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Il nome del rosato
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E-book173 pagine2 ore

Il nome del rosato

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"Marpessa Ludovisi dette un’ultima occhiata compiaciuta allo specchio della sua sontuosa camera da letto, dove vide riflessa un’imperiosa, eccentrica creatura. “Nihil difficile volenti”, pensò sorridendo, memore dei suoi amari studi classici al Liceo Umberto di Napoli: nulla è difficile per chi vuole davvero."
Nulla è difficile ma tutto un po' complicato se a volere sono in tanti e tutti la stessa cosa: un celebre divo di Hollywood, due eccentrici gemelli proprietari di un ristorante alla moda, l'energica madre superiora di un convento sulla costa amalfitana, un noioso professore universitario che si scopre un lato Indiana Jones; tra equivoci e colpi di scena si scatena una specie di caccia al tesoro che dà luogo ad esilaranti avventure, in un clima di festosa spensieratezza.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ago 2014
ISBN9786050319262
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    Anteprima del libro

    Il nome del rosato - Delia Altamonte

    contagiosa...).

    I. La vendetta è un piatto che si gusta freddo

    Marpessa Ludovisi dette un’ultima occhiata compiaciuta allo specchio della sua sontuosa camera da letto, dove vide riflessa un’imperiosa, eccentrica creatura. Nihil difficile volenti, pensò sorridendo, memore dei suoi amari studi classici al Liceo Umberto di Napoli: nulla è difficile per chi vuole davvero.

    E Marpessa detta ‘a Purpessa, cioè la Polpessa per la sua bruttezza, come e più di Alfieri aveva fortissimamente voluto. Che cosa? Diventare ricca, celebre e possibilmente bella. Già ricchezza e celebrità sono due mete non da poco, ma quando si ha l’aria di una giraffa travestita da aquila per un ballo in maschera, il terzo obiettivo è arduo ancora di più! Lei era intelligente, spiritosa, di ottima famiglia e anche potenzialmente simpatica, ma irrimediabilmente brutta. Nella mitologia Marpessa era destinata, nei desideri paterni, a rimanere vergine. Il destino in un nome... Ma mentre la mitologica Marpessa riusciva a convolare a giuste nozze, la povera Ludovisi non riusciva a battere un chiodo. Il soprannome ’A Purpessa gliel’avevano dato due compagni di classe, i gemelli Trudelli. L’opinione di metà della classe era quella che espresse al consiglio dei professori la loro tartassata professoressa di matematica: «Ne bastava uno!». L’altra metà era plagiata, ed era in buona parte la metà femminile.

    Figli di un notaio, brillanti ma sfaticati, come si dice a Napoli degli alunni che non studiano, i Trudelli erano un concentrato di malignità e prepotenza, però erano terribilmente spiritosi. Mettersi contro i Trudelli voleva dire rendersi a scuola la vita molto, ma mooolto difficile. D’aspetto comune, di quella robustezza che con gli anni diventa pinguedine, i Trudelli però sprigionavano una tale quantità di ferormoni da agire sul lato debole come una calamita o, vista l’antipatia dei personaggi, come la carta moschicida. Tra le adoratrici segrete c’era anche Marpessa, che non potendoli avere entrambi, si sarebbe accontentata di uno a caso. I due le rivolgevano la parola solo prima del compito di greco, allo scopo di farsene passare la traduzione, e per il resto del tempo la ignoravano.

    Marpessa era timidamente corteggiata da un nuovo acquisto della classe, tal Venturino Giorgetti, che essendo nato e vissuto in America da genitori italo-americani, parlava come Stanlio e Ollio. Venturino era minuto, magrissimo, con le lenti a fondo di bottiglia, ma era intelligente e interessato allo studio. Marpessa gli era simpatica, e diventarono amici. Forse, qualcosa di più. Purtroppo il timido e imbranato Venturino subiva il fascino dei Trudelli ed ebbe la dabbenaggine di rivelare proprio a loro il suo debole per Marpessa, che quel giorno dava una festa per il suo compleanno.

    I gemelli risero fino alle lacrime e chiamarono a raccolta i compagni:

    «Venturino vuole mettersi con Marpessa, quella Purpessa! Ma Marpessa è impresentabile, improponibile, indigesta! Se la fa con le più racchie della classe!».

    Ne dissero tante che Venturino, non cattivo ma vile, non andò alla festa. Temeva che gli altri lo deridessero, e si vergognava di avere provato attrazione per quella che, a giudizio generale, era una scopa. Uno dopo l’altro anche i ragazzi decisero di non andare, anzi di fare una festa concorrenziale la sera stessa. Era con loro il Boringhieri, un fico da paura (non potendo ucciderlo i Trudelli se l’erano fatto amico), Ernesto Franchi, di una simpatia travolgente, Peppe La Povertà, soprannome datogli perché sempre al verde, benché di famiglia benestante, che nonostante la giovane età perdeva al gioco. Il cognome non se lo ricordavano più nemmeno i professori, che a furia di sentirlo chiamare così chiedevano:

    «La Povertà è ancora assente?».

    Con loro Carmignani ’O Barone, i due cugini Salerno, insomma tutta la classe che contava. Perciò le belle, avvertite per telefono, sciamarono dove c’era il dolce, che non era la torta della povera Marpessa, ma il fior fiore della classe.

    Le candeline Marpessa le spense con cinque bruttine, Ludovica Morelli La comare secca, Annacarla Falcetti ’O disastro, Giacinta Savarese La Squaquecchia, cioè la racchia, Rosita Aloisio Dentonie per finire Giulia Ognibene, detta Rifatela!. Inutile dire che i cari gemelli erano gli autori di questi crudeli nomignoli.

    Pochissimi si degnarono di avvertirla della defezione, perciò oltre alla mortificazione la povera festeggiata si chiedeva cosa avesse mai fatto per meritare una cosa simile. Aveva offeso qualcuno? Quando Annacarla Falcetti la invitò a ballare, dicendo:

    «Però il cavaliere lo fai tu», Marpessa non resse e scoppiò in lacrime. La festa finì alle sette di sera. Marpessa per l’umiliazione continuò a piangere fino a mezzanotte.

    Quando seppe a chi doveva quello scherzetto, giurò vendetta, tremenda vendetta. Da Marpessa a Medea ci volle un attimo.

    Venturino, schiacciato dal suo disprezzo, cambiò sezione.

    I Trudelli si fecero greco a ottobre.

    Non si videro mai più.

    Marpessa, già ricca di suo, lo era diventata anche di più. Aveva trasformato in professione la passione per l’alta cucina, diventando un’autorità assoluta in materia. Un suo articolo poteva decretare la rovina o il successo di un ristorante. In precedenza con lo stesso entusiasmo si era occupata di bon ton, con una scuola di belle maniere, ma era diventata famosa soprattutto con le sue partecipazioni a note trasmissioni televisive. Se Liala aveva spiritosamente detto: Ho insegnato alle italiane a lavarsi, Marpessa poteva ben dire: Ho insegnato alle italiane a stare a tavola.

    Ma la vera fonte della sua ricchezza risiedeva nelle migliaia di copie che vendeva con i suoi travolgenti e anche un po’ piccanti romanzi d’amore, per i quali traeva ispirazione dal gran mondo che frequentava, e che firmava con uno pseudonimo.

    A cinquant’anni Marpessa si ruppe il naso. Non vide il portone di cristallo di un palazzo a via Orazio, sentì una botta e un dolore tremendo e si svegliò con un naso nuovo.

    L’aveva operata un giovane chirurgo che poi sarebbe diventato un luminare, e che aveva pensato di rimediare a entrambi i disastri, giacché ci si trovava (la rottura e il naso). Basti pensare che in una caricatura i Trudelli l’avevano raffigurata a una festa separata da una folla d’invitati dal buffet, dove tuttavia aspirava il profumo delle tartine munita di una proboscide, che in realtà sembrava piuttosto il becco di un tucano, e che come un ponte passava al di sopra della folla: Marpessa infatti era una ragazza molto alta.

    Sorpresa: col nuovo naso gli zigomi ossuti divennero scolpiti, gli occhi ravvicinati si distanziarono, e una donna piena di carattere e di fascino le sorrise dallo specchio, identica a Katherine Hepburn in età matura. Marpessa per poco non morì d’infarto per la contentezza, e completò l’opera accentuando la somiglianza con qualche altro ritocco e il trucco. La gente non la riconosceva, ma pazienza. Finalmente Marpessa, sia pure tardi, era bella davvero. Dulcis in fundo, si rifece il sorriso, proprio come quello dell’attrice, e perse qualsiasi somiglianza con Clarabella, quella di Topolino per capirsi.

    Stufa dei fasti della capitale, dove si era trasferita da anni, Marpessa si era ritirata nella bella villa di Sorrento che era stata dei nonni, dove sarebbe stata felice: ma la felicità non è di questo mondo. Aveva cresciuto una nipote come una figlia sua, e la ragazza l’adorava: purtroppo si era innamorata di uno scocciatore, professore universitario, e ora il tedioso Roberto Geco, detto il Geco da Marpessa, è marito di Nicoletta, la nipote. Molto più grande della moglie, da cui lo separano vent’anni e più, chiama zia Marpessa, che lo considera un coetaneo, e ne prova gran dispetto. Purtroppo la coppia vive con lei. Zia e neonipote si odiano.

    Ma in questa sera speciale, in cui Marpessa è fasciata in un abito viola e smeraldo e in barba alla non verde età caracolla su un bel paio di tacchi con i quali potrebbe entrare a far parte dei corazzieri, niente è lontano da lei quanto il pensiero del nipote rompipalle. Non a caso ha messo alcune gocce di un profumo dal nome assai appropriato: Naja Tripudians. Trattasi di cobra, per intenderci.

    Da tripudiare ha parecchio. Sta recandosi con la sua Bentley guidata da Carmine, l’autista, all’Eau Pétillante, locale terribilmente à la page, un firmamento di stelle Michelin per la haute cuisine... Si dice che quel noto, bellissimo attore americano che è venuto a vivere in Toscana, sia in trattative per acquistarlo a una cifra favolosa, e chiamarlo da George. Ma la vera notizia ghiotta è che il locale appartiene a due notai, o meglio a due ex notai. Gemelli. I Trudelli. Ah ah ah! Duole dover riferire che una persona distinta, un’icona del buon gusto come Marpessa, per oltre mezzo secolo abbia chiamato i suoi ex compagni di liceo in cuor suo Brutti Stronzi, ed è questo nomignolo che ora mormora come un mantra andando verso il celebre ristorante sulla strada di Amalfi.

    Benissimo avrebbero fatto i Trudelli a manifestare sorpresa e gioia all’arrivo dell’ex Purpessa ormai non più tale. Che non l’avessero riconosciuta è impossibile, perché anche se cambiata Marpessa è una celebrità. Chissà, forse le lacrime di commozione, il riconoscere i suoi trionfi da parte degli ex compagni di scuola avrebbero rabbonito la Medea che si era coltivata la pianticella del rancore fino a farne un mostruoso baobab, come quelli del Piccolo Principe. Invece, nella stupenda cornice del ristorante con giardino a terrazze, davanti a uno dei panorami più belli del mondo, i Trudelli non fecero una piega. Neppure andarono a ossequiarla, come avrebbero fatto con altre celebrità.

    Marpessa siede alla tavola stupenda, col tovagliolo sistemato non da un cameriere ma da un maestro d’origami, visto che è piegato come un pavone, guarda la tovaglia ricamata a mano con elaborati gigli borbonici, i bicchieri di cristallo leggeri come una bolla di sapone, con uno squisito fregio d’oro zecchino, e dopo un’attenta meditazione sul menu e la carta dei vini, ordina una specialità della casa: i Mulinelli all’acqua pazza.

    I mulinelli sono una specialissima qualità di pasta fresca, a cui è stato aggiunto un misterioso ingrediente. Noi sappiamo che si tratta di avannotti, quella minutaglia piccolissima che è proibito pescare, ma si sa che i Trudelli hanno il gusto della trasgressione. La preparazione dev’essere molto accurata: basta un niente, e la pasta si disfa, o peggio diventa appiccicosa, insomma un disastro. Ma Peppe ‘O mago, pescatore verace promosso cuoco sul campo, che cucinava a bordo del gozzo del vecchio Trudelli padre, sapeva il fatto suo e la ricetta dei mulinelli, che si presentano come spaghetti a sezione quadrata, è un capolavoro assoluto. Se si pensa poi che all’acqua pazza, cioè al brodetto, si aggiungono crostini caldi imburrati e sopra polpa di riccio ghiacciata, si avrà l’idea di quanto sia elaborato il piatto, e sopraffino.

    Marpessa pasticciava svogliatamente quella squisitezza con la forchetta d’argento. Se non sapessimo che si era zavorrata lo stomaco con pane e Nutella, una delle poche cose per cui andava davvero matta, avremmo l’impressione che tanta armonia di colori, odori, sapori fosse sprecata per lei.

    Questo era anche il pensiero dei Trudelli, che da lontano sorvegliavano l’arpia. Brutta lazzarona incompetente! Il piatto glielo avrebbero tolto dalla tavola di prepotenza, ma non si poteva. Lo chef, avvertito dai camerieri, si era affacciato dalla cucina e contemplava lo spettacolo fuori dalla grazia di Dio.

    Marpessa faceva delle impercettibili smorfie, e seguitava a rimestare. I clienti, che prima la sbirciavano appena, erano fermi come statue di sale ad osservarla con la coda dell’occhio. Marpessa posò il tovagliolo,

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