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Come un marinaio senza mare
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E-book199 pagine2 ore

Come un marinaio senza mare

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Info su questo ebook

Isabel ha una relazione stabile e degli amici fidati, eppure il suo animo è sempre irrequieto e la sua sete di nuove scoperte insaziabile. Non c’è più nessuno con cui abbia un legame di sangue che sia in grado di rispondere alle domande che la crucciano. Finalmente adulta può mettere in pratica le fantasticherie dell’infanzia, quando si perdeva fra le pagine dell’atlante che sfogliava in compagnia della nonna.

Con l’aiuto delle emozioni scaturite dal suo vagabondare e dalle turbolente vicende

familiari, Isabel scoprirà la magia dello scavare nella sua vita per arrivare alle proprie radici. Come un marinaio senza mare partirà per l’ennesimo viaggio, questa volta dentro se stessa e nel suo passato per approdare in un posto speciale.
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2020
ISBN9788831694667
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    Anteprima del libro

    Come un marinaio senza mare - Ilaria Palladini

    Antonio

    CAPITOLO 1

    «Entri pure.» gracchiò la voce che la osservava dal videocitofono.

    Entrò nella sala d’attesa e la signorina, che poco prima le aveva aperto il cancello, la invitò ad accomodarsi all’interno. Lei andò a sedersi senza esitazione sulla solita poltroncina accanto alla finestra.

    La sala d’attesa era abbastanza spoglia e le pareti erano dipinte con colori tenui e freddi. L’unico elemento dissonante da tutta quella neutralità era una riproduzione di un’opera di Botero, dalla quale rimase affascinata fin dalla prima volta in cui varcò quella porta.

    Amava l’arte, considerava la pittura una delle massime espressioni dei sentimenti: i colori e le pennellate erano in grado di riprodurre qualsiasi sensazione e ogni tipo di emozione, ma non era certo un’esperta. Aveva una visione molto semplicistica di questo mondo, che preferiva assaporare senza regole e senza etichette, contava solo quello che un artista o un’opera d’arte le trasmettevano. E quel quadro le trasmetteva molto nella sua semplicità. Le figure dei due ballerini erano così predominanti da mettere in secondo piano tutto il resto della tela, i cui particolari spiccavano solo ora dopo mesi di attente osservazioni.

    Botero era sempre riuscito a strapparle un sorriso, il suo tratto così spontaneo, i colori vivaci e tutte quelle figure paffute la mettevano di buon umore, ma dopo il suo recente viaggio a Medellín ne era rimasta letteralmente folgorata. C’era molto di più dietro a quei quadri che a prima vista potevano invece risultare così elementari.

    «Buongiorno Isabel, il quadro le ha regalato nuovi spunti anche oggi?» la sorprese la voce profonda del dottor Lucia- ni che giungeva alle sue spalle.

    «Buongiorno a lei.» rispose Isabel, voltandosi con un sor riso per essere stata colta sul fatto. «Sì, ogni giorno è una scoperta.»

    «Si accomodi.» le disse il dottore, scortandola fino al proprio studio e indicandole la sedia davanti alla scriva nia. «Mi dica, come è andata quest’ultima settimana? È più tranquilla?»

    «Non proprio. Durante il giorno sono tranquilla, è la notte che lo sono un po’ meno. Ho iniziato a fare dei sogni molto strani e quello di questa notte è stato il peggiore.»

    «Le andrebbe di raccontarmelo?»

    Isabel annuì, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi cercando di riprodurlo nella propria mente, ma con caute la, tenendosi a distanza di sicurezza. Riaprì lentamente gli occhi e iniziò a raccontare: «Mi voltavo affannosamente e ininterrottamente a destra e a sinistra, avevo la sensazio ne di girarmi e rigirarmi nel vuoto. Mi sentivo come se stessi camminando in una grossa tubatura. Attorno a me nient’altro che il buio e il silenzio, rotto solo dal suono amplificato dei miei passi, prima lenti e incerti, poi sem pre più sostenuti e pesanti. Man mano che camminavo l’oscurità diventava sempre più opprimente e claustrofo bica, come se delle pareti si stessero innalzando dal nulla per ostacolarmi, nel tentativo di serrarmi la strada. Ormai la mia era una corsa a occhi chiusi, non avevo la minima idea né di dove fossi, né di cosa stessi cercando. Fino a che, improvvisamente, non mi sono svegliata in un bagno di sudore e con il cuore che batteva a mille. Mi sono alzata per andare a rinfrescarmi in bagno, ma solo quando ho acceso la luce e mi sono buttata in faccia dell’acqua fresca mi sono un po’ calmata. Nonostante il sollievo nel realizzare che si era trattato di un sogno, sono riuscita a riprendere sonno soltanto quando ormai era già mattina».

    «Secondo lei, Isabel, per quale ragione ha faticato a ri prendere sonno? A causa dell’ansia che le aveva trasmesso il sogno, o forse per il timore di addormentarsi e continuare il sogno da dove si era interrotto?»

    «Non le saprei dire...» rispose esitante, prendendosi qualche secondo per riflettere. «Probabilmente sì, forse inconsciamente avevo paura che il sogno potesse proseguire. Al risveglio non avevo più l’affanno, ma in qualche modo mi sentivo e mi sento ancora adesso in preda all’ansia. Lo so che è stato solamente un sogno, ma…» Isabel abbassò lo sguardo senza riuscire a terminare la frase. Non riusciva a trovare le parole giuste per spiegare quella sensazione di inquietudine che ancora la turbava.

    «È comprensibile che si senta ancora scossa dal sogno, o incubo se preferiamo definirlo così. Nonostante si sia trattato solo di questo, le emozioni si sono manifestate in maniera molto intensa, quasi violenta. È dunque facile svegliarsi e sentirsene ancora prigionieri. Ha mai sentito parlare dell’interpretazione dei sogni di Freud?»

    «Sì, ma non sono mai entrata nel dettaglio.»

    «Il Signor Sigmund Freud paragona queste sensazioni spiacevoli che proviamo nei sogni a quelle che proviamo nella nostra quotidianità, quando siamo costretti a trattare argomenti che eviteremmo volentieri. Il sogno ci obbliga, seppur subdolamente, a rapportarci a qualcosa che non vo gliamo affrontare, a cui non vogliamo nemmeno pensare.»

    «Ho capito dove vuole arrivare, ma se si sta riferendo alla questione di mio padre…» Isabel cercò di inserirsi, ma il dottore fu più veloce.

    «Lei che idea se ne è fatta? Se questo sogno non l’aves se scossa per qualche ragione e nella sua testa non fosse scattato un qualche meccanismo, probabilmente ora non saremmo qui a parlarne. Mi sbaglio?»

    «Sì, sicuramente è scattato qualcosa, ma perché dovrei ricondurre tutto questo a lui?»

    «Le teorie sostengono che una delle fonti da cui i sogni attingono il loro materiale siano proprio l’infanzia e tutti quei frammenti di vita ai quali abbiamo cessato di pensa re o che semplicemente non rammentiamo. Ma se da una parte tutto ciò sembra dare molto potere ai sogni o al passato, in realtà, se ci riflettiamo bene, è tutto l’opposto. Ciò che si ritiene importante viene ricordato, mentre ciò che secondo la nostra testa non è rilevante è facile che venga dimenticato e, seguendo questo ragionamento, in alcuni casi sognato. Magari la situazione attuale di suo padre, anche solo per il fatto di essere riapparso nella sua vita, seppur solamente in sogno, potrebbe aver riportato a galla tutta quell’ansia, quel timore e quel disagio che provava quando era bambina. Cosa ne pensa?»

    Il dottor Luciani guardò Isabel con aria comprensiva dall’alto degli occhiali. Lei guardava nella direzione del dottore, ma i suoi occhi andavano oltre il suo viso, oltrepassavano anche l’albero fuori dalla finestra. Quegli occhi, che apparentemente osservavano il mondo esterno, erano invece immobili, mentre Isabel scrutava i propri pensieri.

    A un tratto rientrò in sé e rispose: «Beh, spiegato così potrebbe avere senso. Perché in realtà non sono in ansia per questa cosa. O meglio, mi dà noia il doverla affrontare, ma semplicemente perché la vivo come una scocciatura, qualcosa in cui sono rimasta invischiata contro la mia volontà».

    «Certo, come reazione è comprensibile.» disse il dottore. «Lei stava vivendo la sua vita più o meno serenamente quando degli estranei si sono presentati a sua insaputa alla sua porta, metaforicamente parlando, avanzando delle pretese e ignorando tutti quei paletti che lei aveva ben piantato proprio per mantenere le distanze.»

    «Esatto, è proprio così che mi sento.» continuò Isabel annuendo. «Ma tutta questa storia sta per arrivare alla fine. Ho preso la mia decisione e non mi resta che comunicarla. Aspettavo solamente di parlarne prima con lei, perché quando esco dal suo studio mi sento molto più forte e sicura di me.»

    «Mi fa piacere ed è così che dev’essere.» sorrise il dottore. Sebbene la conversazione sembrasse assumere dei toni più distesi, Isabel stava iniziando a metabolizzare quanto le era stato detto. Tutti quei paletti ai quali sia era riferito il dottor Luciani poco prima iniziavano a prendere forma, li stava visualizzando. Li immaginava come un recinto che aveva costruito con fatica per proteggere la propria intimità. Un recinto che adesso un uomo forte e senza volto stava distruggendo, asse dopo asse, a colpi di ascia. La proprietà era stata violata e, mentre Isabel parlava, le sue stesse parole iniziarono a colorarsi di rabbia.

    «Quando uscirò da qui chiamerò la moglie di mio padre e le dirò: –Grazie, ma no, non sono interessata–. Sarebbe una cazzata violentarmi per fare un piacere a qualcuno che nemmeno conosco. E per quanto riguarda la situazione, io sto bene e non mi sento triste! So di essere cattiva a dirlo, anzi probabilmente il diavolo mi avrà già riservato un posto all’inferno anche solo per averlo pensato, ma non m’importa un bel niente di lui e non voglio sapere altro! Non m’importa neppure che abbia chiesto il mio perdono, né tantomeno m’importa che possa andarsene con questo rimorso. È sempre andato avanti per la sua strada e non si è mai voltato indietro per chiedersi: –Chissà come sta Isabel?– Quindi per quale cazzo di ragione adesso gli interesso? Perché mai dovrei dargli una possibilità? Solo per permettergli di ripulirsi la coscienza prima di morire? Ci doveva pensare prima, io non sono caritatevole con gli stronzi!» disse Isabel tutto d’un fiato.

    Rendendosi conto della propria ferocia, mentre il suo volto prendeva colore e delle chiazze rosse iniziavano a comparirle sul collo e sul petto, si affrettò ad aggiungere:

    «Mi scusi per lo sfogo, sono stata troppo aggressiva».

    «Non si preoccupi, va tutto bene. Come le ho detto più volte questa è zona franca, può dire, anzi deve dire, tutto quello che vuole e nella maniera che preferisce. Qui ha piena libertà di espressione. Però vede, Isabel,» disse il dottor Luciani con un tono morbido, con l’intenzione di infonderle un po’ di tranquillità. «la questione sulla quale dobbiamo concentrarci non sono i sentimenti che può aver provato suo padre o le sue azioni. Non è lui ad essere qui, di fronte a me, ad accusare se stesso delle sue mancanze, delle sue negligenze o degli obblighi ai quali si è sottratto. E se mi permette un po’ di cinismo, forse è lui che potrebbe o dovrebbe preoccuparsi della possibilità di andare all’inferno. O magari lo sta facendo, ma noi non possiamo saperlo e il punto è proprio questo. Noi non possiamo sapere, né tantomeno capire, le ragioni o i comportamenti degli altri, e questo perché molto spesso fatichiamo a comprendere i nostri. Si ricorda? Solo pochi minuti fa mi ha risposto che pur non sapendo il perché, si sentiva e si sente ancora pervasa dall’ansia provocata da quel sogno. Faccia attenzione però, con questo non possiamo e non vogliamo giustificare i comportamenti di un padre assente. Dobbiamo concentrarci nel focalizzare l’attenzione su noi stessi, sui nostri sentimenti e sulle nostre azioni, non su quelle di terzi.»

    Isabel sorrise. «Ha ragione. Ho afferrato il concetto.»

    «Ci rifletta, Isabel, e la prossima settimana mi saprà dire.

    Nel frattempo le faccio gli auguri per la telefonata. Mi chiami qualora dovesse sentirne il bisogno.»

    ***

    Isabel uscì dallo studio sentendosi più leggera e deter minata. Le sedute dal dottor Luciani erano sempre molto impegnative e non era raro ritrovarsi poco dopo bloccata in macchina nel traffico con le lacrime agli occhi o con un mal di testa così potente da volersi teletrasportare a casa per buttarsi nel letto al buio.

    Ma quel pomeriggio di inizio marzo no. Il tepore del sole le accarezzava la pelle e, sebbene non volesse ammet terlo neanche a se stessa, era troppo tesa per potersi lasciare andare a quei giochi emotivi. La primavera alle porte si stava già riversando nei prati e sugli alberi, dove dei timidi germogli si preparavano a sbocciare. Passeggiò lungo quelle strade che un tempo conosceva bene, ma che ormai le erano estranee. Niente però sembrava essere cambiato. Trent’anni erano passati da quei pomeriggi trascorsi giocando a rincorrersi in piazza con i suoi compagni, a mangiare gelati all’ombra dei portici o a sorseggiare cioccolate calde con panna dietro i vetri appannati del bar.

    Erano solo strade della periferia di una grande città, grigie e lastricate di cemento, ma che lei vedeva ancora con gli stessi occhi di allora: con i papaveri e i soffioni che nascevano ai loro bordi in primavera e con i bambini che in inverno vi giocavano a palle di neve cercando riparo tra le macchine parcheggiate.

    Quattro mesi prima, quando l’avvocato di suo padre l’aveva contattata per informarla della sua malattia, lei era stata assediata dai dubbi e la sua amica Valeria le aveva consigliato di andare dal dottor Luciani per fare un po’ di chiarezza, ma mai avrebbe pensato che il suo studio si affacciasse proprio sui luoghi della sua infanzia.

    Il pomeriggio volò veloce tra mille pensieri e ricordi. Mancava ancora un’ora al tramonto quando si sedette su una panchina e accese una sigaretta, con il viso protratto verso l’alto per non perdersi nemmeno l’ultimo raggio di quel tiepido sole. Dovendo bruciare all’inferno è davvero una fortuna che mi piaccia tanto il caldo, pensò sorridendo tra sé e sé. Ma non credo che la mia risolutezza faccia di me una cattiva persona, sono solo sincera. Come potrei fingere tristezza o dolore per una persona che ho frequentato solo per i primi anni della mia vita, quando ero troppo piccola perfino per avere dei ricordi? Sarei un’ipocrita se mi comportassi in maniera diversa e, come ha detto il dottor Luciani, se devo concentrarmi sui miei sentimenti, io per lui non sento nulla, nemmeno compassione. Non è un passo che voglio fare e sento che non ne avrò mai il rimpianto.

    Con fare deciso spense la sigaretta sopra il cestino accanto a lei, estrasse il cellulare dalla borsa e ricercò il numero sconosciuto che le aveva telefonato la settimana prima. Forse è il caso che lo memorizzi, almeno per evitare spiacevoli sorprese in futuro pensò.

    «Luisa? Buonasera, sono Isabel, la disturbo? Guardi, ci ho riflettuto, la ringrazio per la telefonata ma non sono interessata. No, non credo di cambiare idea. Grazie. Buonasera.»

    Dopo aver chiuso la telefonata il cuore le batteva ancora all’impazzata e, quando il campanile alle sue spalle rintoccò la mezz’ora dopo le quattro, fece un balzo. «Fanculo!» si disse, neanche troppo tra sé. Allungò le gambe quasi a voler allontanare la tensione ed alzandosi pensò: Beh, è stato facile… Si scostò i capelli dal viso e s’incamminò verso la macchina.

    ***

    Isabel stava canticchiando mentre svuotava

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