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Io Sono La Vendetta
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E-book163 pagine3 ore

Io Sono La Vendetta

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Info su questo ebook

Quando il pittore Alessandro Martini scopre che il suo capolavoro è stato rubato, non può credere ai suoi occhi. Solo un messaggio viene lasciato al posto della tela: è firmato dalla Volpe, il più grande ladro d'opere d'arte del mondo conosciuto. Siamo ad Assisi, in pieno Rinascimento. Dopo l'incredibile furto, la Volpe minaccia apertamente il suo prossimo obiettivo: Risveglio, il celebre dipinto del maestro Mauro Santini. Ma nessuno sa che i piani del ladro sono alimentati dalla sua sete di vendetta, e quello che si prospettava come un semplice furto cela dietro di sé verità e sentimenti traboccanti di odio...
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2014
ISBN9786050332346
Io Sono La Vendetta

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    Anteprima del libro

    Io Sono La Vendetta - Lorenzo Ciotti

    Lorenzo Ciotti

    Io Sono La Vendetta

    UUID: 6fa31cd6-c346-11e9-8dad-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    IO SONO LA VENDETTA

    © Copyright Lorenzo Ciotti

    Proprietà letteraria riservata

    Anno 2014

    ISBN: 9786050332346

    È vietata la riproduzione, anche parziale e non autorizzata con qualsiasi mezzo effettuata.

    Io sono la Vendetta è un’opera di fantasia.

    Qualsiasi analogia a fatti, cose e persone è assolutamente casuale.

    COPERTINA A CURA DI MARIA EMILIA CIANNAVEI

    Maria Emilia è un'artista spoletina laureata in Architettura. Ha conseguito un dottorato in Ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell'Architettura e dell'Ambiente presso l'università di Firenze, Facoltà di Architettura. Le diverse esperienze lavorative e le collaborazioni nel mondo dell'arte le permettono di avere un background artistico di rilievo, sia come come organizzatrice, sia come curatrice di mostre personali e collettive, sul territorio nazionale ed europeo.

    Contatti:

    studiociannavei@gmail.com

    www.mariaemiliaciannavei.it

    Alcune informazioni riguardanti la città di Assisi.

    Ho ambientato una parte del romanzo in un luogo di Assisi chiamato La Piazzetta . E’ una libertà di fantasia che mi sono concesso di usare, anche se da documenti storici sembra proprio, che una piazzetta analoga esistesse nella zona tra la Basilica di Santa Chiara e la chiesa di Santa Maria Maggiore, durante il contesto storico narrato nel romanzo.

    Lorenzo

    Prologo

    Quella notte la luna splendeva nel cielo, alta e luminosa. Era il perigeo, il suo culmine, il momento di massimo splendore e sembrava più vicina che mai: uno spettacolo mozzafiato, che si ripeteva ogni anno con cadenza quasi regolare. Non c’era traccia di nubi e, il chiarore emanato rischiarava la valle sottostante. Gli alberi antichi e nodosi proiettavano lunghe ombre sul terreno lavorato, come se fossero un’estensione del loro tronco o della loro chioma. Eppure nella notte, c’era una luce che splendeva ancor più della luna al perigeo, come un occhio luminoso nel buio. Era estate, e Assisi, arroccata lungo lo sperone occidentale del monte Subasio, sembrava venir fuori direttamente da un dipinto. La valle sottostante, larga e variopinta, piena di campi coltivati e ruscelli, intervallati da fitte macchie di quercia e alberi da frutto, era cinta da svettanti montagne su tre lati, che l’adombravano nei giorni più caldi e soleggiati della stagione estiva. I campi, rigogliosi in quel periodo dell’anno, erano come una tavolozza di un pittore, piena di colori vivaci che colpivano l’occhio di colui che vi posava lo sguardo.

    Ogni tanto si intravedeva qualche abitazione, con i cortili ingombri di paglia e terriccio. Gli animali brucavano e pascolavano spensierati, in particolare le specie più selvagge e libere in natura, mentre quelli allevati dai fattori se ne stavano tranquilli e sonnacchiosi nei loro recinti. Alcune aie presentavano a volte stagni scuri e profondi, contornati di canne e erbacce, dai quali si sentivano spesso le rane gracchiare o tuffarsi. Qua e là gruppi di casette formavano borghi minuscoli e pietrosi dal fascino irresistibile. Tuttavia nessun borgo poteva essere paragonato alla perla della valle, la città natia, di una delle figure più venerate nella storia della chiesa cattolica. Assisi era il cuore pulsante della vita religiosa e artistica della zona, con lo splendore della sua Basilica intitolata al Santo Francesco, ad arricchirla di valore e di storia. La leggenda narrava che fu il famoso Santo in persona, a indicare la collina dove la Basilica venne in seguito costruita, come il luogo per il suo riposo eterno. Si trattava della collina chiamata Collis Inferni, dove abitualmente venivano sepolti i condannati dalla giustizia e dal prossimo. Quel colle, donato da Simone Pucciarello, fu in seguito ribattezzato Collis Paradisi e su di esso venne costruita la Basilica, esattamente nel margine nord-occidentale della città ornata dalle mura. La vita religiosa, artistica e il contesto naturalistico rendevano la città, meta prediletta di pellegrini, fedeli e commercianti, mettendola in rivalità con il vicino Ducato di Spoleto. In quel periodo la città stava cercando di rinascere, dopo anni oscuri, segnati da guerre sanguinose e lotte interne per il potere. Erano passati una settantina di anni da quando la città, difesa da Alessandro Sforza, fu pesantemente devastata e saccheggiata da Piccinino, ma ora quel periodo sembrava decisamente passato. Era il millecinquecentoundici, il Rinascimento divampava in buona parte d’Europa e sembrava che la vita fiorisse di nuovo nel vecchio continente. Il pensiero, la filosofia, la scienza e l’arte subirono un cambiamento radicale in quell’epoca, e tutto avrebbe influenzato i costumi e l’arte per i secoli a venire. Il concetto iniziale, a differenza dell’Umanesimo di Petrarca, era di non studiare teoricamente le opere classiche, ma di trarne ispirazione per poi usarle in un contesto pratico, ai fini dell’esistenza stessa. Fu un’esplosione di vita per l’umanità. L’introduzione della prospettiva e la pittura a olio nell’arte, il tramonto dell’Impero Ottomano e le guerre tra Inghilterra, Francia e Spagna nella politica, lo scisma dei Protestanti inglesi dalla chiesa Cattolica nella religione, la scoperta delle Americhe nell’ambito delle esplorazioni.

    Il mondo stava cambiando.

    Lo pensava anche una figura solitaria bagnata dalla luce lunare.

    Quella notte un uomo sedeva al chiaro di luna, nel cortile riparato della sua dimora. Stava dipingendo un quadro di pregevole fattura, al riparo da occhi indiscreti.

    Era basso e robusto. Aveva una folta barba grigia e i lunghi capelli crespi gli incorniciavano il viso tondo e roseo. I capillari rotti, gli chiazzavano gli zigomi di un colore simile alla porpora e il contrasto con gli occhi azzurri era notevole. Indossava degli abiti da lavoro intrisi dei diversi colori della sua tavolozza.

    Era un pittore. Si chiamava Alessandro Martini e in quel preciso momento stava terminando il suo ultimo lavoro. Era un quadro raffigurante una scena religiosa riguardante l’Assunzione, che aveva come sfondo la Basilica di San Francesco. Era semplicemente magnifico: i giochi di luci e ombre, la prospettiva perfetta, i colori penetranti. Lo considerava il suo capolavoro: era tutto per lui. Gli faceva venire le lacrime agli occhi.

    Il cortile della sua dimora, una casa bassa costruita con pietra locale e malta, emanava il profumo dei fiori selvatici estivi. La brezza notturna propagava quell’odore fin dentro la sua abitazione. Era un’essenza rigenerante. Una piccola candela era accesa sopra un minuscolo tavolino di legno, vicino a dove sedeva il pittore. Non c’era bisogno di molta luce quella sera, bastava la luna piena.

    Quando Alessandro si alzò dalla sedia, mise via la tavolozza dei colori e i pennelli sopra al tavolo, accanto alla piccola candela. Si voltò verso l’inizio del giardino fino a gettare lo sguardo fino alla porta sul retro della sua abitazione. La casa era completamente avvolta dalle tenebre. Abitava lì da solo, da quando sua moglie Assunta morì cadendo da cavallo, ormai cinque anni addietro. Avevano un figlio, ma il ragazzo se ne andò in cerca di fortuna verso altri lidi, dopo che sua madre morì.

    È normale pensò Alessandro I cuccioli abbandonano sempre il nido alla fine.

    Ormai rimaneva solo lui in quella bassa casa in pietra costruita sulla collina di Assisi, con il suo giardino pieno di fiori che si affacciava sulla vallata. Un piccolo antro segreto che aveva scoperto da giovane e in cui aveva deciso di costruire la sua dimora, prima di mettere su famiglia. La vista era splendida. Alessandro godeva di un panorama meraviglioso e il giardino, affacciato sulla vallata, era il suo angolo di paradiso: lì dipingeva e si rilassava.

    Era un pittore abbastanza conosciuto e rispettato nella zona, anche se non il migliore e, i suoi dipinti gli permettevano di condurre una vita abbastanza confortevole, anche se non possedeva gli agi dei ricchi signori. Tuttavia di una cosa era sicuro: quel quadro gli avrebbe cambiato la vita. Si girò verso il giardino, per contemplare il suo dipinto e ne rimase estasiato. Era completamente diverso dai suoi soliti lavori: ci aveva riversato l’anima. L’aveva iniziato qualche mese dopo la scomparsa della moglie, con grande dolore aveva superato la sofferenza della perdita… E dopo più di quattro anni la sua ultima opera era finita. Nel frattempo aveva comunque lavorato ad altri dipinti, per mantenere il suo tenore di vita su livelli accettabili. Però non aveva mai smesso di dedicarsi a quella che considerava l’opera principale.

    L’aveva chiamata Assunzione, un ovvio riferimento alla defunta moglie. Si prese un attimo di tempo per assaporare l’odore dei fiori del giardino. La brezza leggera gli inondava il corpo di quella fragranza, come se fosse un balsamo purificante. Chiuse gli occhi e il suo viso si rilassò. Le labbra si piegarono in un mite sorriso e Alessandro, in quel momento, si sentì l’uomo più appagato del mondo. Pensò a sua moglie e a suo figlio. Amava ancora entrambi. Aveva avuto molte discussioni con il suo unico rampollo anni fa, per via della sua futura professione. Voleva aspettare prima di insegnargli l’arte della pittura, ma suo figlio insisteva nel volerla apprendere da subito. Scoppiò più di una lite,ma Alessandro l’ultima non l-aveva mai dimenticata. Vedeva ancora chiaramente la scena come se fosse accaduta un battito di ciglia prima. Si urlarono contro di tutto, e alla fine, suo figlio Filippo se ne andò, dichiarando di voler provare esperienze in altri paesi, lontano dalla guida paterna. Fu un duro colpo per lui, pur accettando la decisione del figlio. Il ragazzo dimostrava tempra e coraggio e l’anziano pittore ne era segretamente orgoglioso. Padre e figlio non si erano più visti dopo quella scenata. In cuor suo sperava di rivederlo un giorno, più maturo e pronto finalmente ad apprendere i segreti della sua pittura. Alessandro sospirò a occhi chiusi e si spostò verso il limite esterno del giardino. L’aveva cintato con una staccionata di legno in cui si arrampicava l’edera selvatica. Poggiando le mani sul legno grezzo della staccionata, si fermò ad ammirare il paesaggio sotto di lui: era bellissimo. Aveva cercato di dipingerlo tante volte, ma aveva sempre fallito. Non riusciva a catturare l’essenza della valle sottostante e dopo l’ennesima tela mal riuscita, lasciò perdere quel soggetto. Tuttavia si era ripromesso di riprovarci una volta venduto il suo ultimo dipinto, il suo capolavoro. L’avrebbero pagato una fortuna, bello com’era. Sembrava avere una sua anima. Lui mirava alla gloria eterna. Sperava che il quadro conquistasse le lodi e il cuore di uomini eminenti, che potesse far risplendere di luce i suoi lavori futuri. Voleva oltrepassare la barriera che lo rendeva un pittore apprezzato e conosciuto soltanto in quella zona. La luce della luna rivelava la vallata con un alone argenteo abbagliante. Lo sguardo di Alessandro si fece leggermente vacuo, perdendosi nel vuoto, immerso com’era nei suoi pensieri che sfumavano via via verso un torpore sonnolento, ma piacevole.

    Era tardi e non c’erano abitazioni vicino alla sua costruzione, pertanto non poteva sapere, che un uomo lo stava spiando dall’angolo più remoto della sua casa. Era immerso nella notte, a braccia incrociate, con la schiena appoggiata contro il muro di pietra dell’abitazione. Portava qualcosa di grosso, piatto e rettangolare, appoggiato distrattamente contro le gambe. Sciogliendo le braccia e prendendo in mano l’oggetto si mise in movimento, emergendo dall’ombra.

    Un sorriso beffardo comparse sulle sue labbra. Muovendosi come se fosse un sibilo di vento si mise davanti al dipinto di Martini. Per un attimo guardò di sfuggita il pittore, abbandonato contro la staccionata che delimitava il bordo del suo giardino. Il vecchio gli dava le spalle, a una distanza di quattro o cinque metri, e sembrava non essersi accorto di nulla. Distogliendo lo sguardo dal pittore si soffermò sul dipinto. Lo guardò per un attimo, dopodiché gli mise accanto l’oggetto che aveva in mano. Era chiaramente un altro dipinto, ma di fattura pessima, con al centro una frase.

    ‹‹Troppo facile. Sei davvero un pittore stupido Martini, se abbassi così facilmente la guardia›› disse sottovoce il ladro.

    Sostituì i due quadri, facendo meno rumore di una di una foglia caduta da un albero. Una volta effettuato lo scambio si premurò di gettare uno sguardo sul vecchio Alessandro, ancora assorto nei suoi pensieri. L’anziano non poteva sapere che il ladro aveva versato un misto di erbe che rallentava i sensi nella sua bottiglia di vino. E in effetti il pittore sembrava avere uno sguardo

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