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Il Progetto Atlantis
Il Progetto Atlantis
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E-book341 pagine4 ore

Il Progetto Atlantis

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Info su questo ebook

Primo capitolo della “ Ū saga “:
1. Il Progetto Atlantis - 2. La Civiltà Perduta - 3. I Sistemi Gemelli - 4. L’Ultima Atlantide - 5. Il Destino dell’Universo

Tanto tempo fa fra le vette inviolate delle Ande un popolo misterioso sfidò gli Dei espandendo la propria civiltà ai confini del cielo e divenne il custode millenario di un segreto che potrebbe cambiare per sempre il destino del nostro pianeta.
All’alba del ventunesimo secolo sette studenti di archeologia sono i protagonisti di un’avventura incredibile che li condurrà ai confini dello Spazio e del tempo...
LinguaItaliano
EditoreDaren Wood
Data di uscita21 dic 2014
ISBN9786050343632
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    Anteprima del libro

    Il Progetto Atlantis - Daren Wood

    Daren Wood © 2007

    Il Progetto Atlantis è il primo capitolo della saga Ū, che è composta da:

    1. Il Progetto Atlantis

    2. La Civiltà Perduta

    3. I Sistemi Gemelli

    4. L'Ultima Atlantide

    5. Il Destino dell'Universo

    Al romanzo è associata una COLONNA SONORA, al fine di rendere più gradevole e completa la narrazione.

    Per ascoltarla, vai sul sito www.daren-wood.blogspot.com.

    Il destino è come una barca in balia della corrente: non sai mai se andrà ad arenarsi su una spiaggia sabbiosa o a infrangersi contro una scogliera. Puoi soltanto sperare che lo scafo sia abbastanza stabile da navigare nel mare in tempesta.

    1. I SETTE QUIPU

    24 agosto 1946.

    Ettenhausen, Germania.

    Erano le dieci del mattino e il sole lambiva gli alpeggi di fronte alla tenuta dei Wartenstein. I boschi di conifere erano scossi da leggere folate di vento e il cielo appena velato sfumava all'orizzonte fra le vette scolpite dai ghiacciai.

    Un rumore improvviso squarciò la quiete del paesaggio come una lama che affonda nella tela di un dipinto. Un'automobile stava solcando il terreno ghiaioso della mulattiera che dal borgo di Ettenhausen s'inerpicava fin lassù. La strada marcava il fianco della montagna serpeggiando nell'ombra del bosco fino a poche centinaia di metri dall'abitazione.

    La vettura frenò bruscamente davanti al portico. La carrozzeria nera e lucida aveva perso tutto il suo splendore ed era talmente impolverata che persino il proprietario avrebbe fatto fatica a riconoscerla.

    L'uomo scese dall'auto e richiuse velocemente la portiera senza accompagnarla come faceva di solito. Con il capo chino percorse buona parte della strada, ma poi alzò lo sguardo e i suoi piedi rallentarono d'istinto. Appena oltre la casa, il bosco tornava fitto e si chiudeva come un muro invalicabile, quasi a voler proteggere dallo sguardo impertinente dell'uomo il resto della montagna con le sue vallate e i suoi specchi d'acqua cristallina. Le vette più alte spuntavano appena sopra la cima degli alberi. Accanto all'abitazione un torrente guizzava fra le rocce e proseguiva indisturbato verso valle, scomparendo nell'ombra del sottobosco.

    Arrestò il passo e ruotò la testa. Seguì con gli occhi le increspature dell'acqua e per un istante si liberò di tutti quei pensieri che lo tormentavano da giorni. Nel fondovalle fra gli ultimi strati di bruma mattutina era possibile scorgere il villaggio di Ettenhausen e ancora più in là altre montagne, altri boschi e altri paesaggi tutti da scoprire.

    Lo sguardo dell'uomo vagò leggero fino a sfiorare l'orizzonte ma poi la ragione lo riportò con i piedi in terra, risvegliandolo da questo imprevisto stato di torpore.

    Sapeva di non avere molto tempo e percorse senza esitare gli ultimi dieci passi che lo separavano dalla soglia di casa.

    Bussò con decisione, ma la porta era socchiusa e si aprì uno spiraglio. Una figura femminile sostava al centro del corridoio.

    «Buongiorno, Signora Schmidt», sussurrò titubante.

    «Prego, Professor Grüber. Si accomodi» e gli venne incontro.

    Batté più volte le scarpe impolverate e, per educazione, entrò soltanto quando la governante spalancò completamente la porta di casa.

    Mentre le consegnava il cappotto che si era appena sfilato di dosso, qualcosa catturò la sua attenzione: in fondo al corridoio, in cima alla scala che portava al piano superiore, era seduto un bambino dai capelli biondi. Aveva sì e no dieci anni ed era assorto nella lettura di un grosso manoscritto con la copertina di cuoio e le pagine indurite dal tempo.

    L'uomo fece un gran sorriso e il ragazzo gli rispose con un cenno della mano. «Buongiorno Marcus. Mio padre è di là. Ti aspetta da giorni.»

    Il professor Grüber rimase sorpreso e allo stesso tempo turbato: non era bene che il bambino conoscesse il motivo della sua visita e per alcuni istanti le parole gli rimasero strette in gola. Percorse gli ultimi metri del corridoio e raggiunse il fanciullo in cima alla scala, che sollevò il capo e ravvivò il grigiore di quel luogo con i suoi profondi occhi azzurri.

    «Come stai, Ludwig?»

    «Benone. La malattia è passata e mi è tornato anche un certo appetito.»

    «Già! Sta bene adesso il signorino», ribatté sardonica la signora Schmidt dal piano inferiore. «Ma di uscire, di andare a fare una corsa in mezzo ai prati, proprio non ne vuole sapere. Dico io... è stato al letto per più di un mese! Non riesco a capire cosa stia aspettando. Che finisca l'estate, forse?»

    «Per favore, Petra! Devo prima finire...» e roteò gli occhi in cerca di una motivazione plausibile, una motivazione diversa da quella reale...

    Grüber, che ascoltava divertito, poggiò le mani sulle ginocchia e si chinò verso il bambino fino a ricoprirlo del tutto con la sua ombra. «Che cosa stai leggendo di così importante da essere preferito ai verdi prati della Baviera?»

    Il piccolo Ludwig tirò indietro il libro e lo cinse con entrambe le braccia, ma non fece in tempo a sottrarlo alla vista arguta di un archeologo esperto come Marcus Grüber.

    L'uomo cambiò radicalmente espressione e scese d'istinto un gradino all'indietro. «Santo Cielo, Ludwig! Quello è il manoscritto di... Ma Ernst sa che lo hai tu?»

    Il bambino cominciò a balbettare come un ladro appena colto in flagrante e la domestica, comprendendo la situazione, si precipitò all'istante. «Signorino Ludwig! Avete ancora frugato fra le cose di vostro padre! Come devo dirvi che non dovete farlo? Questa volta non avrò clemenza. Vi porterò da lui per farvi assegnare la giusta punizione.»

    Il piccolo finse astutamente la resa e porse di sua iniziativa il braccio alla governante. Così la donna, dopo la stretta iniziale, alleggerì incautamente la presa e cadde nel tranello del ragazzo che, al momento opportuno, sgusciò via come una serpe.

    «Signorino Ludwig! Signorino Ludwig!» gridava esasperata davanti agli occhi divertiti di Grüber. «È inutile che ve la svignate! Il signor Ernst sarà comunque informato!» ma lui neppure si voltò e corse fuori, scomparendo nell'erba alta della radura.

    L'uomo raccolse il prezioso manoscritto da terra e lo osservò accuratamente. «Lasci stare, Signora Schmidt. Non fa niente. Mi sembra integro, dopotutto. Non deve scomodarsi: lo riporto io a Ernst.»

    «È molto gentile da parte sua.»

    «Di nulla. Si figuri» e richiuse il testo con infinita cura.

    «Dimenticavo... il Professore è nel... Insomma, ha capito, no? Conosce la strada? Sa arrivarci da solo?»

    «Credo di sì. Se la mia memoria è ancora buona, se non è stata troppo erosa dal tempo, credo di ricordare la strada» e accese un tozzo di candela che era riposto dentro una nicchia del muro.

    La donna gli offrì subito un piattino di coccio e lui lo sistemò alla buona prima di entrare nella stanza buia che si apriva al pian terreno in fondo alle scale sulla sinistra: la biblioteca.

    L'ambiente era privo di finestre e in mezzo alla stanza c'era un grosso tavolo antico di forma ovale con una dozzina di sedie ben accostate. Un'enorme libreria alta fino al soffitto correva lungo il perimetro della biblioteca ad eccezione del lato dell'ingresso che rimaneva libero.

    Questo era quello che avrebbe osservato a prima vista un occhio poco attento.

    Sulla parete destra, infatti, la libreria era leggermente più corta delle altre e lo scaffale terminava a poche decine di centimetri dal muro, il minimo indispensabile perché una persona non troppo robusta potesse passare al di là...

    Grüber ricordava bene quel luogo, che da oltre quindici anni aveva visitato soltanto nei suoi ricordi di gioventù. Portò la candela sopra la testa in modo da tenerla più lontano possibile dai tomi cartacei e scivolò adagio nell'intercapedine fino a oltrepassarla del tutto.

    Dietro la prima libreria c'era un corridoio formato da altre due librerie: quella di sinistra poggiava esattamente sul retro della prima, mentre l'altra era fissata alla parete.

    L'uomo cominciò a camminare fra i due scaffali ricolmi di libri. La luce della candela faceva brillare le rifiniture dorate dei volumi più preziosi, rendendo quel luogo magico e misterioso. Chiunque si fosse trovato lì per la prima volta sarebbe rimasto incantato da tanto sbocciare di letteratura, arte e scienza e avrebbe senz'altro attardato il passo per curiosare fra i ripiani della biblioteca, ma l'uomo cercava qualcosa di preciso e percorse quella distanza in un baleno.

    A un tratto si fermò e cominciò a frugare nello scaffale di destra. «No, no... questo no... ah, eccolo qua! Miti e Leggende dell'Himalaya

    Sfilò il libro e introdusse il braccio nello spazio lasciato vuoto. La mano affondò in quel luogo buio pieno di polvere e ragnatele e cominciò a ispezionarne gli angoli più impervi, quando un click risuonò nel silenzio della stanza. Spinse in avanti con decisione e una parte della libreria ruotò verso l'interno, rivelando il passaggio segreto che Marcus stava cercando. Era un corridoio angusto largo circa un metro e alto poco più. Era buio pesto e le pareti odoravano di terra umida e muffa.

    Senza perdere tempo, l'uomo ripose il volume nello scaffale ed entrò rannicchiato. Con una mano reggeva la candela e con l'altra teneva il prezioso manoscritto nella giacca per proteggerlo dagli eventuali urti con le pareti irregolari.

    Andando avanti, il corridoio tendeva a restringersi e poi voltava bruscamente a sinistra terminando sopra una botola. Una scala di legno grezzo portava al piano inferiore, dove lo scenario era praticamente identico: un nuovo corridoio ancora più stretto del primo si sviluppava per una ventina di passi e terminava di fronte a una porticina scura.

    Divorò quegli ultimi metri a lunghe falcate e bussò impaziente, ripetendo la sequenza che non aveva mai dimenticato.

    Toc-toc-toc! Toc! Toc! Toc-toc-toc-toc!

    3-1-1-4 era un codice segreto, una parola d'ordine che indicava il 3114 a.C., la data d'inizio del calendario Maya.

    Dall'interno la chiave ruotò due volte nella serratura e la porta finalmente si aprì.

    La candela che aveva in mano illuminò il volto stanco di Ernst, che sospirò e socchiuse gli occhi prima di sussurrare «ce l'hai fatta, amico mio.»

    «È stato più complicato del previsto.»

    «Sei sicuro che non ti abbiano seguito?»

    «Mi conosci bene. Perché me lo chiedi?»

    Scosse la testa e strabuzzò gli occhi. «Paranoie. Dai, entra. Abbiamo un mare di cose da dirci» e lo afferrò con forza per abbracciarlo e al tempo stesso per aiutarlo a oltrepassare l'ingresso angusto del bunker.

    Il nascondiglio segreto di Ernst von Wartenstein era stato scavato da suo padre durante la Prima Guerra Mondiale nelle fondamenta della casa. Si trovava diversi metri sottoterra ed era senza finestre, freddo e inospitale.

    Temendo di essere catturato dai suoi nemici, l'archeologo viveva lì ormai da mesi e, isolato dal resto del mondo, aveva continuato le sue ricerche sigillando fra quelle mura le sue ultime incredibili scoperte.

    «Cosa hai sotto la giacca?»

    «Un oggetto a te molto caro» e rivoltò la stoffa, rivelando il manoscritto che aveva appena preso al figlioletto.

    Lo stupore sul volto di Ernst si tramutò rapidamente in rabbia. «Lo cerco da due giorni, dannazione! Lo aveva Ludwig, vero?»

    Marcus sorrise divertito. «Quel ragazzo mi ricorda qualcuno...»

    «Mi farà impazzire!»

    «Non essere severo con lui. È un bambino fuori dal comune e tu lo sai bene.»

    «Ho paura che vada a cacciarsi nei guai. Io rischio tanto in questo periodo e coinvolgere mio figlio in questa storia è l'ultima cosa che voglio.»

    «Capisco» e gli occhi di Marcus tornarono cupi, carichi di pensieri pesanti come macigni.

    «Però adesso siediti. Mettiti comodo e raccontami tutto. Qui possiamo parlare liberamente. Questo luogo è sicuro.»

    Grüber annuì e crollò sulla prima sedia che trovò libera. Era pedinato notte e giorno e non dormiva da chissà quanto tempo. «Come avrai saputo, sei giorni fa degli uomini con il volto coperto e delle vecchie divise del Terzo Reich hanno fatto irruzione nel Castello dei Berzeviczy a Niedzica in Polonia.»

    «Sono informato e so anche che il quipu(*) è salvo.»

    (*) intreccio di corde che gli Incas utilizzavano per criptare le informazioni, adoperando un sofisticato codice fatto di nodi in sequenza.

    «Sì, ma il punto è un altro: chiunque fossero, quegli uomini non hanno cercato di rubarlo. L'irruzione dell'altra notte aveva il solo e unico scopo di incastrarci, Ernst. Siamo entrambi sospettati e questo lo sai anche tu. Ci saranno addosso in un attimo.»

    Wartenstein sbuffò e scosse il capo. «Non posso mollare proprio adesso. Non sono mai stato così vicino alla verità. Mi manca tanto così» e sollevò la mano inarcando indice e pollice. «Ci siamo. Il grande giorno è vicino!»

    Grüber sgranò gli occhi. «Che diavolo vai dicendo! Sei impazzito? Stare chiuso qui dentro per mesi ti ha fatto perdere il lume della ragione? Tu non capisci la gravità della situazione. Adesso ascoltami bene: io dopodomani parto per il Brasile. Sono venuto qui solo ed esclusivamente per portarti via con me. Prepara ciò che ti serve e raggiungimi con la tua famiglia a Monaco. Partiremo domani stesso e in serata c'imbarcheremo a Genova. Ho già i biglietti e ho rimediato i passaporti falsi. Superare il confine sarà un gioco da ragazzi. Ci lasceremo l'Europa alle spalle e scompariremo per due o tre anni al massimo, giusto il tempo di far calmare le acque. Lascia la casa ai coniugi Schmidt. Sono brave persone. Di loro ti puoi fidare ciecamente.»

    «Lo so bene. Li conosco da una vita» e fissò il pavimento grezzo del bunker mentre la testa gli ribolliva di strane idee e l'angoscia lo consumava fin dentro le viscere. Poi guardò l'amico per un istante, quasi di sfuggita, ed emise il suo verdetto scuotendo animosamente il capo. «Non posso andarmene proprio ora. In quel castello potrebbero esserci anche gli altri sei.»

    Marcus ebbe un sussulto, qualcosa di remoto che non provava dai tempi dei fasti avventurieri di gioventù, e per un attimo la sua mente accantonò il Brasile, i passaporti e tutto il resto. «Pensi davvero che i Sette Quipu Sacri si trovino tutti lì?»

    «Non lo so, ma voglio scoprirlo. Lì c'è scritto tutto quello che vogliamo sapere. Nessuno prima d'ora si era mai sognato di andare a cercare il tesoro degli Incas in un castello sperduto della Polonia, ma adesso che il primo codice è stato trovato, il mistero che c'è dietro sarà presto svelato. È solo questione di tempo. Non possiamo rischiare che gli altri sei vadano a finire nelle mani dei Russi o degli Americani. Sarebbe un disastro! Siamo appena usciti da una guerra catastrofica e c'è il rischio che ne scoppi un'altra ancora più terrificante.»

    Marcus emise un grosso sospiro e chiuse gli occhi per alcuni secondi prima di riprendere la parola. Rassegnato, perché conosceva già la risposta, guardò l'amico dritto negli occhi. «Cosa intendi fare?»

    «Lo sai bene: andare a Niedzica. Voglio vedere il quipu di persona prima che lo trasferiscano chissà dove. Molti archeologi si stanno recando lì in questi giorni. Userò un'identità falsa e mi confonderò con loro. Devo tentare...»

    «E poi?»

    Inarcò le spalle. «Non lo so. Vedrò quello che succederà e mi muoverò di conseguenza. Mi dispiace, amico mio. Non posso lasciare l'Europa in questo momento.»

    Come un pescatore che cerca invano di tirare sulla barca un pesce troppo grosso, Marcus raccolse le ultime forze e tentò il tutto per tutto prima di tagliare definitivamente la lenza. «Te lo chiedo per l'ultima volta: vieni via con me. L'Europa è un brutto posto per noi in questo momento. Ci troviamo fra due fuochi: siamo ex-nazisti ma anche traditori della patria. Da una parte non vedono l'ora di sbatterci dietro le sbarre e dall'altra aspettano il momento giusto per piantarci una pallottola nella schiena. Finché sei rimasto nascosto quassù, sei stato abbastanza al sicuro, ma se tornerai allo scoperto, niente potrà più proteggerti. Vieni con me in Brasile, ti supplico! È a rischio l'incolumità di tua moglie e di tuo figlio!»

    Ernst poggiò il viso fra le mani e stette per un po' in silenzio a riflettere. Poi sollevò il capo e guardò negli occhi l'amico con lo sguardo di chi ormai ha tutto da perdere.

    La voce gli tremava, ma aveva ancora la forza di scegliere il suo destino. «Prendi Helen e Ludwig e portali con te in Brasile. Io... spero soltanto di rivederli un giorno...» e scoppiò a piangere come probabilmente non aveva mai fatto in vita sua.

    Marcus si alzò in piedi e poggiò le mani sulle spalle dell'amico. «Ti prometto che tratterò mio figlio Lars e il tuo Ludwig alla pari e che sarò per lui come un padre. Te lo prometto sulla mia stessa vita» e i due si strinsero in un lungo abbraccio fraterno.

    2. IL PROGETTO ATLANTIS

    12 settembre 2006.

    Perugia, Italia.

    Sessant'anni dopo...

    Erano le nove del mattino e Corrado passeggiava nervosamente su e giù per la stanza. Sembrava una tigre in gabbia. Fra le dita stringeva una pallina da tennis, che di tanto in tanto scagliava con forza contro il muro per poi riprenderla al volo. Il suo braccio era dotato ormai di volontà propria e ripeteva quel gesto a intervalli di tempo regolari, mentre gli occhi restavano incollati al monitor del computer.

    Circa un mese fa aveva presentato domanda per partecipare a un programma di scambio culturale fra università europee, il Progetto Atlantis, diretto dal professor Ludwig von Wartenstein, docente della prestigiosa Kunst-und-Wissenschaft Universität di Mainz. Noto per i suoi brillanti studi sui misteri del mondo antico, Ludwig von Wartenstein era da molti considerato il più grande archeologo vivente.

    L'ammissione al Progetto Atlantis non dipendeva dal risultato di un test, né tantomeno dalla media voto. Ognuno dei partecipanti aveva dovuto semplicemente presentare una breve relazione che spiegasse in modo esaustivo e convincente i motivi della propria candidatura. Si diceva - ma forse erano soltanto voci di corridoio - che tutte le domande fossero accuratamente lette e valutate dal Professore in persona...

    Quella mattina Corrado attendeva la fatidica mail di risposta.

    Corrado Signani era un ragazzo timido, tranquillo e molto riflessivo. Poco avvezzo alla baldoria, cercava spesso il silenzio e la solitudine. Era nato e vissuto in un piccolo borgo della Maremma Toscana non lontano da Grosseto, rinomato per i reperti etruschi, i paesaggi incontaminati e la buona cucina regionale. Aveva da poco compiuto vent'anni e si apprestava a frequentare il secondo anno della facoltà di Archeologia all'Università di Perugia. Amava molto la sua terra natia e se n'era allontanato a malincuore quando l'anno precedente si era dovuto trasferire nel capoluogo umbro. Attualmente viveva lì da solo in un appartamento di pochi metri quadrati adiacente all'università e abitato interamente da studenti.

    Corrado stava attraversando quel periodo della vita nel quale si è sempre disposti a lasciarsi trasportare dai sogni, quell'età controversa e meravigliosa in cui ci si sente padroni del mondo e al tempo stesso troppo legati alle proprie radici per spiccare il volo.

    Il destino è come una barca in balia della corrente: non sai mai se andrà ad arenarsi su una spiaggia sabbiosa o a infrangersi contro una scogliera. Puoi soltanto sperare che lo scafo sia abbastanza stabile da navigare nel mare in tempesta.

    Se è vero che il destino è una barca, quello di Corrado era un galeone a vele spiegate con il vento in poppa e un mondo sconfinato da esplorare. Ma nessuno conosce il proprio destino e Corrado quella mattina del 12 settembre non immaginava neanche un po' che di lì a breve la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

    All'improvviso un bluip riecheggiò nel silenzio della stanza come una goccia che cade nello specchio d'acqua immobile di un lago sotterraneo. La pallina gli scivolò dalle mani e ruzzolò via. Il galeone stava per sciogliere gli ormeggi...

    Si precipitò alla scrivania e afferrò il mouse del computer senza mai staccare gli occhi da quella scritta nel monitor in basso a destra: nuovo messaggio in arrivo.

    L'attesa lo aveva letteralmente consumato e l'idea di poter lavorare al fianco del professor Wartenstein gli faceva venire i crampi allo stomaco dall'emozione.

    Tutto era cominciato non più di sette anni fa quando gli regalarono per Natale Le Origini dell'Umanità di Ludwig von Wartenstein. Quel giorno Corrado scoprì la passione per i miti antichi, per le grandi civiltà del passato e il suo destino in un certo senso fu segnato irrimediabilmente da quell'evento. Le affascinanti teorie dell'eccentrico archeologo tedesco lo rapirono a tal punto che il Professore divenne per lui un vero e proprio modello di riferimento.

    Fece un respiro profondo e aprì il messaggio di posta elettronica...

    " Dopo aver valutato accuratamente le vostre candidature, ho selezionato i sette studenti, che parteciperanno al Progetto Atlantis:

    Aatinen, Sami

    Abo Akademi University (Finlandia).

    Deplat, Geneviève

    U.T.A. Université Tous Ages de Lyon (Francia).

    Garrido Llosa, Enrique

    U.G.R. Universidad de Granada (Spagna).

    Mykolaevych, Miroslav

    UK - University of Kiev Mohyla Ac (Ucraina).

    Nikopoulos, Rika

    Aristotle University of Thessaloniki (Grecia).

    Signani, Corrado

    Università degli Studi di Perugia (Italia).

    Van der Kroef, Lutetia

    Rijksuniversiteit Groningen (Paesi Bassi).

    Sono invitati a presentarsi il giorno 28 di questo mese in compagnia del proprio tutor universitario alle ore 10:30 nella Sala Armature della Kunst-und-Wissenschaft Universität, in località Mainz (Germania).

    L'istituto provvederà a rimborsare le spese del viaggio.

    Si ringraziano le rispettive Università.

    Saluti e congratulazioni.

    Ludwig von Wartenstein "

    Incredulo, lesse e rilesse quella lista di nomi, poi la prefazione e ancora i nomi. Per un attimo pensò che stesse sognando. Si morse le labbra di proposito, chiuse e riaprì gli occhi almeno cinque volte, ma il suo nome era sempre lì insieme a quel Saluti e congratulazioni. Ludwig von Wartenstein.

    Santo Cielo, era tutto vero!

    Cominciò a girare per la stanza come una mosca impazzita e per la gioia calciò la pallina da tennis con tutta la forza che aveva, rischiando di frantumare il vetro della finestra.

    Doveva dirlo a qualcuno.

    Anzi, voleva gridarlo a tutto il mondo!

    Aprì la porta dell'appartamento con il cuore in gola e la vista annebbiata per l'emozione. Quel mezzanino sudicio e polveroso, che riceveva sì e no una passata di straccio al mese, gli sembrò il luogo più bello che avesse mai visto. Avrebbe voluto correre, saltare e magari rotolarsi in terra come fanno i cani nella loro ingenua spensieratezza, ma un cigolio improvviso lo fece desistere.

    Dietro alla porta socchiusa dell'appartamento accanto c'era Saverio, suo amico e compagno di corso. Anche lui aveva presentato domanda e anche lui, ovviamente, aveva appena letto la mail di risposta.

    «Complimenti», sussurrò dal buio malinconico della stanza.

    Corrado ebbe un sussulto interno provocato da un latente senso di colpa e da principio le parole gli rimasero strette in gola.

    Sapeva quanto Saverio tenesse a quella borsa di studio, forse non come lui, ma abbastanza da rimanerci male.

    Stava vivendo un conflitto interno spaventoso: c'era una parte di lui irrazionale che rischiava di esplodere da un momento all'altro e un'altra responsabile che lo costringeva a mantenere un certo contegno per rispetto dell'amico.

    Fissò il pavimento per diversi secondi prima di trovare le parole giuste. «Mi dispiace tanto... Sarebbe stato bello andarci insieme...»

    La porta si spalancò e Corrado finalmente si fece coraggio. Lo guardò in faccia, ma rimase felicemente sorpreso.

    Saverio se ne stava lì poggiato alla parete con le mani dietro la nuca e un sorrisetto stampato sul volto. «Non dispiacerti per me, scemo! Se c'era uno di noi che doveva andare, quello eri tu e lo sai bene. Ti avrebbero scelto anche fra un milione di candidati!»

    Corrado accennò un sorriso e si stropicciò il naso. «Lo so che stai bleffando. Ti brucia tanto e non vuoi dirmelo.»

    «Mi ci vedi in giro per il mondo con la pala, il piccone e con le mani immerse nel fango? Vuoi scherzare? Io sono un topo di biblioteca!»

    «Già» e il sorriso stavolta gli illuminò il volto.

    «Beh, comunque ci mancherai. Sei mesi sono un'eternità.»

    «Anche voi mi mancherete...»

    «Hai già deciso da chi ti farai accompagnare a Mainz?»

    «Volevo chiederlo al professor Bertini. Con lui mi sentirei più tranquillo. L'idea d'incontrare Wartenstein di persona mi crea uno stato d'ansia indescrivibile...»

    Saverio cominciò a ridere. «Caro Corrado, mi sa tanto che dovrai farci l'abitudine!»

    «Speriamo almeno di essere all'altezza...»

    «Non fare lo stupido!» e gli rifilò un colpo sulla spalla. «Qui faremo tutti il tifo per te! Fagli vedere chi sei, capito? Fagli vedere chi è Corrado Signani a quel vecchio mangia-crauti!»

    3. L'INCONTRO

    28 settembre 2006.

    Mainz, Germania.

    Il professor Bertini e Corrado raggiunsero la città tedesca la sera precedente e pernottarono nelle camere che la Kunst-und-Wissenschaft Universität aveva riservato agli studenti e ai loro accompagnatori all'interno dell'istituto stesso.

    Il professore raccontò al ragazzo che era stato lì in altre occasioni per dei convegni e che

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