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Piece
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E-book110 pagine1 ora

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Info su questo ebook

Una ragazzina normale -magari caratterizzata da una fantasia eccezionalmente vivace- vive una vita normale in un contesto di normalità. Sui sedici anni, senza apparente causa logica, qualcosa di abnorme la spinge a demolire pezzo a pezzo la sua vita e il suo corpo per trovare un frammento che manca e rovina il quadro della sua esistenza.
Questo accade dentro, mentre fuori prende i nomi odiosi e sempre più diffusi di depressione e anoressia.
Ricostruire il corpo e l'anima diventa un compito faticosissimo, attraverso il cammino che percorre il sole durante la notte in apparente solitudine, fino a quando un'avversaria decide di accompagnarla per un tratto.
È l'esperienza interamente non normale di diventare "grandi".
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2013
ISBN9788868555535
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    Anteprima del libro

    Piece - Stefania Mingozzi

    peace.

    Agosto 2011, Northampton, UK

    Immagina di costruire un puzzle. E quando, dopo aver faticosamente trovato il modo di far combaciare ogni pezzo con quello attiguo, arrivi ad averlo praticamente completato, immagina di non trovare un pezzo; un unico singolo pezzettino: che sarà mai, ti dici? Ma poi, più osservi il tuo lavoro (incompleto) e più ti rendi conto che no, così non va … Devi assolutamente fare qualcosa, devi riempire quel buco, tappare quella minuscola voragine, chiudere quel fastidioso occhio che ti osserva beffardo dal centro delle tue fatiche …

    Hai due possibilità: lo cerchi. Ti dai da fare, sudi sette camicie, smuovi tutto ciò che c’è in giro, sposti ogni ingombro che potrebbe avertelo nascosto, aspetti pazientemente che venga fuori da solo … Ma quando non ne puoi più, quando ti vengono meno le speranze di trovarlo, quando hai passato troppo tempo in attesa senza alcun risultato e semplicemente perdi la voglia di aspettare ulteriormente, beh, allora la seconda possibilità che ti viene in mente è: disfare il puzzle. Lo smonti, semplicemente; pezzo per pezzo, ti sbarazzi di qualcosa che appare imperfetto e che ti sembra quindi non abbia sufficiente valore per essere conservato. All’inizio è una fatica anche quella, nonché una sofferenza immane: per ogni pezzo che estrai dall’armonico incastro che avevi creato senti uno strappo dentro, che ti ricorda con che fatica lo avevi scoperto e con che gioia lo avevi posato. Comunque dopo un po’ ti abitui, non lo trovi neanche così male; anzi, ti dà quasi più soddisfazione visto che sai già che alla fine non ti ritroverai delusa da una nuova mancanza. Ed è anche più facile se nessuno ti ferma, se nessuno ti dice ma che cazzo stai facendo, sei impazzita?!

    È quel che aveva fatto lei, in un tempo che sembra lontano anni luce da adesso. Era stufa di aspettare che qualcuno venisse a riempire il buco che sembrava rovinarle la vita, e così si era decisa a eliminare il problema in maniera radicale: smontando la sua stessa vita. A dirlo così sembra una cosa grossa, un’impresa ardua e lunga. Ma non lo era stato più di tanto. Aveva eliminato gran parte dei suoi piaceri: aveva smesso di fare karate, si era gradualmente esclusa dalla compagnia dei suoi amici, si era negata l’affetto dei propri famigliari, aveva smesso di studiare per il piacere di farlo e si era ridotta a farlo per una semplice questione di dovere; e contemporaneamente era arrivata la faccenda del cibo: niente sapori, porzioni a dir poco invisibili, monotonia nella scelta.

    Doveva svuotare la sua vita, e doveva farlo con metodo e senza esclusioni.

    Non era stato più di tanto difficile soprattutto perché nessuno aveva tentato di farla desistere; anzi, sembrava quasi che nessuno si accorgesse neanche di quel che stava facendo. E forse era così, perché tutto sommato neanche lei sembrava accorgersene del tutto. Voglio dire, non era pazza, né masochista; non godeva nel farsi del male, non era quella la sua intenzione: lei pensava di fare il proprio bene, probabilmente, pensava che fosse l’unica soluzione rimastale per guarirsi e smettere di soffrire. Se n’era accorta troppo tardi, quando ormai il puzzle della sua vita era tutto scombinato, e a lei non rimaneva un briciolo di forza per mettersi a rimontarlo da capo …

    Poi non ce l’aveva fatta più. A un certo punto era crollata, non sapeva neanche lei per quale esatto motivo. Con una fatica che non avrebbe mai immaginato di poter sopportare si era rimessa al lavoro, e pezzo dopo pezzo, con estrema lentezza, aveva rimesso insieme quella vita disintegrata con tanta precisione e coscienza.

    Per ritrovarsi ancora una volta ad osservare quel quadro incompleto, quel pezzo mancante che tanto l’aveva fatta dannare e che adesso nuovamente brucia e prude, come una piaga infetta.

    Ma questa volta, per lo meno, consapevole di non voler fare lo stesso errore.

    E quindi si è rimessa in attesa.

    Agosto 2005

    Si dice che il numero 17 porti sfortuna.

    Lei non è superstiziosa; magari un po’ scaramantica su alcune cose, del tipo che ha un ciondolo da indossare assolutamente nei giorni di interrogazione o verifica per ottenere un buon risultato. Ma non ha mai creduto veramente nella Sfortuna con la S maiuscola.

    Certo che -ironia della sorte- quell’anno lei ha diciassette anni. Beh, non li ha ancora compiuti quando tutto è iniziato, perché lei è nata in Dicembre. Però le cose non sarebbero assolutamente migliorate dopo aver festeggiato quel maledetto diciassettesimo compleanno. Anzi.

    L’anno scolastico della terza superiore era finito. Si era divertita tantissimo, stancandosi da morire ma di quella stanchezza bella, che ti lascia soddisfatto e che ti fa addormentare sorridendo. A scuola, con l’inizio del triennio, aveva cambiato molti professori e iniziato materie nuove, il cui studio l’aveva stimolata e messa in gioco; se ripensava alle secchiate di fine quadrimestre, quando aveva provato ad andare a letto non prima delle 2 di notte (svegliandosi alle 5 per il ripasso finale) per una settimana di fila, si domandava come avesse fatto a sopravvivere. Soprattutto perché si dedicava contemporaneamente ad altre attività: karate, a livello agonistico, con le sue minimo 3 ore e mezza di allenamento a settimana cui si aggiungevano una domenica al mese e la preparazione in vista delle gare, nonché le gare stesse. E come educatrice nel suo oratorio, a preparare ritiri spirituali e vacanze per i ragazzini delle medie. Si era divertita tantissimo, insomma. E si era stancata da morire.

    Per cui, dopo un’ultima gara di karate in Veneto, dopo la fine dell’oratorio feriale e dopo aver portato il suo gruppo delle medie in montagna, ha voglia di un po’ di vacanze per sé. Dopotutto se le merita. E la Provenza, dove i suoi hanno pensato di fare una decina di giorni cambiando città ogni giorno, le è parsa un’ottima idea. Infatti le è piaciuta: le sono piaciuti i piccoli borghi con i loro centri storici e i castelli e le chiesette in pietra, le è piaciuto il profumo di lavanda che si respira ovunque, le sono piaciuti i fenicotteri impassibili nelle loro pose plastiche da equilibristi; le sono piaciuti anche gli hotel dove si sono fermati di giorno in giorno, e le è piaciuto il cibo che hanno provato nei diversi ristoranti e bar. In effetti, forse, si è un po’ lasciata andare da questo punto di vista …

    Non ricordo più in che città siamo, né da quanto tempo siamo partiti; probabilmente siamo verso la fine della vacanza. Ho appena finito di fare la doccia, e mi sto asciugando con il morbido accappatoio bianco dell’hotel. In questo bagno, sulla parete dove sta il lavandino, quella che in questo momento è esattamente di fronte a me, c’è un enorme specchio che mi permette di vedermi a figura intera. Sono di profilo. Mi osservo distrattamente, pensando a che vestiti indossare per cena. Inavvertitamente l’occhio mi cade sull’immagine riflessa della mia coscia destra: è cellulite quella? Io non ho mai avuto la pelle a buccia d’arancia, possibile che questa settimana di pigrizia e peccati di gola mi abbia già trasformata in una flaccida cicciona bisognosa di trattamenti dimagranti? Beh, a settembre riprende karate e finita questa vacanza me le scordo le mangiate che mi sto facendo ora… Non c’è molto da preoccuparsi, non ho mai avuto problemi di linea.

    Oggi pomeriggio siamo andati al parco in bicicletta, eravamo parecchi tra amici miei e di mio fratello. Papà e mamma sono via, come anche le nostre sorelle. A casa ci siamo solo io e mio fratello; e la nonna, ovviamente, che sta alla porta accanto e ci veglia silenziosamente. E che stasera ha deciso di offrirci la pizza, a noi e a tutti gli amici che vogliamo invitare. Esco dalla doccia coi capelli gocciolanti, e mi infilo in camera mia lasciando il posto in bagno a mio fratello. Tiro fuori dal cassetto una canottiera nera, e dall’armadio prendo il mio paio di blue jeans elasticizzati di cotone, uno dei pochi che mi calza perfettamente senza fare pieghe dietro… Quando li infilo però c’è qualcosa che non va: non mi sono mai stati così attillati, così aderenti, così … stretti? Ok, da settembre mi regolo un po’ e perdo questi chiletti in più. E per

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