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Goethe e la felicità nascosta
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E-book124 pagine1 ora

Goethe e la felicità nascosta

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Info su questo ebook

Siamo nel 1786 e Goethe compie il suo viaggio in Italia. Giunto a Roma conosce Angelica Kauffmann, una pittrice famosa e altrattanto bella.
Inizia un sodalizio amoroso con rotture e pacificazioni, finché nel 1789 non riparte per Weimar.
Una storia romanzata di una relazione amorosa nascosta nella Roma di fine settecento e mai resa pubblica.

LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2013
ISBN9781301666591
Goethe e la felicità nascosta
Autore

Gian Paolo Marcolongo

Un giovane vecchio con la passione di scrivere. Amante delle letture cerca di trasmettere le proprie sensazioni con le parole. Laureato in Ingegneria. In pensione da qualche anno, ha riscoperto, dopo gli anni della gioventù, il gusto di scrivere poesie e racconti.Non ha pubblicato nulla con case editrici ma solo sulla piattaforma digitale di Smashwords e su quella di Lulu.

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    Anteprima del libro

    Goethe e la felicità nascosta - Gian Paolo Marcolongo

    Introduzione

    Uno degli aspetti meno conosciuti al grande pubblico su Wolfgang Goethe sono le lettere tra Angelica Kauffmann e il poeta e il rapporto d’amicizia tra i due, durato oltre tre anni.

    Uno studio di Ursula Naumann, uscito in Germania e un bel articolo di Paola Sorge su R2 Cultura del 7 Novembre 2007 ci descrivono le relazioni tra questi due personaggi. Questi due grandi artisti si sono conosciuti a Roma durante il famoso Viaggio in Italia del poeta.

    Da questo spunto è nata l’idea di scrivere un racconto imperniato sulla loro relazione inventando dialoghi e situazioni pur cercando di inquadrare i personaggi in un ambiente storicamente reale con qualche adattamento per esigenze narrative.

    Poiché eventi, situazioni e sensazioni sono di pura fantasia, non ho nessuna pretesa di rigore storico nel descrivere una relazione, di cui si sa poco.

    La lettera di Angelica Kauffmann è stata riprodotta dall’articolo sopraccitato. I frammenti di poesia di Goethe sono nell’originale tedesco ricavati dal portale di Goethe

    http://www.goethezeitportal.de/home.html

    Le traduzioni delle parti in tedesco presenti nel romanzo, allegate in appendice, invece sono mie secondo la mia particolare interpretazione del testo originale.

    Prologo

    Roma, 2 novembre 1807

    "Ho sacrificato il mio essere donna all’arte, così nessun uomo ha mai capito che io avevo desiderio di donare il mio corpo a loro. Io volevo essere amata perché sono donna e non perché posso produrre ricchezze, ma nessuno ha mai osato afferrare il dono che facevo loro".

    Era l'amaro sfogo di Angelica, rimasta sola e preda del male sottile che lentamente la stava divorando giorno dopo giorno, poiché nessuno era stato capace di donarle amore e renderla felice.

    Ormai incapace di tenere in mano un pennello e preda di crisi depressive sempre più acute stava in un angolo della stanza a guardare fuori i colori intensi dell'autunno con lo sguardo vacuo, perso nel vuoto.

    Percepiva che la fine si stava avvicinando a grandi passi senza che trovasse il conforto in qualcuno, che le stesse vicino e la sostenesse. In un lampo di lucidità, sempre più raro nel buio che la stava sovrastando, ricordò chi era prima che la malattia degenerasse.

    Sono stata una… e ripiombò nell'oscurità della mente, mentre le pareva di veleggiare su terre sconosciute fra persone che non parlavano la sua lingua. Volti senza corpi, corpi senza volti.

    Avvolta in un ampio scialle di lana riccamente lavorata continuava a fissare inutilmente il giardino spoglio mentre le foglie lentamente cadevano per terra come una danza macabra. Il pomeriggio romano era inondato da un pallido sole che illuminava parzialmente il vetro, attraverso il quale Angelica osservava il mondo esterno. La vista cadde sul pino piantato al centro dello spiazzo antistante la casa sul Pincio.

    Un lampo, un ricordo, un flashback accese la sua mente e cominciarono a scorrere delle immagini lontane.

    Chi sono? si chiese tremante mentre si stringeva lo scialle sul petto come per proteggersi da un nemico misterioso e pericoloso.

    Sono Angelica Kauffmann, una pittrice famosa, anzi la più famosa del mio tempo. Sono conosciuta in tutta Europa ed ero ricercata da nobili e mercanti danarosi che passavano dal mio atelier romano con la speranza di portare a casa un ritratto dipinto da me. Era l'amaro sfogo nella solitudine della casa romana, un tempo cenacolo di artisti e viaggiatori di passaggio, adesso silenziosa dimora disertata da tutti.

    Di nuovo il buio calò sulla sua mente e si spense quel piccolo barlume, che l'aveva ravvivata, simile a una candela dalla luminosità incerta.

    I suoi pensieri vagavano tra il vuoto della malattia e la regressione nel tempo. Altri flash e sprazzi di luce mentre tornava bambina. Si vedeva una ragazza di dieci anni, mentre seguiva il padre, partito dal Voralberg austriaco per approdare a Coira in Svizzera, dove era nata. Lo vedeva intento a raffigurare immagini sacre in piccole chiese tra le valli alpine e la pianura padana.

    La bella voce allietava quel vagabondare incerto e frettoloso. Qualcuno voleva che lei si dedicasse al canto ma i colori, i volti, che prendeva forma come per magia sulle pareti nude, la fecero scegliere un'altra strada.

    Ben presto si scoprì una cittadina del mondo, perché la fama non era dovuta solamente a suoi meriti artistici ma era il risultato della sua personalità forte e decisa.

    Come nella sua infanzia si alternavano montagne impervie e innevate a valli dolci e verdeggianti, così in questa stanza, che era inondata dalla luce crepuscolare della sera incipiente, si ritrovava tra ricordi lontani e vuoti presenti.

    Si era sposata con un artista mediocre e avanti nell’età. Il loro matrimonio non era stato esaltante sotto il profilo amoroso, ma era stata semplice convenienza economica dopo l’infelice e sfortunata della prima unione.

    Nessun rimpianto. Né il primo né il secondo hanno saputo donarmi affetto. Carlo, molto più vecchio di me, non mi ha dedicato molte attenzioni. Ho sofferto, perché la mia femminilità aspirava a ricevere amore e passione ma non sono state appagate per nulla tra le mura domestiche.

    Un sospiro, un amaro ricordo.

    Per dimenticare la mancanza di sentimenti, mi sono dedicata senza tentennamenti alla pittura, che è stata ricompensata con molti zecchini d’oro. Ero ricca, perché Carlo ha amministrato con molta oculatezza il mio patrimonio, ma povera di emozioni, perché nessuno ha saputo cogliere i fiori del mio cuore.

    Possedeva una bellezza rara e delicata che attirava naturalmente gli uomini. Abituata a essere corteggiata da tutti, ricambiò pochi con uguale passione e riservatezza. Era sempre combattuta tra accettare la corte assidua e insistente dei molti ammiratori o rimanere fedele ma infelice al marito sposato nel 1781 a Londra. Il gran numero di uomini che frequentavano lo studio alimentò le dicerie che fosse una grande consumatrice di sesso, una mantide, suscitando le gelosie delle altre donne.

    Torno a guardare fuori dalla finestra, osservando il pino che le ricordava una persona speciale, che aveva amato con passione e le aveva donato delle giornate meravigliose.

    «Avevo quarantacinque anni ed ero profondamente depressa, quando ho incontrato Goethe ma ero ancora meravigliosamente bella. Gli anni non avevano intaccato lo splendore del mio corpo».

    Malcesine – 15 settembre 1786

    La vena poetica si è inaridita, seccata come i torrenti d'estate. Le immagini sono diventate acquerelli sfocati dai colori impastati. La parole muoiono prima ancora di essere scritte. Percepisco l’urgenza di respirare aria nuova, di conoscere nuovi mondi, nuove persone, di allacciare nuove relazioni amorose per sentire dentro di me stimoli innovativi e creativi che si sono esauriti nell'atmosfera ovattata di Weimar, dove sono stato in una gabbia dorata tra gli obblighi di governo e di corte e la gelosia di Charlotte. Come l'usignolo imprigionato nella voliera desidera cantare libero e volare senza vincoli nel cielo così anch'io voglio riacquistare la mia libertà. Perciò sono partito sulle orme di mio padre, Johann, e sto ripercorrendo le medesime strade alla ricerca del tempo perduto come tutti i grandi viandanti che mi hanno preceduto.

    Erano i pensieri amari di Goethe, ponderati nel buio di una cella, appena rischiarata dagli ultimi raggi del sole di fine settembre. Le guardie veneziane mi hanno sorpreso a disegnare il castello di Malcenise. Non sapevo che fosse vietato e mi hanno trattato come se fossi una spia, rinchiudendomi in questa cella umida e buia del carcere di Verona. In attesa di comparire dinnanzi al magistrato di giustizia meditava sulla sua decisione di lasciare Weimar e la corte ducale qualche settimana prima, ai primi di settembre del 1786, senza un saluto di commiato o un avviso. Si era avviato sotto falso nome verso Roma, accompagnato solo dai suoi ricordi giovanili. Anche se era incerto su come sarebbe finita questa imprudenza, era sempre più convinto che quella fosse stata una scelta saggia. «Dovevo cambiare aria. Ero ripiegato su me stesso senza avere la forza di cambiare il mio quotidiano».

    Con la testa appoggiata sulle mani e seduto su un pagliericcio sporco e puzzolente, aveva ben presente i racconti del padre, che venticinque anni prima aveva intrapreso un lungo viaggio in Italia arrivando fino a Napoli.

    Li aveva ascoltati da bambino tante volte. Il diario, scritto

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