Il Śānkhya-Yoga: Gli insegnamenti esoterici di Kapila-deva
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Secondo tale visione sono due le macro-realtà cosmiche: il Puruṣa e la Prakriti. Il Puruṣa è il soggetto spirituale che osserva la Prakriti, cioè la materia nelle sua varie manifestazioni.
Gli elementi grossolani derivano dagli elementi più sottili e la causa ultima è non materiale; è quindi una negazione del materialismo. Le anime, i singoli Puruṣa, assistono come spettatori alle modificazioni del corpo e della materia.
È l’identificazione col corpo che crea nell’anima l’illusione di appartenere al mondo materiale. I Puruṣa sono pura coscienza, semplici testimoni; è l’Io psicologico a sperimentare piaceri e dolori, come riflesso della coscienza legata al corpo attraverso l’illusione/sogno chiamata ahamkara: fin quando il sogno permane, l’illusorio legame dell’anima con la materia prosegue.
Scopo del Śānkhya è permettere il risveglio del soggetto, del vero Io, intrappolato nel sogno di un’identità fittizia.
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Anteprima del libro
Il Śānkhya-Yoga - Valentino Bellucci
A cura di Valentino Bellucci
IL ŚĀNKHYA-YOGA
Gli insegnamenti esoterici di Kapila-deva
Introduzione
Il Śānkhya-yoga tra meta-fisica e psicologia
§ 1. La filosofia del Śānkhya. Il termine Śānkhya significa ‘enumerazione’ e riguarda lo studio della realtà analizzando e individuando tutti gli elementi che la compongono. Il testo classico di tale scuola filosofica è la Sāmkhyakārikā di Ǐsvarakrishna (tra il I e il V secolo d. C.), anche se la sua radice risale a Kapila deva (considerato un Avatara). Secondo tale visione sono due le macro-realtà cosmiche: il Puruṣa e la Prakriti. Il Puruṣa è il soggetto spirituale che osserva la Prakriti, cioè la materia nelle sua varie manifestazioni. L’aspetto interessante è che gli elementi grossolani derivano dagli elementi più sottili e la causa ultima è non materiale; è quindi una negazione del materialismo. Le anime, i singoli Puruṣa, assistono come spettatori davanti ad un film, alle modificazioni del corpo e della materia. È l’identificazione col corpo che crea nell’anima l’illusione di appartenere al mondo materiale. I Puruṣa sono pura coscienza, semplici testimoni; è l’Io psicologico a sperimentare piaceri e dolori, come riflesso della coscienza legata al corpo attraverso l’illusione chiamata ahamkara; è, in sostanza, come un soggetto che sta sognando: fin quando il sogno permane l’illusorio legame dell’anima con la materia prosegue. Scopo della conoscenza all’interno del Śānkhya è permettere il risveglio del soggetto, del vero Io, intrappolato nel sogno di un’altra identità fittizia. È quindi solo la materia a modificarsi, secondo la legge dei tre Guna, le tre modalità di interazione che danno forma a tutto ciò che di materiale esiste. Il legame tra il Śānkhya e lo Yoga è molto forte, poiché in entrambe le scuole lo scopo finale è raggiungere la liberazione dell’anima dalla materia. Nella versione che troviamo nel Bhagavata Purana la scuola del Śānkhya-yoga raggiunge la massima perfezione attraverso la Bhakti, poiché si tratta della metodologia dello yoga più elevato; in altre occasioni ciò è stato ribadito, e qui la devozione a Dio diventa il veicolo e il fine ultimo dell’anima. Nella tradizione si parla anche di un altro Kapila, vissuto prima del VI secolo a.C., spesso confuso col Kapila avatara; ma nel Purāna è il Kapila originario il vero fondatore di questa scuola filosofica, dove tutte le ambiguità successive sono superate considerando Bhagavan come sorgente dei Puruṣa e della Prakriti. Le scuole ‘recenti’ si focalizzano soprattutto sulle modificazioni della materia e sul ruolo dell’osservatore, e ciò porta ad "una ‘liberazione’ del Puruṣa in senso molto mediato e questo si deve dire per salvare il Śānkhya da contraddizione; e cioè nel senso che una volta che la Prakriti cessi di agire, rispetto alla buddhi (intelletto) non ci potranno più essere modificazioni e quindi il Puruṣa non potrà più essere specchio di nulla e potrà isolarsi in se stesso ossia ritornare a quella che è per esso la condizione naturale."[1] Ma questo vale per quel Śānkhya ‘ateo’ dove l’unione tra le anime e Dio non viene analizzata; ma nel Śānkhya del Kapila puranico tali contraddizioni non esistono: i Puruṣa sono specchi della Prakriti e la loro liberazione è in realtà smettere di focalizzarsi sulla materia, solo così potranno svegliarsi dal sogno del ciclo di nascita e morte. L’anima non è toccata realmente dalla materia e dalle vicissitudini della mente e del corpo, ma come uno specchio riflette tali movimenti restando nell’illusione. Kapila, come farà Caitanya nella lettura del Vedanta, indica l’amore divino come reale dimensione delle anime e solo tale amore, se risvegliato, può distogliere le anime stesse dal seguire lo spettacolo degli universi materiali. Incontrando lo yoga-bhakti il Śānkhya appare come un dualismo tra materia e spirito, tra oggetto e soggetto, un dualismo che ha senso solo nel sogno delle anime che devono ancora risvegliarsi all’amore divino. In ultima analisi si tratta di due energie dell’Assoluto che fanno parte di un gioco ancora più grande e profondo.
§ 2. Il soggetto e l’oggetto. Nel pensiero occidentale la separazione sostanziale dell’anima (soggetto) dalla materia (oggetto) si è presentata con radicalità con Cartesio. È vero che le scuole pitagoriche ed il platonismo hanno sempre sottolineato questo aspetto, ma la visione greca e poi cristiano-romana hanno cercato piuttosto i collegamenti tra materia e spirito, mentre nella scuola del Vedanta è fondamentale che l’anima, spirituale in essenza, si svegli dal suo sogno nella materia. È tale sogno che anima la materia, la quale, senza l’interazione ‘onirica’ del soggetto, resterebbe del tutto inerte. La fisica e la biologia attuale rivelano: Gli ultimissimi studi hanno visto un enorme proliferare di nuove ipotesi sull’interconnessione tra fisica quantistica, coscienza e volontà. Una delle voci più autorevoli in questo ambito è quella del fisico tedesco Hans-Peter Dürr, la cui visione del mondo, segnata dal riconoscimento che la fisica quantistica non permette un vero determinismo in una realtà che perde la propria unicità ontologica, è accostabile per certi aspetti al panpsichismo. […] Un altro punto di vista è quello di Penrose che identifica nei microtuboli (particolari strutture proteiche cellulari) il luogo in cui si realizzano effetti quantistici coerenti.
[2] La volontà rappresenta il desiderio della coscienza e l’energia