Qui. Ora. Il live streaming come strumento di marketing per le piccole e medie imprese
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Anteprima del libro
Qui. Ora. Il live streaming come strumento di marketing per le piccole e medie imprese - Fabrizio Ulisse
Postfazione
Prefazione
di Antonio Pavolini
Correva l’anno 1951 quando i giornalisti della CBS Edward R. Murrow e Fred W. Friendly portarono in televisione il loro format radiofonico Hear it Now
, ribattezzandolo per l’occasione See it Now
.
La televisione, che stava divenendo proprio in quei giorni un fenomeno di massa, considerava ai tempi la trasmissione in diretta più un vincolo che una opportunità. Non essendo ancora stato inventato il videoregistratore (che avrebbe debuttato solo al termine di quel decennio), ogni programma televisivo non preparato su pellicola, quindi in sostanza qualsiasi programma di informazione, non poteva che essere trasmesso in diretta.
Murrow fu il primo a rendersi conto del famoso power of now
evocato da Carr nell’incipit di questo manoscritto, costruendo sulla condivisione di un momento e sui collegamenti in diretta (allora garantiti da lunghi ponti radio) il successo del suo format.
Le telecamere di See it Now
erano ovunque, nel Paese, stesse succedendo qualcosa di significativo. Gli effetti di questa scelta - fino ad allora ritenuta un irragionevole spreco di risorse economiche - non tardarono a manifestarsi, ponendo le basi dei canali All-News di oggi come la CNN. Quando Murrow potè incalzare con le sue domande il senatore McCarthy, che fu visto balbettare le sue risposte in tempo reale da una costa all’altra, tutta la spinta propulsiva della caccia alle streghe anticomunista promossa da quest’ultimo svanì nel giro di mezz’ora.
Quella che per McCarthy fu l’uscita dalla scena politica, per l’informazione in diretta, o live news coverage, fu un debutto trionfale. Da allora quasi tutti gli eventi critici per gli Stati Uniti, e poi per il mondo (dal dibattito Nixon-Kennedy all’assassinio di quest’ultimo, dalla guerra in Vietnam alla conquista della luna) vennero trasmessi in diretta, aprendo la strada a nuovi linguaggi e a nuovi immaginari collettivi. Il lancio dei primi satelliti per le telecomunicazioni, a metà degli anni ‘60, fece il resto conferendo portata globale alla condivisione simultanea di ogni singolo evento.
Per completare il cammino verso la costruzione di un immaginario laico
rispetto allo strumento televisivo rimaneva però il superamento di un vincolo fondamentale. Il limite del palinsesto da un lato e la scarsità dei canali disponibili dall’altro, per quanto moltiplicati dalla compressione digitale all’inizio degli anni ‘90, rendeva un evento degno
di essere trasmesso in diretta solo quando esso rispettava il requisito principale, e cioè quello di garantire una sua commerciabilità
secondo le regole della televisione tradizionale. Era necessaria una ampia audience generalizzata che rendesse la diretta vendibile
, vuoi per la missione di una televisione pubblica vuoi per gli inserzionisti di una televisione privata. Il fatto che a un certo punto fosse possibile, per il telespettatore, acquistare
il singolo evento in pay-per-view non cambiò di molto i termini di questo requisito, anzi per certi versi valse a raforzarlo.
Ma proprio all’inizio degli stessi anni ‘90 alcuni testardi sviluppatori si erano già lanciati nell’impresa di utilizzare Internet per la trasmissione simultanea di immagini in movimento. Una impresa che ai tempi pareva ardua ai limiti della follia. Internet, infatti, era una rete nata per soddisfare il vincolo dell’interoperabilità, attraverso un unico protocollo di compromesso e trasmissione di dati a pacchetto, quindi sostanzialmente un incubo per la trasmissione di dati in streaming
, come poi venne ribattezzata.
Eppure - come vedrete meglio nei capitoli che seguono - alla fine ci si riuscì. Si trattava, in sostanza, di assecondare da un lato la crescita vertiginosa della disponibilità della banda a disposizione, dall’altro di cavalcare l’altrettanto rapido aumento della capacità di elaborazione dei terminali e delle schede video, ma soprattutto di lavorare sodo su tutto quello che stava in mezzo tra emittente e ricevente, per accelerare il più possibile questa transizione.
Questo gravoso compito, dietro il quale si annidava l’opportunità di diventare player insostituibili del nuovo ecosistema, spettò in carico ai cosiddetti technology enabler: dagli stessi Internet Service Provider ai creatori dei formati di compressione, dai costruttori di hardware agli sviluppatori di software, dai costruttori di Content Delivery Networks, agli inventori delle prime piattaforme a disposizione di professionisti e retailer di live streaming. Sullo sfondo, a tentare di governare il nuovo mondo del video
, si intravedeva già l’imminente lotta tra gli operatori Telco da un lato e i nuovi padroni del vapore
, detti Over the Top Players
(Google, Amazon, Yahoo…) dall’altro.
Grazie alla progressiva integrazione delle varie soluzioni tecnologiche nel giro di pochi anni si passò dalle traballanti immagini in diretta dalla Camera dei Deputati (a 5 fotogrammi al secondo), disponibili su piattaforma Real Networks già dal 1997, alla ragionevole certezza di poter assistere con una connessione a 1Mbps a un live streaming a definizione standard VGA (640x480) e 30 fotogrammi al secondo senza troppe interruzioni.
Ciò che sembrava impossibile era già diventato realtà a cavallo del millennio, e questa circostanza fu da sola in grado di svegliare dal torpore i soggetti che avevano governato il business della televisione da sempre: le major e i broadcasters, costretti loro malgrado a lanciarsi nella nuova arena di cui peraltro conoscevano ben poco.
Si aprì allora una fase, ancora lontana dal chiudersi definitivamente, in cui soggetti ancora in grado di compiere notevoli investimenti nelle nuove tecnologie si lanciarono in una terra australis incognita più per inerzia che per reale vocazione, con risultati a tratti imbarazzantii.
Una delle svolte culturali
che rivelò come questo