Cioccolata e menta sotto l'albero
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Anteprima del libro
Cioccolata e menta sotto l'albero - Maria Beatrice Lorenzetti
633/1941.
PROLOGO
Sono trascorsi quasi due anni, quattro sfumature di rosso Kiko, una trentina di tagli di capelli e un numero incalcolabile di cerette (ognuno misura il tempo a modo suo), da quando ho deciso di infilarmi un paio di stivali di gomma Burberry, accendere il portatile e raccontarvi la mia vita tra i cowboys nostrani.
Sono in cucina, da sola, ed è quasi mezzanotte. Il tic tac dell’orologio a pendolo è l’ unico rumore di sottofondo. Per il resto è tutto immerso nel silenzio di una serata di nebbia.
Sono seduta a un tavolo di legno scuro, abbastanza grande da reggere pile di carte, fascicoli, riviste, schedari, alcune tazze campione; ci sono fogli e colori sparpagliati un po’ ovunque. La superficie che si intravvede, sotto il cumolo di roba disordinata, è segnata dai tarli e rigata dall’usura di chi, prima di me, si è seduto qui, forse anche lui, in una serata di nebbia come questa.
Ovviamente in mezzo al caos regna il mio portatile.
Sono quasi dieci minuti che fisso il cursore che lampeggia sulla pagina bianca. Sento gli occhi bruciare, mentre cerco di riordinare le idee per capire da che parte iniziare a raccontarvi quello che mi è successo.
‘Sono Is…’ - digito lentamente, ma mi blocco subito.
Fino a pochi istanti prima ero convinta di conoscermi abbastanza da non dover andare da uno strizzacervelli.
Ora penso di aver bisogno di uno bravo.
Fino a qualche ora fa avrei scritto:
‘Sono Is, tutta TV, divano e pantofole a coniglietto rosa. Ma anche tacchi a spillo e kajal nero. Sono stabilità, organizzazione, sapere cosa accadrà domani, liste e giornata a busta paga. E poi sono quella che stravolge all’ ultimo i piani che fa, perde gli elenchi, dimentica gli appuntamenti e non riesce a rispettare le scadenze. Sono una finta grassa, non una finta magra. Il mio sport preferito è correre per inseguire la taglia quarantadue, salvo poi fermarmi a fare uno spuntino con patatine fritte e maionese. ‘Sono’ il sabato e la domenica, ‘Non sono’ il lunedì. Chiacchierona, spiritosa, solare. Musona e taciturna. Sono da trentadue anni me stessa e questa è l’ unica cosa che conta.’
Sposto la frangetta sfilata che mi ricade sugli occhi, mentre rileggo le ultime parole. Forse non sarebbe la presentazione da allegare a un curriculum, però potrei sottoscrivere e sostenere ogni parola.
Oggi, ore 23.46,… No, non direi proprio.
Sono completamente matta, questo è palese, ma non perché io abbia avuto un crollo psicotico o uno sdoppiamento di personalità o mi sia caduta una tegola in testa, ma perché, cari miei, succedono cose che non ti lasciano il tempo di pensare, ponderare o semplicemente cucirti la bocca.
Come questa sera.
Quando Maycol, il mio fidanzato, un ragazzo affascinante, divertente, serio, che sa cucinare, nonché mio datore di lavoro, poche ore fa, mi ha chiesto: ‘Mi vuoi sposare?’.
Io ho risposto: ‘No Grazie’.
E me ne sono andata.
Adesso vi racconto com’ è andata.
CAPITOLO 1
Mi piacciono le radiosveglie perché ti dicono ‘Ehi, giù le chiappe dal letto’ , ma in un modo carino e musicale. E poi la mia è rosa fucsia! Quella vecchia era…beh vecchia. Così quando l’ ho vista nel cesto delle occasioni ho pensato che stesse aspettando me. La mia buona azione quotidiana per far girare l’ economia.
Purtroppo ha un difettuccio… gracchia. Non sono ancora riuscita sintonizzarla bene. Si alternano un fastidioso zzz…., alla voce di uno speaker e alla melodia di un cantante inglese.
Ecco… ha anche il problema di rompermi le palle nel bel mezzo di un bel sogno. Non ce l’ ho con lei. Davvero. In realtà ce l’ho con l’ora che segna.
Le cinque.
Tiro su le coperte fin sopra le orecchie e distendo le gambe fino a raggiungere il calduccio lasciato da qualcuno che si è appena alzato. Il piumone mi segue con il suo leggero fruscio mentre cerco di scaldami i piedi sempre gelidi, sotto due paia di babbucce termiche.
‘Ehi c’ è qualcuno lì sotto?’ - scherza Maycol, vedendo una montagna di coperte che si muove - ‘Non volevo svegliarti. Scendo a preparare un caffè. Se riuscissi a trovarti da qualche parte ti darei un bacio di buongiorno… ma credo di aver bisogno di una cartina e di una pila per rintracciarti.’
Sbuco all’ istante con un pezzetto di viso e sento il freddo sulle guance.
‘Giorno’ - gracchio.
‘Buongiorno’ - ribatte con un bacio il mio cowboy.
‘Non ti ho sentito rientrare stanotte- faccio notare.
‘Ho preferito non svegliati, mi si sono bloccati i robot con il ghiaccio. Ho dovuto fermarmi alla stalla avrò dormito tre ore…’ - mi risponde con voce stanca.
Nel buio della camera riesco comunque a vedere i suoi occhi azzurri velati di stanchezza, ma dolci come sempre.
‘Mi spiace’- sussurro accarezzando i riccioli scomposti- ‘Adesso mi alzo anche io.’
‘È presto… ti aspetto dopo in cucina.’
Devo ammettere che saltare giù dal letto non è mai stata una mia prerogativa. Adoro poltrire la mattina. È il mio rituale di buongiorno.
Fuori è buio, le ante dell’ unica finestra sono ancora chiuse e la luce filtra dalla porta che affaccia sulle scale, lasciata appena socchiusa. Mi guardo attorno nella debole penombra.
Definirei la nostra camera essenziale: un letto matrimoniale dalla testata in ferro battuto, due comodini, un grosso baule in legno tarlato e un armadio (troppo piccolo per il mio guardaroba), rappresentano il massimo dell’arredamento minimale.
Per fortuna, quando sono venuta qui a vivere, ho pensato di dare qualche tocco femminile e l’ ambiente si è un po’ rallegrato. Ho aggiunto una poltrona sui toni del bianco panna, che fa molto shabby chic. Alcune fotografie in bianco e nero di Parigi per ricordarmi che un giorno passeggerò sotto la tour Eiffel con un basco rosso. In ultimo, il mio tocco da interior designer, mi ha fatto aggiungere un vaso di fiori bianchi profumati sui comodini che si intonano con il plaid a quadrettini panna e marrone buttato ad arte sulla poltrona. Ecco, con un tocco di ‘’Is’’ la stanza è diventata carina e accogliente.
Prima era la camera della mamma di Maycol, ma da quando non vive più qui, ci siamo trasferiti nella sua stanza per avere più spazio, ed è diventato il nostro rifugio, dove incontrarci a notte fonda.
Cerco le ciabatte, che ovviamente non trovo, per scendere.
Anche questo è un rituale mattutino.
Mai che la mattina io trovi le cose dove le ho lasciate la sera. Ammesso che mi ricordi dove le ho abbandonate ….
Mi lego i capelli in una crocchia disordinata. Sento un brivido di freddo mentre infilo la calda vestaglia in lana bianca e inforco un paio di occhiali da sole per scendere le scale.
‘Mio Dio, ancora la fissa degli occhiali! Ma tu ti devi far vedere da uno bravo!!’- mi prende in giro Maycol.
‘Lo sai che la mattina ho le occhiaie ed è troppo presto per un restauro. Non vorrei mai che ti accorgessi di vivere con una strega anziché una fata.’
‘Sei sempre stata una strega’-Scherza Maycol- ‘Ma mi piacciono i tuoi occhi.’ - aggiunge scoccandomi un bacio a stampo.
Che dolce… il mio sedere aumenterà alla velocità della luce con tutto sto zucchero…
‘Togli quei cosi’ -incalza.
‘Okay, okay, ma con calma’- ribatto assonnata.
Cowboy alza gli occhi al cielo e versa il caffè. Ormai si è abituato alle mie piccole stranezze.
Il profumo di caffè caldo è la sola cosa in grado di riportarmi in vita la mattina.
Mi siedo vicino alla stufa scoppiettante e sento un bel tepore.
‘Ormai Natale è alle porte...’ - dico come se niente fosse.
‘Mancano quasi due mesi’ -ribatte Maycol frettoloso.
‘Sì ma…’
‘Ma ne parliamo dopo. Adesso devo andare a vedere i formaggi, spegnere l’ allarme del robot e prego che il ghiaccio non abbia ancora intasato i tubi dell’acqua.’
‘Sì ma…’ - provo a insistere
‘Davvero, ti amo, ma ne parliamo dopo’ - replica cercando di scoraggiarmi.
‘Dopo ‘quando?!" che non ci vediamo mai? Dal giorno in cui sono venuta a vivere con te spendo di telefono più di quando avevo casa mia.’
‘Ma se hai l’ abbonamento.’
‘Sì ma…’ - riprovo
Non riesco nemmeno a finire la frase. Cowboy viene inghiottito dal buio della mattina.
Odio quando fa così.
Quando sto ancora parlando e lui esce.
Secondo me abbiamo qualche problema di comunicazione. Siamo sempre impegnatissimi, facciamo orari impossibili e non riusciamo a concederci un giorno di calma.
Tuttavia considerando che sono le cinque emmezza sono costretta ad ammettere che è troppo presto anche solo per arrabbiarsi: non ne ho la forza. Così mi annoto mentalmente di discutere con Maycol più tardi, quando spero, ci vedremo intorno all’ora di pranzo.
Mi accoccolo sulla poltrona mentre la tazza di caffè caldo mi scalda le mani gelate. Mi sento al sicuro qui. La cucina è la stessa di sempre. Somiglia molto a quando l’ ho vista la prima volta e l’ ho amata così com’era. Forse un po’ vecchia con questo grosso tavolo al centro e il camino sistemato con una stufa all’ interno, ma calda e con il sapore di ‘’casa’’.
Sono ormai due anni che abito qui.
La madre di Maycol è in una casa di riposo. Andiamo a trovarla quando possiamo. Dopo l’ ultima crisi depressiva era stata la soluzione migliore per lei ricevere il sostegno di un’ assistenza continuativa. Tra me e cowboy le cose andavano bene, ma non pensavo a tal punto da sentirmi proporre una convivenza. Mentre accettavo mi sembrava tutto così surreale.
E non è tutto.
Ho lavorato sodo per mantenere un posto di lavoro con busta paga fissa e contributi. E poi, un giorno, un ragazzo con gli occhi blu inizia a spiegarmi quanto sia importante essere felici. Si mette a fare domande su cosa mi piace, si intrufola subdolamente nel mio sistema, finché il virus felicità non mi manda all’ aria i microchip e decido di licenziarmi.
Mi sembra ancora un’ enormità mentre lo dico.
Mi sono licenziata. Licenziata dal tran tran grigio del mio ufficio. Licenziata dal grigiore cittadino. Licenziata dall’essere pendolare.
Ho deciso di mettermi in proprio.
Ho aperto un blog, mi sono iscritta ad alcuni social, ho seguito dei corsi e ora vendo on line tisane su ordinazione, facendo consulenza e preparando pacchi regalo. Inoltre seguo la parte amministrativa dell’azienda del mio fidanzato e ne curo l’immagine attraverso un sito web che ho creato per promuovere l’attività.
In pratica vado a letto con il mio capo.
Très chic.
La verità è che da quando mi sono licenziata ho sentito un forte sollievo (mi stava ammazzando quella vita) e una forte angoscia