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Il furto proibito
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E-book255 pagine3 ore

Il furto proibito

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Info su questo ebook

Il giovane fotografo Cristian trascorre una vita apparentemente tranquilla, divisa tra il lavoro presso lo studio fotografico di famiglia e le serate al bar in compagnia dell’amico d’infanzia Luca. Tuttavia, dalla morte del padre, le sue notti sono tormentate da un incubo ricorrente che rischia di portarlo alla follia.
Il ritrovamento del diario del nonno svela a Cristian la prima scottante verità sui suoi incubi e lo porta alla volta di Auschwitz, dove incontra Anna, una splendida giornalista freelance di cui si innamora perdutamente. In mezzo ad una passione travolgente, un segreto ben più importante affiora dalle ultime pagine del diario…
LinguaItaliano
Data di uscita2 lug 2014
ISBN9786050309478
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    Anteprima del libro

    Il furto proibito - Massimo Cimenti

    Ringraziamenti

    Capitolo 1

    Solo qualche goccia di pioggia scende qua e là dal cielo cupo. Il terreno della collina è brullo e arido come il deserto. Sullo sfondo, il nulla più totale. Il sole che si riaffaccia dopo la sovrapposizione dovuta all’eclissi, lascia intravedere delle sagome. Tre croci piantate nel terreno si stagliano all’orizzonte. Tre uomini agonizzanti aspettano la propria fine. Mentre mi avvicino alle croci, il volto insanguinato dell’uomo al centro, improvvisamente illuminato da un raggio di sole, rivela la sua identità. Sono io. Quell’uomo sono io. Rimango come paralizzato, vorrei fuggire, ma le mie gambe non rispondono, vorrei gridare, ma la mia voce non esce. Poi, il nulla.

    «Cristian! Cristiaan!»

    Era la voce di mia madre, che dal piano inferiore, squarciava il silenzio ovattato della mia stanza da letto. Aprii lentamente gli occhi, la stanza era buia, solo un tenue raggio di luce filtrava attraverso le imposte chiuse.

    «E’ tardi!» ricominciò la stessa voce stridula di prima. Una voce che in quella condizione di torpore mi dilaniava i timpani, ma era pur sempre mia madre e sapevo che comunque aveva ragione. Passarono pochi secondi e presto sentii i suoi passi sulle scale, sapevo già cosa sarebbe successo. La porta si aprì in un istante.

    «Ma allora… ogni mattina la stessa storia!» sbraitò lei, avvicinandosi alla finestra nella penombra. Un rumore d’imposte che si aprono, poi la luce del mattino entrò dalla finestra e inondò l’intera stanza.

    «Sono quasi le otto e mezza, sai che devi aprire il negozio in orario!»

    «Va bene, mi alzo subito», risposi con un filo di voce, e mentre tentavo disperatamente di aprire gli occhi, cercai di trascinarmi verso il bagno in fondo al corridoio.

    Dopo una rapida doccia, mi vestii in fretta e furia, e con la camicia ancora sbottonata, scesi le scale direzione cucina, dove mi attendeva il volto infuriato e allo stesso tempo rassegnato di mia madre.

    Dopo un’abbondante ma veloce colazione, presi il giubbotto dall’appendiabiti, me lo infilai, e in un baleno uscii di casa con le chiavi dell’auto in mano.

    Negli ultimi cinque anni, cioè da quando mio padre morì lasciandomi in eredità lo studio fotografico, le mie giornate lavorative cominciavano sempre così.

    Lo studio era situato in centro, non lontano da casa, a meno di dieci minuti di macchina. Ogni mattina, io aprivo il negozio, poi durante la giornata, mia madre mi raggiungeva per aiutarmi, in particolare quando dovevo realizzare servizi fotografici per matrimoni. Non che mi dispiacesse, anzi mi divertivo molto, anche perché avevo l’opportunità di una giornata diversa dalla solita routine del negozio. Peccato che dalle mie parti, i matrimoni si celebrassero quasi esclusivamente di sabato! La mia voglia di lavorare era inversamente proporzionale alla mia passione per la fotografia. Quella l’avevo ereditata da mio padre.

    I matrimoni erano la mia passione: oltre che una fonte di guadagno, mi davano l’opportunità di conoscere le amiche degli sposi, quelle più carine s’intende, cosa che per un single patentato come me era alquanto allettante.

    Questa passione, molto spesso, la condividevo con il mio amico d’infanzia Luca. Un’amicizia vera la nostra, eravamo proprio inseparabili e quando c’era l’opportunità lui si fingeva mio aiutante. Era fin troppo facile. Anche Luca, pure lui single, non perdeva occasione per rimorchiare, magari qualche non più giovanissima ragazza ancora in cerca di marito. Ovviamente, erano sempre dei fuochi di paglia che si spegnevano nell’arco di poche settimane. Né Luca, né io, avevamo mai avuto una storia seria o duratura con una donna, chissà, forse per paura di perdere la nostra amicizia o forse era semplicemente una scusa per non voler crescere.

    Abitavamo entrambi in periferia, a non più di cinquecento metri uno dall’altro. Eravamo cresciuti assieme, avevamo frequentato la stessa scuola, condiviso gioie e dolori. Io, con il mio inutile diploma di liceo, e lui, oramai ad un passo dalla trentina, ancora alla disperata ricerca di una laurea in Pubbliche Relazioni. Non che fosse negato per lo studio, anzi, le capacità non gli mancavano, peccato preferisse la vita mondana e i bagordi notturni. In quello era uno specialista, ma io non ero da meno, nonostante il lavoro mi occupasse gran parte della giornata.

    Io, al suo contrario, avevo deciso di non continuare gli studi, un po’ per pigrizia e un po’ perché sapevo di essere destinato a lavorare nello studio fotografico di mio padre. Non vedevo per me nessun altro futuro se non quello del fotografo; in una cosa almeno avevo le idee chiare.

    Erano oramai passati cinque anni dalla sua prematura scomparsa e nonostante la mia giovane età, me l’ero cavata piuttosto bene nel negozio, mantenendo un servizio di qualità eccellente e degli ottimi profitti. Ero riuscito a realizzarmi nel lavoro, ma gran parte del merito lo dovevo a lui, che fin da piccolo mi aveva insegnato tutto sulla fotografia.

    Per mia madre era stato un vero choc e non si era mai ripresa totalmente. Anche la mia vita era cambiata, non solo per le maggiori responsabilità che gravavano sulle mie spalle, ma anche per i continui e inspiegabili incubi che scuotevano le mie notti. Un sogno ricorrente che immancabilmente si ripresentava ogni santa notte e che rischiava di portarmi alla follia. Non riuscivo a darmene una spiegazione. Non capivo per quale motivo e per quale assurda coincidenza, dallo stesso giorno in cui mio padre morì, iniziai a fare ogni notte lo stesso maledetto incubo. Che cosa poteva aver scatenato nella mia testa la scomparsa di mio padre? Il dolore per la mancanza di un genitore era comprensibile, ma non giustificava sicuramente cinque anni di incubi!

    Ovviamente, mia madre non era al corrente di ciò. Aveva sofferto parecchio e non volevo darle altre preoccupazioni, ma soprattutto, non volevo riaprire una ferita che per lei non si era mai completamente rimarginata.

    Luca, invece, sapeva tutto già da tempo. Era l’unica persona cui lo avevo confidato. A che servono gli amici altrimenti? Di lui mi fidavo ciecamente e sapevo per certo che non lo avrebbe mai raccontato a nessuno. Era rimasto molto colpito da questo fatto, che a entrambi sembrava assurdo, ma che purtroppo era inspiegabilmente reale e costante. Ogni tanto cercava di convincermi ad andare in analisi da qualche strizzacervelli, ma ogni suo tentativo cadeva nel nulla della mia testardaggine. Sapevo che lo faceva per il mio bene, ma il problema era mio e volevo gestirlo a modo mio, o meglio subirlo a modo mio. Ero arrivato al punto di pensare ad una punizione inflittami da mio padre per qualche oscuro motivo, ma nessun genitore potrebbe mai fare una cosa del genere al proprio figlio, né in questa, né in un’altra vita! Dunque, quale spiegazione potevo darmi?

    Luca era rimasto molto vicino alla nostra famiglia dopo la scomparsa di mio padre, e questo aveva rinsaldato ancora di più la nostra amicizia, tuttavia nessuno, neppure lui, avrebbe potuto aiutarmi. Volevo risolvere il problema da solo, ma più passava il tempo e più le mie speranze si affievolivano. Ciò nonostante, cercavo una spiegazione razionale che potesse darmi una tregua oppure aiutarmi a capire se tutto ciò avesse un significato ben preciso.

    Capitolo 2

    La giornata era splendida. Il cielo limpido era la cornice ideale per il matrimonio che ogni futura sposa s’immagina. Il mio compito era di immortalare e rendere indelebile un ricordo.

    Nonostante l’ora, la temperatura era già abbastanza alta, al punto da farmi sudare mentre mi apprestavo a indossare il vestito per la cerimonia.

    «Cominciamo bene…», pensai, e mentre stringevo il nodo della cravatta, una sensazione di soffocamento mi pervase. Avrei potuto anche non metterla, in fondo, non ero né lo sposo, né uno degli invitati, ma volevo essere perfetto, come perfette avrebbero dovuto essere le mie foto.

    Ero veramente maniacale e puntiglioso sul lavoro, nessun particolare doveva essere tralasciato. Del resto, la fotografia, in quanto tale, richiedeva una cura particolare dei dettagli e se volevo essere il migliore sulla piazza, dovevo essere cosi. Tutto ciò mi riusciva particolarmente bene. La qualità dei miei book fotografici era molto apprezzata in città, e il passaparola mi portava a essere molto ricercato dai clienti.

    «Ecco fatto!» esclamai ad alta voce. Mi rialzai velocemente guardando le mie scarpe lucidissime appena allacciate. Diedi un’ultima occhiata generale, girandomi e rigirandomi davanti allo specchio. La mia fronte corrugata si distese improvvisamente e il mio viso si schiarì abbozzando un sorriso.

    «Mmh!» mi uscì dalla gola in segno di approvazione. Ero pronto per recarmi allo studio a prendere l’attrezzatura.

    Non feci neppure in tempo a uscire dalla camera, che lo squillo del cellulare, appena infilato nella tasca interna della giacca, mi fece sobbalzare.

    «Eccolo qua!» dissi, vedendo l’immagine di Luca sul piccolo display illuminato. Premetti il tasto per rispondere.

    «Dimmi! Sei già pronto per una lunga giornata da aiuto-fotografo?» chiesi sorridendo, senza neppure sentire prima la sua voce.

    «Assolutamente sì», rispose lui con un tono allegro, simile a quello di un bambino pronto per scartare un regalo nel giorno del suo compleanno.

    «E tu?» continuò.

    «Certo!» risposi, mentre con la mano sinistra continuavo a sistemarmi i capelli davanti allo specchio.

    «Passo a prenderti tra cinque minuti, ok?»

    «Benissimo, sono già fuori, ciao!» concluse lui velocemente, come se avesse premura di partire.

    «Ciao!» risposi io, nonostante la linea fosse già caduta.

    Scesi di corsa le scale. Le suole in cuoio facevano un fracasso incredibile sbattendo sul marmoreo rivestimento grigio. Una volta raggiunto l’uscio, presi le chiavi dal portaoggetti, soffermandomi solo per un istante a pensare se avessi dimenticato qualcosa. Uscii di casa, non prima di aver dato un’ultima sbirciata allo specchio d’ingresso. Due giri di chiave, poi mi diressi verso l’auto parcheggiata sul vialetto. Il sole del mattino faceva luccicare magnificamente la mia Audi color canna di fucile. Anche lei era stata tirata a lucido per l’occasione. Accesi il motore e partii imboccando la prima stradina sulla destra.

    Appena svoltato l’angolo, scorsi una figura scura sul lato destro della strada che mi veniva incontro. Pantalone grigio, camicia bianca, cravatta nera, giacca in mano e occhiali scuri. Era Luca. Accostai e lo feci salire.

    «Sembriamo i Blues Brothers», disse sorridendo, osservandomi dopo essersi seduto sul sedile del passeggero.

    «Effettivamente…» ammisi, rimbalzando più volte il mio sguardo su entrambi, «ma molto più fighi!» continuai, prima che lui potesse aggiungere altro.

    «Assolutamente sì!» rispose, spalancando gli occhi dopo essersi tolto gli occhiali. Seguì una risata contagiosa mentre ripartivamo in direzione del centro.

    Luca era molto eccitato per la giornata che ci attendeva, ed io cercavo in qualche modo di smorzare il suo entusiasmo. In fondo, per me sarebbe stata una giornata molto impegnativa e non potevo di certo permettermi brutte figure. Lui era fatto così. Non me la sentivo di essere troppo pesante nei suoi confronti, ma sapevo, comunque, che non avrebbe mai fatto nulla che potesse compromettere il mio lavoro. Questo bastava a tranquillizzarmi.

    Arrivammo al negozio in un attimo. Presi l’attrezzatura, preparata già la sera prima, e ripartimmo subito in direzione del piccolo paesino della sposa. Calcolai di arrivarci in poco più di un quarto d’ora, e così fu.

    La casa era stata sapientemente addobbata con palloncini a forma di cuore e una miriade di fiocchi bianchi. Al centro dell’ampio giardino, un gazebo copriva un tavolo imbandito.

    Raccolsi le mie due macchine fotografiche dal sedile posteriore, mentre la terza, la passai a Luca come da abitudine, per giustificare la sua presenza. Aveva carta bianca, e quindi il permesso di fotografare tutto ciò che voleva, a patto di non intralciare il mio lavoro. A volte, anche se di rado, premiavo qualche suo scatto ben riuscito, inserendolo nei book.

    Suonai il campanello posto accanto al cancello d’ingresso. Il padre della sposa si affacciò alla finestra e con ampi gesti del braccio ci esortò ad entrare. Attraversammo l’intero giardino, lasciando sulla nostra destra il gazebo. Lo sguardo di Luca rimase per tutto il tragitto calamitato dalle innumerevoli bottiglie di vino appoggiate sul tavolo. Gli diedi un’occhiataccia per riportarlo all’ordine. Lui sorrise sbuffando.

    Entrammo in casa. Ad attenderci all’ingresso, i genitori della sposa, visibilmente affannati, ci salutarono con calore.

    Dopo le presentazioni di rito, ci fecero accomodare in salotto in attesa della sposa.

    Passarono pochi secondi, e dal corridoio, un ticchettio di scarpe femminili anticipò l’ingresso di una giovane ragazza bionda.

    «Buongiorno!» esordì lei.

    «Buongiorno!» risposi, alzandomi dalla sedia.

    «Piacere Erica, la sorella di Elisa», disse.

    «Io sono Cristian, e lui è Luca, il mio assistente.» Le strinsi la mano energicamente, lei fece lo stesso.

    «Addirittura due fotografi!» esclamò, abbozzando un sorriso carico di stupore.

    «Così non perderemo neppure un attimo di questa giornata», risposi rapidamente.

    «Perfetto! Seguitemi… mia sorella vi sta aspettando.»

    Attraversammo il corridoio. I nostri occhi erano puntati sulla ragazza che ci precedeva. Il suo vestito grigio lucido aderiva perfettamente al suo esile corpo. Il suo profumo delicato ci trascinò dolcemente verso la camera della sposa. Spalancò la porta ed entrammo.

    Lei era al centro della stanza. Il vestito era bianchissimo, i capelli perfettamente acconciati e il viso leggermente truccato.

    «Stupenda!» mi usci dalla gola, dopo alcuni attimi di silenzio. Non lo dicevo così per dire. Lo pensavo veramente, e lo pensava per certo anche Luca, a giudicare dall’espressione stupita del suo viso.

    «Grazie», rispose lei arrossendo, poi guardò Luca perplessa.

    «Ah, dimenticavo! Lui è Luca, il mio assistente.»

    Non rispose, ma ci fu uno sguardo d’intesa tra le due.

    «Cominciamo?» chiesi, rivolgendomi ad entrambe per interrompere un silenzio imbarazzante.

    «Ok!» risposero all’unisono.

    Feci alcuni scatti alla sposa, poi altri assieme alla sorella.

    Sulla porta, i genitori seguivano la scena con gli occhi lucidi.

    Appena mi resi conto della situazione, li presi sotto braccio e li avvicinai alle due ragazze.

    Almeno una foto di famiglia prima della cerimonia era di rito, e comunque era il miglior modo per sciogliere un po’ di tensione.

    Cercai in tutte le maniere di metterli il più possibile a loro agio. Non volevo certo dei visi tirati, così, con il mio atteggiamento e il mio sorriso rassicurante, riuscii a stemperare la situazione.

    Era un’altra delle mie attitudini. Una delle giornate più importanti nella vita di una persona meritava di essere vissuta con la giusta leggerezza. In fondo era una festa.

    Uscimmo tutti dalla casa in attesa degli ospiti. Rimasero dentro solo le due ragazze. Luca ed io brindammo sotto il gazebo con il padre, mentre il giardino cominciava a riempirsi di persone.

    Un quarto d’ora più tardi, finalmente, fece la sua apparizione la sposa, seguita dalla sorella. Una serie interminabile di applausi e di complimenti accompagnò la difficoltosa discesa delle scale, poi, una volta raggiunto il gazebo, i brindisi si sprecarono.

    Io seguii tutta la scena in disparte ed in silenzio, facendo qualche foto per cogliere l’espressione della sposa. Luca cercò di imitarmi, posando a malincuore il bicchiere per qualche istante.

    Era giunta l’ora della partenza. Lo sposo, probabilmente, stava aspettando in chiesa già da parecchi minuti. Fuori dal cancello, una lussuosa macchina sfavillante era pronta ad accogliere la futura sposa. Nel giro di pochi minuti, il giardino rimase completamente deserto, e la comitiva si diresse verso la chiesa.

    Tutto filò liscio.

    Il sorriso dello sposo alla vista della sua amata, la solenne cerimonia, le lacrime dei genitori, il lancio del riso… insomma, tutto come da copione. Anche il mio lavoro procedeva senza intoppi. Rimaneva solo il pranzo nuziale. Per me ancora lavoro, per Luca cominciava il vero divertimento.

    Arrivammo alla villa preparata ad hoc per il ricevimento.

    Una volta scesi dall’auto, davanti ai nostri occhi si delineò una vista magnifica. Alti muri di cinta racchiudevano un giardino stupendo. Al centro, una gigantesca villa dell’ottocento, perfettamente mantenuta, era pronta ad accoglierci. Una volta superato il grande cancello d’ingresso, Luca si voltò verso di me. Il suo sguardo era incredulo. Feci un cenno con gli occhi annuendo. Non c’erano parole per descrivere il panorama.

    Cercai di scrollarmi da quello stupore, e ripresi a fare il mio lavoro. Fotografai l’ingresso degli sposi e dei molti invitati. Fu tutto molto veloce. La premura della gente nel gettarsi a capofitto sui vari buffet, distribuiti per tutto il giardino, era imbarazzante, ma l’ora era tarda, e i morsi della fame cominciavano a farsi sentire.

    Era finalmente giunto il momento tanto atteso da Luca. Esaurite tutte le formalità, il clima ormai più disteso favoriva il suo avvicinamento a qualche ragazza.

    Questa volta aveva le idee chiare. La testimone, nonché sorella della sposa, era il suo obiettivo.

    «Erica! Un bel sorriso accanto alla sposa!» esclamò, puntandole addosso la macchina fotografica, ed interrompendo i discorsi tra le due ragazze.

    Lei si voltò rapidamente. Si affiancò alla sorella in attesa dello scatto. Il suo volto, illuminato da un sorriso perfetto quanto spontaneo, era radioso.

    «Fatto!» esclamò nuovamente, prima di dirigersi verso di loro.

    «Ammetto che la pellicola, non è l’unica ad essere rimasta impressionata dalla vostra bellezza», proseguì lui, una volta vicino.

    «Abbiamo un assistente fotografo molto galante, a quanto pare...», rispose scherzosamente per prima la giovane sposa.

    «Per servirvi!» ricominciò lui, facendo l’inchino e sfoggiando un ampio sorriso.

    Le due sembravano parecchio divertite da Luca, e in particolare, gli sguardi di Erica nei suoi confronti lasciavano trasparire un certo interesse. In effetti, lui era veramente un maestro in quelle occasioni.

    Era giunto il momento di fare da

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