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Incubo
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E-book125 pagine1 ora

Incubo

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Info su questo ebook

Dopo una furibonda lite col marito Susan cerca conforto nell'amicizia di un vecchio compagno di studi ma le cose si complicano quando un avvenimento traumatico segnerà per sempre le loro vite.
LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2019
ISBN9788827857359
Incubo

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    Anteprima del libro

    Incubo - mariagrazia perricone

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Nota

    La storia è opera di fantasia. Nomi ed avvenimenti sono di pura invenzione dell’autrice. Qualsiasi riferimento a fatti o persone viventi o defunte è puramente casuale.

    Ringrazio Nicoletta per la pazienza e l’attenzione con la quale ha seguito la creazione di questo racconto

    dedicato a tutti coloro che credono nell’amicizia

    Mariagrazia Perricone

    È nata a Milano il 20 giugno 1941.

    Oggi abita sul lago di Garda, in una casa in mezzo al verde a contatto con la natura.

    La sua opera di esordio è "La casa sulla scogliera, seguita da Come un colpo di vento, Racconti davanti al camino,Granelli di sabbia e La strada più lunga" Questi titoli sono pubblicati sul sito ilmiolibro.it, anche in versione e-book e sui maggiori siti on-line come Amazon, Ibs, La Feltrinelli, Libreria universitaria, Hoepli e altri

    Ha pubblicato inoltre due racconti sulle antologie "Rac-corti 2 e Rac-corti 3", editi da Perrone Editore.

    Opera non pubblicata, per sua decisione:

    "Leonore, l’ultimo inverno"

    Capitolo 1

    Dublino, 15 febbraio 2011

    Caro vecchio mio,

    Oggi inizio a scriverti.

    Voglio farlo perché in questo momento poter dire sinceramente tutto ciò che penso e tutto ciò che per me è importante e intimo, potrebbe aiutarmi in questo periodo per me molto difficile.

    È una piccola cosa, una cosa da nulla, ma per me significa molto. Parlo con te, amico di vecchia data, sempre presente e sempre pronto ad ascoltarmi perché so che mi capisci.

    Sono appena tornata dalle vacanze. Non avrebbero potuto andare peggio. Se penso a quanto le ho aspettate mi viene quasi da ridere pensando che non vedevo l’ora che finissero.

    Sono durate quindici giorni. Quindici giorni di acqua, vento e recriminazioni.

    Greg, che aveva sperato di passare buona parte del tempo a pescare nel fiume, sembrava un orso in gabbia e io cercavo di farmi andar bene lo squallido chalet nel quale stavamo rinchiusi quasi tutto il tempo. Qualche giro in macchina l’abbiamo fatto, cercando di ingannare il brutto tempo, ma il pessimo umore di lui gravava su di me come una pietra.

    Quando tornavamo, lui accendeva la televisione per non sentire lo scroscio incessante dell’acqua sul tetto e io rigovernavo in fretta e mi infilavo a letto con un libro come unica compagnia.

    Di sicuro queste vacanze mi hanno fatto capire, se mai ci fosse stato ancora un debole dubbio, quello che da tempo so già molto bene. E’ un’ulteriore riprova. E siccome ho giurato a me stessa di non imprecare più, questa volta voglio propormi di ricordare, perché ricordare serve più che imprecare.

    E’ una vita che ricordo, sono anni che ricordo, ma a volte, col passare del tempo, i ricordi tendono ad affievolirsi e invece a me servono vivi, brucianti, che fanno male, perché è di questo che avrò bisogno dopo, per non soffrire e per continuare a vivere.

    O si soffre prima o si soffre dopo e io, dopo, non voglio più soffrire. L’ho già fatto e non mi è piaciuto.

    Potrei cominciare a ricordare dal 26 Agosto? O potrei andare più indietro di qualche mese, a Natale per esempio? Oppure più avanti, verso Luglio, il giorno del mio compleanno, passato senza neppure un augurio, o prima ancora, a Febbraio, il giorno del mio anniversario di matrimonio, o appena pochi giorni dopo la vigilia di un viaggio annunciato e mai iniziato, oppure la vera data è il 26 ottobre 2009?

    O forse quello è stato solo il giorno della mia presa di coscienza?

    Il giorno in cui ho preso LA DECISIONE?

    Voglio ricordarmi di tutte le occasioni importanti, quando ero veramente sola a fare scelte che avrebbero dovuto riguardarci, io e Greg, – ma allora dovrei aprire un libro – o potrei cominciare a ricordare una serie di serate che non finivano mai, serate passate da sola ad aspettare, con la morte nel cuore, sapendo bene che l’attesa era inutile, perché la sera dopo sarebbe stata la stessa cosa. Potrei continuare ricordando quanto può far male una parola detta, o peggio, una parola non detta, oppure quella che non si voleva dire, ma che è uscita e che è diventata grande, enorme, incombente, spia e complice di una situazione che forse sospettavo ma che speravo che così non fosse perché no, non poteva affatto essere così.

    Eppure è vero, a un certo momento mi sono accorta che era proprio tutto vero, ne ho dovuto prendere atto, rendermene conto. Non era il lavoro a trattenere mio marito fuori casa fino a tarda ora, io lo sapevo. Mio marito aveva un altro amore.

    Il gioco.

    Mio marito giocava. Tutte le sere. Non rientrava mai prima che fosse notte inoltrata. Rubava a me il tempo di stare insieme. Rubava a me l’amore che avevo per lui. Al posto dell’amore era subentrata in me una rabbia, dapprima sorda, poi sempre più violenta e imperiosa. Una rabbia che mi costringeva a fare qualcosa. Ma cosa? Quattro anni, quattro lunghi anni erano passati tra un alternarsi di brevi periodi nei quali vedevo le cose andare meglio e periodi nei quali invece capivo che non potevo più andare avanti così, che non potevo più tollerare i musi lunghi, la solitudine imposta, le umiliazioni e l’indifferenza e le scenate.

    Cosa devo fare? Niente. Devo solo ricordare, per il "dopo", quando sarà il momento di tirar fuori le cose più brutte, quelle più cattive, quelle che mi hanno fatto un po’ più male, quelle che vorrei scordare per davvero ma che non posso. Devo ricordare quello che dicevo:

    "Non importa, forse non è proprio così",

    E invece no, è proprio così.

    Sì, perché ricordando tutto questo sarà più facile buttarmi tutto alle spalle e cambiare vita, la mia vita, una volta per tutte e senza rimpianti.

    Quante volte mi sono illusa che le cose stessero finalmente per cambiare!

    E adesso, che poteva forse esserci un buon punto di partenza per una nuova ripresa, per la schiarita tanto attesa, adesso no.

    È troppo tardi.

    Non ho più voglia più di confrontarmi con un’altra situazione, illudendomi che questa volta andrà bene perché bene non andrà mai. Non ho più voglia di crederlo.

    E’ veramente troppo tardi.

    Mi sento come una spugna. La spugna non cessa mai di assorbire. Acqua, inchiostro, veleno, un liquido qualunque va bene. Deve bere per gonfiarsi e deve gonfiarsi anche se sa che non potrà diventare enorme. Le sue fibre presto si induriranno, si spezzeranno, ma la spugna cercherà fino allo spasimo il suo liquido, poi si seccherà e morirà. Sulle spiagge se ne trovano tante. Piccole, grandi, marroni, secche, sgradevoli da vedere, ripugnanti al tatto. La morte della spugna non è piacevole. Come nessuna lo è.

    Oggi, 15 Febbraio 2011 ho buttato via il mio vecchio abito da sposa. L’ho infilato in un sacco nero e l’ho gettato nel cassonetto. E’ significativo che l’abbia fatto proprio in questo giorno? Ci ho fatto caso dopo, ma alla fine forse era una decisione subliminale. E’ proprio il giorno del mio anniversario di matrimonio, o dovrei dire forse il nostro anniversario, che è passato senza nessun segno e senza nessun augurio. Come tutti gli altri.

    Volutamente dimenticato? Inconsciamente dimenticato?

    Così, tra una tristezza e l’altra, mi dibatto come un pesce appena pescato.

    A proposito di pesce.

    La settimana scorsa sono andata al mercato e mentre aspettavo davanti al pescivendolo che venisse il mio turno, mi è capitato di fissare lo sguardo su quelle povere bestie a pezzi sul bancone, coi loro occhi così espressivamente tristi, fissati per sempre nelle orbite con l’espressione della morte addosso. C’era un grosso pesce tagliato a metà, forse un tonno, con la bocca aperta. Sembrava che i suoi occhi stessero lacrimando. Anche gli altri pesci mi ossessionavano e non potevo non pensare all’orribile morte che era loro toccata. Ho distolto lo sguardo e ho sperato che mi servissero in fretta. Tutto questo mi ha molto rattristata, ma non mi ha impedito di aspettare il mio turno per comprare una vittima. Tutte queste incongruenze mi fanno male. Ciao caro vecchio mio, a presto.

    Susan

    Edimburgo, 16 febbraio 2011

    Cara Susan,

    Ho ricevuto e ho letto con attenzione la tua lettera. Ciò

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