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I vostri occhi si apriranno
I vostri occhi si apriranno
I vostri occhi si apriranno
E-book196 pagine3 ore

I vostri occhi si apriranno

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Info su questo ebook

Cercate di ricordare la sensazione che avevate a diciott'anni, quando sentivate che il mondo era ai vostri piedi. Ebbene: che ci crediate o no, il mondo è ancora ai vostri piedi, solo che ormai vi siete convinti di non avere alcun potere e di essere in balia delle circostanze. Potrà sembrarvi strano, ma voi siete veramente in grado di ottenere tutto ciò che desiderate. Le persone di successo, in tutti i campi, in tutti i paesi del mondo, lo sanno bene.

Mano a mano che avanzerete nella lettura di queste pagine, questa meravigliosa e semplice verità balzerà ai vostri occhi con tutta la sua splendente evidenza.

Valerio, giovane medico romano in crisi coniugale ed esistenziale, parte per il Monte Athos, in Grecia, in cerca di risposte che possano dare nuovamente un senso alla sua vita.

Incontrerà un maestro laico, Viktor, che gli chiarirà il significato dell'esistenza e gli farà capire come davvero stanno le cose.

Nello scenario di una Grecia favolosa e mitica, Viktor discuterà con Valerio di pensiero positivo, legge di attrazione, sogni, poteri della mente, malattie e guarigioni, ipnosi e autoipnosi, reincarnazione, universi paralleli.

La prima edizione del presente ebook è stata pubblicata col titolo “Nessun tempo, nessuno spazio”.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2015
ISBN9786051765914
I vostri occhi si apriranno

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    Anteprima del libro

    I vostri occhi si apriranno - Antonino Adragna

    Antonino Adragna

    I vostri occhi si apriranno

    e sarete come Dio

    Un viaggio alla scoperta

    della vera natura della realtà

    romanzo spirituale

    NB edizioni 

    Ogni riferimento a persone o a fatti reali è puramente casuale.

    Il presente libro non dà nessuno spunto diagnostico né alcun consiglio terapeutico.

    Tutti i diritti sono riservati ed appartengono all'autore.

    Copertina realizzata dall’autore.

    Copyright © 2015 di Antonino Adragna

    http://ionino.blogspot.com

    Capitolo 1

    Lunedì

    Verso il Monte Athos

    L'aereo era atterrato con due ore di ritardo e cominciavo ad essere molto stanco. Mi ero fidato di una compagnia aerea che prometteva prezzi convenienti e servizi efficienti, ma all’aeroporto di Fiumicino, all’ora in cui era previsto il decollo, le 11.00, l’aereo non c'era. I passeggeri furibondi sbuffavano e inveivano contro le hostess, in evidente imbarazzo. Dopo più di un’ora l'aereo arrivò, fra il sollievo generale: forse si sarebbe potuto partire per le agognate vacanze in Grecia.

    Feci scalo ad Atene, dove avevo dovuto rifare la carta d'imbarco, perché avevo perso la coincidenza col volo per Salonicco delle 13.30. Altra coda al check-in, altre seccature.

    C'era una gran folla di turisti, poiché a metà luglio mezzo mondo prende l'aereo per le vacanze e la Grecia era uno dei posti più belli del mondo, per chi ama il mare. Inoltre i prezzi erano abbordabili e i posti incantevoli. Era la quinta volta che ci andavo, ma stavolta non era per turismo, ma perché desideravo una risposta per la mia vita.

    Alla bella età di trentasette anni, mi trovavo alla fine di una stagione della mia vita che avevo creduto potesse durare per sempre. Avevo puntato tutto sul mio matrimonio e sulla mia carriera di medico, ma in entrambi i casi ero andato incontro al fallimento; esperienze amare mi avevano piegato e avevano messo in discussione le mie certezze.

    A fine di maggio Emilia ed io avevamo litigato di brutto, fino alla rottura. Nonostante l’amore, che sopravviveva, il nostro rapporto si era esaurito, eravamo arrivati al punto di non sopportarci più. Aveva inciso forse il fatto che al lavoro non riuscivo a ottenere incarichi che andassero al di là di occasionali turni alla guardia medica, o forse il fatto che pur avendolo tanto cercato, non eravamo riusciti ad avere il figlio che desideravamo.

    Emilia mi rinfacciava i nostri problemi ed io non lo sopportavo più. C’eravamo lasciati sapendo di fare la cosa giusta, eppure mi sentivo svuotato, come se fosse svanito per sempre il sogno di una famiglia felice e unita, che avevo coltivato a lungo nella mia mente e per il quale mi ero impegnato senza sosta, fino a quel momento.

    L’inizio del periodo più cupo era coinciso con la morte di mio padre, dieci mesi prima, un lutto che non ero ancora riuscito a superare. Papà era il mio punto di riferimento, la persona che ammiravo di più al mondo. Quando avevo un'incertezza, un dubbio, una difficoltà, lo chiamavo o andavo a trovarlo. Fino a che era sopraggiunta la malattia, l'improvviso aggravamento e la morte, dopo un'agonia lunga e atroce, che mi aveva corroso l'anima nel profondo.

    Non ero mai stato una persona religiosa; a casa mia tutti quanti avevamo ricevuto tutti i sacramenti cattolici, ma eravamo sostanzialmente atei. La nostra adesione al cattolicesimo era puramente di facciata, per non avere seccature e non apparire diversi agli occhi degli altri.

    Non riuscivo a smettere di pensare che avevo perduto papà e che non ci saremmo mai più incontrati. L’aldilà mi sembrava una favola per bambini o per gente credulona... eppure nel mio intimo speravo di avere torto e scoprire un giorno che esisteva davvero qualcosa al di là della materia; l’anima, come dicevano in tanti. Mi piaceva definirmi un ateo dubbioso o un non credente aperto.

    Fui distratto dai miei pensieri da una donna che mi mise praticamente in mano un volantino che pubblicizzava un ristorante.

    Ero all’aeroporto di Salonicco, anche se alle quattro di pomeriggio avrei già dovuto essere alle pendici del monte Athos. Il sole era ancora molto forte, ma nell'aeroporto l’aria condizionata creava un clima estremamente gradevole.

    Umberto, il mio amico d'infanzia, anche lui medico, mi aveva parlato della pace che si respira nei monasteri del monte Athos, nella penisola Calcidica. Dal punto di vista politico apparteneva allo Stato greco, mi spiegava, ma, di fatto, il monte Athos era una sorta di repubblica monastica indipendente, nella quale le donne non potevano entrare. Il nome esatto di quell’unità amministrativa autonoma era Repubblica Monastica del Monte Athos.

    Una settimana d’isolamento e di riflessione era quello che mi occorreva, per staccare e per ripensare alla mia vita. Avevo chiesto lo speciale permesso per visitare la Montagna sacra, tramite Andrea Candela, un funzionario del Ministero degli Esteri, amico mio da parecchi anni, da quando lo avevo curato da una brutta forma di psoriasi nel periodo che lavoravo all’ospedale San Giovanni.

    Andrea era riuscito a farmi avere un permesso che consentiva l'ingresso per quattro giorni, il massimo consentito, adducendo motivi di studio. Ufficialmente ero lì per studiare i monasteri ortodossi, ma il mio fine ultimo era di abbeverarmi a quell’inesauribile fonte di spiritualità, in cerca di risposte esistenziali. Non sapevo nemmeno io come avrei fatto, ma ero fiducioso.

    Mi ero ben documentato sui monasteri e avevo letto quanto più potevo per avvalorare la tesi dello studioso.

    All’autonoleggio immediatamente fuori dall’aeroporto presi una macchina piccola, una minuscola vettura bianca della Citroën‎, che mi avrebbe condotto all'albergo di Ouranoupolis, l'ultimo paese prima della frontiera con la Repubblica Monastica, dove avevo prenotato una stanza in un modesto hotel. L’impiegato controllò la macchina e alle mie osservazioni su qualche piccola ammaccatura disse, in un inglese approssimativo, di non farci caso, ne avrebbero tenuto conto alla riconsegna.

    Non mi scandalizzai, poiché in Grecia mi era già successo altre volte. I greci sono come noi... tutto si aggiusta, ci si mette d’accordo, senza troppe formalità.

    Volevo arrivare in albergo prima che facesse buio. Avevo letto che le strade della penisola Calcidica non erano male, ma preferivo non rischiare, dato che mi trovavo all'estero e i Greci, per la maggior parte, non capivano l'inglese, mentre io non capivo per niente il greco.

    Il pomeriggio estivo mi regalava una luce fantastica, il caldo era mitigato dall'aria fresca che entrava dal finestrino della mia piccola macchina francese. Avevo solo un trolley di medie dimensioni e un bagaglio a mano, dove avevo messo gli effetti personali, fra i quali un libro di Agatha Christie.

    Arrivai a Ouranopolis alle sette di sera; il sole estivo, a quell’ora, era assai gradevole. Il paese era minuscolo, le case tinteggiate di bianco e d’azzurro come in tutta la Grecia. Da qualunque angolo di strada si vedeva il mare, che si perdeva all’orizzonte, fondendosi col cielo azzurro: un panorama aperto e spettacolare. Il punto dolente era rappresentato dal vento incessante, poiché il posto era molto scoperto.

    L'alberghetto Achilleas, a due stelle, era veramente essenziale, ma tutto sommato pulito. Nella piccola camera che mi fu assegnata c'era un letto singolo sovrastato da un quadro con la solita foto di Santorini. Un televisore piccolo e antico campeggiava su una mensola nell'angolo della camera, di fronte al letto.

    In bagno mi sciacquai la faccia e mi specchiai.

    Ero un bel ragazzo, se a trentasette anni un uomo può ancora definirsi ragazzo: capelli lisci, castano chiari e pettinati di lato, un viso regolare e una corporatura snella. Se non fosse stato per qualche ruga d’espressione intorno agli occhi, nessuno mi avrebbe attribuito l’età che avevo; di solito mi davano trentadue-trentatré anni.

    Ero stanchissimo, per via delle lunghe attese e di quella traversata estenuante che da Roma mi aveva condotto a quest'angolo sperduto della Grecia.

    Mi misi a letto per riposare un po’, ma mi addormentai senza quasi rendermene conto.

    La mattina presto, alle sei, aprii gli occhi. La stanza era inondata di luce e gli uccelli fuori facevano un baccano infernale. Me la presi comoda, mi alzai lentamente, richiusi le tende e tornai a dormire.

    Alle otto mi svegliai definitivamente, mi alzai e poco dopo scesi a fare colazione. C'era una crostata alle more fatta in casa e persino dello yogurt greco e un vasetto di miele. Niente male, pensai, per un due stelle.

    Mi vestii, presi la mia valigetta e andai a piedi verso il confine, emozionato ma ignaro di cosa avrei trovato di là. Avevo un vestito di lino color carta da zucchero su una camicia bianca leggera: dovevo apparire come uno studioso, non come un comune e rozzo turista. Una valigetta ventiquattr'ore avrebbe dato quel tocco in più che avrebbe avvalorato la mia finzione.

    Dopo una serie di strade sterrate che s’inoltravano in mezzo alla macchia mediterranea, mi trovai finalmente davanti ad un corpo di guardia, tale e quale quello di una base militare, oltre il quale non si poteva proseguire. Strano che in Europa tutti i confini erano caduti, mentre restava ancora questo... ma d'altro canto, se non facevano così, il monte Athos sarebbe diventato come una qualsiasi Mykonos, un posto devastato dal vandalico turismo di massa.

    Nel posto di guardia, oltre ai militari, c'erano dei monaci intabarrati nei loro sai neri. Il gendarme che mi chiese i documenti era un uomo sui cinquant'anni, robusto, con i baffetti e pochi capelli, palesemente annoiato e insofferente. Lesse il mio permesso scritto in greco, quindi mi guardò per un attimo e mi disse delle parole che non capii. Poi scandì you can go this way, indicandomi una strada sterrata e larga, dietro di lui, che mi sembrò subito subito scoscesa.

    Dopo aver percorso circa quattrocento metri, mi voltai indietro: il corpo di guardia non si vedeva più, nascosto dietro la curva. Non sapevo dove andare esattamente, così seguii la strada per parecchie centinaia di metri. Il panorama, come spesso accade in Grecia, era mozzafiato: a sinistra una montagna ricoperta di vegetazione spontanea rigogliosa, a destra un burrone che finiva in un mare blu scuro a perdita d'occhio.

    Mi misi un berretto con visiera perché il sole cominciava a picchiare davvero forte.

    Oltre ai miei appunti, mappe varie e il libro di Agatha Christie, nella valigetta avevo una bottiglia di acqua da un litro, della fonte Zagori, ma non sarebbe bastata per tutto il giorno.

    Improvvisamente fui colto da un inebriante senso di libertà, tutto il mio passato era irrimediabilmente alle mie spalle, come se si fosse fermato a Ouranopolis; mi sembrava che, attraversando il confine, fossi entrato in una fase, del tutto nuova, della mia vita. Ero pronto a ricominciare da zero, come se avessi diciotto anni e non trentasette.

    Respirai a pieni polmoni e mi godetti quel posto selvatico e primordiale. Dopo aver percorso quasi un chilometro, ebbi l’impressione di essere ancora molto distante dal primo monastero sulla mia mappa. Il percorso era diventato pianeggiante, ma c’era ancora tantissima strada da fare. Mi fermai, aprii la valigetta e bevvi due sorsi dell’acqua Zagori, ancora fresca, che mi sembrò squisita. La visione del mare, immenso, in lontananza, mi fece venire un’incredibile voglia di rinfrescarmi con un bagno in quelle acque trasparenti.

    Dopo un altro mezzo chilometro, la strada si biforcava: sulla sinistra si apriva una strada sterrata più stretta, indicata sulla mia mappa con una linea tratteggiata, che portava sulla costa opposta della penisola: c’erano un paio di monasteri pure da quella parte.

    Qualcosa nella mia mente mi spinse a imboccarla; forse lo stimolo inconscio venne dal mio desiderio di starmene un po’ all’ombra: ero ormai sudato e stanco e gli alberi che costeggiavano la stradina che si apriva a sinistra promettevano almeno un po’ di frescura.

    La vegetazione a destra e a sinistra della strada era molto folta e intricata: la tipica macchia mediterranea, inframmezzata da ulivi secolari inselvatichiti.

    Dopo mezzora di cammino mi pentii di essermi inoltrato per quel sentiero, che a tratti spariva fra gli arbusti e le erbacce. Dopo un po’, davanti a me si presentarono diverse formazioni rocciose, forse le pendici della montagna, che costringevano il sentiero a farsi tortuoso e sempre meno segnato.

    Ad un certo punto il sentiero scomparve improvvisamente, in mezzo a quella giungla. M’inventai dei percorsi in mezzo alla vegetazione, dove poter poggiare almeno i piedi, con l’intenzione di andare ancora un po’ avanti e vedere cosa ci fosse più in là. Poi – eventualmente – sarei tornato indietro, riguadagnando la strada principale verso i monasteri che stavano più giù, verso il Monte Athos propriamente detto.

    Avevo i pantaloni pieni di spine e la camicia coperta di ragnatele; per mia fortuna non portavo calzoncini corti, altrimenti le spine e gli insetti mi avrebbero massacrato le gambe.

    Poi, all'improvviso, montato su un costone roccioso, che mi permetteva una visuale un po' più ampia, vidi in lontananza un casolare rustico riparato da un recinto, davanti al quale si estendeva uno spiazzo privo di macchia mediterranea. C'era una persona che si muoveva all'interno del recinto, ma era troppo lontana per capire chi fosse.

    Scesi dal costone di roccia e mi avvicinai, barcamenandomi nell’aspra vegetazione, deciso a incontrare quella persona, per chiedere almeno dove mi trovavo. Io non capivo il greco, ma speravo di farmi capire lo stesso, magari a gesti. D'altro canto non era forse vero che i Greci quando incontravano noi italiani dicevano sempre che siamo "una faza, una raza, intendendo dire stessa faccia, stessa razza"?

    Quando fui abbastanza vicino da poter essere scorto, l'uomo si mise ad agitare le braccia, tanto che mi spaventai, temendo d'averlo impaurito e aspettandomi una reazione ostile. E invece mi stava salutando con un'espressione allegra sul volto. Era un vecchio, poteva avere un’età intorno ai sessantacinque anni, più o meno. Fisico minuto, aveva pochi capelli bianchi lunghi, pettinati all'indietro, e vestiva un saio leggero, di cotone chiaro, pulito. Il suo portamento nobile, quasi regale, ispirava rispetto.

    Aveva dei baffi bianchi piuttosto folti, ma non portava al collo uno di quei pesanti crocefissi a croce greca, tipici dei pope ortodossi. Non sembrava un religioso, nel senso che io mi aspettavo.

    «Kalimera», dissi, salutandolo.

    Dopo aver replicato con Kalimera, mi fece una domanda in greco, rilassato e sorridente.

    «Sorry, I don't understand», dissi, sperando invece che lui mi capisse.

    «Where are you from?», chiese, sorprendendomi per l'ottima pronuncia inglese.

    «I am an Italian doctor,

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