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Ombre dal Passato: Le Cronache dei cinque Regni
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Ombre dal Passato: Le Cronache dei cinque Regni
E-book229 pagine3 ore

Ombre dal Passato: Le Cronache dei cinque Regni

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Info su questo ebook

Dopo "I guerrieri d'argento" e "Altèra" continua la saga de "Le Cronache dei cinque Regni" con le avventure di Nayla Elamar e Gotland. Elamar ora si rimette in viaggio e si troverà coinvolto in una guerra che non gli appartiene, in un lontano passato che travolgerà il presente minando ogni sua certezza. I poteri gli verranno estorti con l'inganno, sarà braccato, tormentato... Un nuovo entusiasmante capitolo della saga fantasy che sta coinvolgendo grandi e piccini, dove amicizia, forza, sogno si intrecciano in un'entusiasmante nuova avventura! "Ombre dal passato" è il terzo libro di una saga in cui passione e amore per la scrittura e il racconto lo hanno portato in giro nelle scuole d'Italia dove ha incontrato e appassionato molti lettori grandi e piccoli.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2017
ISBN9788827569078
Ombre dal Passato: Le Cronache dei cinque Regni

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    Ombre dal Passato - Elvio Ravasio

    OMBRE DAL PASSATO

    Il futuro appartiene

    a coloro che credono

    nella bellezza dei propri sogni.

    Eleanor Roosevelt

    Dello stesso Autore presso le nostre edizioni:

    I Guerrieri d'Argento

    Altèra

    Kiria

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    Elvio Ravasio

    Le Cronache dei cinque Regni

    OMBRE DAL PASSATO

    Volume III

    GRIBAUDI

    Proprietà letteraria riservata

    ©2016 Piero Gribaudi Editore Srl

    Via C. Baroni, 190

    ISBN 978-88-6366-236-8

    Copertina e illustrazioni: Fabio Porfidia

    Graphic Design: Alessio Buono

    Immagini di proprietà dell'autore

    Ogni riferimento a fatti o persone 

    è puramente casuale

    Capitolo 1

    Nuove terre

    Un sole inclemente infiammava i polmoni mentre il vento giocava con la sabbia dorata disegnando figure astratte. Un terreno avverso, infido, inospitale.

    La figura avvolta di stracci sedeva sopra una delle poche rocce visibili, immobile; soltanto alcune folate agitavano le estremità logore degli indumenti. Nella mano destra, coperta dalla manica, stringeva un bastone contorto. Sembrava un semplice ramo, secco e senza vita come chi lo brandiva, e l’incedere del tempo non mutava la situazione. Il deserto di Aral attendeva le sue vittime con pazienza, con inevitabilità, come una creatura viva, più antica del tempo.

    La testa ruotò di poco e gli occhi emisero una leggera folgore, scariche di energia scesero lungo il braccio e si contorsero lungo il bastone fino a toccare terra. Un’onda sonora percosse il terreno e i corpi dei pungisabbia iniziarono a vibrare riaffiorando in superficie. Quindi esplosero, coprendo la sabbia di piccole chiazze di liquido verdastro.

    L’uomo si alzò in piedi. Era impossibile coglierne con esattezza la figura, in mezzo a quegli stracci, ma di certo era robusto: sul petto e sulle spalle muscoli voluminosi tendevano il tessuto. Alzò il viso al cielo e fissò per qualche istante il sole, come ad assorbirne la luce accecante. Poi scomparve.

    Nelle Terre di Brena, oltre il valico del Gonar, nel villaggio dimenticato di Stira si respirava paura e disperazione. Era sera, deboli luci illuminavano alcuni angoli lasciando nell’oscurità il resto dei vicoli; le finestre si chiudevano l’una dopo l’altra e rumori di chiavistelli scandivano il crescente terrore. Le strade erano deserte, un freddo pungente intirizziva le membra e ghiacciava gli specchi d’acqua negli avvallamenti del terreno. Gli animali si rifugiavano nelle tane.

    Uno scenario spettrale, che si ripeteva ogni sera quando le ultime lame di luce sparivano oltre le montagne del Gonar. Le terre sconosciute: nessuno delle Lande le aveva mai viste o raggiunte, non si pensava nemmeno esistesse qualcosa oltre il deserto se non altro deserto, all’infinito. Nessuna leggenda narrata o cantata ne svelava l’esistenza. Cosa rendeva la gente di quel luogo di confine così terrorizzata, quale oscuro pericolo si celava nell’oscurità della notte?

    Le case erano di legno, semplici e costruite con pochi mezzi. Stracci e coperte avvolgevano dall’interno i battenti. I camini erano spenti e il silenzio accompagnava una nebbiolina malsana che avvolgeva ogni cosa e si insinuava in ogni pertugio. In lontananza l’urlo di una donna riecheggiò nel vento, alcune vibrazioni percossero il terreno incrinando il sottile strato di ghiaccio delle pozzanghere. Altre urla, più vicine. Il tremore aumentò sempre di più, fino a scuotere le assi malferme delle costruzioni.

    Un’ombra si ergeva in lontananza, alta il doppio di un uomo. Si avvicinava preceduta da due mostri, forse demoni. Scrutavano ogni angolo alla ricerca di prede, pronti a scattare; erano succubi del loro padrone, pericolosi come solo la repressione della propria natura può portare a essere.

    Un’asse instabile lasciò filtrare una flebile luce di candela e la grande creatura, ormai giunta lì vicino, si voltò con un grugnito. I due umanoidi si gettarono in quella direzione, strappando il legno con gli artigli e aprendosi un varco. Dentro la costruzione, un uomo e una donna abbracciati fissavano il loro destino con espressione terrorizzata. Vennero afferrati per le braccia, trascinati e gettati in mezzo alla strada, ai piedi del mostro.

    L’enorme essere li fissò sbavando. Si chinò su di loro ed emise un ruggito spaventoso. I malcapitati si strinsero l’uno all’altra incapaci di reagire al loro destino. Un’enorme clava si levò in alto e con violenza scese inesorabile verso le vittime.

    A poca distanza dal bersaglio, una mano comparve dal nulla e l’afferrò, bloccandola senza sforzo. Lo sguardo meravigliato del mostro durò finché un calcio frontale lo colpì in pieno stomaco. Un colpo tale da scaraventarlo a trenta passi di distanza, ma la massiccia struttura ossea non subì fratture. I suoi seguaci accorsero, lui li scostò con un grugnito e si rialzò massaggiandosi la parte indolenzita.

    «Rientrate in casa e non muovetevi» ordinò la provvidenziale apparizione.

    I due non se lo fecero ripetere, annuirono e con le gambe ancora tremanti corsero all’interno. Il grande mostro, fumante di rabbia, caricò agitando la clava nell’aria e si avventò sul nemico che lo osservava immobile.

    L’arma colpì il terreno, mancando il bersaglio e spezzandosi in due.

    «Tutto qui?» disse una voce alle sue spalle. Il gigante lanciò via il moncherino e si voltò. Gli occhi dell’uomo luccicavano di energia e nella mano destra quella stessa energia iniziò ad addensarsi prendendo forma.

    Fece per avventarsi nuovamente su di lui, ma dal palmo dello sconosciuto scaturì una sfera di luce che trapassò il petto del mostro. Sbigottito e incredulo, abbassò lo sguardo sullo squarcio, poi volse gli occhi al cielo e schiantò al suolo. Gli umanoidi si scambiarono un'occhiata interrogativa e fuggirono atterriti.

    Dopo alcuni istanti, le porte degli edifici lì attorno iniziarono a schiudersi, quasi con timore. Occhi sospettosi scrutarono dalle fessure, mentre la coppia di sopravvissuti usciva di corsa a ringraziare il misterioso salvatore. Gradualmente, gli abitanti di Stira si riversarono in strada.

    «Ora ne arriveranno altri!» disse un vecchio «I due demoni che hai lasciato liberi li avviseranno e per noi sarà la fine, raderanno al suolo il villaggio».

    «Avresti preferito che queste due persone fossero uccise?» chiese il forestiero.

    «Era il prezzo da pagare, tutti noi conoscevamo il pericolo, moriamo tutti prima o poi.»

    «Parole facili, finché tocca agli altri» rispose il forestiero «e questo lo chiami villaggio? Aspettate la morte rinchiusi nella vostra paura senza reagire? Sembrate un branco di cerbidi in attesa di divenire la cena di qualcuno».

    «Ha ragione!»

    A intervenire era stato un ragazzo moro dal passo deciso; aveva tratti spigolosi e vestiva indumenti logori. «È parecchio che dico di reagire, di prendere il controllo della nostra vita e combattere il terrore che ci schiaccia in questa insulsa esistenza.»

    Il forestiero aprì le braccia e annuì, indicando il giovane come a sottolineare l’esatto concetto che voleva esprimere.

    «Parlate facile voi» insistette l’anziano «siamo quasi tutti vecchi e non abbiamo poteri. Quegli esseri sono alti quanto una casa! Affrontarli sarebbe morte certa, Barlod, non dureresti nemmeno un istante! Se ci catturano ci mangiano, tanto vale essere uccisi sul posto. Ormai gli unici giovani rimasti siete tu e i tuoi quattro amici, e nemmeno tutti insieme avete qualche possibilità. Certo, se il forestiero decidesse di aiutarci le cose cambierebbero.»

    Gli sguardi dell’anziano e del giovane si spostarono sul nuovo arrivato, attendendo una risposta.

    «Non è la mia guerra» disse abbassando il cappuccio e rivelando i suoi bizzarri lineamenti. Il viso era quello di un adolescente, ma i capelli erano color latte e gli occhi avevano quell’espressione indurita tipica dei veterani e dei guerrieri. Raccolse il bastone che aveva lasciato poco lontano e fece per incamminarsi lungo la strada principale.

    «Sei un codardo!» urlò il giovane Barlod.

    Il forestiero fu dinanzi a lui in un attimo. Gli occhi iniziarono a brillare, lo afferrò per la casacca e lo sollevò da terra con rabbia. Un lampo di pazzia affiorò nel suo sguardo e lo straniero parve sul punto di esplodere, riuscì a stento a mantenere il controllo.

    «Piccolo verme, ho affrontato pericoli che non troveresti nemmeno nei tuoi incubi peggiori! Ho ucciso, ho visto il baratro della follia e vi sono precipitato. Ne ho risalito le viscide murate con le unghie, a caro prezzo, aggrappandomi all’ultimo avamposto della ragione dove il dolore si tramuta in rabbia, la rabbia in delirio, il delirio in follia. Ho perso quanto avevo di più caro e ne pagherò il prezzo finché avrò vita, perciò non provocarmi, insetto o rimpiangerai il mostro che ho appena eliminato. Dentro di me alberga qualcosa che non vorresti mai scatenare!» Lanciò Barlod con stizza, usando abbastanza forza da farlo atterrare a una lunghezza da lì.

    Durante la lite, l’alba aveva dissolto la nebbia, disegnando obliqui ventagli di luce nei vicoli tra le catapecchie.

    La terra riprese a vibrare. Un tremore costante e cadenzato, d’intensità crescente.

    «Arrivano!» disse Barlod «Ora non hai scelta, non sono qua per noi: questa volta vengono per te!»

    Cinque giganti apparvero in lontananza. Correvano affiancati dai due demoni che li seguivano ansimando. A quella vista gli abitanti arretrarono, cercando posizioni riparate da cui osservare lo scontro. Solo il dolorante Barlod, dopo essersi rialzato e aver constatato di essere incolume, si posizionò di fianco al forestiero.

    «Vai via, ragazzo» proferì quest’ultimo «potresti farti male.»

    «No!» rispose Barlod determinato.

    «Come vuoi.»

    Le enormi figure si fermarono nella piazza, si allargarono sogghignando e lanciarono un possente ruggito di sfida. Barlod indietreggiò, le ginocchia gli tremavano. Il forestiero invece allargò le gambe, serrò i pugni e ringhiò, un suono dapprima sommesso che aumentò in volume fino a sfociare in un urlo profondo e prolungato. Da sotto i piedi dello straniero scaturì una colonna di luce che lo avvolse completamente: i sassi levitarono, i suoi capelli e gli stracci che indossava si sollevarono come se un vento soffiasse dalla sterile terra. I giganti si guardarono l’un l’altro, basiti. Erano sempre stati gli indiscussi dominatori dei territori di frontiera e non avevano mai visto una tale dimostrazione di potere.

    Confabularono nel loro linguaggio di versi e gesti; nonostante il loro aspetto primitivo, sembrava si capissero. Poi avanzarono tutti insieme, compatti come un muro vivente, e sollevarono le clave. L’ultima cosa che si aspettavano era che il forestiero li attaccasse frontalmente, per questo rimasero sconcertati nel vederlo correre loro incontro, con quella luminescenza che lo seguiva, come incollata ai suoi passi. Quando cercarono di abbattere le mazze su di lui, spiccò un salto impossibile, passò sopra di loro, e piroettando alle spalle del gigante al centro, allungò le braccia avvinghiandone il collo in una stretta d’acciaio. Per istinto il bruto lasciò la presa sulla clava e si piegò all’indietro per evitare di essere strozzato; non appena l’uomo toccò terra, inarcò il corpo e fece leva scagliando il gigante contro un grosso albero, rompendogli la spina dorsale. Il tutto in pochi attimi e senza fare uso di armi. Gli altri quattro si girarono increduli. Non si capacitavano di come un essere così minuscolo avesse potuto lanciare a quella distanza uno di loro; poi si riebbero, si allargarono e lo accerchiarono. Barlod osservava strabiliato lo sfoggio di potenza del forestiero: non aveva mai visto tanta energia in un uomo.

    Completamente circondato dai quattro esseri, lo straniero urlò ancora: la colonna di luce si fece più brillante, i muscoli sembrarono esplodergli, le vene sul collo si gonfiarono e sembrò aumentare di statura. Diede un tremendo pugno a terra: attorno a lui, esattamente sotto i piedi dei giganti, un largo cerchio di terreno sprofondò, inghiottendoli. Quei bestioni riuscirono d’istinto ad aggrapparsi ai bordi, rimasero fuori con la testa e cercarono di issarsi. Solo a quel punto il forestiero estrasse la spada che, unita all’energia sprigionata, sembrava folgore viva. Roteò su se stesso e la lingua luminosa vibrò nell’aria decapitando di netto i quattro nemici. Le teste rotolarono nel baratro, seguite dai corpi. Il cratere si richiuse un istante dopo, come se la ferita inferta al terreno cercasse di rimarginarsi.

    I due demoni scapparono di nuovo, in preda al panico.

    «Eh no, ora basta!» esclamò il forestiero. Rinfoderò la spada, scomparve e comparì proprio davanti agli umanoidi in fuga. Li afferrò e schiantò le loro teste l’una contro l’altra, trasformandole in un ammasso di poltiglia gelatinosa. La colonna di luce sparì.

    L’uomo andò quindi a sciacquarsi le mani alla fontana del paese e si mise a camminare di buon passo, senza degnare di uno sguardo la gente che usciva dai nascondigli.

    «Chi sei tu?» urlò Barlod, senza ottenere risposta.

    Il forestiero aveva salvato gli abitanti di Stira quel giorno, ma cosa sarebbe successo l’indomani? Quali conseguenze avrebbero avuto i fatti appena accaduti?

    Erano tempi difficili, tempi bui. Le Terre di Brena erano in preda a lotte senza senso, l’anarchia e la forza bruta delimitavano i confini del potere. Creature come i giganti razziavano i villaggi di confine e uccidevano senza regole, tenendosi a distanza dalle milizie dei signori di Aneria, che controllavano le vallate a sud lungo il fiume Pavos, e dalle rocche fortificate dei signori di Artam, edificate sulle montagne.

    Terre in conflitto da ere: una guerriglia continua ed estenuante fatta di attentati, spionaggio, rapimenti, uccisioni. I signori di Aneria reclamavano il diritto di passaggio sui valichi controllati dagli artemiani, e dal canto loro i regnanti del Borm esigevano parte dei raccolti delle terre fertili attorno alle acque cristalline del corso d’acqua. La foce del fiume tracciava il confine con gli altopiani del territorio aneriano; alcune leggi emanate da precedenti dinastie ne sancivano lo sfruttamento e prevedevano un dazio sui ricavi delle coltivazioni. Un fragile equilibrio, durato per ere, che si era frantumato quando l’egoismo, la cupidigia e la sete di potere avevano forgiato una nuova stirpe di condottieri, saliti al potere dopo la morte dei loro predecessori. Una guerra che non portava a niente, se non al logoramento; le fazioni si bilanciavano come forza, e solo questo aveva impedito che negli anni si arrivasse a uno scontro campale: nessuna delle due parti sottovalutava il rischio di un massacro totale. Quindi, il macabro gioco di assassini e razzie continuava, aggravando il malcontento e il timore della popolazione.

    Il forestiero stava percorrendo un sentiero che costeggiava il fiume, all’ombra di strani alberi dalle foglie larghe e ricurve. Osservava l’incedere dell’acqua: le piccole rapide che schiumavano in superficie e i pesci argentati che risalivano la corrente, incuranti dei predatori che si annidavano nelle zone morte, dove l’acqua era più profonda.

    L’uomo dai capelli bianchi era un guerriero, forse il più forte mai esistito. Era sceso all’inferno e ne era risalito solo grazie alla sua forza, alla tenacia e all’aiuto dei draghi, che epurandolo della sua parte malvagia avevano reso possibile la sua salvezza. Ma aveva un animo tormentato. Forse non era nel suo destino trovare la pace; certo non l’avrebbe trovata in quella terra bellicosa, in cui il fato l’aveva condotto. Eppure quel luogo gli dava una strana serenità: gli ricordava Bosco senza Tempo, il luogo dove tutto ebbe iniziò. La profezia, Nayla, Gotland, Norfolk, Arkàdon: i nomi iniziarono a vorticargli nella mente, dandogli le vertigini. Si chinò a sciacquarsi la faccia nelle acque limpide, cercando un po’ di refrigerio. Immerse la testa completamente, prendendosi qualche attimo per riordinare le idee, poi si rialzò lanciando i capelli all’indietro e disegnando una scia di goccioline nell’aria.

    Qualcosa gli punse la schiena e una voce iniziò a interrogarlo.

    «Chi sei? Da dove vieni? Non porti le insegne di Artam. Non fare un passo o ti finisco sul posto.»

    «A quale domanda devo rispondere per prima?»

    «Chi sei?» ripeté la voce.

    «Sono Elamar degli Altopiani, le terre al di là del deserto di Aral.»

    «Non prenderti gioco di me. Oltre il deserto non esiste niente se non morte certa.»

    «Credevo la stessa cosa prima di arrivare qui, ma evidentemente ci sbagliavamo entrambi» rispose il viaggiatore quasi divertito. Avrebbe potuto liberarsi senza sforzo dell’assalitore ma voleva prima di tutto informazioni sulle terre in cui si trovava, quindi decise di assecondare quel bellicoso personaggio.

    «Credo sia meglio che tu metta giù quella lancia, potresti farti male.»

    «Fermo, non ti girare. Non sono solo, ci sono cinquanta guerrieri nel bosco alle mie spalle, aspettano solo un mio ordine.»

    «Interessante. Allora vediamo di chiamarli, perché non potrai mai farcela da solo contro di me» ridacchiò Elamar.

    «Li chiamerò quando sarà il momento. Limitati a rispondere alle mie domande.»

    «Come vuoi, sei tu il capo» continuò a sorridere a labbra chiuse.

    «Ecco bravo, vedi di non dimenticarlo.»

    «E come potrei? Tu hai una lancia, io una spada corta, un pugnale e una fionda. Non farei in tempo a usarle, la lancia è molto più lunga, sarei morto prima di muovere un muscolo.»

    «Ecco, vedo che hai capito la situazione, dunque cosa fai qui?»

    «Stavo passeggiando e mi sono rinfrescato nel fiume.»

    «Sei una spia?»

    «Una spia di chi? Cosa dovrei spiare nell’acqua? Come ti ho detto vengo da lontano, non conosco queste terre e non sono di Artam, non so neanche cosa sia.»

    «Tutti conoscono le rocche fortificate di Artam sulla catena montuosa a nord degli

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