Il bambino che ha rubato il mio cuore mi chiama nonno
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Anteprima del libro
Il bambino che ha rubato il mio cuore mi chiama nonno - Mario Ingrassia
INDICE
Prologo
1° giorno
2° giorno
3° giorno
4° giorno
5° giorno
6° giorno
7° giorno
Mario Ingrassia
Il bambino che ha rubato
il mio cuore mi chiama nonno
Titolo | Il bambino che ha rubato il mio cuore mi chiama nonno
Autore | Mario Ingrassia
ISBN | 9791221414349
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L’unico vero maestro non è in nessuna foresta, in nessuna
capanna, in nessuna caverna di ghiaccio dell’Himalaya…
È dentro di noi.
Tiziano Terzani
Prologo
Cielo plumbeo di un tardo pomeriggio di fine settembre. Seduto sotto il mio gazebo ascolto il coinvolgente brusio dei bambini in lontananza. La quiete e la tranquillità ripropongono il malinconico rituale di ogni fine estate.
Il tempo che passa da solo può essere terreno fertile per dare spazio alla creatività, ma può essere anche una brutta bestia. In circostanze particolari può rovinarti l'anima, trasformare la tua caparbietà in qualcosa che non riesci a capire, nonostante il tuo innato ottimismo. Quello che prima ti distraeva dai problemi non riesce più a stimolare il tuo interesse. Pertanto sei costretto a trascorrere interi giorni immerso nel solito tran tran quotidiano: letto, cucina, salotto, libri, musica, tv; tv, musica, libri, salotto, cucina, letto. Catapultato dentro un déjà vu da cui non riesci a uscirne fuori. Attore di un film psicologico lento e noioso in cui tutti sono vittime e carnefici.
Superato il periodo della giovinezza, prima o poi, durante il passare lento del tempo ognuno di noi si ritroverà al cospetto con il proprio destino. Uomo o donna che sia, in quell'istante del giorno arriverà il momento della riflessione. Quei pochi attimi ci porteranno ad analizzare tutti gli aspetti della nostra storia. Nella scrittura di quella pergamena ci saranno quelli che leggeranno solo pagine belle e interessanti, e quelli come me che invece dovranno lottare per ripescare tra le righe la traccia che non farà dimenticare che anche per loro il passato ha riservato qualcosa di positivo. Quel piccolo brano vantaggioso sarà la molla che ci spingerà a non arrendersi e che ci farà trovare la forza di andare avanti.
Vuol dire che assaporeremo tutto il buono di questa vita, gustandocela a rate.
Fortunatamente, quando realizzi l’idea di essere arrivato alle porte della depressione, ci pensa il tuo telefonino che da mesi ti dice di fare un po' di pulizia nell'archivio. Cosa che non hai mai fatto perché quei video e quelle foto, visti e rivisti mille volte, sono le uniche cose che riescono a farti viaggiare lungo sentieri gioiosi che non ti allontanano da quello che hai di buono nella realtà. L’arrivo di una nuova creatura inconsapevole di essere diventata, per te, uno dei motivi per cui questa vita valga la pena di essere vissuta.
L'amore che si prova per i figli non è paragonabile a qualsiasi altra forma affettiva, questo è risaputo. Ma è per certi aspetti anche la cosa più normale del mondo. Il legame tra un uomo e una donna si basa anche sulla consapevolezza che, se lo vorranno, potranno mettere al mondo una nuova creatura. Quello che verrà dopo sarà tutto un divenire, ma avranno tutta la vita davanti, avranno tanti momenti da poter assaporare assieme. Quindi il rapporto genitori e figlio diventa negli anni più flemmatico
e metodico.
I nonni, invece, quel rapporto lo vivono diversamente. Sanno che hanno poco tempo da dedicare loro, è un po' come se vivessero con il cuore fuori dal corpo.
A Noah, la mia musa ispiratrice.
Passai a prenderlo a casa di buon mattino, stavo per citofonare ma mi accorsi che era già seduto sul pianerottolo di casa.
«È da un quarto d'ora che ti aspetto! Ahi ahi ahi, la puntualità non è stata mai il tuo forte, vero?» disse sorridendo felice di salire sulla mia vecchia 500 color ocra.
Possedere di nuovo quel piccolo capolavoro dell’ingegneria italiana era il mio pallino da sempre, l’avevo vista due anni prima in un sito internet e me ne ero innamorato. Era un bellissimo modello, con il portapacchi posteriore in legno e relativa valigia che tenevo sempre ben allacciata. Da neopatentato, appena diciottenne, la Fiat 500 era stata la mia prima auto. L’avevo trasformata a mio piacimento. La sua unicità dipendeva dal colore blu notte, dai vetri azzurrati e dal fatto di avere i fari quadrati della Fiat 126, i cerchi piccolissimi della Mini Cooper e il motore della Fiat 595 Abarth. Insomma, quando la guidavo ero la massima espressione di quello che in gergo i giovani d’oggi chiamerebbero tamarro. Per il maresciallo del paese invece aveva poca rilevanza. Non passava un giorno senza che mi beccassi una sua ramanzina. La mia lotta impari con lui durò molti anni, ma alla fine dovetti arrendermi e portarla alla versione originale.
«Dove andiamo, vovvo?»
Vovvo era il suo modo di dire nonno
quando aveva meno di due anni, e anche ora, che era in grado di elaborare discorsi più articolati, continuava a chiamarmi così per gioco.