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Per sempre estate
Per sempre estate
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E-book295 pagine4 ore

Per sempre estate

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Info su questo ebook

Una storia d’amore calda come il sole d’agosto e indimenticabile come l’estate

Dopo il primo anno di college, Summer avrebbe tanto voluto concedersi una magnifica vacanza in Spagna e invece è costretta a lavorare tutta l’estate nello stabilimento balneare dei genitori. Stessa sorte è toccata alla sua amica Autumn, dopo che i suoi hanno scoperto che ha passato l’anno a studiare arte e fotografia invece di economia. Quando però allo stabilimento arrivano Lucas e Tyler, l’estate sembra prendere un’altra piega. Lucas è molto attratto da Summer e lei, nonostante l’iniziale antipatia, ricambia il suo interesse. Ma nella vita di Lucas non c’è spazio per le sorprese: finita la vacanza deve tornare a New York, dove lo attende il destino che suo padre ha scelto per lui. Summer, dal canto suo, non riesce a credere che con Lucas sia stata solo una storia estiva come tante altre. Per lei quell’estate è e resterà indimenticabile. E così, ignara di ciò che la aspetta, prende il primo volo per New York…

«Fay Camshell ha superato brillantemente il suo esordio scrivendo un romanzo rosa che dà voce ai sentimenti e da essi trae la forza per realizzare i sogni dei protagonisti.»
Penna d’oro
Fay Camshell
vive a Napoli. Ha ventinove anni, è laureata in Ingegneria e ha sposato il suo fidanzato storico dal quale ha avuto una splendida bambina. Per sempre estate, romanzo autopubblicato, ha avuto duemila download in pochi giorni.
LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2016
ISBN9788854196476
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    Anteprima del libro

    Per sempre estate - Fay Camshell

    EN1282-per-sempre-estate-fay-camshell.jpg

    1282

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Prima edizione ebook: giugno 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9647-6

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Fay Camshell

    Per sempre estate

    Newton Compton editori

    A Paolo, il mio grande amore

    ed Erica, la mia ragione di vita.

    Fai che per te io sia l’estate

    anche quando saran fuggiti i giorni estivi.

    Emily Dickinson

    Capitolo 1

    Summer

    "U

    n’altra estate rovinata".

    È questa la prima cosa a cui penso quando sento la sveglia suonare alle sei del mattino.

    Le sei del mattino! Un orario impensabile per svegliarsi se si considera che sono tornata dal Colorado solo ieri sera.

    Do un’occhiata veloce alla sveglia, lampeggia la data di oggi.

    È il ventuno giugno, primo giorno d’estate e per tutti (tranne che per me!) iniziano le vacanze estive; naturalmente a Santa Barbara, in California, sembra estate quasi tutto l’anno ma questo è il periodo che la maggior parte dei turisti preferisce per trascorrere le proprie vacanze. Sono stata fortunata a nascere qui, in una delle città più belle degli Stati Uniti, vicino all’oceano Pacifico con un clima perfetto trecentosessantacinque giorni l’anno. Una sorta di paradiso.

    Detta così la mia vita sembra perfetta, in realtà non lo è per niente!

    I miei genitori possiedono una stazione balneare qui nell’East beach, il Sea Breeze, con tanto di ombrelloni, sdraio e ristorante, per cui, sin da piccola, estate è sinonimo di lavoro (ed ecco la fregatura!). Quest’anno, avendo terminato e superato a pieni voti il primo anno di college, ho avvisato la mia famiglia che avrei trascorso tutta l’estate in Spagna con la mia migliore amica, Autumn Lawrence. Il problema non è stato tanto convincerli a farmi partire da sola ma convincerli ad accettare l’idea di non avere l’aiuto gratis in cui speravano.

    Già sognavo un’estate di riposo.

    Immaginavo come avrei trascorso, nell’ozio, i giorni della mia prima vacanza quando, la scorsa settimana, ricevo la telefonata che ha distrutto tutti i miei piani: era mia sorella June che, presa dall’entusiasmo, mi comunicava una notizia orribile. Cioè per lei era una notizia strastupendissima, sue testuali parole, per me solo l’ennesima fregatura!

    Era stata accettata per un master estivo internazionale in progettazione di non so cosa (ammetto che non la stavo ascoltando con attenzione) e mi chiedeva se potevo tornare a casa al suo posto, affermando che per me era una buona occasione per affrontare e superare il passato. Al telefono ha ripetuto più volte quanto fosse dispiaciuta, sapeva che non volevo tornare a casa, ma quella era un’occasione da non perdere, solo otto studenti dell’ultimo anno di ogni università erano stati scelti e lei è tra questi. Non potevo dirle di no.

    Proprio quest’anno che avevamo programmato una vera vacanza!

    Per fortuna l’agenzia ha rimborsato il novanta percento dell’acconto versato, Tun sembrava tranquilla ma scommetto che c’è rimasta malissimo, anche se siamo state fortunate che i biglietti sono stati acquistati da un’altra coppia altrimenti avremmo perso anche l’anticipo, tutto per colpa di mia sorella.

    Io e June abbiamo solo tre anni di differenza ma, giuro, che lei, in ventitré anni, ha sempre lavorato meno di me e sempre con la stessa scusa: doveva studiare. Lei è sempre stata la studiosa e io la pigra. Studia architettura ed è bravissima, s’impegna molto e riesce ad ottenere sempre il massimo dei voti. Non posso competere.

    A volte sono eccessivamente critica con me stessa: non sono realmente così pigra, semplicemente non sono una secchiona come lei, anch’io mi sono iscritta all’università e ho quasi finito tutti gli esami del primo anno (certo la mia media non è altissima ma, in fondo, non conta di più superare l’anno?).

    Studio economia anche se non ho ancora le idee chiare su cosa farò dopo, sono indecisa su quale specializzazione prendere e i corsi che ho seguito quest’anno hanno solo confermato i miei dubbi sul futuro. Credevo che frequentando l’università avrei capito cosa fare, non mi aspettavo un’illuminazione improvvisa ma ora sono più confusa di prima e preferisco non dirlo ai miei genitori.

    Mia sorella June, invece, sin da piccola ha sempre avuto le idee chiare sul proprio futuro, il suo obiettivo è progettare hotel di lusso. Un desiderio strano, secondo me.

    Credo ci vorrà ancora molto tempo prima che possa realizzare il suo sogno, nonostante l’impegno, i buoni voti e i master non ci sono molte persone, o studi professionali, disposti a scommettere su una ragazza giovane e senza raccomandazioni.

    «Summer, Summer tesoro, sei sveglia?».

    Sento la voce di mia madre e il suo incessante bussare alla porta del camper (per la serie non bastava la sveglia ora ci si mette anche lei). Giusto, quasi dimenticavo, dormo nel camper che generalmente usa mio padre per fare da custode al lido, quest’anno lo uso io perché non ho intenzione di tornare a casa. Al college, nonostante la mia compagna di stanza fosse un tipo eccentrico dark con l’iPod perennemente acceso, ho apprezzato la possibilità di essere indipendente e svegliarmi tardi quando non c’era lezione. Una volta che si va via di casa è difficile tornarci, nel mio caso i ricordi lo rendono impossibile.

    Il camper non è grandissimo ma comodo e abbastanza nuovo; ci sono due letti a castello, un bagno (troppo piccolo) con doccia e un cucinino con tavolo e pensili in mogano che, probabilmente, non userò mai giacché mangerò al ristorante. È parcheggiato in un’area riservata adiacente al lido ed è immerso in un boschetto artificiale. C’è una cosa che adoro: il gazebo esterno in legno dove sono disposte quattro poltroncine e un tavolo in vimini, frutto di lunghe ricerche di mia madre nei negozi dell’usato e del lavoro di restauro di mio padre. Tutt’intorno alla struttura di legno ci sono dei rampicanti di edera che creano un effetto bucolico molto rilassante.

    Amo stare qui perché, nonostante la presenza dei turisti, grazie agli alberi e le siepi resta un posto isolato in cui regna la calma.

    In estate riuscire ad avere un po’ di tranquillità è un’utopia.

    Quando ero più piccola ero felicissima dell’arrivo dell’estate, mi emozionava svegliarmi presto e aiutare la mia famiglia ad accogliere i clienti. Mi faceva sentire adulta e anche coccolata da tutte quelle persone che mi riempivano di complimenti.

    In realtà, a otto anni, m’imbarazzavo quando qualcuno diceva che ero bella ma ne ero felice, a sedici mi lusingava che i ragazzi mi guardassero... ero così ingenua.

    Ora, a venti, odio chi mi definisce bella, dopo quello che è successo l’anno scorso detesto essere giudicata solo per l’aspetto fisico, tutto a causa sua. Sei così bella. Sento ancora quelle parole e la sua voce nei miei incubi.

    Ha distrutto tutto il mio mondo, la mia vita, le mie sicurezze. Tutto.

    Ho cambiato completamente il mio futuro solo per paura di incontrarlo di nuovo e nella speranza di poterlo dimenticare.

    Amavo l’estate, sentirmi in sintonia con la mia famiglia, con le persone e con l’oceano; il mio stesso nome, Summer, è un chiaro riferimento all’amore che i miei genitori hanno per questa stagione e che, negli anni, mi hanno trasmesso. Ora non sono più sicura che sia la mia stagione preferita. Mia madre ha sempre vissuto qui; il Sea Breeze apparteneva originariamente a mio nonno che, cinque anni fa, dopo la morte della nonna, ha deciso di ritirarsi dall’attività e viaggiare per il mondo per cui, ora, gli unici gestori sono i miei che hanno trasformato un semplice bar in un ristorante.

    Da allora io e mia sorella siamo le loro schiave. Con la scusa che siamo le loro figlie, non ci hanno mai pagato!

    «Summer sei sveglia? Perché non mi rispondi?», sento il suo tono irritato anche attraverso la porta.

    Dopo poco finalmente smette di bussare. Mi sorprende poiché, di solito, non si arrende così facilmente e, infatti, come avrei dovuto prevedere, aprendo gli occhi la vedo davanti al letto che mi guarda con un’espressione carica di rimproveri (in realtà credo non mi abbia mai guardato in un altro modo).

    Eccola qui: Marge Matthews in tutto il suo splendore materno. Tutti dicono che le somiglio tantissimo, abbiamo gli stessi occhi azzurro-verdi, capelli castani con caldi riflessi dorati (i miei sono lunghi fino a metà schiena mentre lei li ha sempre avuti corti), viso ovale con zigomi alti e fisico longilineo scolpito da tante ore di nuoto. Io, però, ho sempre pensato di essere più simile a mio padre, forse perché ho lo stesso carattere chiuso al contrario di June che, caratterialmente, è proprio identica a nostra madre. Sono entrambe iperattive ed estroverse.

    «Mamma, ma lo sai che ore sono?», le chiedo sbadigliando.

    «Ovvio che lo so, tesoro. È tardi, e poi sono stata io a impostarti la sveglia ieri. Conoscendoti sapevo che non sarebbe stato sufficiente».

    Lo dice come se fosse la cosa più normale del mondo. Giuro che non conosco proprio nessuno con una madre che imposta la sveglia al proprio figlio della mia età, per di più di nascosto!

    «Sono le sei!», ribatto con convinzione mentre il lenzuolo cade dal letto.

    «Summy c’è tantissimo lavoro da fare prima che arrivino i clienti».

    E allora perché non lo fai tu?. Mi viene quasi da rispondere. Purtroppo, anche se le rispondessi male non cambierebbe nulla, non mi permetterebbe ugualmente di tornare a dormire.

    Meglio che mi alzi dal letto e dia inizio al primo giorno di lavoro, rimandare è inutile. Odio questo lato del mio carattere, sono eccessivamente razionale e valuto ogni mia azione e parola un milione di volte. Ovviamente finisco lo stesso per combinare disastri ma mi consolo al pensiero che almeno sono errori ponderati.

    «Perché non avete chiamato qualcuno come fate ogni anno? Non credo che noi tre da soli possiamo gestire tutto», affermo cercando di essere gentile.

    «Non saremo solo in tre. Non preoccuparti», risponde sibillina mentre inizia a rifarmi il letto. Ecco, appunto, è iperattiva. «I ricavi quest’anno non sono stati alti come speravamo, inoltre, c’è sempre Peter che ci dà una mano con la barca portando i turisti in giro. Più della metà dei ricavi serve per pagare i tuoi studi e quelli di June, soprattutto perché tu non hai una borsa di studio».

    Come sempre mia madre, con il senso di colpa, riesce a farmi fare quello che vuole. È tipico di lei, ti colpisce in modo sottile, per cui non puoi controbattere. Non riesco mai a dirle no.

    «Questa è la lista dei tuoi compiti, se hai problemi ne parliamo dopo. Ora vado a fare la spesa, ciao tesoro», dice mentre esce in tutta fretta.

    Devo ammettere che un po’ invidio la sua forza. Ha quasi cinquant’anni e l’energia di una diciottenne. Il paragone con lei non regge, al confronto io sono un bradipo. Dando uno sguardo alla lista dei miei compiti vedo che i primi punti sono abbastanza semplici:

    - aprire e chiudere gli ombrelloni;

    - accompagnare i clienti;

    - sistemare sdraio e lettini;

    - controllare le docce;

    - barman (non maneggiare alcolici!!!);

    - cucinare.

    Cucinare?! Io?! O mia madre è impazzita o si è completamente dimenticata che in cucina sono un disastro. Mai imparato e mai imparerò! C’è da dire che il ristorante ha, come ovvio, una cucina super attrezzata ma in tutti questi anni si è sempre occupata mia madre di questo aspetto. È un ristorante a conduzione familiare per cui ogni giorno si può scegliere tra due o tre varietà di menù fissi, in base ai prodotti che ci riforniscono la mattina.

    Anche se non andiamo sempre d’accordo devo riconoscere che, in cucina, mia madre è fantastica, i clienti le fanno sempre tanti complimenti. Ammetto di aver sentito la mancanza dei suoi piatti soprattutto quando mangio alla mensa universitaria. Ogni giorno servivano risotti diversi solo per colore ma che avevano sempre lo stesso orribile sapore.

    Squilla il cellulare, le note dei Coldplay si diffondono nella stanza, mi volto per vedere chi è. Numero privato. Ormai ho imparato la lezione, dopo un anno che convivo con questa tortura, non sono più così stupida, non rispondo, ma se le telefonate anonime continuano dovrò cambiare di nuovo numero.

    Quando sto per gettare la spugna all’idea di dover eseguire i punti della lista, crogiolandomi al sole sulla poltrona sotto il gazebo, ecco che arriva la mia migliore amica, nonché portatrice di buon umore, Autumn. Non ci vediamo dalla scorsa estate, in altre parole da quando abbiamo iniziato il college. Un’eternità per noi due che abbiamo sempre vissuto in simbiosi. Sono felice di constatare che non è cambiata molto in un anno, non mi aspettavo chissà quale cambiamento esteriore ma credevo non sarebbe venuta. Fisicamente è stupenda, più alta di me di almeno dieci centimetri, ha i capelli rossi e un viso tondo che odia perché la fa sembrare più giovane, cosa che lei detesta. Anche le lentiggini sono una sua paranoia.

    «Summy, ciao! Pensavo che a quest’ora tu stessi ancora dormendo, sono così felice di vederti», dice correndomi incontro.

    Generalmente non siamo le tipiche ragazze californiane che strillano e saltellano quando si vedono (cosa che entrambe abbiamo sempre odiato), ma questa, senza dubbio, è l’occasione giusta per esserlo. Non ci vediamo da un anno, siamo più che giustificate!

    «E invece sono sveglia dalle sei», le rispondo con una linguaccia, ma subito dopo le butto le braccia al collo anch’io.

    «Mi sei mancata», ammette con esitazione e un pizzico di risentimento continuando a tenermi stretta.

    «Anche tu!», le rivelo restituendo l’abbraccio con altrettanta foga.

    Ed è verissimo, nessuno mi è mancato quanto lei; ci siamo mandate messaggi ed email per pianificare il viaggio che poi non avremmo fatto, ma vedersi dal vivo è diverso.

    Io e Autumn (che generalmente chiamo Tun, poiché da piccola non riuscivo a pronunciare il suo nome e, con gli anni, il nomignolo, è rimasto) siamo amiche da quando avevamo sei anni, cioè dal primo giorno della scuola elementare. Appena la maestra aveva finito l’appello i nostri compagni (maschi, chi altrimenti?) avevano iniziato a prenderci in giro per i nostri nomi. Mentre io piangevo, lei mi difendeva e, dopo aver assestato un pugno a quello stupido di Carl (in sostanza un idiota che crescendo non è migliorato), si è seduta al mio fianco e da quel giorno siamo diventate amiche.

    Secondo lei era destino che ci incontrassimo, i nostri nomi erano un segno, e da allora abbiamo cercato le stagioni mancanti. Ovviamente nessuno è così folle da chiamare le proprie figlie con i nomi delle stagioni, ad eccezione dei miei, fissati per l’estate, e dei suoi genitori che le hanno attribuito il nome della nonna (almeno la sua spiegazione ha più senso!). Da quel primo giorno di scuola non ci siamo mai separate nonostante fossimo diversissime non solo per il carattere ma anche per l’estrazione sociale delle nostre famiglie che non poteva essere più dissimile.

    I suoi genitori sono molto ricchi, ma lei, a differenza di tanti altri, è sempre stata attenta a non farlo mai notare e con il tempo anche le nostre famiglie sono riuscite ad accettare la nostra amicizia. Sua madre Katia è un tipo snob poco simpatico che da giovane faceva la modella e suo padre, Theo Lawrence, è un politico e l’ho visto troppo raramente per dare un giudizio.

    Negli anni ha passato più tempo qui alla spiaggia che a casa sua giacché i suoi genitori erano sempre in viaggio e i miei sono sempre stati felici di ospitarla. Per fortuna vivere in una famiglia tutt’altro che unita non ha influito sul suo carattere, Tun è una persona molto determinata, sicura di sé e, cosa impensabile per una ragazza ricca di Santa Barbara, non viziata!

    Io, lei e June siamo cresciute come tre sorelle, forse questo ha mitigato il suo carattere. La castana, la rossa e la bionda.

    Non posso credere che per me ha rinunciato ai suoi programmi per l’estate, avevamo progettato questa vacanza da tantissimo tempo fin nei minimi dettagli. Mi sento ancora in colpa e non solo per questo motivo.

    Fa un passo indietro e mi punta il dito indice contro.

    «Sono ancora arrabbiata, non illuderti, mi hai abbandonato e non ho ancora capito perché hai scelto un college così lontano tra tutti quelli che ti avevano ammessa qui. Ricordi che avevamo dei progetti?».

    Ecco, questa è la causa dei nostri frequenti litigi.

    «Sì, certo che lo ricordo ma avevo voglia di cambiare. Come cerco di spiegarti da un anno sentivo l’esigenza di vedere gente nuova. Ti rendi conto che, ad eccezione dei turisti, qui nell’East Coast ci conosciamo tutti? Abbiamo frequentato tutte le scuole con le stesse persone, non è normale», non so quanto posso sembrare convincente ma ho ripetuto questa scusa così tante volte che alla fine sembrerà vera persino a me. Non ho distrutto solo i miei piani, bensì ho distrutto i nostri. Sin da piccole avevamo deciso di frequentare insieme il college vicino casa, di vivere da sole in uno degli appartamenti della famiglia di Autumn e di venire a cena qui al ristorante. Un piano perfetto.

    Invece, alla fine, ho deciso di frequentare l’università del Colorado, l’unica che abbia accettato la mia iscrizione in ritardo.

    Non è molto lontano, soprattutto in macchina ma è comunque un altro Stato.

    «Tutte scuse. Cosa hai lì?», mi chiede accennando alla lista che ho ancora in mano.

    «La fantomatica lista della signora Matthews, l’elenco delle cose che dovrò fare gratis», affermo sventolando il foglio di mia madre avanti ai suoi occhi.

    «Tua madre e le sue fantomatiche liste. Poteva andare peggio, questa non mi sembra lunga come al solito», risponde leggendolo velocemente «e poi almeno non dormi a casa ma in questo orrendo camper, per cui se vogliamo fare tardi non devi chiedere il permesso. Certo, se dormissi da me sarebbe tutto più facile e divertente, potremmo uscire la sera, andare alle feste».

    Sapevo che avrebbe tirato fuori l’argomento.

    Da quando le ho scritto che sarei tornata a casa e avrei alloggiato nel camper (molto comodo, ampio e per niente orrendo!) ha cercato in tutti i modi di convincermi a dormire da lei e a partecipare a quelle stupide feste al Country Club.

    «Ti prego Tun non ricominciare, sai che amo l’indipendenza e odio le feste».

    «Va bene, asociale, ma sappi che ormai abbiamo quasi vent’anni e se non ci divertiamo ora non lo faremo più. Scommetto che in tutto l’anno non hai partecipato neanche a una festa e non hai conosciuto neanche un ragazzo. Tutti i tuoi messaggi erano sto studiando in biblioteca».

    «È una bella biblioteca!», ribatto con veemenza, adoro leggere nonostante non ami particolarmente studiare.

    «A meno che il bibliotecario non fosse un dio greco dubito che sia normale passare tanto tempo tra i libri. Per questo è deciso, aggiungerò un altro punto alla tua lista...», afferma con allegria prendendo una matita dalla tasca. Vedo il suo sopracciglio inarcarsi e lo sguardo improvvisamente meravigliato. «Wow, tu che cucinerai?», mi chiede mentre dà uno sguardo all’ultimo punto della lista «o tua madre deve aver sviluppato un nuovo senso dell’umorismo o odia tutti i clienti che restano a pranzo. Io non ripeterei mai l’esperienza di mangiare un piatto cucinato da te», ammette facendo riferimento a un piccolo episodio di qualche anno fa.

    I miei genitori erano andati a una fiera e noi eravamo rimaste a casa da sole, eravamo affamate, quindi mi sono offerta di cucinare. A mia discolpa posso solo dire che non sapevo che la passata di pomodoro acquistata al supermercato andasse cotta e non solo riscaldata.

    Errori che possono capitare.

    «Grazie, troppo gentile. La conosci mia madre. È solo il suo modo contorto per punirmi per non aver telefonato spesso dopo Natale», evito di dire che, anche prima, le mie telefonate erano alquanto sporadiche.

    Solo ora mi rendo conto che anche con Autumn ci siamo sentite pochissimo, se si escludono i messaggi su WhatsApp che ci scambiavamo tutte le sere, mi scriveva della sua insopportabile compagna di stanza e io della mia!

    Ci siamo sentite pochissimo, i corsi sono stati impegnativi e ammetto che ho temuto che la nostra amicizia non avrebbe retto alla lontananza. Per fortuna non è stato così.

    Direi che è meglio cambiare argomento.

    «Dicevi che dovevi aggiungere un altro punto alla mia lista, quale? Anche perché già così mi sembra tanto considerando che avremmo dovuto essere in vacanza».

    In realtà se qualcuno (o meglio mia madre!) ci avesse visto in quel momento sedute allegramente a chiacchierare credo che avrebbe obiettato sul fatto che stessi realmente lavorando.

    «Sì, giusto. L’altro punto è: trovare un ragazzo!».

    «Scherzi vero? Io ho chiuso con il genere maschile», rispondo di getto.

    Quasi non mi rendo conto di quello che ho detto e vorrei mordermi la lingua per la mia stupidità.

    «Da quando?», sembra incuriosita e sospettosa per il mio comportamento e ha ovviamente ragione a esserlo.

    È tanto che voglio parlare con lei, la mia migliore amica, la persona che mi è sempre stata vicino, ma non so da dove iniziare, non so come liberarmi di questo peso e confessarle quello che è successo l’anno scorso. Io e Autumn ci siamo sempre divertite in estate, andavamo a caccia di ragazzi, gli davamo dei voti e facevamo una classifica dei più carini. Alla fine non ci avvicinavamo mai, ma era ugualmente divertente. Tra me e lei non so chi sia più carente in relazioni sentimentali.

    Ero sicura che un giorno mi sarei innamorata anche io, ma questo era prima, prima che lui rovinasse tutto così da farmi odiare tutti i ragazzi.

    «Da quest’anno. Siamo cresciute per cui è ora di smettere di correre dietro a ragazzi carini ma stupidi; è il momento di cercare il vero amore», mi dovrebbero dare l’oscar per la mia capacità di mentire così bene. Giacché è impossibile trovare il vero amore non si stupirà se non mi cerco un ragazzo, un’idea semplice ma geniale. «Se vuoi, però, ti darò una mano a trovare un ragazzo perfetto per te, tanto di solito cadono

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