Dino Piazza – Dalla trincea all’arte
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Seguì quindi gli studi tecnici, laureandosi a Roma in Ingegneria civile. Sposatosi con Natalina Luzi, da cui ebbe una figlia, Elena, si trasferì a Milano, dove trascorse alcuni anni esercitando la professione di ingegnere. Tornò quindi a Roma, chiamato a sostituire suo padre nella conduzione di un’impresa familiare di rappresentanza, attività che il padre, ebreo, era stato costretto dalle leggi razziali del ’38 ad abbandonare.
A partire dal ’39, si dedicò sistematicamente alla pittura. Partecipò attivamente alla vita culturale romana facendo della sua casa-studio un luogo ospitale in cui frequentemente si incontravano pittori, scultori, cineasti e letterati che nel dopoguerra avrebbero rinnovato la cultura italiana. Espose in due quadriennali e in una personale alla galleria La margherita, riscuotendo notevole interesse da parte della critica. Mentre lavorava assiduamente alla preparazione di una seconda personale, la morte lo colse prematuramente, all’età di cinquantaquattro anni. Lasciò circa trecento opere tra quadri, disegni e altro.
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Anteprima del libro
Dino Piazza – Dalla trincea all’arte - Delfina Ducci
MNEMOSYNE
frontespizioDelfina Ducci
Dino Piazza – Dalla trincea all’arte
ISBN 978-88-9296-729-8
© 2021 Leone Editore, Milano
www.leoneeditore.it
www.leoneeditore.it
Biografia di Dino Piazza
Ho conosciuto Elena Piazza a Fregene, al Villaggio dei Pescatori, luogo di vacanza per i vip innamorati della spiaggia celebrata da Federico Fellini nei suoi indimenticabili film; luogo magico, scenario d’elezione delle sue storie.
Artisti, cineasti, attori, scrittori, politici, personaggi del mondo culturale lo considerano un’oasi di pace e di libertà, lontano dai riflettori, dove possono condurre una vita semplice con gli abitanti del luogo che li trattano come loro pari.
Accetto l’invito della mia amica giornalista Lilian, di origine argentina, inviata speciale a Parigi per la rivista Marie Claire: «Una cenetta informale da Elena Piazza. Vieni?». Non la conosco, eppure è un’habitué della spiaggia, mi dice.
Non sono una frequentatrice del litorale, per via di un capriccio della natura, che ha reso la mia pelle refrattaria all’abbronzatura. Non si può rimediare neppure con la più portentosa delle panacee, e ciò mi rende unica in questo luogo di abitanti perennemente color caramello.
Il cruccio degli invitati è che cosa portare alla padrona di casa, soprattutto quando non si conoscono i gusti di chi ospita e che non fa parte delle nostre abituali frequentazioni. Niente bottiglie speciali, non sono competente in materia. La mia attenzione viene colpita in generale solo dalle forme dei contenitori, dalle etichette colorate, le quali il più delle volte rivelano la mediocrità di un contenuto che non fa certo cantare… In fondo, Dio aveva creato solo l’acqua.
Decido di donarle l’ultima biografia da me scritta sul pittore Giovanni Gromo, un artista amico intimo di Carlo Levi, Duccio Trombadori, Guido Ceronetti e di altri artisti che hanno fatto epoca con la loro appartenenza al sodalizio della «scuola segreta» nata ad Alassio, cui parteciparono pittori, disegnatori e ceramisti, da Becchi a Viganò e Andreasi. La scuola aveva un proprio dio, quasi uno Spirito santo, un oggetto di adorazione e ispirazione intorno al quale si muovevano passioni e idee: il poeta Guido Ceronetti.
In attesa di altri ospiti, vago con lo sguardo in quella casetta così particolare, ricca di colori e di calore, con un giardinetto che accoglie i magnifici fiori di Fregene e gli immancabili gatti vagabondi. Mi colpisce un disegno affisso sulla parete del salottino, un volto maschile molto bello, un po’ tenebroso, decisamente interessante.
Alla fine appare la padrona di casa. Indossa un abito lungo, informale, sfodera un sorriso dolce. Mi sento subito avvolta dalla sua cordialità e tenerezza di modi. Elena non impone postazioni, ognuno siede dove vuole, sembra la casa di tutti.
Mi relaziono con le persone presenti mentre lei tiene in mano la biografia che le ho regalato e dice: «La leggerò con vero interesse. Mio padre è il pittore Dino Piazza». Mi si allarga il cuore, dunque il pensiero donato non è fuori luogo, tutt’altro.
Inizia a raccontare dell’arte di suo padre in toni entusiastici e affettuosissimi, come fanno i figli che amano i loro genitori, soprattutto se questi ultimi lasciano un’eredità morale. Mi confida che il sodalizio con Fregene risale a cinquant’anni fa, quando decise di portare i figli Natalìa e Alessio a godere dei benefici del mare il più a lungo possibile.
La scelta del mare di Fregene (in particolare di quella zona sorta per la presenza dei pescatori, da cui il nome del Villaggio, prossimo alla spiaggia) era dovuta alla conoscenza e all’amore per quei luoghi: la pineta, la spiaggia, i fiori, i tramonti. Amore che aveva ispirato in lei suo padre quando, nell’immediato dopoguerra, aveva preso a frequentarli insieme ai suoi amici cineasti e scrittori, tra cui Antonio Musu, Jone Solinas, Ennio Flaiano e altri.
Questa casetta è ancora il rifugio e il punto di riferimento per gli amici che vengono ad ascoltare i musicisti della famiglia, il marito Sergio e il figlio Alessio. Elena conversa con me come fossi una vecchia amicizia, è amabilissima e ci vuol poco a individuare i tratti caratteristici della sua persona: una donna tenace che ha perseguito i suoi obiettivi con costanza, in primo luogo la sua realizzazione personale, attraverso le scelte professionali. È orgogliosa che la qualità di vita della sua famiglia sia migliorata per merito suo.
Da suo padre ha ereditato l’empatia verso i problemi e le difficoltà altrui, sempre disponibile all’aiuto. L’amore per la bellezza nell’arte e nella natura fa di lei la critica più accanita e la più attenta osservatrice di quanto il padre esprimeva quotidianamente con la sua pittura.
Tra le qualità di Elena, anche quelle imprenditoriali, tali da spingerla a impiegare i risparmi di famiglia in investimenti immobiliari modesti, ma spesso a suo dire avventurosi. Come l’acquisto, negli anni Settanta, di splendide, antiche case coloniche sull’isola di Stromboli, abbandonate dai loro proprietari emigrati all’estero. Operazione di cui va fiera, perché ha dato l’avvio al recupero di molti vecchi immobili, spesso ruderi, in località Ginostra, con il conseguente sviluppo dell’attività turistica locale.
La sua tenacia, spesso bollata come testardaggine, la porta al raggiungimento degli obiettivi, forse ora più modesti e più vicini nel tempo, e che l’aiutano a tenere lontano il rischio della depressione, la quale spesso sopravviene nella vecchiaia, lei dice; ma non mostra alcun sintomo di tale malattia perché è ancora appassionata, interessata e soprattutto molto impegnata a tenere vivo il ricordo artistico e umano del padre.
Si dedica alla sistemazione dell’archivio familiare e alla promozione della figura storica e artistica del suo Dino Piazza, agli affetti familiari, ai nipoti Fulvia e Carlo, alla cura delle piante e degli animali, alla lettura quotidiana di giornali e riviste.
Una serata indimenticabile, al punto che non tocco cibo, troppo presa ad ascoltare le vicende di un mondo così interessante, vivo, importante, esclusivo qual è quello artistico, da cui sono venute fuori personalità che hanno amato la vita e ne hanno mostrato tutta la bellezza.
Pochi giorni dopo mi arriva una sua telefonata. «Cara Delfina, potresti dedicare una biografia anche a mio padre?» Mi consegna un cumulo di carte su cui la vita di Dino Piazza trasuda umanità, amabilità, libertà e bellezza.
È un artista che tocca le corde del sentimento. Un eclettico, una personalità dalle mille sfaccettature nella quale più di ogni altra cosa brillano la socievolezza, il desiderio di amicizia e libertà. È nobile e splendido, una creatura grande e radiosa.
Elena lo ricorda con tratti efficaci. «Oltre alla convivialità, mio padre esprimeva il suo amore per la vita nel gusto per le villeggiature, scegliendo luoghi speciali animati durante l’estate dalla presenza di intellettuali, artisti e turisti internazionali. Quei luoghi di relax stimolavano la sua creatività artistica sia come oggetti di riproduzione fotografica, sia come soggetti della sua pittura. Così fu per Venezia, frequentata l’estate in cui risiedeva a Milano lavorando come ingegnere edile nei cantieri di Lamaro e Persichetti. La fotografò con i suoi monumenti, panorami, collocandovi anche splendidi ritratti di mia madre Natalina. Così fu successivamente negli anni della residenza romana, per le estati passate a Viareggio e a Capri, quando ormai praticava la pittura e si spostava con pennelli e acquerelli, trovando spunti e stimoli sui quali avrebbe continuato a lavorare una volta tornato a Roma. Le villeggiature ebbero una lunga pausa quando la guerra divenne una seria minaccia per la popolazione civile, con i bombardamenti aerei, per poi riprendere nel dopoguerra e arrestarsi definitivamente con il declino improvviso della salute di mio padre.»
Elena ha un curriculum di studio degno di cotanto padre. L’avventura professionale centrata nella ricerca l’ha portata a riflettere in sostanza sui contenuti dell’insegnamento: la storia, la filosofia, le scienze umane.
Ha pubblicato saggi, ha scritto articoli su riviste specializzate. Con Luisa La Malfa, presidente della Federazione nazionale insegnanti scuola media, ha collaborato a numerose iniziative quali congressi, convegni, corsi di aggiornamento per insegnanti.
Ha partecipato alle commissioni di studio, promosse dal ministero della Pubblica istruzione, per la riforma dei programmi della scuola media e dei contenuti della secondaria superiore. È stata per dieci anni co-direttore e responsabile del periodico L’eco della scuola nuova.
Oltre che al mondo accademico, il suo impegno è stato diretto alla promozione dell’arte di suo padre, giudicata da illustri critici assai valida. Per la stesura della biografia mi sono avvalsa, oltre che della sua testimonianza (Elena è testimone storica delle vicende umane e artistiche del padre, nonché curatrice del suo diario di guerra e delle sue lettere dal fronte) altresì della mole di documentazione presente in articoli, recensioni, testimonianze dei grandi artisti che l’hanno conosciuto: pittori, scultori di fama mondiale, scrittori, critici d’arte… A lui è stata dedicata perfino una tesi di laurea dalla critica d’arte Francesca Romana Cavallo.
La necessità di raccontare
La necessità di raccontare non appartiene soltanto alla letteratura, ma anche all’arte: la pittura è un’attività principalmente «autografica», quasi una scrittura privata del pittore, una pulsione interna la quale viene espressa da una sequenza di gesti che accompagnano l’opera.
Attraverso la materia e il colore, il quadro diventa la registrazione di momenti di vita. Un accumulo di pennellate dà forma a tanti istanti ed emozioni dettati da uno slancio vitale, una foga creativa messa in luce da un’operazione pittorica che predispone al viaggio verso la consapevolezza della propria esistenza.
La vita stessa, la si può catturare nell’immaginario e nell’immagine, il cui senso sta nel continuo confrontarsi con il tempo passato e presente. Raccontare le emozioni e i ricordi incatenati nella vita familiare e sociale vissuta, fissare i momenti di un periodo storico che ha segnato una realtà fatta di eventi tragici – com’è stata la guerra di quel Novecento drammatico e sconfitto da ideologie espansionistiche – ha evidenziato l’uomo che vive nella consapevolezza che, oltre la storia, c’è la realtà dell’anima.
«Il peggio non era essere scontenti, ma consapevoli che non si sarebbe potuto essere contenti neppure in luoghi o condizioni diverse» scriveva Giuseppe Berto. La storia fa incontrare le letterature e l’arte. Dino Piazza partecipa alla Prima guerra mondiale, parte volontario per il fronte a diciott’anni non