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Il Libro d'Oro
Il Libro d'Oro
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E-book357 pagine4 ore

Il Libro d'Oro

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Info su questo ebook

Il Libro d'Oro è il 1° capitolo della saga Babyl, una trilogia epic-fantasy.

Il 2° volume, Le Sette Spade, è di prossima pubblicazione.

Alla fine della Terza Era il Regno di Anthesia è sull'orlo del baratro. L'Ordine dei Sir che per mille anni ha difeso gli uomini dalle Forze Oscure è ormai estinto e il demone Darthanos sta lentamente riprendendo vigore. Il potere degli uomini risiede nelle pagine del Libro d'Oro, un manoscritto antichissimo che un tempo apparteneva a Darthanos e che uno schiavo di nome Leto rubò intrappolandovi il demone dentro.

Un'antica profezia narra che un giorno Darthanos riprenderà forma e che sarà il discendente di Leto a sconfiggerlo e a riportare la pace in Anthesia, ma il demone attraverso le pagine del libro s'impossessa dell'anima del prescelto.

Quando per gli uomini sembra non esserci più speranza, il Libro d'Oro finisce nelle mani di Babyl, un pastorello di dodici anni destinato a diventare leggenda.
LinguaItaliano
EditoreDaren Wood
Data di uscita29 dic 2013
ISBN9788868853631
Il Libro d'Oro

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    Anteprima del libro

    Il Libro d'Oro - Daren Wood

    Daren Wood © 2009.

    Babyl è una saga epic-fantasy.

    Il Libro d'Oro è il primo capitolo della saga.

    "Quando attraversammo il ponte sul torrente Esico

    una parte di me si staccò e corse via oltre i boschi di pioppo.

    Credo che fuggisse dalla paura e dal dolore.

    Non ho mai più ritrovato quella parte di me."

    Scarica la mappa dettagliata dal sito www.darenwood.blogspot.it

    PERSONAGGI PRINCIPALI

    Babyl,

    protagonista e narratore della storia.

    Roopey,

    il migliore amico di Babyl.

    Sybelle,

    una ragazza dagli strani poteri.

    Coltrain,

    il discendente di Leto.

    Sir Lordlaw,

    il Prior di Esperia.

    Jorge,

    un misterioso eremita dei boschi.

    Romed,

    un arciere dalla mira infallibile.

    Gwalltarian,

    il Magus Maior di Esperia.

    Ronan,

    il fratello maggiore di Roopey.

    1. IL TRADIMENTO

    La notte era cupa e senza stelle. I fulmini cadevano minacciosi oltre i monti Leidi e il vento soffiava forte confuso agli ululati dei cani.

    La strada era angusta ma il passo del fanciullo era svelto. Ogni volta che si fermava a riprendere fiato, sentiva quei latrati più vicini e le voci dei suoi nemici sempre più nitide. Sapeva di non poter evitare lo scontro, sapeva che quella notte avrebbe forse trovato la morte, ma ciò che stringeva fra le mani gli dava in ogni istante vigore e coraggio.

    Raccolse le forze e superò agilmente un campo di rovi spinosi balzando sui massi che affioravano fra i cespugli. Raggiunse l’orlo di una rupe e lì si fermò. In basso il fiume Soterion scorreva impetuoso in un labirinto di rocce lisce e taglienti che brillavano a ogni fulmine come lingue d’oro fuso. La sua fuga era terminata. Era in trappola ma quel luogo rialzato gli avrebbe dato un vantaggio iniziale.

    Si fece coraggio e per un istante cacciò via la paura. Gli occhi di fanciullo divennero freddi, senz’anima e le sue mani candide affondarono le unghie fra le pieghe del panno scuro che teneva gelosamente stretto al petto. I cani erano vicini ma ancora avvolti nelle tenebre. Sentiva i loro passi - erano in sei - e in lontananza vedeva almeno cento fiaccole convergere verso di lui.

    Era lì, solo contro tutti.

    Posò l’oggetto tanto prezioso in terra fra le gambe e sganciò la fibula alla base del collo per liberarsi del mantello che scivolò via, elegante come l'abito di un principe. Con la mano destra carezzò l'elsa della spada e si chinò senza sfilarla dal fodero, attendendo in silenzio nel cuore della notte le sei bestie inferocite.

    Trattenne il respiro. Dovrebbe bastare, sussurrò... quando dal nulla balzarono due grossi mastini neri con le fauci spalancate!

    Senza mostrare tentennamenti, sfilò la lama con la rapidità di un serpente e li trafisse alla gola prima che le loro zampe toccassero terra. Con la spada e il volto inzuppati di sangue si accovacciò di nuovo e attese gli altri quattro. Ne percepiva i movimenti al buio e sapeva che lo avrebbero attaccato assieme.

    Era solo questione di tempo.

    Serrò le palpebre e raccolse i pensieri. Non aveva scelta: era giunto il momento di adoperarlo. Non lo aveva mai fatto prima d'ora e invero lo desiderava da tempo immemore, da quando l'aveva visto per la prima volta. Le sue labbra sottili vibrarono impercettibilmente e l'oggetto misterioso avvolto nel panno scuro iniziò a risplendere di luce propria, una luce così intensa da perforare le maglie della stoffa.

    «Empsica Petra, Empsica Petra Apokteine», ripeté tre volte e il terreno tutto intorno cominciò a tremare riempiendosi di crepe.

    Quando gli occhi si riaprirono, le iridi erano divenute gialle e le cornee piene di vene. Qualcosa si stava impadronendo del giovane che non opponeva alcuna resistenza. Era vittima e complice del proprio destino.

    Frammenti di roccia taglienti come schegge di vetro si sollevarono da terra e rimasero sospesi in aria come polline al vento. Appena gli animali spuntarono dai cespugli, il ragazzo proferì le parole magiche a gran voce e le pietre acuminate si scagliarono come uno sciame impazzito contro le quattro bestie inermi, trapassandole mortalmente.

    Fu proprio in quel momento che riconobbe le ombre degli arcieri oltre i rovi e un istante dopo avvertì il sibilo delle frecce appena scagliate.

    Distese le braccia. «Clipeus Invictus!» e una cupola trasparente lo avvolse del tutto.

    I dardi nemici si abbatterono sullo scudo magico senza scalfirlo e rimbalzarono come la grandine.

    Sorrise beffardamente il ragazzo. Soltanto di questo siete capaci? recitavano i suoi occhi di sfida, ben sapendo che a breve avrebbe dovuto fronteggiare un potere più grande. La paura non era mai stata tanto distante da lui come in quel momento e il cuore gli rimbalzava nel petto come un bolide impazzito che ardeva di crescente eccitazione.

    «Caricate! Mirate ancora!» gridava il capitano degli arcieri dalla cima di una sporgenza rocciosa. «Non deve fuggire! Non abbiate pietà!»

    I maghi al fianco dei cavalieri brandirono gli astragali e trasformarono le frecce appena scagliate in una pioggia di meteore infuocate, che solcò il cielo notturno e si abbatté violentemente sul clipeus del fanciullo riempiendolo di crepe.

    Il giovane strinse il pugno della mano destra come per afferrare le redini di uno stallone scalciante e le vene pulsanti gli percorsero il collo e il volto come un intrico di piante rampicanti.

    Si morse le labbra fino a sanguinare. «Immobilis!» e i dardi infuocati si arrestarono in volo, rimanendo sospesi in aria come la neve cullata dal vento.

    Fu il silenzio. La quiete prima della tempesta.

    «Anachoreite Kai Kteinete

    Il respiro si fece affannoso e il volto si colorì di un sorriso tetro.

    «Anachoreite Kai Kteinete!»

    La voce innocente di bambino mutò in un groviglio di lamenti selvaggi e tenebrosi.

    Ancora avvolte nel fuoco magico, le frecce ruotarono dolcemente su se stesse e ripartirono all’improvviso nella direzione opposta, piombando addosso a chi le aveva scagliate.

    Assetati di morte, i suoi occhi pieni di tenebre fissarono il cielo pervaso di fulmini. «Keraunos Therize!»

    Le nubi scesero rapidamente giù dai monti Leidi e si addensarono minacciose sul campo di battaglia. Un vortice nero prese forma sopra di lui e una tempesta si scatenò in un istante. Ogni volta che proferiva quelle parole piene d’ira, un fulmine erompeva dal ciclone e colpiva a turno i suoi nemici ardendoli vivi!

    Fu il panico. Molti di loro cercarono un rifugio di fortuna fra le rocce e i rovi, preferendo le spine acuminate al fuoco mortale. Chi eroicamente (o per pura incoscienza giovanile) rimase lì a fronteggiare la furia del nemico, consegnò inutilmente la propria vita nelle mani del giovane assassino.

    Mentre i figli di Esperia(*) cercavano disperatamente di scampare al massacro, un mago più anziano entrò deciso nel campo di battaglia: aveva un astragalus nero stretto nella mano destra e indossava un lungo mantello blu dai sottili bordi argentati, tipico dei maestri della Sacra Scuola.

    (*) gli allievi della Sacra Scuola di Esperia.

    Il fanciullo per un istante si fermò e aguzzò la vista per riconoscerne i lineamenti appena svelati dalle prime luci dell’alba.

    Per nulla restio a mostrare il proprio volto, l'uomo abbassò il cappuccio e una lunga chioma grigia brillò nell’ombra della montagna. «Poni fine ai tuoi incantesimi, te lo ordino!» e generò immediatamente un clipeus, temendo la reazione del giovane.

    Il ragazzo fissò il nuovo avversario con un riso diabolico e scandì lentamente il suo nome con una vena di sarcasmo. «Maestro Gwalltarian, non v'intromettete. Non avete il potere di farlo.»

    Ma l’uomo per nulla intimorito ordinò ai suoi allievi di colpirlo e puntò l'astragalus contro il nemico. «Imperium Solve!»

    Il clipeus del fanciullo si frantumò in mille pezzi come un vaso di cristallo che cade in terra e gli arcieri ne approfittarono per riprendere a scagliare dardi a volontà. A quel punto il giovane sguainò la spada e saltò in alto almeno cinque volte la sua statura, schivando le frecce mortali con una forza e una rapidità smisurate persino per un uomo adulto.

    Con gli occhi iniettati di sangue, puntò l’arma in direzione di Gwalltarian. «Empyra Enchos!»

    La spada brillò come un incendio nel cuore della notte e una fiamma vigorosa investì il clipeus del suo avversario, perforandolo come una bolla di sapone. Senza scudo, Gwalltarian non poté fare altro che tentare di schivare il colpo, ma il fuoco magico gli carezzò il volto sfigurandolo irrimediabilmente.

    L’uomo crollò in terra per il dolore mentre il ragazzo osservava la scena compiaciuto, quando avvertì anche lui una fitta lancinante…

    Atterrò rovinosamente al suolo e si guardò subito la gamba sinistra: una freccia gli aveva trapassato il ginocchio. Era fatta di legno chiaro e aveva tre piume bianche sulla coda. Sapeva chi l’aveva scoccata. Sapeva da quale arco proveniva quella freccia limnesiana.

    Digrignò i denti riconoscendo l’amico fraterno oltre le rocce. «Tu! Maledetto...»

    Quegli occhi immersi nell'ombra del cappuccio lo supplicavano di fermarsi, di arrendersi, di tornare in sé, ma lui carico d’odio afferrò la freccia e la strappò via dalla carne, trattenendo tutto il dolore dentro il suo fragile corpo di bambino.

    L’amico rassegnato caricò di nuovo il colpo e così fecero gli arcieri accanto a lui. Il fanciullo a fatica si risollevò in piedi. Raccolse il suo prezioso fagotto che emetteva una luce sempre più intensa e lo portò in alto sopra la testa.

    «Pyros Chei...» Tentò nuovamente di evocare l’antica magia, ma un fulmine squarciò il terreno davanti a lui e il ragazzo cadde in terra perdendo la presa (e l’ultima sillaba dell’incantesimo).

    «Non evocherai la Tempesta di Fuoco», intimò qualcuno non lontano da lì. «Con ogni mezzo io te lo impedirò.»

    Il giovane conosceva quella voce. Per un istante ebbe quasi l’istinto di fermarsi e di deporre la spada.

    «Ho fallito la mira di proposito. Non sbaglierò due volte. Non userai i tuoi poteri di Sir contro chi non può difendersi. Non ti permetterò di fare ancora del male. Nessuno di noi te lo permetterà.»

    Il fanciullo si risollevò da terra vacillando dalla parte della gamba ferita e guardò diritto negli occhi il suo nuovo avversario che era appena uscito dall’oscurità e avanzava senza timore verso di lui.

    Tornò stranamente sereno in volto. «Sir Margant, non ho intenzione di battermi con voi. Questo lo sapete bene.»

    «Non sarà necessario, ragazzo mio. Ma devi deporre le armi e consegnare ciò che hai preso. Anche tu questo lo sai bene.»

    Una scintilla di malvagità brillò nuovamente negli occhi del giovane e ne ravvivò il sorriso. «Mi prendete per sciocco? Mi dispiace, non posso farlo.»

    Scuro in volto e rassegnato, l'uomo lasciò cadere in terra il mantello e sganciò la chiusura del fodero della spada, ma una voce improvvisa come un soffio di vento gelido echeggiò solenne per tutta la vallata. «Uomini di Esperia! Deponete le armi e riacquistate senno!»

    Tutti si fermarono. Calò il silenzio.

    Sulla collina appena illuminata dalle torce, un gruppo d'individui dalle lunghe ombre schermava i primi raggi del sole nascente. Il più anziano discese il pendio e raggiunse il campo di battaglia con passo lento ma deciso: portava un lungo mantello blu ricamato d’oro, aveva la barba bianca e i suoi occhi erano chiusi.

    «Le tenebre sono calate su di noi stanotte. Sir Hengael è morto. Il Prior di Esperia è stato assassinato.»

    La notizia risuonò come un tuono nel cuore della notte e frantumò anche gli animi più robusti. Parole incredule e piene di dolore correvano sulle bocche dei giovani anthesiani.

    Ha ucciso Sir Hengael!

    Ha rubato il Libro d’Oro!

    Il discendente è un traditore!

    Sir Margant tolse la mano dall’impugnatura della spada e si chinò per raccogliere il mantello. «Le vostre parole aprono una ferita ancor più grande nel mio petto. La fine è vicina. Lo percepisco anch’io che non sono un veggente. Voi siete il Magus Maior, Sir Lordlaw. Spetta a voi il comando. Ora che Sir Hengael è morto, il vostro verbo sarà legge ad Esperia. Cosa dobbiamo fare con il ragazzo?»

    «Egli va fermato, questo è certo. Ma non sarete voi a battervi con lui.»

    «Ogni vostra decisione sarà da me rispettata. Tuttavia, se non è troppo incauto da parte mia, vorrei conoscerne il motivo.»

    «Il legame che c’è tra voi e il vostro giovane apprendista potrebbe tradirvi. I sentimenti sono capaci di piegare anche il guerriero più valoroso. Voi lo sapete bene. Meglio di chiunque altro.»

    «Questo è quello che hanno visto i vostri occhi da veggente?»

    «Questo è quello che mi suggeriscono il cuore e la ragione.»

    «Cosa intendete fare allora?»

    «Se il ragazzo ha deciso di intraprendere la strada senza ritorno del Fuoco Nero, saranno Sir Savat e Sir Valdyr a battersi con lui. Lo affronteranno insieme.»

    Sir Margant annuì abbassando il capo e si fece da parte. Sir Lordlaw lo seguì lasciando libero il campo.

    Il giovane con gli occhi spiritati raccolse il suo prezioso fagotto da terra. «Bene! Avevo una gran voglia di battermi con qualcuno che fosse alla mia altezza.»

    «Risparmia il fiato e le energie, ragazzo!» tuonò Sir Savat dalla cima della collina e con un balzo poderoso si portò al centro del campo di battaglia a pochi metri da lui.

    «Non lasciamoci sopraffare dal desiderio di vendetta», replicò pacatamente Sir Valdyr. «Egli vuole provocarci, è chiaro» e discese anche lui il pendio con piede esperto, senza togliere mai lo sguardo dal suo giovane avversario.

    «Ha ucciso Sir Hengael! Ha rubato il Libro d’Oro! Ha infangato l’onore dei discendenti di Leto! Io sono l’Eques Maior di Esperia e lui è un cavaliere! Perciò il traditore è mio! Lasciate che lo affronti io da solo! Ho una gran voglia di trafiggerlo!»

    «Lo affronteremo insieme, perché Sir Lordlaw così ha deciso. Vi chiedo ora, amico mio, di porgermi una delle vostre spade, perché io ne sono sprovvisto da molto tempo...»

    Sir Savat annuì, lasciò cadere in terra il mantello e mostrò tre lame riposte in altrettanti foderi uniti alla cintura. Ne afferrò una e la porse a Sir Valdyr che esitò qualche istante prima di prenderla.

    Il ragazzo osservò la scena attentamente. «Preferite la magia alla spada da molte lune ormai», sentenziò sprezzante. «Siete sicuro di volermi affrontare in un vero duello fra Sir?»

    «Non brandisco un’arma da molto tempo, è vero, ma osserverai tu stesso che i miei poteri non sono svaniti negli anni» e mentre pronunciava quelle parole notò la pozza di sangue sotto il piede sinistro del giovane. «Tu invece sei ferito. Non hai nessuna possibilità di farcela da solo contro due Sir. Arrenditi e salverai la vita.»

    Sorrise con occhi maligni e irriverenti. «Siete patetici, lo sapete? A voi la prima mossa. Non avrò pietà.»

    Feriti nell'orgoglio i due uomini impugnarono le spade e il fanciullo si chinò in terra tenendo la mano poggiata sull’elsa.

    «È la posizione d’attacco di Sir Margant. La riconosco. Fate attenzione, Sir Savat, è molto veloce e conosce ogni mossa del suo maestro», ma il compagno partì subito alla carica senza neppure ascoltarlo: era fuori di sé e i cadaveri carbonizzati dei suoi amati allievi gridavano vendetta!

    Il giovane generò di nuovo l'incantesimo con il quale aveva ucciso i cani e Sir Valdyr lo annullò all’istante per favorire l’offensiva del compagno.

    Sir Savat si scagliò contro il suo avversario con la spada fiammante. Il ragazzo senza troppi problemi ribatté il colpo e sgusciò via con una piroetta a dispetto della gamba malconcia. Partì un nuovo attacco incrociato dei due Sir che si scambiarono i ruoli, ma l’esito fu ancora una volta e sorprendentemente lo stesso.

    Nonostante la ferita, il fanciullo era molto più rapido dei suoi avversari e sopperiva all’inesperienza con la destrezza nel combattimento, schivando le spade e gli incantesimi senza mai replicare. Sembrava uno di quei combattimenti senza vincitori né vinti, nei quali i guerrieri avrebbero potuto affrontarsi in eterno senza mai mostrare il fianco… ma all'improvviso il ragazzo creò attorno a sé un clipeus…

    All’interno dello scudo non potrà muoversi con la stessa agilità, pensò Sir Valdyr. Era l’occasione che stava aspettando e con i suoi poteri creò un varco nello scudo magico per aprire la strada a Sir Savat.

    Pronto ad assestare il colpo finale, l’Eques Maior penetrò il clipeus del giovane con la spada tesa in avanti, ma una volta dentro si rese conto di essere caduto nella trappola degna del Sir più astuto: il ragazzo aveva generato l’incantesimo senza rimanervi dentro ed era balzato sopra i suoi avversari tanto rapidamente da non essere visto.

    Quando i due se ne resero conto, era troppo tardi: le teste di Sir Savat e Sir Valdyr rotolarono in terra e si fermarono davanti ai piedi di Sir Lordlaw che, nonostante la cecità, aveva percepito ogni cosa.

    Lo sgomento viaggiò silenzioso sui volti affranti dei presenti, mentre il fanciullo si passava una mano nei capelli, preso da un attacco di macabra vanità.

    Avete visto di cosa sono capace? recitavano i suoi occhietti senz'anima, mentre i fulmini squarciavano l’alba all’orizzonte, illuminando a ogni bagliore quell'irritante sorriso di compiacimento.

    «Troppo sangue è stato versato stanotte», ruppe il silenzio Sir Margant con voce straziante. «Troppi uomini valorosi hanno perduto la vita. Troppi uomini innocenti hanno trovato la morte. E troppi altri ve ne saranno, se non interverrò immediatamente. Vi prego, Sir Lordlaw, lasciate che sia io a battermi con lui. È l’ultima cosa che avrei voluto fare in tutta la mia vita, ma non ho altra scelta. Sono forse l’unico in grado di fermarlo. E vi giuro, a costo di morire questa notte, non lascerò che il male si sparga per colpa mia!»

    «Questo sarà allora il vostro destino», rispose l'anziano Sir e chinò tristemente il capo in segno di resa.

    Sir Margant raccolse da terra le teste mozzate dei suoi compagni e le ripose accanto ai rispettivi corpi. Li ricoprì dei propri mantelli e s’inginocchiò davanti a loro. «Riposate in pace, figli di Leto.»

    I corpi dei nobili Sir arsero all’improvviso da soli in una ghirlanda di fiamme dorate, per poi scomparire senza lasciar traccia dei valorosi guerrieri sulla nuda terra.

    «Erano uomini generosi e pieni di coraggio. Avresti potuto imparare molto da loro e invece li hai uccisi. Ogni speranza è morta stanotte.»

    «Io li ho sconfitti, Maestro. Li ho sconfitti perché ero più forte di loro. Perché grazie ai vostri insegnamenti, sarò il più grande Sir che Anthesia abbia mai veduto dai tempi di Leto. Ma non capite? Tutto questo è un dono! I Sir non avranno più motivo di esistere d’ora in avanti. Io li ho superati! Li ho superati grazie al Libro d’Oro! Il potere che scorre in quelle pagine mi ha reso invincibile. La pace tornerà in Anthesia. Io riporterò la pace!»

    «Il Libro d’Oro non ti ha reso invincibile. Ti ha reso pazzo. Credi di fare del bene, ma sei accecato dal Male Eterno. Ti prego, Coltrain, torna in te! Libera la mente. Lascia uscire il demone che guida la tua spada. Tu sei il fanciullo buono e sincero che conosco, non l’assassino spietato che ho visto questa notte. Ti supplico, consegnami il Libro d’Oro. Quel cimelio maledetto ti avvelena la mente!»

    Indietreggiò bruscamente. «Lo volete per voi! È così! Avete paura che io sia diventato più forte di voi! Volete portarmelo via! Il Libro d’Oro è mio! Io sono il prescelto! Io sono il discendente di Leto!»

    «Allora è vero: è tutto finito. Il ragazzo che conoscevo non esiste più. Nei tuoi occhi vedo solo il Fuoco di Darthanos. Egli è ormai padrone della tua anima. Mi piange il cuore, Coltrain, ma non mi dai altra scelta. Dovrò ucciderti o per Anthesia saranno soltanto tenebre» e il mantello di Sir Margant scivolò tristemente in terra come l'ultima foglia secca di un albero morente che si prepara ad affrontare il suo ultimo inverno.

    «Non vi avvicinate!» gridò in preda a una crisi isterica. «Ucciderò anche voi se sarà necessario!»

    «L’Ordine dei Sir sta scomparendo e la speranza per sempre con esso. È giunto il momento di porre fine a ciò che ho incominciato. Le tenebre avvolgeranno sia me che te.»

    «Vi annienterò! Siete sconfitto in partenza. Conosco ogni vostra mossa. Sono diventato io il maestro ora!»

    «Ti sbagli, giovane apprendista. L’arroganza acceca anche il guerriero più forte.»

    «Non temo la vostra spada, né la vostra magia. Mi batterò in un duello all’ultimo sangue con il mio maestro e lo sconfiggerò. Sarà questa la mia consacrazione!»

    «Non ho intenzione di intraprendere un duello di spada e di magia alla maniera dei grandi Sir del passato. Mi basta un solo incantesimo: il più terribile di tutti...»

    «Non lo farete!» urlò spalancando gli occhi a dismisura e per la prima volta mostrò una crepa nel suo animo invincibile. «Perderete ogni potere! Morirete anche voi!»

    «Se è questo che ci ha riservato il destino, io sono pronto.» Puntò la spada verso il ragazzo e i suoi occhi azzurri divennero gialli come l'acqua di palude, freddi e senz'anima, identici a quelli del suo avversario. «Melas Pyr Kalypte!»

    Le Tenebre avvolsero il corpo di Sir Margant consumandolo nell’anima e l’arma che teneva stretta fra le mani si accese come una torcia intrisa di bitume. Coltrain tentò invano di contrastare l’incantesimo del suo maestro, dando fondo a tutti i poteri che aveva in corpo, ma alla fine fu travolto dal Fuoco Nero.

    Sir Margant cadde in terra privo della forza vitale, mentre il ragazzo urlava e si contorceva tra le fiamme. Davanti agli occhi increduli dei presenti, Coltrain strisciò lentamente fino al panno che avvolgeva il Libro d’Oro, lo estrasse e lo strinse fra le mani, come a volervi trovare la forza necessaria per respingere l’incantesimo che lo stava uccidendo. Si alzò a stento in piedi ormai sfigurato dalle fiamme mortali e sollevò il libro in cielo. Fece qualche passo indietro fin sull’orlo della rupe e si lasciò cadere.

    Le acque tumultuose del fiume Soterion inghiottirono il corpo senza vita del ragazzo e gli occhi di Sir Margant un istante dopo si spensero per sempre.

    Le nubi nere sopra il campo di battaglia lentamente si dissolsero lasciando trasparire il nuovo giorno, ma nei cuori degli uomini di Esperia il dolore e lo sconforto rimasero densi come la notte profonda.

    Sir Lordlaw raggiunse l’orlo del burrone e protese le braccia in avanti sussurrando misteriosi incantesimi. Le acque gelide del fiume s’incresparono e molti vortici comparvero ai bordi della rupe. L’impeto della corrente all'improvviso si arrestò del tutto e davanti agli occhi increduli dei presenti il fiume prese a scorrere al contrario.

    L’anziano Sir attese qualche istante e pronunciò solenne «Avis Es

    I flutti tornarono nuovamente tumultuosi e dalle onde ricche di spuma una colonna d’acqua si sollevò fino in cielo riportando in superficie il Libro d’Oro che si posò dolcemente fra le mani di Sir Lordlaw.

    «Il sangue scorre sulla nuda terra e il dolore punge i nostri cuori avvolti da rovi spinosi», parlò agli uomini e ai giovani di Esperia. «Il ricordo verrà spazzato via dal Vento del Nord ma le ferite non saranno mai rimarginate. Navi nere veleggiano all’orizzonte. Il futuro è pieno di ombre.»

    2. ULTIMI GIORNI A DAWELDY

    Una voce ansimante sussurrò qualcosa

    La dolce brezza di fine estate che sfrega l’erba ormai ingiallita mi sfiorò le gote e lentamente mi svegliai. Per un istante mi persi al confine tra sogno e realtà e la mente vagò nel ricordo di ciò che avevo appena visto, quando la voce squillante di mia sorella mi ridestò del tutto.

    «Babyl! Babyl!»

    La immaginavo correre e saltellare come un coniglio selvatico fra le spighe dorate.

    «Dove sei? È pronto il pranzo!»

    Raccolsi rapidamente le forze e mi sollevai aggrappandomi alla corteccia del Grande Albero, sotto il quale anche stavolta mi ero beatamente appisolato. Era già un po’ di tempo che facevo strani sogni. Ormai non vi prestavo più attenzione.

    «Babyl!» gridò più forte, sbucando con la testa da un ciuffo di camelie. «Dove sono le pecore e gli agnellini?»

    Mi guardai attorno ancora pigro e intontito: non c'era anima viva. Non sentivo il suono delle campanelle e le impronte sul terreno erano vecchie di almeno mezza giornata.

    Dannazione! Non mi ero reso conto di aver dormito così tanto! Avevo combinato un bel guaio.

    Eppure ne ero certo. Inconsciamente sapevo che il gregge era andato a pascolare oltre la collina. Non perché lo avesse già fatto altre volte, lo sapevo e basta. Adoperai allora una tecnica che avevo già sperimentato in passato e che - senza conoscerne il motivo - aveva sempre funzionato.

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