che non poteva essere solo una residenza, ma piuttosto un negozio. Di cosa però?

    Poco dopo, un ragazzo uscì dalla dimora con una maglietta nera senza maniche e dei pantaloni di tuta dello stesso colore, lunghi e un po’ larghi. Per qualche strano motivo, il ragazzo aveva un’aria familiare. Non tardò ad accorgersi della mia presenza, e mi si avvicinò con passo tranquillo e sguardo incuriosito.

    -Non preferiresti sederti in un posto più comodo e pulito?- mi domandò, con un tono nel quale sentii una leggera presa in giro.

    In quel momento mi resi conto che ero ancora seduta sulla strada, che ovviamente era sporca. Ma quando il ragazzo venne di fronte a me questo non mi importò più, visto che in quel momento capii perché aveva un’aria familiare: era lo stesso ragazzo che avevo visto nel mio sogno qualche ora prima!

    -C’è una panchina proprio qui- aggiunse indicando alle sue spalle.

    Il suo sguardo diventava sempre più cauto, come se improvvisamente pensasse di star parlando con una ritardata, per la mia espressione stupita nel guardarlo e per il mio silenzio; questo mi fece reagire.

    -Non sto qui perché mi piace! Sono caduta!- gli spiegai in un tono più forte di quel che volevo.

    Cercai di rialzarmi per recuperare un po’ di dignità, ma finii per perderla completamente quando inciampai nuovamente sulla bicicletta alle mie spalle. Di nuovo a terra. Il ragazzo si avvicinò per aiutarmi, cosa per cui non sapevo se ringraziarlo, visto che avrei preferito che andasse via di lì; la presenza di un’altra persona rendeva la mia situazione più umiliante, ancor di più se l’altra persona era un ragazzo bellissimo che avevo sognato poco prima. Chissà che idea si era fatto di me! E, per giunta, mentre si avvicinava stava ridendo.

    -Non ho bisogno di aiuto!- esclamai umiliata quando mi allungò un braccio per aiutarmi a rialzarmi.

    -Chiunque ti vedesse penserebbe il contrario- disse in tono di nuovo beffardo.

    Mi prese per un braccio e mi tirò su con un solo colpo, poi mi trascinò fino al marciapiede mentre cercavo di recuperare l’equilibrio. Sentii lo zaino che mi pesava più di prima che cadessi, e mi dava abbastanza fastidio, ma preferii non togliermelo. Lui non disse nulla, ma aveva ancora un’espressione divertita sul viso; mi osservava, e quando lo guardai negli occhi distolse lo sguardo da me.

    Lo osservai mentre raccoglieva la mia bicicletta e la portava sul marciapiede: era alto, più di quanto mi era sembrato nel sogno, i suoi capelli, castani scuri nella parte iniziale e più chiari in quella finale, erano ancora più belli, corti ma folti e attraenti, anche se la cosa che trovai più irresistibile erano senza dubbio i suoi occhi color caramello. Senza che me ne accorgessi, il mio cuore aveva accelerato il battito mentre lui controllava la mia bicicletta.

    -Non sembra rotta. Come hai fatto a cadere?- chiese guardando nuovamente verso di me.

    -È stato per colpa di quella stupida dimora- dissi senza pensare. Poi mi ricordai che lui era uscito da lì -Scusa, tu vivi lì, vero?

    -Sì, e normalmente la gente la elogia quando la vede per la prima volta.

    -Sì, è molto bella, per questo sono rimasta incantata a guardarla- spiegai guardando di nuovo la dimora -Il fatto è che fino a un paio di mesi fa non c’era. Quanto tempo ci vuole per costruire una cosa del genere?

    -In realtà è una dimora prefabbricata- spiegò avvicinandomi la bicicletta -Sono venuto da Madrid con due soci per passare alcuni mesi qui. La dimora è una residenza, un negozio, e la sera anche un pub.

    -Davvero? Sembra interessante- esclamai osservandola un po’ confusa.

    Vaghi ricordi del sogno fatto la notte prima riaffioravano alla mia mente, ma mi sembrava tutto un po’ confuso.

    -E lo è- rispose mentre stava a pochi centimetri da me e mi avvicinava la bicicletta, il che mi rese un po’ nervosa -Presto la apriremo al pubblico. A che scuola vai?

    Questa domanda mi fece passare improvvisamente lo stordimento provocato dalla dimora, dalla caduta e dal ragazzo.

    -Oh cielo!- esclamai afferrando il manubrio della bicicletta -Arriverò tardi! Devo andare!- salii sulla bici e prima di andare via mi girai per guardare il ragazzo -Grazie per l’aiuto! Ripasserò un altro giorno.

    Il ragazzo mi salutò con un leggero sorriso, ed io iniziai a pedalare disperatamente. Nonostante tutto, arrivai a scuola appena suonata la campanella. Il problema era che non vedevo nessuno dei miei amici, quindi non sapevo dove avessi la prima lezione. Andai a chiedere l’orario in segreteria, e quando lo vidi mi sentii mancare: la prima lezione era con Ochoa! Corsi con tutte le mie forze, e quando arrivai bussai alla porta, temendo quello che sarebbe potuto succedere.

    -Chissà com’è che la cosa non mi sorprende... Sai che, molti anni fa, hanno inventato un oggetto molto utile chiamato sveglia?- mi domandò il professore che più odiavo, con la sua solita voce da cane inferocito con cui parlava ogni volta che qualcuno arrivava tardi, soprattutto se quel qualcuno ero io.

    -Sì, mi spiace, il fatto è che...

    -Non raccontarmi le tue solite scuse, le ho sentite fin troppe volte- mi interruppe il professore, muovendo i suoi lunghi baffi in modo grottesco -Sai bene cosa succede a chi arriva tardi a lezione. Quindi... fuori!

    -Ma... Ma...- balbettai -È il primo giorno di scuola!

    -Se non sei capace di arrivare puntuale neanche il primo giorno è un problema tuo, non mio. Conosci bene le regole della mia lezione. Ma non preoccuparti, quest’anno sono il tuo professore in due materie- disse sorridendo di malavoglia -Quindi oggi hai una seconda possibilità di arrivare in tempo a una delle mie lezioni.

    Restai senza parole, e una volta uscita andai a sedermi sulle scale vicino all’aula. Presi un foglio dal mio raccoglitore e iniziai a disegnare una caricatura del mio professore, orribile ma decisamente azzeccata. Non era la prima che facevo: ne avevo talmente tante di quel professore, che avrei potuto darne una a ogni studente della scuola e me ne sarebbero avanzate.

    -Stupido fantoccio con i baffi!- mormorai mentre disegnavo esageratamente quella parte -Un altro anno intero con lui! Per giunta quest’anno è il mio professore in due materie: geografia e storia. Dovrò vederlo tutti i giorni e più volte. Cielo!

    L’Università, a confronto, mi si prospettava come il paradiso.

    Ero talmente persa nei miei pensieri, che quasi non mi accorsi di una ragazza che doveva salire le scale che io avevo bloccato sedendomi.

    -Scusami- le dissi mentre la facevo passare.

    Vidi dove era diretta, e decisi di risparmiarle il trauma.

    -Non scomodarti, il professor Ochoa non fa entrare nessuno, se arriva con più di cinque minuti di ritardo, o anche meno.

    -Oh... Il problema è che non trovavo l’aula. Sono nuova e mi sono confusa con i numeri, cercavo l’aula 14 al primo piano e invece è al secondo- mi rispose con voce affaticata. Stava sudando: era chiaro che aveva corso quanto me. Poverina, non le sarebbe servito a niente...

    -Prova se vuoi, ma ti avverto che con Ochoa puoi giustificarti solo con un certificato medico.

    Lei, ingenuamente, ci provò. Non mi sentii di darle torto, nessuno avrebbe creduto che potesse esistere un tipo rigido come Ochoa, perfino io avevo qualche speranza pochi minuti prima. Ma, proprio come immaginavo, la ragazza uscì dall’aula poco dopo con un’espressione contrariata.

    -Mi ha detto di fare un giro per la scuola per vedere tutte le aule dove avrò lezione con lui, così non mi perderò di nuovo.

    -Non preoccuparti, tutti gli altri professori sono decisamente meglio; del resto, essere peggio di lui è piuttosto difficile. Se vuoi sederti...- le feci spazio sulle scale.

    -Grazie. Come ti chiami?- mi domandò una volta seduta.

    -Diana. E tu?

    -Yamilé.

    -Di dove sei?

    Era evidente che non era spagnola, non solo per il nome ma anche per i tratti chiaramente indigeni, i capelli lunghi nero corvino, gli occhi piccoli e un po’ a mandorla, la pelle piuttosto scura, la bassa statura... Aveva anche un viso tondeggiante, anche se le mancava il tipico accento da straniera.

    -Venezuelana, anche se mi sono trasferita in Spagna con i miei genitori quando ero molto piccola.

    -Questo spiega perché non ha l’accento da straniera- pensai, poi le domandai -E hai vissuto a Cartagena tutti questi anni?

    -No, prima vivevo a Madrid, ma mio padre ha ottenuto un lavoro qui come guardia giurata, e ci siamo trasferiti quest’estate. Questa è l’unica scuola dove ho trovato un posto.

    -Sì, il Politécnico ha sempre dei posti liberi. Per molti è l’ultima scelta. Ci sono diverse teorie sul perché sia così. Io penso che sia per Ochoa.

    E ridemmo entrambe.

    -E anche tu sei venuta in questa scuola come ultima scelta?

    -Più o meno- risposi -La verità è che mio padre è professore, e lavora nella scuola più vicina a casa mia, ma averlo come professore non mi entusiasmava come idea, così mi sono iscritta qui, e anche mio fratello. È più lontano, ma con la bicicletta ci metto meno di dieci minuti se corro. Sei iscritta a scienze sociali?

    -No, a scienze della salute- rispose, ed estrasse un orario, che io non avevo perché, nella fretta, l’avevo lasciato in segreteria -Adesso ho fisica e chimica.

    -Allora adesso sei in un’aula diversa dalla mia. Vuoi che ti accompagni?

    -Sì, grazie. Non voglio arrivare di corsa e restare di nuovo fuori.

    -Non preoccuparti, ti ho già detto che il resto dei professori sono migliori. E poi tu sei più fortunata di me, nel tuo modulo hai una sola materia con Ochoa.

    Ci alzammo e la accompagnai all’altro edificio, dove aveva fisica e chimica. Mentre andavamo, le indicai i posti più importanti, come il bagno e il bar. Prima che suonasse la campanella, la salutai e andai velocemente all’aula dalla quale sarebbero usciti i miei compagni, per andare con loro all’aula della lezione successiva: non avevo voglia di tornare in segreteria.

    María Jesús, Irene e Juanpe stavano uscendo proprio in quel momento. María Jesús era bruna (anche se quel giorno aveva le meches), alta (un po’ più di me), un po' in carne, con gli occhi scuri, ed era sempre truccata, al contrario di Irene che non si truccava mai; quest’ultima era bassa, con i capelli castani chiari, lisci e molto belli, e con gli occhi castani scuri. Juanpe era un po’ più alto di María Jesús, i suoi occhi erano castani scuri, aveva il naso aquilino ed era magro. I tre risero divertiti quando mi videro. Sapevo perfettamente a cosa stavano pensando.

    -Neanche il primo giorno con Ochoa. Cominciamo bene...- disse Irene ridendo.

    -Sì, sì, risparmiatevi le battutine, ok? Sono nella lista nera di Ochoa dall’anno scorso, gliel’ho solo ricordato.

    -E bene anche! Grazie a te e a una ragazza nuova che è entrata poco dopo, ci ha fatto una lagna sulla puntualità, e sulla sua importanza quando si tratterà di darci una mano- sbuffò María Jesús.

    -Darci una mano?- ripetei indignata -Ma se Ochoa non aiuterebbe nemmeno un cieco ad attraversare la strada!

    -Comunque... come sono andate le vacanze?- domandò prontamente Juanpe.

    Sembrava nervoso. In effetti, mi accorsi che c’era qualcuno dietro di me, qualcuno che non avrebbe dovuto sentire quello che dicevo: Ochoa.

    -Fantastiche! La Costa Brava è molto bella. Vi porterò le foto- risposi velocemente, mentre il caro professore si allontanava -Uff... Secondo voi ha sentito quello che ho detto?

    -Dalla faccia che ha fatto, direi proprio di sì- sussurrò Irene.

    Il professore di economia era appena arrivato, e mentre apriva la porta dell’aula di fronte a noi io cercavo di convincermi che Irene si sbagliava. Pensavo: -Se mi avesse sentita mi avrebbe detto qualcosa, no? E la faccia arrabbiata ce l’ha sempre, quindi...

    -Diana!- esclamò improvvisamente María Jesús osservando i miei pantaloni -Ti sei rotolata in una pozza di fango prima di venire?

    -Più o meno. Sono caduta dalla bicicletta.

    Gli raccontai come era successo, gli parlai della dimora, e mi sorpresi nello scoprire che tutti l’avevano vista, e che sapevano che era un negozio, anche se non sapevano di che tipo. Quando il professore iniziò a salutare e a spiegare cosa avremmo fatto quell’anno nella sua materia, smettemmo di parlare, ma durante la lezione io mi copiai l’orario e feci un piccolo disegno della dimora.

    Quando arrivò l’intervallo, dopo la lezione di inglese, andammo tutti al bar senza smettere un attimo di parlare di quello che avevamo fatto durante l’estate. Lì vedemmo Salva e David, altri due amici nostri, che erano sempre insieme, e frequentavano scienze della salute. Salva era il più alto di tutti noi, con i capelli neri a punta, occhi dello stesso colore, ed era molto magro, come uno spaghetto. David era il più basso (a parte Irene), con i capelli neri e due occhi verdi che mi piacevano molto. Conoscevo tutti loro da tempo, e quello sarebbe stato il nostro ultimo anno insieme: a pensarci, la cosa mi rendeva un po’ triste.

    Andammo a sederci sulle panchine all’ingresso della scuola, e fu una piacevole sorpresa vedere di nuovo il ragazzo che mi era apparso nel sogno, intento a distribuire dei volantini pubblicitari a tutti gli studenti.

    -Quello è il ragazzo che vive nella Dimora delle Ombre- spiegai ai miei amici.

    -Bel ragazzo!- esclamò María Jesús -Come si chiama?

    Non avevo pensato a chiedergli il suo nome.

    -Non lo so. Andiamo a scoprirlo.

    Il ragazzo era circondato da alcuni studenti che gli facevano domande sulla pubblicità che distribuiva. Osservai la fotografia sui volantini, e sorrisi quando vidi che c’era la Dimora. Volevo avvicinarmi al ragazzo ma dovetti aspettare, perché diverse ragazze gli stavano facendo un estenuante interrogatorio, e capii che non erano interessate tanto alla Dimora quanto al proprietario.

    Sbuffai con una certa frustrazione perché non riuscivo ad avvicinarmi a lui e, quando girai la testa irritata, vidi la ragazza di prima, Yamilé, che si avvicinava con un pacchetto di patatine. All’inizio il suo sguardo era incuriosito, ma improvvisamente rimase pietrificata, come se fosse stata colpita da un raggio invisibile, e la sua espressione era di assoluta sorpresa e diffidenza. Seguii la direzione del suo sguardo, e capii che stava guardando il ragazzo che distribuiva la pubblicità. Lo conosceva? Lui non sembrava averla notata, continuava tranquillamente a parlare con la gente. Rimasi talmente immersa in quel silenzioso mondo di espressioni, che non mi accorsi che i miei amici avevano già preso diversi volantini.

    -Venerdì 6 ottobre, alle 21, inaugurazione della... Dimora delle Ombre!- lesse con entusiasmo Juanpe -Nuovo pub e negozio di articoli di terrore: libri, costumi, e molto altro sul mondo delle ombre. All’inaugurazione ci sarà una festa dove la prima consumazione sarà gratis, e tutte le altre a metà prezzo.

    Alzò lo sguardo con occhi emozionati. -Ragazzi, dobbiamo andarci!

    Juanpe non era l’unico così entusiasta. Tutti sembravano star pensando la stessa cosa, e durante tutto l’intervallo non si parlò d’altro. Guardai di nuovo Yamilé, che osservava il ragazzo della pubblicità con uno sguardo inquisitorio. Ero molto curiosa di sapere se lo conosceva, ma in quel momento mi interessava di più parlare con lui. Purtroppo, proprio in quel momento suonò la campanella, ma cercai almeno di salutarlo, anche se Elena, Virginia e Marta (tre mie compagne di classe che andavano sempre insieme ovunque) lo stavano accompagnando fuori dalla scuola. Camminai ugualmente verso di lui, ma solo per osservarlo da lontano mentre saliva su una stupenda moto nera e se ne andava.

    Il trio rimase fuori a leggere con entusiasmo il volantino che il ragazzo gli aveva dato. Sospirai con una certa frustrazione, e andai dove avevo lasciato i miei amici, che però non erano più lì. Rimasi un po’ sorpresa dal fatto che non mi avessero aspettata, poi ricordai... -Ora abbiamo di nuovo Ochoa! Oh no!- . Pensai alle possibilità che avevo: andare a lezione rischiando che mi cacciasse di nuovo, o andare al bar a decorare il mio raccoglitore. Scelsi la seconda opzione: una brutta esperienza con Ochoa era abbastanza per un solo giorno. Ma quando le cose decidono di andare male, non c’è niente da fare: ne ebbi la prova quando entrai al bar e, dopo aver pagato un succo di ananas, mi sorprese la voce del mio odiato professore.

    -Dunque è questo che fai invece di venire alle mie lezioni, eh?

    Mi andò di traverso l’unico sorso di succo che riuscii a bere.

    -Ecco perché non riesci ad arrivare puntuale a lezione: quando suona la campanella perché è ora di entrare, tu inizi a fare colazione.

    -No, il fatto è che...

    -Il fatto è che... Solo questo sai dire, il fatto è che! Spero che studierai molto le mie materie quest’anno, perché una verifica mediocre per te sarà un’insufficienza. Non aspettarti che ti aumenti il voto senza motivo.

    -Neanche nei miei sogni più strampalati potrei aspettarmi una cosa del genere- pensai.

    -Sono contento che il direttore mi abbia chiamato ora, così ho potuto vedere quanto ti interessano le mie materie.

    -Perché sarei dovuta venire a lezione, se tanto Lei non mi avrebbe fatta entrare?- chiesi indignata.

    -E non entrerai infatti! Ti conviene cercare di arrivare prima che io entri in classe, perché appena chiudo la porta tu non entri più.

    Detto ciò, se ne andò con passo energico, lasciandomi con la mia protesta inconclusa.

    -Tanti professori disoccupati, e dovevano dare un posto proprio a Ochoa? Possibile che la vita sia così ingiusta?- pensai.

    Sbuffai e bevetti il succo con rabbia. Non mi misi a disegnare, né a decorare il mio raccoglitore, perché, arrabbiata com’ero, sicuramente l’avrei rovinato. Feci quello che facevo sempre, e cioè un’orripilante caricatura di Ochoa, anche se quella volta mi venne ancora più orrenda ed esagerata.

    Per giunta, quando uscii dal bar vidi che stava piovendo.

    -A Cartagena piove quattro giorni all’anno, e oggi doveva essere uno di quei quattro! Come ho potuto alzarmi pensando che sarebbe stato un gran giorno?- pensai.

    Nella lezione successiva, i miei amici non smisero un attimo di ridere di me, cosa che fece passare l’ora ancora più lentamente. Lingua e letteratura era l’ultima lezione, ed era comune a tutti i moduli, per cui eravamo in classe con David e Salva, che si unirono subito alle risate degli altri appena saputo cos’era successo. Che schifo di giornata!

    -Buongiorno ragazzi- salutò Ricardo, il professore di lingua -Quest’anno non voglio ripetere le cose dell’anno scorso. Soprattutto, non voglio dovervi richiamare al silenzio ogni cinque minuti. Per cui, vediamo di risolvere il problema oggi stesso.

    L’aula era divisa in tre file, ognuna di due banchi, e tutti ci eravamo messi accanto a un amico. Io ero vicino a María Jesús, Irene e Juanpe erano davanti a noi, e dietro di noi c’erano Salva e David, tutti nella seconda fila.

    Ricardo cominciò a separarci mettendo ognuno vicino a qualcuno che non conosceva o con cui non era molto amico. Irene finì accanto ad Elena, e non potei fare a meno di ridere della faccia che fece la mia amica mentre si avvicinava alla ragazza che più non sopportava di tutta la classe. Juanpe lo mise solo in prima fila, e io so perché: era un gran chiacchierone, e chiunque gli avesse messo accanto si sarebbe messo a parlare e si sarebbe distratto. A me mi mise con la ragazza nuova, Yamilé. Tirai un sospiro di sollievo e di allegria, visto che questo mi dava la possibilità di parlare con lei del ragazzo della Dimora. La cosa più triste fu la separazione di Salva e David: loro erano sempre insieme, in tutte le lezioni, e furono quelli che più protestarono. María Jesús finì accanto ad Alberto, un ragazzo timido e silenzioso. Sembrava che il professore si fosse messo lì ad ideare il modo migliore perché nessuno si mettesse a parlare con il suo compagno.

    -Voglio che vi mettiate sempre come vi ho messo io ora. Se trovo qualcuno dove non deve stare- disse guardando David e Salva -me lo appunterò per abbassargli il voto quando mi sembrerà il momento, e se la cosa si ripete

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